Viaggio itinerante in bici

La Monaco-Venezia, una ciclovia che promette mari e monti
Scritto da: cappellaccio
viaggio itinerante in bici
Partenza il: 23/07/2016
Ritorno il: 31/07/2016
Viaggiatori: 1
Spesa: 1000 €
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La ciclovia Monaco-Venezia combina il piacere di pedalare sfiorando laghi dai riflessi cristallini e fiumi come l’Isar, l’Inn, la Rienza, il Piave e il Sile, con l’emozione di valicare le Alpi partendo dalla Baviera, attraversando il Paese di Mozart, passando per Dobbiaco, Conegliano, Treviso e giungendo alla perla dell’Adriatico, Venezia.

Più o meno così recita la pagina web ufficiale del percorso. Ma la mia esperienza reale comincia con una parola spaventosa: attentato. So che questo vocabolo stona come una bestemmia in chiesa se parliamo di vacanze. Soprattutto quando viene pronunciata al telegiornale la sera prima della partenza. Specialmente se il fattaccio è avvenuto proprio nella città in cui uno deve recarsi l’indomani. Roba da mettersi a sbattere la zucca nello spigolo del tavolo… Che è di legno e serve per fare gli scongiuri alla maniera nordica. La notte mi rigiro all’infinito nel letto, come se stessi sui carboni ardenti.

Quando attorno alle quattro e mezza di pomeriggio il treno mi deposita alla München Hauptbahnhof sono una sonnambula che non prova alcun desiderio di sporgere la testa fuori dal vagone dell’Intercity proveniente da Verona e il tempo non infonde letizia: l’asfalto luccica con nerezza di serpente e dal cielo bigio cadono dei goccioloni che non invogliano certo ad andare in giro. Spiego a un tassista turco, in un tedesco claudicante, che vorrei essere accompagnata all’hotel Bauer e lì una teutonica, dal gabbiotto della reception, lancia un assolo nella lingua di Angela Merkel, perché l’inglese manco lo mastica. Le sue domande restano inevase finché non mi mostra una frase scritta: vuol sapere se faccio parte del gruppo “Feuer und Eis”, fuoco e ghiaccio. Io non ne ho idea, penso proprio di no. Ma al termine del viaggio dovrò ricredermi. Aveva ragione lei, solo che i termini erano invertiti. Da Bad Tölz a Lenggries, da Vipiteno a Fortezza, da Brunico a Villabassa e da Dobbiaco a Cortina rabbrividirò e avrò come compagna invadente la pioggia; al Passo Cimabanche sarò circondata da maestosi coni innevati e il freddo mi attanaglierà fino a Pieve di Cadore, mentre un caldo rovente mi soffocherà nella Pianura Veneta, obbligandomi a muovermi al ralenti.

1° Tappa: Monaco – Bad Tölz, circa 60 km

Al mattino le nuvole si sono ritirate e il sole splende su un paesaggio rorido e abbagliante. Salto in sella e mi do una sciacquata di bocca di Marienplatz, dove i turisti hanno già preso a vociare come faraone e a spostarsi a branchi con i cellulari e i tablet spianati per eternare il Neues Rathaus e la fontana del pesce (Fischbrunnen). Dilaga anche l’epidemia dei selfies con lo sfondo del municipio vecchio, ossia l’Altes Rathaus, in stile neogotico. Ovviamente pure io sono in balia della tirannia delle foto e mi metto di vedetta per attendere che qualcuno sia disposto ad immortalarmi davanti alla Mariensäule, la colonna eretta nel 1638 per celebrare la vittoria sugli svedesi durante la Guerra dei Trent’anni.

Poi, con le mani sudate per l’agitazione strette al manubrio del mio marchingegno a due ruote, me ne sto sulle soglie dell’Isartor di Monaco. Varcarla significa tagliare idealmente il nastro per l’inaugurazione di questa ciclovacanza con tappe che talvolta sono botte di 100 km: al solo pensiero mi tremano i parafanghi. Venezia in questo momento mi sembra più lontana del Catai.

