Viljandi Folk Festival
Se per il viaggio a Setomaa ero riuscito a dimenticare la memoria della fotocamera a Poltsamaa dovendone comprare una d’emergenza con Gaia in quel di Tartu, in occasione del Viljandi Folk Festival sono riuscito a fare molto meglio: sdraiato su un prato all’ingresso del Festival sorseggiavo l’ennesima birra della giornata aspettando Gaia (sempre lei!) in arrivo da Tartu forse a cavallo di un carro funebre visto il clamoroso ritardo. Arriva il momento in cui ricevo una telefonata e tiro fuori dalla tasca la fotocamera che poggio per terra e il cellulare con cui rispondo a Kadi, finisco la conversazione e proprio in quel momento arriva Gaia. Mi alzo e le vado incontro per un saluto, facciamo i biglietti, entriamo e appena dentro sale l’irrefrenabile voglia di immortalare qualche momento. Ops! Corro verso quel maledetto prato e alla faccia della civiltà dei nordici, la fotocamera è sparita. Inizia a venirmi il dubbio che sia l’influenza di Gaia, bravissima fotografa, ad aver complicato la relazione tra me e la fotografia in quel mese di Luglio. Di sicuro deve essere così, ma comunque a sorpresa mantengo una certa compostezza forse causata dalla birra e le risparmio il fiume di imprecazioni che invece mi straripa nella testa. Nessuna immagine impressa su carta fotografica per l’evento di cui vado a parlare, colpa di Gaia. L’inserto speciale del Sakala, il quotidiano locale, racconta con fierezza e nostalgia quel 15 Maggio del 1993 quando Justament, Normaalne Seltskond, JÄÄ-ÄÄR (non potevo non citarli con questo nome) ed altri pochi artisti locali furono i pionieri del PÄRIMUSA, quello che poi sarebbe diventato uno dei festival folk più importanti del panorama musicale europeo. Il successo di quella timida soleggiata giornata di folk con oltre 200 visitatori che per l’Estonia e Viljandi sono comunque sempre tantissimi, spinse alcuni studenti del Viljandi Culture College a fondare un associazione dei giovani musicisti, la Noorte Moosekantide Selts, per organizzare e coordinare “l’incontro” dell’anno successivo. Furono 3 giorni di puro divertimento per il Viljandi Folk Music Festival con oltre 5.000 visitatori e il quotidiano nazionale Postimees celebrò l’evento con un titolo che ancora oggi tutti i cittadini di Viljandi ricordano con orgoglio:”Kolm päeva, mis vapustasid maailma” ovvero “I tre giorni che sconvolsero io mondo”. Da quelle tiepide giornate di Luglio del 1994, ogni anno il Folk Festival rende onore a quel titolo in un crescendo di suoni, rumori, profumi e sapori.
Viljandi, in tedesco Fellin, è una cittadina situata nel cuore dell’Estonia che conta qualcosa come 20.000 abitanti e di cui si hanno le prime tracce nel 1154 grazie ai viaggi e alle documentazioni del geografo berbero, ma siciliano d’adozione, Idrisi. Nel tredicesimo secolo la città conosce il suo periodo di massimo splendore quando i Cavalieri Portaspada dell’Ordine Livoniano di Riga la elessero a sede dell’ordine monastico militare con la costruzione dell’imponente castello che rappresentava la più imponente fortificazione del Baltico e tra le cui rovine invece da anni si tiene il favoloso festival che sto cercando di raccontare.
Oggi Viljandi oltre ad essere la sede della Chiesa Evangelica Luterana Estone è anche e soprattutto la capitale culturale nazionale. Sembrerà un azzardo pensando alla multiculturalismo e il progresso di Tallinn o alla nobilissima Università di Tartu con i suoi enne-mila studenti, eppure è così. Viljandi è forse il posto più estone dove sono stato nell’ultimo anno, il posto dove forse gli estoni si sento maggiormente a casa: con la sua Accademia della Cultura, il suo fiume e soprattutto il suo lago, il suo inglese dall’accento e gli imbarazzi davvero estoni, i suoi tantissimi parchi e suoi valloni verdi, le sue bellissime ragazze, i suoi oiss e l’acool, ma soprattutto quella sua atmosfera bucolica e naïf che pervade e rende magici tutti i quartieri di legno della cittadina.
Il boulevard principale che dalla stazione degli autobus corre fino al cuore del castello è una lunga, inebriata e inebriante processione di colori sotto il caldo velo di luce di un tramonto ancora fortunatamente lontano pur essendo ormai giunto il momento della cena. Gli uomini vestono completamente di lino in modo orgoglioso quanto evidentemente inusuale, le donne si avvolgono di lunghi e colorati vestiti di seta dai motivi particolarissimi e che spesso accompagnano con il profumo di un fiore tra le gialle capigliature risultando ancora più belle del solito. E’ un tappeto umano di lino e seta, gioioso perché zuppo di siider e õlu e guardarlo è leggere nel profondo l’anima di un popolo.
La fotocamera è ormai persa e come se non bastasse i biglietti giornalieri per l’accesso a tutti i concerti sono già finiti. Un braccialetto bianco mi ricorderà per tutto il tempo che dovrò pagare di volta in volta. Dentro è un tripudio di colori e note, di sorrisi. Di bambini. Il viale è lastricato di banchetti colmi di tipici strumenti musicali che vanno dalle innumerevoli tipologie di fisarmoniche ai richiami per uccelli, a scacciapensieri, triangoli, flauti in legno, zampogne e chi più ne ha più ne metta. Ce ne sono altri, di banchetti, che espongono e vendono abiti e oggettistica in lino poi ci sono i merletti e gli handicrafts di legno, cotone o che siano cartoline. Quelli che gli estoni adorano fare a casa durante i tetri e imbiancati pomeriggi domenicali tra una sauna e l’altra in una sorta di inconsapevole riunione di famiglia. Soprattutto è pieno di spillatrici ovunque, e ovunque campeggia il logo della A.le Coq, la birra del Sud, a ricordare prima di tutto “chi caccia i soldi” e poi a suggerire che è peccato mortale girare per il festival a mani vuote.
