Viaggio in Scandinavia
Diario di viaggio di Massimiliano (Max), Valentina (Vale), Letizia (il Generale Leti)
Copenaghen, Norvegia e Stoccolma (8 agosto – 24 agosto 2004)
Introduzione
Marzo 2004: io (Max) Valentina e Letizia (detta il Generale, dato che in vacanza si trasforma da maestra a dittatore) decidiamo di organizzare un viaggio in Scandinavia, con volo di...
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Diario di viaggio di Massimiliano (Max), Valentina (Vale), Letizia (il Generale Leti) Copenaghen, Norvegia e Stoccolma (8 agosto – 24 agosto 2004) Introduzione Marzo 2004: io (Max) Valentina e Letizia (detta il Generale, dato che in vacanza si trasforma da maestra a dittatore) decidiamo di organizzare un viaggio in Scandinavia, con volo di linea fino in Danimarca e noleggio di un’automobile per visitare Svezia, Norvegia e Finlandia. La settimana precedente all’imbarco, però, scopriamo che l’unica carta di credito a nostra disposizione non è accettata da nessun ufficio di noleggio autovetture; da qui la riformulazione completa del programma di viaggio che verrà fatto con treno, bus e traghetti. Comunque il Generale ci avverte che non si rassegnerà mai al cambio di programma e decidere di impiegare il primo giorno di viaggio a Copenaghen nell’inutile ricerca di un’auto nei vari rent a car. Io e Vale temiamo un futuro fosco e costoso. In molti ci avevano avvisato che nessun rent a car avrebbe noleggiato un’auto senza carta di credito. Domenica 8 agosto Partenza dall’aeroporto di Venezia Tessera, ore 11.00, e arrivo a Copenaghen alle ore 13.10. Dopo un facile ritiro bagagli, impieghiamo le prime ore all’inutile ricerca dell’auto. Nel tardo pomeriggio, dopo ricerche estenuanti senza risultati, di nuovo in aeroporto e privi di auto e alloggio siamo di fronte alla resa dei conti: serve un piano alternativo di viaggio ed inoltre bisogna trovare un alloggio in città vista l’ora tarda. L’ufficio informazioni delle ferrovie statali danesi suggerisce due possibilità: comperare lo ScanRail ad € 350,00, biglietto per viaggiare con il treno in Scandinavia; oppure acquistare l’InterRail ad € 380,00, più costoso del primo, se comprato in Danimarca, ma con sconti maggiori nei tragitti in bus o nave. Presi dal panico per gli eventi imprevisti scegliamo lo ScanRail perché l’InterRail comperato in Danimarca era molto costoso in quanto oltre alla Scandinavia comprendeva anche Danimarca, Austria, Germania e Svizzera. Per l’agitazione e la stanchezza non abbiamo pensato che bastava comprare l’InterRail a Malmoe (Svezia) dove costava € 299,00 perché comprendeva solo Norvergia, Svezia e Finlandia. Malmoe dista sette minuti da Copenaghen! Hanno, infatti, costruito il ponte sull’Orestad che unisce la capitale danese a Malmoe, prima città svedese. Una volta trovato un ostello (situato in una ex-fabbrica) ci sistemiamo in una camerata da 25 persone, tutti letti a castello, con un costo a persona circa € 15,00. Dopo esserci sistemati, partiamo subito a piedi per visitare il centro e il simbolo della città (la Sirenetta). Sorpresa: la Sirenetta è all’imboccatura del porto ed è lontanissima dal centro, fuori dalla portata delle cartine, dalla parte opposta della città, tanto che al Generale salta un ginocchio e zoppicherà per l’intera durata delle vacanze. Lunedì 9 agosto Con lo ScanRail in portafogli partiamo per Oslo con il treno delle ore 7.00. La sveglia è programmata per le 5.30, ed oltre a noi il suo trillo da la sveglia anche gli altri 22 presenti (un consiglio: non programmate mai una sveglia in una camerata da 25 prima delle 6.00!). La durata prevista del viaggio è di sei ore, ma quella effettiva è stata di ben nove ore. Infatti, ad un passo da Oslo il treno si è bloccato e dopo circa mezz’ora