Comincio a far sventolare il mio smanicato giallo fluorescente lungo la ciclabile che corre nella golena del fiume Isar: una sponda è verdeggiante e bordata di alberi mentre dall’altra parte spuntano i monumenti della parte meridionale della Altstadt, ad esempio la Chiesa di S. Massimiliano, che non stona affatto con il paesaggio. Siccome i bavaresi conoscono gli effetti salutari di un regolare esercizio fisico, in una giornata di sole forte come questa la pista è un viavai continuo di joggers, ciclisti, camminatori e non mancano coloro che lanciano la lenza nell’acqua o che si cimentano nell’arte del kayak, pagaiando melodiosamente, al ritmo della corrente del fiume. L’alveo, d’estate, resta all’asciutto in molti punti, si formano delle isole di ciottoli e sulle ampie spiagge ghiaiose si addensa una piccola folla di bagnanti, intenti a leggere, a pisolare sugli asciugamani, o a tenere per mano i loro figlioli che passeggiano in costumi adamitici sui sassi, con l’acqua alle caviglie. Tutto questo è possibile grazie al progetto “Isar Plan” che, negli ultimi anni, ha ripristinato le rive nelle condizioni naturali, come si scopre scansionando con la fotocamera del cellulare un codice QR su un cartellone della Wasserwirtshaftsamt di Monaco.

In periferia svariati colpi di garretto mi portano in cima al Großhesseloher Brücke, un ponte che si innalza a 31 metri d’altezza sull’Isar, con una passerella ciclo-pedonale agganciata sotto i binari della ferrovia, da cui ammirare il fiume è un diletto. Alla ringhiera sono stati appesi dei lucchetti dagli innamorati, per indicare l’indissolubilità del proprio legame affettivo.

Più avanti la pista si stacca dall’Isar e pedalo sotto la grandine di luce che filtra dalle chiome degli alberi: sono nell’oscuro reame della foresta di Grünwald. Poi, nei pressi di Wolfratshausen mi riavvicino all’orlo del fiume, sul quale galleggiano delle imbarcazioni primitive, che fanno comparire sul mio volto una fuggevole espressione di sorpresa. La corrente è solcata da enormi zatteroni da crociera, realizzati con tronchi d’abete annodati con funi intrecciate e saldati con chiodi di legno. L’aria risuona delle note di un’orchestrina che intrattiene una ciurma di trangugiatori di birra, che si divertono mentre chiacchierano in piedi o seduti sotto gli ombrelloni.

Ho ancora un po’ di fiato in corpo ed entro in un fitto bosco che mi lascia il suo odore nelle narici. Con l’orizzonte di Bad Tölz che si avvicina compare l’Isarbrück, che immette nel centro storico di questa cittadina vanesia e ridente di colori, dal sapore barocco, con edifici dal tipico prospetto a timpano e balconi merlettati e decorati con vasi di gerani. Facendo una passeggiata lungo la stupenda via del Mercato (Marktstrasse), gremita di tavolini e sedie dei caffè, ci si può trastullare osservando le leggiadre facciate di case e palazzi, ingentilite da ogni fantasiosa immagine che l’estro dei frescanti abbia potuto escogitare.

