Vienna-Budapest in bicicletta
MOSONMAGYAROVAR – GYOR – TATA Mosonmagyarovar prende il nome dal fiume Mosoni Duna, un ramo del Danubio, che l’attraversa. Niente di eclatante in questo paese, come nelle altre cittadine viste finora in Ungheria, se non la cura del centro storico e la valorizzazione delle sue poche ricchezze. Se usassimo noi italiani la metà degli scrupoli che si usano da queste parti nel salvaguardare paesaggi e natura! Molto è stato purtroppo deturpato dall’uomo nel periodo socialista con la costruzione di impianti industriali oggi fatiscenti e periferie di casermoni in calcestruzzo, ma qua e là si notano ancora i residui del periodo asburgico, e sono quelli a fare la differenza. Forse l’Ungheria si è un po’ rotta di venir rappresentata, insieme all’Austria che in questo le somiglia, come il paese dell’operetta, ma fa di tutto per preservarne il mito, a cominciare da alcuni vecchi film che passano in tv. Da Gyor a Tata, è un susseguirsi di stazioni termali, di distese di girasoli, di vecchi sul carretto trainato dal cavallo. Dal museo dei cavalli e delle carrozze di Babolna, agli hotel costruiti su vecchi mulini, le suggestioni rimandano di continuo ai vari “Cavallino bianco” e “Principessa della Czarda”. Un bagno termale me lo sono concesso a Gyor, graziosa cittadina all’incrocio del Mosoni Duna con due affluenti. I palazzi, tutti rigorosamente restaurati di fresco, hanno l’impronta tipica delle abitazioni signorili di Vienna, ma in scala 1:10, il teatro nazionale ha un cartellone interessante e variegato (che prevede naturalmente l’operetta), la periferia – a parte certi obbrobri di cui sopra – è un susseguirsi di villette in stile borghese cosmopolita, segno inequivocabile dei tempi della globalizzazione. Addentrandoci verso Tata, con un po’ di fatica e controvento, notiamo che le aie puzzolenti e le case semi diroccate sono state sostituite da prefabbricati stile Berkeley, e da vere e proprie ville dalle grandi vetrate con inferriate in ferro battuto, tutte col loro giardinetto… Insomma, anche l’Ungheria ha le carte in regola per far parte a tutti gli effetti dell’Unione Europea, alla stregua di qualsiasi altra nazione che annoveri fra i sogni proibiti dei suoi abitanti un LCD a schermo piatto, 32 pollici, HD ready.
ESZTERGOM Oggi si torna sul Danubio. Ed è un po’ una delusione perché, a voler evitare le varianti collinari che ci avrebbero allungato la strada e tagliato le gambe, si punta dritti verso le sue sponde e si approda su una specie di statale trafficata e decisamente poco panoramica. Camion e Tir sfrecciano al nostro fianco mettendo di mal umore il mio amico Raf. Io un po’ ci sono abituato, andando in giro in bici per Roma… L’arrivo a Eszertgom però ci ripaga di tutto, perché la cittadina è la più bella di quelle ungheresi visitate finora. Già da 8 km si nota la grande cupola della sua basilica, ed in effetti la chiesa è imponente, per lo più sorge su una collina dove una volta – e rimangono alcuni resti – c’era un castello. Un ottimo punto d’osservazione, strategico per i traffici fluviali. E qui il Danubio si mostra in tutta la sua importanza. E’ davvero il fiume più largo che abbia mai visto, ed è circondato da una vegetazione lussureggiante e dolci rilievi collinari. Qui la gente pare godersela, il giro di turisti è importante – e pure in crescita – e basta attraversare un ponte per ritrovarsi in Slovacchia.