il capotreno di una nazione storicamente molto efficiente ha avvertito che il treno era rotto, irreparabilmente, e da lì a poco sarebbero arrivate un numero sufficiente di corriere per trasportare tutti i passeggeri ad Oslo e stazioni intermedie con un’ovvia divisione tra le varie destinazioni. Sopravviviamo anche a questo. Beata efficienza scandinava. Arrivo ad Oslo L’ostello è a cinque minuti dalla stazione: scopriamo che è chiuso, infatti apriva ben due ore dopo il nostro arrivo (Sleep in, reception aperta 8-11 e 17-24). Da Lonely Planet, pag. 153: “L’ostello è molto frequentato, I letti consistono in semplici materassi posti sul pavimento in grandi camerate per cui vi servirà un sacco a pelo”. Aggiungo io che ogni materasso è numerato e la reception, dopo aver pagato € 13,00 a testa, vi omaggerà di un post-it con segnato un numero corrispondente al vostro materasso; buona ricerca. Quello che molti ospiti si chiedevano è perché, dato che gli ostelli norvegesi sono aperti solo pochi mesi l’anno, la reception non possa essere accessibile per più ore al giorno. Visita della città Con poco tempo a disposizione visitiamo solo il centro, ma c’è impedito l’ingresso nei principali musei (Nazionale e Munch Museum) in quanto chiudono alle 17,00 (vale a dire quando apre l’ostello). Tutti si lamentano di questi orari assurdi. Non offrendo grandi scenari abbiamo guardato qualche negozio rilevando i prezzi mostruosi, al di fuori della nostra portata. Verso le 19,00 siamo andati al Parco Vigeland dove ci sono le insolite sculture dell’artista norvegese (è un gioco di statue che esprimono i sentimenti, le età della vita: da vedere, interessante, gratuito e sempre aperto). Ci sono delle postazioni barbecue per chi voglia farsi la grigliatina norvegese. Dati i prezzi decidiamo per il McDonald (l’unico in cui siamo andati a mangiare); ci voleva l’alto costo della vita norvegese per spingermi dopo anni dentro un hamburgeria. Martedì 10 agosto Il giorno successivo, dopo una riposante nottata (steso sul pavimento!) partiamo alla volta di Bergen, con il treno che compie il mitico percorso Oslo – Bergen (5 ore, a memoria), pubblicizzato sulla Lonely come uno dei più bei viaggi in treno: lo confermo anch’io. Il tragitto si snoda tra ghiacciai, vallate verdi e incontaminate prive di strade, se non percorsi ciclistici. Il viaggio in treno vale veramente la pena perchè in auto il percorso si compie in un’altra vallata, dove si perde, in parte, la bellezza del paesaggio. L’immagine più efficace per descrivere i luoghi è il passaggio a fianco del finestrino del treno di un’aquila che teneva tra gli artigli un grosso pesce appena pescato. Arrivo a Bergen Solita partenza in direzioni diverse alla ricerca dell’ostello con bagagli alla mano. Il primo ostello, gestito dalle suore, apriva alle 18,00 e richiedeva una lunga attesa, così abbiamo passato altri 4 ostelli, tutti completi. Stanchi e preoccupati, ci siamo divisi con il Generale che è andata a presidiare l’ostello delle suore in attesa dell’apertura, mentre io e Vale ci dirigiamo in centro all’ufficio turistico per prenotare. Dopo la coda all’ufficio il Generale messaggia che anche dalle suore è completo e ci raggiunge. Contemporaneamente prenotiamo in un ostello 100 m dopo le suore (ci aveva raggiunto con bagagli!). Ripercorriamo la stessa strada per la sesta volta e raggiungiamo un cartello che indica l’ostello a cento metri, tutti in salita. Dopo una rampa infernale raggiungiamo il posto, molto accogliente e carino, camere da 4, con internet gratuito, personale simpatico e disponibile, all’ultimo piano terrazza con sala lettura e tv, € 15 a testa. Consiglio: per alloggiare a Bergen bisogna necessariamente passare per l’Ufficio del Turismo che prenota nei