2° Tappa: Bad Tölz – Buch bei Jenbach, circa 70 km

Avverto uno spasimo di riluttanza all’idea di ripartire sentendo la pioggia che si accanisce contro le finestre della mia stanza d’albergo e, una volta in strada, mi domando che cosa accidenti ci faccio qui e rimpiango di non aver scelto per le mie ferie la solatìa Sardegna. Con un diavolo per raggio della ruota mi fermo sotto un ponte per controllare se effettivamente sono sulla traccia della ciclovia dell’amicizia e incontro un gruppetto di persone anziane equipaggiate con zaini e mantelline impermeabili che si riuniscono e si riparano prima di affrontare una giornata di trekking. Beh, se loro hanno il coraggio di sfidare le intemperie posso trovarlo anch’io. Ed eccomi qua, da sola, in un tratto non asfaltato, in mezzo alla boscaglia, sul ciglio del fiume, con il GPS che non funziona, gli occhiali da miope inservibili, le lacrime che scivolano lungo le guance assieme alle gocce di pioggia e le pedalate rese più faticose che mai dall’infelicità. D’un tratto, mentre il mio morale è già sotto i tacchi e io procedo con andatura da pellegrino della Francigena, rimango allibita vedendo due ciclisti che mi sorpassano come razzi. Ehi, aspettatemi! Tento di pedinare i colleghi dandoci dentro come una scalmanata ma non ho speranze: loro hanno la pedalata assistita. Comunque mi rincuora vedere che ci sono degli altri coi neuroni abbastanza svirgolati da mettersi in viaggio anche a costo di incappare in una spiacevole disavventura meteorologica e inizio a dirmi: “Suvvia, in questi frangenti l’unica arma è la pazienza”. Ma sì, buttiamoci sul didattico-filosofico: se scaccio la paura riconosco che quest’esperienza ha un che surreale e di irripetibile, e che per niente al mondo devo gettare la spugna, come di fronte alle difficoltà dell’esistenza quotidiana. Cioè la Monaco-Venezia si è trasformata in Maestra di Vita e metafora stessa della necessità di misurarsi con l’incertezza. E allora mi accorgo che mi sto perdendo qualcosa di straordinario, perché sono attorniata da un’atmosfera incredibile, dotata di una primigenia armonia. Sulla superficie del fiume fluttua una nebbiolina leggera e azzurrognola, come se mille fantasmi stessero emergendo dall’acqua per solfeggiare nell’aria, con i loro aliti, il disegno di una musica mai udita, che mi fa andare avanti con una cantilena cadenzata sul pedale e una faccia da vincitore del Totocalcio, perché sì, quando uno va in bici spesso si sente libero e fortunato. Infatti la capricciosa Dea Bendata mi è favorevole: intima al tempo di girare al bello e mette sul mio cammino una coppia livornese che mi aiuta a trebbiare chilometri su chilometri fino al lago Achensee, un bacino la cui forma allungata gli ha valso l’appellativo di “Fiordo delle Alpi”, nelle cui acque si specchiano i fianchi dei rilievi che lo circondano, con le tonalità più varie dei loro boschi.

3° Tappa: JenbachRio di Pusteria (circa 100 km, interrotti a metà giornata dal diversivo bici+ treno da Innsbruck al Brennero)

L’inizio di tappa è facile, ed è lungo la ciclabile dell’Inn. Due gradevolissime cittadine che si incontrano sull’itinerario sono Hall e Schwaz dove in passato probabilmente regnava un’atmosfera paragonabile alla febbre dell’oro. Nella prima per via dell’intensa estrazione di salgemma, che garantiva cospicui profitti assieme all’imposizione del “pizzo” a chiunque volesse passare in quel punto sull’Inn, nella seconda in virtù dello sfruttamento di immensi filoni d’argento. Le tracce dell’antica prosperità economica sono evidenti nella ricchezza dei monumenti. Pedalo e, dappertutto, attorno a me illustri memorie architettoniche e artistiche sono esibite in quantità clamorosa. A Schwaz il Municipio, la Fuggerhaus, abitazione dei conosciuti banchieri e la Parrocchiale di Nostra Signora. Quest’ultima è un’enorme chiesa in stile gotico, il cui tetto è rivestito da oltre 15.000 lastre di rame. Un tempo nella navata di sinistra assistevano alla messa i cittadini e in quella di destra i minatori, segregati da una parete in legno alta tre metri. A Hall l’emblema della città è la Torre della Zecca (Münzerturm), che svetta sul paesaggio circostante con la caratteristica copertura verderame e si innalza accanto al Castello Hasegg, costruito a difesa dei calderoni e del magazzino del sale e collegato con la cinta muraria. Fu l’Arciduca Sigismondo il Danaroso che nel 1477 decise di spostare la zecca da Merano a Hall per avvicinarla alla miniera d’argento di Schwaz. Infatti qui si coniava una sonante moneta d’argento, il tàllero, così preziosa da avere un valore equivalente a un fiorino d’oro.

Fra Schwaz e Hall, si trova Wattens, dove l’attrazione principale è “Mondi di Cristallo” di Swarovski, originale museo della fabbrica, che racchiude le più curiose e celebri opere di artisti, realizzate per lo sfavillante marchio.

