Zaino in spalla tra i suk

Sono passati alcuni mesi da quando sono rientrato dal mio viaggio in Marocco; credo fosse necessario aspettare. Lasciar trascorrere un po' di tempo prima di scrivere le proprie impressioni ed emozioni, lasciar scemare i facili entusiasmi, per avere uno sguardo più obiettivo sull'esperienza passata, per evitare di dipingere un quadro troppo...
Scritto da: Andrea Pompei 1
Partenza il: 14/04/2003
Ritorno il: 26/04/2003
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 500 €
Sono passati alcuni mesi da quando sono rientrato dal mio viaggio in Marocco; credo fosse necessario aspettare. Lasciar trascorrere un po’ di tempo prima di scrivere le proprie impressioni ed emozioni, lasciar scemare i facili entusiasmi, per avere uno sguardo più obiettivo sull’esperienza passata, per evitare di dipingere un quadro troppo superficiale… Ora credo di essere pronto a raccontarvi il mio Marocco; “mio”, perché ogni persona percepisce in modo personale i luoghi che visita, perché per ognuno di noi viaggiare ha un significato diverso, ogni luogo è diverso per ogni paio di occhi che l’hanno ammirato… E’ un paese strano. Questo è la definizione che più sinteticamente ed efficacemente descrive l’impressione che mi ha dato. Ma la stranezza non sta nelle differenze, pur evidenti, con la nostra società occidentale: a quelle siamo ormai abituati, non ci sorprendiamo più di fronte ad usi e abitudini differenti, ad una cultura con valori alternativi ai nostri… no, questo sarebbe facile esotismo, sarebbe uno sguardo troppo superficiale. C’è ben altro da vedere, per chi sa guardare, per chi ha voglia di guardare, oltre le immagini da cartolina, oltre gli stereotipi fossilizzati dei cataloghi turistici…; ci vuole poco, in fondo: è sufficiente evitare i luoghi costruiti solo per i turisti, spingersi dove si svolge la vita vera, senza paura, ma senza invadenza, con rispetto: e allora un vicolo, un porto, una bottega artigiana possono diventare una scoperta sorprendente nella loro semplicità, e lasciarci un ricordo molto più vivo dei più blasonati monumenti. La stranezza che mi ha colpito è quella dei contrasti di questo paese, in cui convivono, apparentemente in armonia, epoche diverse, stili di vita opposti. Passeggi per i vicoli della medina di Fès, circondato dalle bancarelle di frutta, ortaggi, pesci e lumache, tra profumi avvolgenti e colori sorprendenti, e pensi di essere tornato indietro nel tempo di cinquanta, cento, mille anni…Poi senti uno squillo, volti lo sguardo, e vedi un ragazzino di quindici anni che parla tranquillo col suo cellulare…; riprendi il cammino, ammiri le architetture tradizionali, gli stucchi sugli archi delle moschee, i minareti che svettano tra le case diroccate…Poi noti delle macchie bianche sui tetti, guardi meglio e ti accorgi che le antenne paraboliche sono più numerose che da noi…; osservi la gente per strada, ammiri l’eleganza fiera delle donne con l’abito tradizionale, col volto celato agli sguardi…Poi noti che passeggiano insieme alle figlie vestite nel più puro stile occidentale…; intanto gli uomini lavorano, trasportando ogni tipo di merce con carretti trainati a forza di braccia o con l’aiuto di asini dall’aria derelitta e sfinita…Ma affianco a loro vedi passare un giovane in giacca e cravatta che pare uscito da Wall Street…; sbirci tra le botteghe, ti fermi a curiosare tra gli oggetti costruiti davanti ai tuoi occhi da un abile artigiano praticamente a mani nude…E scopri che il negozio accanto è un Internet point… E allora cominci a porti delle domande, a guardare più a fondo, a chiedere spiegazioni… Ma non ci sono risposte, nessun segreto da scoprire, nessuna spiegazione illuminante, solo una realtà da accettare per ciò che è, da capire per ciò che è stata, da immaginare per ciò che sarà. Una realtà che ha saltato a piè pari dal XIX al XXI secolo, dimenticando i lenti cambiamenti, in favore di una rivoluzione culturale e tecnologica che si sovrappone alla tradizione, ma non la cancella, non ancora.