vari ostelli o alberghi. Visita della città Purtroppo abbiamo perso molto tempo per cercare un alloggio e ce ne rimane poco per visitare questa splendida cittadina del Nord. Comunque siamo alle solite sei della sera e per la settima volta ripercorriamo la strada per il centro (Kong Oscars Gate) fino al porto dove finalmente ci concediamo un buon pasto a base di Fish & Chips (€ 10) in uno dei chioschi che vendono pesce. Il chiosco è in quel momento frequentato solo da italiani. Ripartiamo in direzione Bryggen, antico quartiere di case in legno in riva al mare, patrimonio dell’Unesco. Molto interessante per le case e i magazzini retrostanti che mantengono l’aspetto inalterato dai tempi della Lega Anseatica (1600); da osservare la facciata delle case dal lato del mare, in quanto più d’una risulta pendente dopo l’esplosione di una nave olandese avvenuta nel 1944 di fronte. Già a Bergen si nota che il crepuscolo permane fino a dopo le 22.00. Mercoledì 11 agosto Partenza per Flåm (pronuncia: Flom – con la “o” chiusa) in treno. In stazione ci dicono che il tratto Bergen – Myrdal è una normale ferrovia compresa nello ScanRail, mentre l’ultimo tratto Myrdal – Flåm conosciuto come Flåmsbanen è a pagamento perché turistico (1 ora, km 20,2, Corone 120 = € 15,6; andata e ritorno Corone 200 = € 26; per fare un confronto: Treviso – Venezia, 30 km, € 2, andata e ritorno € 4). Da Lonely Planet, pag. 299 “Questa ferrovia è una meraviglia dell’ingegneria perché scende per 865 m con un dislivello mozzafiato, passando il brullo altopiano di Hardangervidda tra fragorose cascate”. L’oneroso biglietto è giustificato dal fatto che il treno si ferma nei punti panoramici per consentire ai passeggeri di fotografare. Durante la prima fermata alla cascata più impetuosa dovrete sopportare l’arrivo tra le rocce della cascata di un’avvenente signorina norvegese vestita in abiti tradizionali che vi canterà una canzoncina durante la fermata. Il percorso è realmente mozzafiato, ma il fatto che sia stato trasformato in percorso turistico obbligatorio per l’avanzamento a Nord, ne fa smarrire il fascino fino a diventare patetico. Arrivo a Flåm (400 abitanti) Notiamo la presenza di un’enorme nave Costa Crociere ormeggiata nel piccolo attracco all’interno dello strettissimo canale Aurlandsfjorden che è un ramo del Sognefjorden, il più lungo e profondo fiordo della Norvegia, lungo 204 chilometri e profondo fino a 1300 metri. Impressionante: sembrava una nave enorme presa dal mare e appoggiata in mezzo le montagne. Il traghetto per la successiva destinazione partiva qualche ora dopo, ciò ci permette di far compere al supermercato e campeggiare nel parco. Decidiamo di andare al ghiacciaio di Jostedalbreen, il più grande ghiacciaio della Norvegia. Si devono attraversare tre fiordi per arrivarci, non semplice perché se la distanza è solo di ottanta chilometri il tempo di percorrenza è stato di un giorno e mezzo. Il traghetto non arriva al ghiacciaio, ma abbiamo dovuto fare una tappa forzata a Balestrand (paese di villeggiatura di 1000 abitanti), dove siamo rimasti bloccati fino al giorno successivo dalle 15. Due di noi tre hanno definito Balestrand come il più insignificante luogo in quanto isolato, privo d’attrazioni a parte qualche decina di alberghi per villeggianti anziani. Nel caso qualcuno volesse recarsi in questa cittadina sappia che dopo le 18.00 chiudono sia l’unico ristorante che l’unico supermercato. Almeno oggi si riposa. Giovedì 12 agosto Abbandoniamo l’ostello non prima di aver a lungo suonato il campanello per poter pagare la nottata. Una inserviente arriva con aria imbronciata e ci fa notare che non era orario di apertura della reception; scocciata ritira i nostri soldi. A mente fredda abbiamo constatato che potevamo