L’ultima sosta prima di recarsi alla stazione ferroviaria è Innsbruck, dove i turisti arrivano a ciclo continuo, per cui si è obbligati a scendere dal velocipede e a camminare a singhiozzo per bersagliare di foto l’arcinoto Tettuccio d’Oro, l’imponente duomo di San Giacomo, la cupola della Hofburg, la gotica Hofkirche…

Dai finestroni del treno guardo le Alpi austriache, che si ergono come stegosauri dal dorso crestato e immagino che mi diano delle pacche sulle spalle come per dire: “Su, tra poco sarai tu a dover andare in giostra sull’ottovolante delle nostre schiene”. Il convoglio ci impiega 35 minuti per trasportarmi dal capoluogo del Tirolo Settentrionale al Brennero. Poi schizzo veloce per una mega discesa che ricorda l’andamento contorto dei vermi e, con le gambe che ringraziano, giungo a Vipiteno. L’arrivo nel paese dello yogurt è salutato dalla Torre delle Dodici, da insegne in ferro battuto e davanzali fioriti.

Esco da Vipiteno per imboccare la ciclabile dell’Isarco, che non è comodissima: brevi salitelle e rapide discese si alternano con frequenza: le mie gambe, se potessero, si vendicherebbero prendendomi a randellate. A Fortezza comincia la pista della Val Pusteria, che nella tranche iniziale è un continuo su e giù a fianco della statale, che è fastidiosa per colpa del traffico sostenuto. Va sottolineato pure che a queste latitudini il sole ha l’abitudine di sparire come una lepre, lasciando campo libero alla pioggia, che si mette a sgocciolare ovunque. Allora le montagne si trasformano in gobbe minacciose e incombenti e il percorso diventa piacevole come un pugno allo stomaco. Ma c’è un premio di consolazione: le stupefacenti rovine della fortezza della Chiusa di Rio di Pusteria, una complessa struttura che svolgeva un ruolo difensivo, daziale e di confine e il paese di Rio di Pusteria, un villaggetto pittoresco, accovacciato su un terrazzo naturale tra il Rio Valles e la Rienza, dove stordita dalla fatica, mi sfascio sul letto come morta nella mia camera del Gasthof Seppi.

4° Tappa: Rio di Pusteria – Villabassa, circa 60 km

Il percorso asfaltato di oggi si srotola come un tappeto sotto le ruote della bicicletta: pur essendo ondulato non costringe a una pedalata troppo muscolare ed è appagante per il contatto diretto con la natura, visto che ci si infila dentro a vari boschi o ci si muove fra pascoli aperti, abbigliati col bianco e il giallo delle margherite. E poi si tagliano fuori tutti i centri abitati, eccetto Brunico, così non ci si sente in dovere di effettuare soste atte a soddisfare interessi turistico-culturali. A Brunico mi immetto sulla civettuola Stadtgasse, la via più glam, che scintilla di negozi, ristoranti e bar, e dopo vado a far visita a degli zii che abitano qui e che non vedo da anni. Non li ho neppure avvisati. Intercetto mio zio mentre passeggia a pochi passi da casa sua e mi sbraccio in saluti, ma quello, per come sono combinata, con il completo da ciclista e i capelli raccolti sotto il casco, non mi riconosce. Nemmeno la zia, se è per questo, che passa al microscopio i miei connotati senza imbattersi in alcun indizio che possa svelare la mia identità. Sarà perché l’ultima volta che mi ha visto non avevo ancora la faccia rugosa come un kiwi rinsecchito. E poi: apriti cielo! Si profondono in esclamazioni ammirate quando vengono a sapere che hanno una nipote pazza sbullonata che scende da sola, in bicicletta, da Monaco a Venezia. Un filo di appetito ce l’ho e perciò tiro un sospirone di sollievo quando vengo invitata a pranzo; il guaio è che con la pancia piena non è semplice alzarsi da tavola per ripartire. Lo zio si presta volentieri a scortarmi in bicicletta fino alla pista lungo la Rienza e si accomiata davanti alla prima delle due gallerie sterrate per le quali si transita per proseguire verso Perca. Animata da un lieto presentimento costeggio le sponde del bel lago artificiale di Valdaora e sto ripigliando gusto alla faccenda di pedalare quando noto che sono in arrivo delle nuvolacce nere che preannunciano il maltempo imminente. In lontananza sento un fievole rumore di tuono. Mi sorge un dubbio: non sarò io a portarmi appresso la nuvoletta della famiglia Addams? Insomma, o vado avanti scricchiolando sotto gli scrosci torrenziali o mi cerco un posto dove ripararmi. Scelgo quest’ultima opzione e mi tocca aspettare un’ora affinché il temporale si allontani.