Il viale è anche pieno di musicisti o presunti tali che improvvisano musica popolare estone, quanto internazionale, nel riuscito tentativo di riempire con qualche euro cappelli o cestini da offertorio. Sarà colpa della birra, senza dubbio.
Il primo “palco” che si incontra è quello dentro la Chiesa di Jaani ma l’attenzione è tutta per il Green Stage, l’unico gratuito che si trova nel fossato a protezione della chiesa e che per l’occasione si trasforma in coloratissimo anfiteatro naturale. Sul Green Stage si susseguono artisti su artisti molti dei quali quasi tragicomici. Di fronte al Green Stage si ballano con partner di tutte le età, nazionalità e colori: Labajalavalss, Mustjala, Polkas, Kaera-Jaan, Kiiguri-Kaaguri e tante altre danze folk di quelle che si fanno tutti in circolo ai matrimoni, divertentissime. Faticosissime.
Proprio di fianco al Green Stage c’è la zona di ristoro del Festival, è particolare: un anello di fumanti e profumatissimi banconi stracolmi di cibo che però servono tutti le stesse pietanze. Identica sembra essere la carne, il suo taglio e la sua cottura. Identiche sono le patatine fritte, le carote, le cipolle i funghi e i cetrioli. Naturalmente la birra, come detto, è mono-marca. La scelta del ristoratore è quindi affidata se non alle grazie delle cameriere, alla salute del proprietario stesso: l’attenzione è catturata da un opulento “chef” estone probabilmente inchiodato su di un piccolo sgabello di legno, che accudiva la carne sulla brace ardente con cura sicuramente maggiore di quella riservata per la bella figlia impegnata a prendere ordinazioni. Ogni tavolo di quell’area è un concerto, un coro, un palco. Qualcuno che sta esagerando cade dalla sedia, altri riescono a farlo quando sono già per terra. Ma non c’è indignazione, non c’è sconcerto o giudizio. E’ una festa.
Riprendendo la strada per il castello si scorge la Kiik più grande della nazione che per l’occasione è rigogliosa di lucchetti come nemmeno Ponte Milvio, troppo pericoloso oggi. Continuando si passa di fronte al Centro della Musica Tradizionale Estone con il suo auditorium da 400 posti a sedere, il suo museo e il suo club dove si tiene la maledetta ed epica festa di chiusura del Festival. Quindi è la volta dello spazio in cui acquistare e provare prodotti tipici estoni, niente di memorabile e l’unico consiglio è quello di evitare la dolcissima birra rossa di Seto: riesce a “rovinare” la bocca per ore.
Il primo palco all’interno del castello è quello di Kirsimäe, la collina dei ciliegi, probabilmente situato nell’area che era il giardino della fortificazione. Il panorama è da cartolina, di quelle fatte con i pastelli: l’imponente palco domina la collina specchiandosi nel lago disteso solo qualche centinaio di metri più in basso dei presenti, le nuvole bianche e basse sembrano guardarti in faccia, tutto è tremendamente naif. Però estone.
E’ il momento del gruppo folk-rock Zetod, li aspetto ormai da qualche mese. Lo spettacolo è coinvolgente, energico, condiviso. I quattro ragazzi seto vestono abiti tradizionali, danzano i balli della loro terra e cantano nella loro lingua madre ed è un pandemonio. In quei momenti gli estoni probabilmente capiscono i testi quanto me ed è un sollievo.
Si balla, si canta e beve fino a notte fonda anche una volta finiti i concerti quando le famiglie tornano a casa e ragazzi più o meno giovani si riversano nelle strade, nei parchi e nei club cittadini fino all’alba che è lontana dal tramonto giusto un paio d’ore. Le nazionalità sono tante e per la mia gioia, stranamente, si sente parlare russo per niente o quasi.
Arriva il momento di barcollare la lunghissima scalinata che dalla piazza centrale porta fino al lago: è tempo di un un frugale riposo e il campo sportivo e tutta l’area intorno alla spiaggia sono adibite a campeggio. Il silenzio della foschia che aleggia sopra il lago è rotto solo dal tintinnio delle bottiglie e dal suono di qualche chitarra scordata che provengono da una delle migliaia di tende presenti.
In quel momento non c’è di meglio che un bel tuffo nel lago, da soli. Come da soli e ancora bagnati, fumare una sigaretta sentendosi per un attimo il “Viljandi Paadimes”, il barcarolo di Viljandi raccontato in una delle più belle canzoni folk estoni:”C’era una volta un ragazzo che una sera d’estate invitò una bellissima ragazza a fare un giro in barca sul lago. Nessuno sa cosa successe su quella barca, di sicuro da un momento all’altro il ragazzo si ritrovò da solo e sentì chiamarsi da una riva. Era lei che lo salutava con affetto per poi sparire. Per sempre. Da allora, il ragazzo ormai divenuto un anziano signore dai capelli bianchi, tutte le notti esce in barca sul lago nella speranza di rivedere quei bellissimi occhi azzurri di cui è ancora innamorato”.
Vederlo rientrare sulla riva quando il sole si fa alba, è colpa della vodka o più probabilmente merito della magia folk di Viljandi.