tranquillamente andarcene senza pagare il conto. A Balestrand parte il traghetto con direzione Fjaerland, ameno luogo di villeggiatura, punto di partenza per il più grande ghiacciaio della Scandinavia: il Jostedalbreen. All’arrivo del traghetto non c’è altra soluzione che prendere un bus turistico già fermo di fronte al porto. Solo due pullman di linea attraversano il paese nell’arco della giornata, forse perché, c’è un’unica strada e ai due ingressi del paese ci sono altrettanti caselli per il pagamento del pedaggio. Una volta pagato il salatissimo biglietto, la guida all’interno del turistbus ci informa che avremmo fatto una prima sosta di un’ora al famoso museo del ghiaccio (biglietto a parte di 5,00 euro). Dopo un’ora passata a dormicchiare sui gradini fuori dal museo (ci sembrava eccessivo donare anche quella quota alla causa norvegese) finalmente la partenza attraverso la tortuosa strada che dai fiordi porta al ghiacciaio. La corriera fa due soste, ad un passo dalla coltre celeste e azzurra del ghiacciaio, in un paesaggio unico; nel primo luogo le cascate formano un impetuoso torrente che diventa già fiume pochi chilometri più a sud, mentre nella seconda sosta alla base della lingua di ghiaccio c’è un lago di un colore indescrivibile, tra il grigio del ghiaccio sciolto ed il bianco dei detriti che galleggiano. Secondo il detto che ad ogni gioia segue un dolore, una volta tornati dal tour scopriamo che la corriera che dobbiamo prendere per proseguire verso nord passerà dopo quasi cinque ore! Aspettiamo. Descrizione del luogo che ci ospita: fermata dell’autobus stile casetta tirolese, in legno con tre posti a sedere; di fronte c’è una strada scarsamente frequentata e dall’altra parte un chiosco semideserto; alla nostra sinistra un casello per entrare in paese; a 500 metri il museo del ghiaccio e ad un chilometro il paesino; alla nostra sinistra montagne e ghiacciai; alle spalle un fiume attraversato da un ponticello in ferro stile nepalese. Mi viene in mente Baghdad Cafè ed aspetto. Una volta arrivata la corriera (altro salasso) arriviamo nel microcosmo di Hellesylt, un paese di cinquecento abitanti, adagiato sul costone di una montagna alla fine di un fiordo e attraversato da una fragorosa cascata, che divide in due il paese. Aggiungo che ad Hellesylt dormiamo in una casetta di legno sopra il paese. Per raggiungere l’ostello (Hellesylt Vandrerhjem) c’è un unico sentiero talmente pendente che sembra abbiano fatto scivolare l’asfalto dall’alto della montagna. Il proprietario dell’ostello è un simpatico signore sempre in vena di battute (il suo detto migliore è stato: “la salita per arrivare qui rafforza il cuore dei turisti, quando non si ferma”). Il divertimento passa in cucina al momento di preparare il riso al latte, quando ci accorgiamo di aver comprato latte al cioccolato invece di quello normale. Ne esce un immangiabile riso al cioccolato: anche questa sera io e Vale saltiamo la cena, il Generale, invece, si autoconvince di mangiare un delizioso piatto della nouvelle cousine norvegese. Giornata da dimenticare. Venerdì 13 agosto La vacanza sta andando a rotoli e come se non bastasse oggi è venerdì 13! Cos’altro può succedere? Mattina, all’alba: discesa a perdifiato con bagagli giù per la strada a picco fino al porto e traghetto per Geiranger, uno dei paesi più grandi della regione della regione Sogn øg Fiordane. Poco da dire, se non che il tragitto di un’ora in traghetto per arrivare a Geiranger (Geirangerfiord) è uno dei più affascinanti della Norvegia. La prossima meta è il raggiungimento del circolo polare artico, attraverso una lenta risalita. Percorriamo la famosa Trollstigen, una strada che si inerpica tra le montagne, in mezzo a ghiacciai e continue cascate, fino alla