In conclusione un’altra giornata con trattamento di docce scozzesi, se non fosse che quando giungo a Villabassa e faccio il check-in all’hotel Adler mi rendo conto che questa elegante struttura situata nel cuore del centro storico mette a disposizione degli ospiti una sauna e, meraviglia delle meraviglie, una splendida piscina riscaldata: un lusso inatteso! Essendo io più interessata alle bollicine dell’idromassaggio che non a quelle dello champagne son ben decisa a godermi questi getti d’acqua a temperatura uterina che mi stimolano la circolazione, mi rilassano e fanno schizzare di nuovo il mio umore alle stelle.

5° Tappa: Villabassa Pieve di Cadore, circa 60 km

Voltiamo pagina. Ma diciamolo subito: neanche oggi è una giornata ideale per stendere il bucato. Ciò che mi aspetta è La Lunga Via delle Dolomiti, il cui nome lascia già intuire che sarà un lungo pedalare accompagnato dalla presenza di impervie e spavalde vette, come le Tre Cime di Lavaredo, le Tofane, il Cristallo, l’Antelao o il Pelmo, definito scherzosamente “il caregon del Padreterno” perché nel versante meridionale le sue forme ricordano un gigantesco trono adibito al riposo di Dio.

La ciclovia ha riciclato il sedime di una ferrovia dismessa, quella che dal 1921 al 1962 collegava Dobbiaco alla Miss delle Dolomiti, Cortina d’Ampezzo. Il tratto in salita che conduce ai 1530 metri del passo Cimabanche ha pendenze lievi, che anche una mezza calzetta al par mio è in grado di superare. Poi viene un’interminabile discesa, che incita le ruote a correre, però la bici va tenuta a bada, visto che il fondo della pista, dopo secchiate e mastelli d’acqua, è diventato un paciugo melmoso. Tra l’altro la pioggia e il vento gelidi mi intirizziscono le dita delle mani, che perdono la flessibilità necessaria per impugnare il manubrio e gli spifferi si infilano come lame dal collo della cerata, ghiacciandomi il petto. Accidenti, è estate e sembrano i giorni della merla!

A Cortina entro in qualche negozio alla ricerca disperata di un maglione, ma chi non sa che questa località per vip è cara rabbiosa? Se compro un golfino mi riduco in bolletta sparata. Non ho altra scelta che proseguire per Valle di Cadore, sperando che la colonnina di mercurio abbia un’impennata repentina. E per fortuna il sole mette fuori la testa dalle nubi e il suo tepore mi scalda fino a Pieve di Cadore, dove giungo barcollante come una sbronza patocca e pertanto non capisco immediatamente come mai il mio hotel si chiami “Belvedere”, dato che non faccio caso al quadro che ho in stanza sopra al mio letto queen size. Ceno al tavolo di un bar in piazza Tiziano, al centro della quale campeggia la statua di bronzo del grande pittore della laguna, famoso per la sensualità colorista e la leggerezza luminosa delle sue opere. Di lui qui si può visitare la casa natale, che pare non essere cambiata in nulla rispetto all’edificio in cui crebbe con i suoi fratelli. Sgambino un po’ per le vie del paese e al mio ritorno in albergo esco sul balcone e per un istante rimango a bocca aperta come un pesce. Mi affaccio su un panorama mirabolante: le creste dei monti sembrano illuminate da potenti riflettori e in basso i miei occhi si posano su quella perla liquida che è il Lago del Centro Cadore, incassato nella valle e circondato dai folti boschi che foderano i pendii delle montagne e in mezzo al quale spunta un’appuntita isoletta verde. Adoro questa vista da sogno, mi inchino di fronte alla sua bellezza dirompente e la assaporo lasciando che il tempo scorra via fino al calare delle ombre della notte.

6° Tappa: Pieve di Cadore – Conegliano, circa 100 km

L’itinerario odierno è una lunga traversata tra montagna e pianura, fatta quindi di discese, leggere salite, ancora discese e abbastanza piattume. Tocca tre diversi tipi di ambiente: quello urbano di Perarolo, Serravalle e Conegliano, quello delle tranquille rotabili periferiche come l’ex strada di Alemagna, la strada intercomunale Provagna-Soverzene o i tratti di ciclabile di Longarone, della Via Regia e del Meschio e infine quello acquatico dei fiumi -soprattutto il Piave, con le sue acque opaline e limpidissime-, e del Lago di S. Croce.