Quanto potrà durare questo stato di cose? Qualche anno, qualche decennio? La nuova generazione saprà conservare ciò che la tradizione gli tramanda? Si estingueranno definitivamente gli elementi caratteristici di una cultura millenaria, diverranno il simulacro di se stessi, da offrire ai turisti in cerca di curiosità pittoresche? E’ questo il dubbio che ti prende quando ti immergi nella piazza Jemaa el Fnaa, a Marrakech; si nota l’equilibrio precario, che ancora resiste, tra realtà “vera” e realtà “turistica”. La gente del posto vive la piazza, la anima giorno e notte, partecipa agli spettacoli dei musicisti e dei cantastorie, ascolta i guaritori tradizionali, mangia nelle innumerevoli bancarelle che spuntano la sera: non è una rappresentazione costruita per gli stranieri, non c’è finzione premeditata; ma si avverte comunque che l’arrivo del turismo ha cambiato le cose, ha spostato gli equilibri e cambiato le abitudini: te ne accorgi quando cerchi di mischiarti alla folla di locali che osserva un saltimbanco e vieni subito preso di mira, perché turista uguale soldi facili; te ne accorgi quando gli zelanti negozianti, sorridenti, ti presentano le babbucce in pelle colorata come “Adidas berbere”; te ne accorgi quando scopri il Club Mediterranee all’ingresso della piazza, ben protetto da alte mura.

Ti rendi conto allora di essere in un paese che desidera aprirsi al mondo esterno, che non si chiude nella sua storia ma guarda al futuro, che aspira al benessere occidentale, ma che non vuole rinunciare alla sua identità, forte e orgogliosa. Sarà difficile trovare una via equilibrata tra l’esigenza di sviluppo economico e il rischio di colonizzazione culturale, ma il processo è già iniziato e anche noi visitatori stranieri possiamo contribuire a fare in modo che si percorra la via migliore, guardando con occhi più consapevoli e disincantati, senza cercare l’esotismo ad ogni costo, ma accettando la realtà di un paese ricco di contrasti.

Questo è il quadro emotivo che mi ha lasciato il viaggio, che cercherò ora di arricchire con qualche annotazione più concreta su ciò che ho visto. Sono sbarcato a Tangeri in una giornata di nuvole e pioggia, che dava alla città un aspetto triste e poco invitante, confermando la mia idea di partire subito per Fès. Dopo qualche indecisione sul mezzo di trasporto scelgo il treno e vado alla stazione: è quanto di più diroccato possiate immaginare, ma gli impiegati sono efficienti e parlano inglese: meglio che da noi… Anche i treni non sono male, praticamente come i nostri, peccato che le linee ferroviarie siano poche. Dai finestrini osservo il paesaggio, e mi stupisco vedendo campi verdi e allagati: poi un ragazzo mi spiegherà che quest’inverno ha piovuto molto, alluvionando le campagne; non vi aspettate quindi un impatto forte col paesaggio africano: niente deserti, oasi e dromedari, questo è ancora il Mediterraneo.

Arrivo a Fès alle 10 di notte, e con un taxi raggiungo la medina, dove cercherò un albergo, con un’amica che viaggia con me e tre ragazzi (due messicani e uno svizzero) conosciuti in treno. Non è facile trovare un posto libero, dobbiamo girare quattro hotel prima di avere una stanza: solo 50 dh (5 euro) a testa; certo, la camera è molto piccola e spartana e i bagni, comuni, emanano un fetore incredibile, ma va bene così, è quello che cercavo: un alloggio semplice, economico, frequentato da viaggiatori “zaino in spalla” come noi. Ci sistemiamo e usciamo per mangiare qualcosa; continua a piovere, le strade sono allagate e fangose. Ci fermiamo in un chiosco sulla strada e mangio una tajine con polpettine di carne macinata (Kefta) e uova, piccante e buonissima: il cibo è una delle cose che più ero ansioso di provare! Nei due giorni seguenti giriamo in lungo e in largo i vicoli della città vecchia (Fès-el-bali), cercando di scovare le cose più interessanti; sono imperdibili le concerie delle pelli, che sono visibili dalle terrazze circostanti: da soli non le troverete mai, quindi cercate di arrivare nella zona seguendo le cartine della guida, e li non mancherete di incontrare qualcuno che vi accompagnerà sul posto, …In cambio di una mancia, ovviamente! Lo spettacolo che troverete è incredibile: qui veramente si lavora come cent’anni fa, i conciatori si immergono nelle vasche piene di chissà quali sostanze, incuranti dei danni per la loro salute. Sarete sorpresi dai colori e dall’odore pungente che vi avvolgeranno! Cercate anche di scovare qualche laboratorio di tessitura, sbirciando dentro i cortili delle case, ed entrate senza timore: saranno lieti di accogliervi e di mostrarvi il loro lavoro, e se non comprerete niente, amici come prima! Non perdete comunque l’occasione di acquistare qualcosa: oltre ad esserci tante cose interessanti (dai tessuti, agli strumenti musicali, all’artigianato in legno, ceramica o metallo battuto), darete un piccolo contributo all’economia locale e proverete il rituale della contrattazione: personalmente ho impiegato un’ora e mezza per avere un tappeto berbero al prezzo che ritenevo equo, tempo impiegato conversando amabilmente e bevendo te alla menta offertomi da Rachid, il venditore.