cittadina di Dumbas, dove riparte la ferrovia. La nostra idea era di fare scalo a Trondheim e di prendere subito il treno notturno per Bødo. Invece, una volta preso il treno da Dumbas il controllore, con un ghigno malefico ci comunica che abbiamo sbagliato direzione (verso Oslo) e che quindi la coincidenza con il treno per Bødo era persa. Incredibile sbagliare in una nazione che ha un unico binario e devi scegliere se andare verso nord o verso sud! Ma la situazione si fa delicata in quanto saremmo giunti a Trondheim senza prenotazioni in ostello alle 23.00. Chiamati vari ostelli (pare che in Norvegia si possa parlare al telefono quanto si vuole inserendo solamente le prime 5 corone), ci accoglie uno veramente costoso (euro 26.00 a testa) nel quale arriviamo quasi all’una di notte, poco prima della chiusura. Il riposo è meritato, visto che anche queste due ore di sfacchinata ce le siamo fatte con il bagaglio in mano. Sabato 14 agosto Anche oggi la giornata sarà lunghissima dato che, come sempre non dormiremo nello stesso posto per due notti, ma dovremmo errare per la Scandinavia. A Trondheim siamo solo di passaggio visto che dobbiamo solamente attendere il treno notturno per il Nord. La sorpresa è, però, nello scoprire che la città è veramente interessante. Trondheim, terza città della Norvegia, famosa perché ci gioca la squadra del Rosenborg, abitanti 136.500. Città briosa, con un po’ di vita sia di giorno che di sera, dispone di alcune attrazioni storiche come la cattedrale di Nidaros, l’edificio medioevale più grande ed importante della Scandinavia, eretto nel 1070. Questo monumento è importante per la presenza della tomba di Sant’Olav, il re vichingo che abbandonò il paganesimo per convertirsi al cristianesimo. Questo fatto è a tal punto sentito in Norvegia che qui avvengono le incoronazioni dei suoi sovrani. Da vedere anche i due musei delle tradizioni e della resistenza per inquadrare la storia della città ed un periodo del ventesimo secolo che ha visto la città in prima linea nella difesa delle libertà della nazione norvegese. Per noi una giornata di riposo prima di prendere il treno notturno in direzione Bødo, quindi siamo pronti ad entrare nel circolo polare artico. Domenica 15 agosto Ferragosto. Questo è un giorno simbolo, in quanto in sé racchiude una quantità incredibile di eventi negativi tali da poter rimanere a lungo nella nostra memoria; probabilmente ce lo ricorderemo per tutta la vita. Per aiutare i lettori nella non semplice trama, numererò le disavventure, o sfighe belle e buone, e darò loro un voto. Più alto è il voto peggiore è stata la situazione. Il treno da Trondheim parte la sera del 14 agosto e arriva a Bødo alle sette del mattino del 15. Le cuccette sono abbastanza costose così optiamo per dei posti con sedile reclinabile quasi in posizione orizzontale. Di certo sono comodi per dormire, però hanno un difetto che scopriamo solo all’arrivo. La sorpresa è che sopra ogni sedile c’è una coperta di lana per coprirsi, quasi a memoria che il viaggio termina all’interno del circolo polare. Verso le sei del mattino mi sveglio e Vale mi avvisa di non aver quasi chiuso occhio per la scomodità, mentre il Generale poltrisce grazie al suo solito bagaglio di attrezzature per la notte: tappi per le orecchie e mascherina nera per gli occhi! Quando mi alzo la sgradevole sorpresa: ho dormito tutta la notte con i piedi leggermente rialzati da terra; provo a mettermi le scarpe (molto comode) ma i piedi non entrano. Incredibile i piedi sono gonfi e senza scarpe non posso girare per il treno. Pazienza, aspetto che il sangue torni a circolare come dovrebbe e trattengo per un buon quarto d’ora la sacrosanta pisciata del mattino (voto 4). Andiamo a far colazione al vagone ristorante. C’è