A Perarolo attraverso un ponte sul fiume Bòite e mi trovo di fronte Palazzo Lazzaris, che si fregia di un giardino regale costituito da ampi terrazzamenti disposti in posizione soleggiata, racchiusi da un muro di cinta finemente decorato. Questi spazi, infatti, furono cari alla regina Margherita di Savoia, che amava prendersi cura dei fiori e che scelse per due estati consecutive questo gaio borghetto per trascorrervi le proprie vacanze, nel 1881 e nell’82.

La nuova ciclabile di Longarone è liscia come una lavagna e comprende porzioni di pista a sbalzo sul Piave, ma per vedere la diga bisogna effettuare una deviazione (sconsigliata, visto che i chilometri sono già cento senza digressioni).

Nei pressi di Farra d’Alpago si costeggia su sterrato l’incantevole Lago di Santa Croce, un paesaggio selvaggio, di una bellezza inimmaginabile, da apprezzare con tutte le sue sfumature: quando le nuvole si specchiano sulla sua superficie o quando il sole butta migliaia di faville luccicanti sull’acqua.

Serravalle, ai piedi delle Prealpi Trevigiane, ha mantenuto viva la sua ricca storia e il fascino delle vecchie contrade medievali. È considerata una piccola Venezia per i suoi tesori architettonici -i suoi palazzi rivestiti di smaglianti tappezzerie, ossia affreschi che coprono i muri come se fossero carta da parati-, e per le acque del Meschio, che le donano un timbro di venezianità.

La ciclabile passa proprio davanti a Piazza Flaminio, simbolo della cittadina.

Conegliano, meta finale di oggi, si situa attorno a un asse che la percorre tutta, la via XX Settembre, che ha come estremi la Porta Monticano, ovvero quella del Leone di Venezia, e la Porta Dante. I principali monumenti della città, fra cui il Duomo, con il più grande affresco esterno del Veneto del fiammingo Teoput, si trovano lungo questa arteria o nelle vie vicine. La vivacità di Conegliano stasera, 30 luglio, è dovuta alla manifestazione “Calici di Stelle” che propone musica e degustazioni di vini, grappe e prodotti tipici, nella magnifica cornice dei giardini del Castello, che raggiungo sfruttando l’esistenza del percorso pedonale lungo le mura carraresi, Calle Madonna della Neve. In occasione di questo evento, che ha richiamato una folla strabocchevole, la Torre della Campana, sede del Museo Civico di Conegliano, è aperta fino a tardi e guadagnandone la cima mi compare davanti un’indimenticabile panorama che abbraccia la città e tutta la zona circostante: i colli morenici del trevigiano e la pianura veneta fino alla laguna di Venezia. Per tornare al Best Western, dato che ormai mi reggo a malapena sulle gambe, decido di servirmi di una delle navette che dal castello riportano in centro.

7° Tappa: Conegliano – Mestre, circa 100 km

Chi ha fatto cento può fare cento e uno, dunque anche oggi mi voto a una giornata massacrante, stavolta sotto un sole tremendo, che spacca i sassi e per di più le panchine per fare una sosta all’ombra sono una rarità. A Susegana intravvedo da lontano il Castello di San Salvatore, mentre a Nervesa della Battaglia passo davanti alla stradina che conduce a un Sacrario Militare dedicato ai caduti della Grande Guerra. Uno dei tratti più suggestivi è lo Stradon del Bosco, che corre ai piedi del Montello e a fianco di un canale.

L’itinerario entra nel centro storico di Treviso passando dalla Porta di San Tomaso, interamente rivestita in pietra d’Istria, eretta agli inizi del Cinquecento, quando la Serenissima stava costruendo una più ampia cinta muraria per proteggere questo suo avamposto da future aggressioni. Immediatamente oltre la porta mi muovo fra le bancarelle del mercato nell’ampio piazzale di Borgo Mazzini. Poi prendo a destra la via Sant’Agostino, fiancheggiata da case cinquecentesche a portici con facciate affrescate. In corrispondenza della curva del Sile è il Ponte Dante, punto in cui il Cagnan Grande si immette nel Sile, ricordato da Dante Alighieri nel canto IX del Paradiso con il verso: “E dove Sile e Cagnan s’accompagna…”, così la città ha voluto ricambiare il poeta innalzando una stele sul ponte che ne porta il nome. L’etimologia della parola “Sile” sembra indicare che la sua acqua non canta ma scorre silenziosa. Il Sile non nasce tra i monti perché è un fiume di risorgiva. La sua forza è stata usata per far girare le ruote di mulini, motori di tutte le attività artigianali sviluppatesi dal medioevo in poi. La ciclovia del Sile si dispiega inizialmente sull’argine sinistro, la via Alzaia, una strada che serviva al transito dei buoi che trainavano i barconi o “burci” controcorrente per mezzo di corde, dette reste. Si vedono ancora le bitte usate per l’ormeggio delle imbarcazioni nelle pause della navigazione. Il fiume, in effetti, ha avuto una notevole importanza nella storia di Treviso, poiché in passato costituiva l’arteria di collegamento col mare e in particolare con il porto di Venezia.