Due i ricordi commoventi che porterò con me da Fès: un gruppo di bambini che giocano , di notte, in un vicolo, e che appena vedono la mia macchina fotografica si mettono in posa, abbracciati l’uno all’altro, sorridenti e felici per la novità; una ragazza che lavora all’ hotel come inserviente, gentilissima e simpatica, che ci chiede, timidamente, se possiamo regalarle una maglietta di cotone: come rifiutare? Lasciata Fès mi sono diretto verso Meknès, che, devo ammettere, è stata una delusione! I suk non hanno più niente di autoctono, vendono merce occidentale dozzinale. Meglio il mercato alimentare, con grandi banchi di spezie, carni, frutta, ortaggi e dolci: questi ultimi dovete assolutamente assaggiarli, sono veramente buoni, in genere a base di miele e mandorle. Impressionanta la porta principale delle mura, la Bab Mansour.

Lascio dopo un giorno Meknès per dirigermi a Marrakech, meta obbligatoria in un viaggio in Marocco. La stazione è affollata di viaggiatori, e nel piazzale i tassisti si contendono i clienti: evitate di salire sul primo che passa, ma scegliete quello che vi offre il prezzo migliore: nessun timore di contrattare anche qui, se non volete pagare 3/4 volte il prezzo giusto; ancor meglio è fargli accendere il tassametro, così si evitano problemi. Usate tranquillamente i taxi piccoli, in tutte le città marocchine: sono molto economici (una corsa media costa solo un euro), pratici, e li trovate quasi ovunque. Mi faccio portare alla Jemaa el Fnaa, il centro vitale della città: una enorme piazza a forma di “L”, costantemente piena di gente, automezzi, carretti, saltimbanchi, musicisti di strada , ecc. La confusione è massima, ma è affascinante. Peccato che i pullmann turistici arrivino fin qua a scaricare le loro carovane, rovinando un po’ l’immagine del posto… Partiamo subito alla ricerca del solito alberghetto super economico, provando prima quelli consigliati dalla guida Routard; con un po’ di sorpresa troviamo posto al primo tentativo in un vicolo a due passi dalla piazza: è una vecchia casa su tre piani con cortile centrale a cielo aperto, ben ristrutturata e curata, accogliente e fascinosa, nonostante costi davvero pochissimo! Certo, le camere sono anche qui più che spartane e il bagno è in comune per tutto il piano, ma per 5 euro a notte non si può chiedere di più! Nei tre giorni seguenti cerchiamo di visitare la città con calma, senza corse per vedere tutto assolutamente, ma scegliendo con cura poche cose e dedicandogli tutto il tempo necessario. Sicuramente fondamentale è la visita ai Suk, forse un po’ meno fascinosi che a Fès, ma più vasti, dai quali entriamo e usciamo più volte ogni giorno, gironzolando a caso per i vicoli, perdendoci e ritrovandoci più volte, cercando di coglierne al meglio l’atmosfera e lo spirito. Passiamo molte ore anche nella magica Jemaa el Fnaa, che cambia volto col passare delle ore: la mattina è un viavai frenetico di mezzi e persone, dal pomeriggio cominciano ad arrivare gruppi di artisti di strada, saltimbanchi, musicisti, guaritori tradizionali, ecc, ai quali si affiancano, all’imbrunire, decine di bancarelle che si dispongono su file ordinate trasformando la piazza in un grande ristorante a cielo aperto; ogni area è dedicata a un tipo di piatti: da una parte le carni bollite, con teste di montone intere che vi guardano dai banconi, dall’altra cous cous, verdure e spiedini di carne arrosto, dall’altra ancora grandi pentoloni di lumache fumanti. Non è facile decidere quale banco scegliere, sono tutti invitanti e appetitosi, e i proprietari fanno di tutto per attirare la vostra attenzione e invitarvi a sedervi. Alla fine la spunta il più simpatico e intraprendente, che non mancherà di servirvi un’ottima cena per pochi euro. Dopo il pasto non perdete l’occasione di salire su una delle terrazze dei caffè che circondano la piazza, per gustare un fantastico thè alla menta (non è retorica, vi assicuro che è davvero speciale!!) godendo dello spettacolo che si svolge ai vostri piedi: dall’alto la piazza è una visione fiabesca, avvolta nella penombra e invasa dai fumi delle cucine, da cui si alzano a volte fiammate impressionanti che illuminano la notte. Osservatela in silenzio, a lungo, cercate di coglierne i movimenti nascosti, i dettagli, per capire cosa la rende così speciale…