una buona promozione con caffè e muffin al cioccolato a 15 corone; ma il muffin al cioccolato è finito, c’è solo quello ai mirtilli, perciò scade la promozione e ci chiedono 45 corone a testa (w l’onestà, voto 6). Sbarchiamo a Bødo, bruttissima città moderna di 30.000 anime. Qui non c’è nulla che sia precedente al 1945 in quanto prima i tedeschi e poi i russi l’hanno distrutta in quanto punto strategico per il controllo del Mare del Nord. In città non c’è nessuno, forse perché è domenica mattina o forse perché c’è un freddo polare. Mentre il Generale decide di controllare i bagagli io e Vale ci dirigiamo all’ufficio del turismo (dall’altra parte della città) per sapere come poter giungere al famoso Maelstroem, il gorgo che ispirò un racconto di E. A. Poe. Freddo intenso, per affrontarlo l’abbigliamento corretto deve essere: canottiera, t-shirt, maglietta a maniche lunghe, felpa chiusa, felpa aperta davanti, giubbotto, k-way, tutti indossati contemporaneamente; partiamo e arriviamo all’ufficio del turismo; il cartello appeso all’entrata non lascia scampo: domenica chiuso (voto 9). Ritorno. Il Generale ci comunica che di domenica non ci sono bus perciò niente Maelstroem. Non c’è scelta, si va subito alle Lofoten con partenza alle 12.30, naturalmente inizia a piovere (voto 7, per il freddo, la pioggia e perché io ero a Bødo solo per vedere il celebre Maelstroem). Ore dodici, la partenza è vicina, ma piove e fa freddo e all’orizzonte il tempo annuncia peggioramenti. La traversata dura 4 ore di cui 3 in mare aperto (del Nord); alla partenza regna l’allegria sotto coperta, la nave non è troppo grande però ci saranno un centinaio di festanti passeggeri che assaltano la zuppa di pesce servita dal ristorante. Dopo un’ora il dramma: il vento tira sempre più forte e le onde sono molto alte. La nave sbatte e rimpalla violentemente sulle onde. Le facce dei passeggeri tendono sempre più al bianco. Dopo due ore sono costretto ad uscire sul ponte per una forte nausea, nel frattempo il mal di mare ha fatto le prime vittime ed i bagni sono affollati di gente. Vale è tra le prime vittime; io, invece, sono costretto a rimanere immobile sul ponte al freddo e sotto una pioggia gelida e continua. Fisso per almeno un’ora la bandiera norvegese che sventola a prua della nave, mentre il tempo non passa mai. Ad un’ora dallo sbarco, ormai in fin di vita per il malessere e congelato anche nelle parti intime, ricevo la visita del Generale che sprizza allegria. “Sto malissimo, mi viene da vomitare”, le dico, mentre lei risponde con un simpatico: “Io mi sto divertendo tantissimo, sai che dentro almeno l’80% delle persone sta vomitando! Che bello, è proprio divertente”. Non ho la forza di assassinarla, quindi continuo a fissare la bandiera e a maledire questo viaggio infernale; mi giro alla ricerca di Valentina e la vedo seduta, con un sacchetto in mano. E’ bianchissima in volto. Poveraccia, all’arrivo mi dirà di aver vomitato più volte e di non aver più energie per andare avanti. In maniera insensata, invece di eliminare l’individuo fastidioso che ride delle nostre disgrazie ne ascolto l’unico suggerimento e mi sposto dalla mia posizione tenuta per ore per dirigermi al piano di sopra. Maledetto Generale, l’ho ascoltata e questo mi è stato fatale: lo spostamento mi provoca uno scombussolamento tale che devo correre in bagno; alla fine anch’io sono stato sconfitto dal mare. Non solo ho rimesso, ma mancano ancora 45 minuti all’arrivo. La scena che mi si pare di fronte all’uscita dal bagno è straziante: vedo persone distese sul pavimento, altre che si lamentano ad alta voce in tutte le lingue: sembra la barca di Caronte (voto 10!). Finalmente arriviamo sulla terra ferma. Un italiano mi dice di sentirsi fortunato