Dopo Quarto d’Altino comincia il pezzo più monotono e anonimo, di totale piano davanti alla ruota, e in questo tratto dovete figurarvi che ci sono io, schiacciata dalla canicola e ormai in uno stato gelatinoso, che pedalo sbilenca con il rischio di finire ridotta a una decalcomania sull’asfalto.

Ammetto che, considerati i miei standard – diciamo pure che ho una marcia in meno – stavolta ho voluto strafare un tantinello, forse solo per assecondare la mia ciclomania. Però, urrà! Sono riuscita a svangarla, grazie anche alla mia buona stella, e ora festeggio il raggiungimento del traguardo: Mestre. Venezia, in realtà, è fuori dal tour, rappresenta un’ultima appendice, tanto per arrotondare. Il vero propellente del viaggio è un patriottismo sfrenato che ti spinge a paracadutarti lontano per poi non desiderare nient’altro che il ritorno a Itaca.

Due parole conclusive sulla Monaco-Venezia

Il percorso è ben segnalato, anche se non sempre con il logo della Monaco-Venezia e in certi punti deve ancora essere completato o migliorato.

550 km tondi tondi in bicicletta nel tempo in cui Dio ha creato il Mondo significa che bisogna tenere botta passando sette giorni filati in sella e che, a meno che non siate ciclisti di lungo corso, vi resteranno poche ore per visitare i luoghi di interesse. Inoltre una vacanza itinerante con servizi quali lo spostamento dei bagagli da un albergo all’altro, la bicicletta a noleggio, il transfer con il treno da Innsbruck al Brennero, il pernottamento in hotel confortevoli non si compra per un tozzo di pane.

Dove trovare un “giaciglio”

1) A Monaco di Baviera: Hotel Bauer, Kidlerstr. 32 81371 Muenchen tel. 0049 89 746190 www.hotelbauer-muenchen.de

2) A Bad Tölz: Hotel Tölzer Hof, Rieschstrasse, 21 – 83646 Bad Tölz tel. 0049 80418060. www.toelzer-hof.info

3) Nei pressi di Jenbach: Hotel Esterhammer, Rotholz 362 6220 Buch bei Jenbach tel. 0043524462212 www.esterhammer.at

4) A Rio di Pusteria (Mülbach): Gasthof Seppi Richtergasse, 1 39037 Mülbach (BZ) tel. 0039 0474 745128 www.gasthof-seppi.it

5) A Villabassa (Niederdorf): Hotel Adler Von-Kurz-Platz 3 39039 Niederdorf (BZ) tel 0474 745128 www.hoteladler.com

6) A Pieve di Cadore: Hotel Belvedere, Gradinata Belvedere, 11 32 044 Pieve di Cadore (BL) tel. 500072 www.belvedere-inn.com.

7) A Conegliano: Hotel Best Western Canon d’Oro, via XX settembre, 131 31015 Conegliano (TV) tel. 0438 34246. www.hotelcanondoro.it

8) A Mestre: Hotel Elite, via Forte Marghera, 119, 30173 Mestre (VE) tel. 041 5330740 www.elitehotel.it

Roadbook della ciclovia in italiano: https://issuu.com/manueldemetz/docs/mucvce-roadbook-italiano

Il sito della ciclovia è http://www.muenchen-venezia.info

Per scaricare le tracce GPX del percorso: http://www.muenchen-venezia.info/it/downloads

Immagini della ciclovia https://www.youtube.com/watch?v=iecxXe_1tGk

Con chi: https://www.funactive.info/

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