Meritano una visita anche alcuni monumenti storici, come la il minareto della Kotubia, con i bei giardini che lo circondano, le Tombe Sadiane, il palazzo della Bahia, che aiutano a capire e conoscere il passato di questa nazione. Cito solo quelli che abbiamo visto, ma sono sicuramente molti i luoghi che meritano una visita, se si ha tempo.

Lasciamo Marrakech dopo tre giorni, a malincuore, e decidiamo di spostarci verso Essauira, una cittadina sulla costa atlantica. Stavolta ci muoviamo in pullmann, un vecchio granturismo abbastanza comodo, che in alcune ore ci porta a destinazione. La stazione dei bus di Essauira è fuori dalle mura della città vecchia, ma a breve distanza: ci si può spostare tranquillamente a piedi. Anche qui iniziamo la ricerca del solito alloggio economico, che troviamo subito in un vicolo della via principale. Scaricati gli zaini partiamo per il primo giro di esplorazione, tanto per familiarizzare un po’ con la città. Il viale principale taglia in due la città vecchia, racchiusa da alte mura su cui si aprono ampie porte: la più bella è la “Porta della marina”, che dà accesso al porto; dal viale partono varie vie, più o meno grandi e frequentate, costellate di negozietti e botteghe artigianali, minuscoli negozi alimentari, ristoranti, ecc..Seguiamo la direzione che porta al mare, e sbuchiamo di fronte ad una stupenda immensa spiaggia oceanica: c’è la bassa marea, il mare si è ritirato di decine di metri lasciando una affascinante distesa di sabbia bagnata invasa dai gabbiani che volano a pochi metri dalle nostre teste. Camminiamo lungo la spiaggia verso il porto, piccolo ma molto attivo: sul molo ci sono alcuni cantieri che costruiscono grossi pescherecci in legno, come si faceva anche da noi fino a non molti anni fa. La pesca è sicuramente una fonte importante di reddito da queste parti, vista la quantità di barche ormeggiate; ogni mattina i pescatori allestiscono sul molo di ponente una serie di banchi dove potrete mangiare pesce appena pescato cotto alla brace, a prezzi veramente stracciati: meritano una visita! La città vive anche di turismo balneare d’estate, e qua e là si incontrano locali e alberghi un po’ turistici, ma non mancano i posti autentici dove trovare lo spirito della città. Tra l’altro ci sono anche alcune gallerie d’arte che ospitano opere di artisti locali. Molto viva la tradizione della scultura e dell’intaglio del legno di tuia : troverete oggetti di ogni genere veramente pregevoli. La città è piuttosto piccola, si può girarla ampiamente in lungo e in largo alla ricerca dei punti più interessanti e suggestivi: io ricordo piacevolmente il suk del pesce e delle spezie, nella via principale, la “Sqala della casbah” e il bastione nord, e il fantastico tramonto sull’oceano.

Ogni viaggio purtroppo deve terminare, prima o poi, e noi dobbiamo tornare a Tangeri: scegliamo un pullmann fino a Casablanca e da qui proseguiremo col treno: il bus non è certo comodissimo per i lunghi viaggi, ma ci ha permesso di attraversare lentamente il territorio, con alcune soste nei paesini lungo la strada. A Casablanca ci fermiamo solo il tempo per arrivare alla stazione e ripartire col treno, ma ha l’aspetto e l’atmosfera di una moderna metropoli. Giungiamo a Tangeri dopo 24 ore circa dalla partenza e, attendendo il traghetto, facciamo un giro per la medina, che conferma l’impressione non particolarmente positiva che la città mi aveva dato all’arrivo. Guardando indietro dal traghetto che ci riporta in Europa, però, appare molto più bella ed invitante, col suo fascino da città di mare…E vorrei poter restare ancora un po’…



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