VERSO BUDAPEST Il percorso più lungo lo abbiamo compiuto oggi con più di 80 km sulle gambe, e in buona parte ne è valsa la pena. L’attraversamento in battello del Danubio a pochi km da Esztergom ci ha condotti sulla riva sinistra, la più selvaggia, in cui una pista ciclabile finalmente indicata e ben curata ci ha fatto godere del fiume nel modo migliore. E’ davvero maestoso, non proprio blu, semmai verde scuro. Riattraversato con un altro battello in località Vac, abbiamo incontrato per l’ultima volta le nostre quasi compagne di viaggio: tre ragazze padovane, già reduci da una pedalata di solidarietà femminile in Palestina. Con loro ci siamo fermati a Szentendre (carina e vivace con le stradine di acciottolato e i negozietti di souvenir) per rimboccare l’ultimo tratto di statale (da morire!) e trovarci finalmente alla periferia della capitale. Qui bisogna avere 8 occhi per individuare la strada giusta, ci aiuta una piantina particolareggiata (guai a farne senza!) e dopo l’attraversamento di uno degli ultimi ponti, eccoci sull’isola Margaret, una sorta di Central Park, dove ci accoglie una fontana trionfante al ritmo di “Con te partirò” cantata da Andrea Bocelli. E’ da un po’ che il kitch non è più sinonimo di cattivo gusto. L’ultimo tratto sembra non finire più. Ci consola uno sguardo dal ponte: quello sul Danubio che spacca in due la città con sulla sinistra il parlamento di Pest e a destra il castello di Buda. Le guglie all’orizzonte la rendono già particolare rispetto a qualsiasi altra capitale, più bella addirittura di Vienna, e ci basterà una passeggiata di sera per confermare questa sensazione.
BUDAPEST 440 km! Mi dispiace un po’ lasciare la bici nel garage dell’hotel, è stata una compagna solida e affidabile. Budapest oggi l’attraverseremo a piedi e in metro. E’ davvero una gran bella città, alcuni scorci dei grandi bulevard ricordano decisamente più Parigi che la sorella rivale Vienna, a cui peraltro non ha nulla da invidiare, anzi. La passeggiata pedonale del centro è l’occasione degli ultimi acquisti e purtroppo, al contrario di quanto accade in provincia, qui si sono fatti furbi e i prezzi sono come da noi. Le aie puzzolenti dell’Ungheria più profonda sono solo un ricordo lontano, qualcosa semmai rimane nelle facce rubizze e schive delle donne in abiti tradizionali che vendono tovaglie di pizzo all’entrata del castello. Qui tentano ancora di fare i furbi, vendendomi un’entrata con il cambio euro-fiorini a loro totale vantaggio. Rifiuto e me la godo dall’alto, dalla terrazza panoramica, questa grande città che deborda dalla pianura intorno al fiume per arrampicarsi oltre Buda, sulle colline circostanti. Scopriamo insieme reminiscenze della dominazione turca a Buda e palazzi di chiara impronta mitteleuropea a Pest. Poi una vespa mi punge, le farmacie sono tutte chiuse e capito in un ospedale vicino all’albergo, lo shock anafilattico è scongiurato, da buoni ex comunisti non mi chiedono conto delle cure apportate e provo così sulla mia pelle, e nello stesso giorno, le due anime della città. Gli ungheresi hanno un che di italiano: non sanno una parola di inglese o di qualsiasi altra lingua comunitaria, hanno l’ossessione dell’automobile e della velocità (anche quando si tratta di una Lada rottame del ‘74), apprezzano la bella vita e il vino, hanno i treni sporchi che viaggiano lenti, sanno essere generosi pur tentando di fregarti quando meno te lo aspetti. A proposito di treni… Alle 18 siamo partiti col notturno per Trieste. Abbiamo costeggiato il lago Balaton, che nella mia mente aveva un che di romantico e si è rivelato invece come la riviera romagnola del centro Europa: una sfilza di villette lungo tutta la sponda sud (di quella nord non ho notizie) con relativi mercatini, ristoranti, e gente in coda sulla macchina alla ricerca di un prezioso posteggio.