poiché dopo un’ora di malessere è svenuto e non ricorda più niente: ma anche per lui i guai non sono finiti, infatti siamo alle Lofoten, ma di fronte a noi non c’è nulla. All’arrivo abbiamo a disposizione un porto, un bagno, un ufficio del turismo (è domenica e quindi è chiuso), una fermata della corriera senza tettoia ed un bar con all’ingresso un proprietario iracondo che non accetta di vedere nel suo locale/buco persone che non consumano. Siamo costretti a rimanere all’aperto sotto la pioggia, ma quel che è peggio da nessuna parte ci sono le tabelle con scritti gli orari dei bus che portano verso i paesi. Aspettiamo ed anche i più atei iniziano a pregare. (voto 10). Ormai sconvolto dal gelo e dalla depressione vedo arrivare la corriera. Si parte. Non so se solo noi viandanti sentissimo il freddo pungente, ma di sicuro non lo sentiva l’autista che in maniche di camicia accende l’aria condizionata, inserisce la prima e parte. Sessantadue chilometri di curve e di tornanti in una corriera frigorifero non sono piacevoli per chi ha appena trascorso uno dei giorni più terribili della propria vita: mi torna la nausea e non so più se lamentarmi per il freddo o per il malessere, ed inoltre devo andare in bagno. Giuro di aver pensato di simulare un infarto affinché l’autista si fermasse e aprisse le porte per far entrare un po’ di aria calda, visto che dentro la temperatura si avvicinava allo zero. Resisto, d’altronde in questa vacanza sono condannato a resistere. (voto 8). Arriviamo a Stamsund, paesino di poche anime e ci dirigiamo alla casa ostello di Roar il pescatore. Da queste parti lui deve essere una sorta di anfitrione dato che qualche giorno dopo troveremo un suo ritratto giovanile esposto nella vetrina del fotografo di Svolvaer, il capoluogo delle Lofoten. Roar è veramente simpatico e affabile: credo sia un ex pescatore che ha trasformato la sua abitazione in ostello e accoglie gli sfortunati che vagano al crepuscolo per le Lofoten occidentali; anche all’inferno ci sono anime pie. Purtroppo dobbiamo dormire su dei materassi adagiati sul pavimento, ma vista la giornata è già un aspetto positivo. Decidiamo di mangiare qualcosa pur non avendo fame visto che io ero digiuno dal giorno precedente, mentre Vale aveva pranzato ma inutilmente: due spaghetti (o poco più) in bianco, tanto per tirare avanti. Ma giù in cucina più passa il tempo e maggiore è il mio malessere: eppure ero al caldo e sotto un tetto. Erano le sette di sera e stavo trascinando la mia pessima condizione ormai da più di sei ore; sinceramente mi sembrava eccessivo, ma il mio organismo non voleva saperne di sistemarsi. Una volta uscito all’esterno ho capito il motivo: la casa di Roar è in realtà una palafitta e segue il ritmo delle onde del mare. Galleggia e si muove, seppur di poco ma si muove e questo, per il mio stomaco, proprio non ci voleva (voto 9). Mangio in fretta, mi faccio la doccia con l’acqua fredda (l’ho regolata male ed una volta fallito il primo tentativo il meccanismo non perdona) mi infilo dentro il sacco a pelo e chiudo gli occhi sperando di svegliarmi il giorno successivo magari all’Havana. Non accade. Anzi mi sveglio dopo un quarto d’ora e sempre sullo stesso posto. L’arrivo di quattro veronesi, sorpresi nel vedere qualcuno a letto alle otto di sera ci desta. Beati loro, arrivano da NordKapp e vanno verso il caldo, per noi, al contrario il freddo è appena iniziato. La giornata è terminata ma è stata lunghissima e purtroppo non siamo che a metà del viaggio e delle nostre pene. In complesso do alla giornata trascorsa un bel 10, in negativo naturalmente. A domani. Lunedì 16 agosto Il picchiettare della pioggia mi sveglia molto presto. Fuori piove, il cielo è grigio e deve fare parecchio freddo, per cui preparo l’abbigliamento polare del giorno precedente. Un meccanico, amico di Roar noleggia auto per un giorno e accetta pagamenti in contanti. Il programma è di affittare un’auto e girare le Lofoten, ma l’incessante pioggia fa sembrare l’idea poco attuabile, perciò cambiamo piano: noleggiamo l’auto per quattro giorni ed andiamo a NordKapp via strada invece che con la Hurtigruten, il postale dei fiordi, che ci costringerebbe a tornare in Svezia attraverso la Finlandia. D’altronde la nostra meta dista pressappoco un migliaio di chilometri e crediamo di impiegarci una giornata per arrivare, mentre alla nave servono due giorni; inoltre, dopo la devastante esperienza del giorno precedente io e la Vale non abbiamo alcuna intenzione di imbarcarci. Una volta mentito al meccanico con un racconto poco credibile tipo: “Ci noleggia l’auto per tre giorni perché vorremmo andare a Tromsøe (si dice Trunsa)”, scusa poco attendibile visto che la città dista solo trecento chilometri di distanza. L’amico di Roar ci crede e ci affida una vecchia Honda che ha affrontato sfide ben peggiori. Si parte con pioggia e nebbia; strada tortuosa, la direzione si intuisce solamente. Passiamo incredibili ponti a schiena di mulo, con dossi che sembrano archi tesi sul punto di scoccare una freccia. Passiamo le brulle isole Vesteralen e la parte meridionale del Finnmark la regione più a nord della Scandinavia. Arriviamo a trenta chilometri da Tromsoe verso sera. Il nostro piano scricchiola in quanto non sono consentite velocità superiori ai 70 chilometri orari e, in molti tratti, al massimo si può correre fino a 50 chilometri orari; di conseguenza anche percorrere trecento chilometri diventa impresa. Martedì 17 agosto Altra giornata epica; questa volta a renderla tale sono le ore passate in macchina. Iniziamo a pilotare alle 8.00 e finiamo alle 4.30 del giorno successivo, con un numero eccessivo di soste e di cambi di programma. Tromsøe è la città più grande della contea del Finnmark. Bella cittadina con addirittura la presenza di locali notturni. La città gode di vari record, come ad esempio il Burger King più a nord del mondo, se qualcuno di noi fosse interessato a panini e maionese! Ma è più interessante per il centro storico, assai carino e accogliente. Da qui parte la nostra cavalcata verso la parte più settentrionale della Norvegia, territorio abitato prevalentemente dalle tribù dei Sami, gli odierni Eschimesi. Lungo tutto il percorso che si snoda attraverso brulle montagne incontriamo le tende dei Sami e i branchi di renne da loro allevati. L’ambiente è lunare, con lunghi tratti di terreno roccioso ricoperto solamente da muschio e licheni. Dopo molte ore di auto e di digiuno arriviamo nei pressi di Hammerfest, la città più a nord del mondo. Da Tromsøe a Nordkapp sono circa 650 chilometri, ma il tempo di percorrenza è di almeno nove/dieci ore, perciò siamo costretti a sistemarci a circa duecento chilometri dalla nostra meta, lasciare i bagagli e ripartire. Arriviamo alle sei all’ostello e ripartiamo un’ora dopo in direzione nord, nella speranza, andata delusa, di arrivare in un paio d’ore. In realtà impieghiamo molto più tempo, anche perché si decide di passare prima ad Hammerfest per darci un’occhiata (la città è però dalla parte opposta). Visto l’edificio più interessante della città, un grande supermercato della Coop, puntiamo dritti verso NordKapp, distante circa 250 chilometri. Arriviamo nell’isola alle dieci di sera, dopo aver percorso un incredibile territorio desolato. Pur non essendoci nulla in termini di vegetazione e fauna, la tundra è veramente affascinante, sembra un deserto freddo di muschio e rocce spazzato dal vento. Un territorio che solo i Sami sanno apprezzare e sfruttare. Chi invece sa sfruttare NordKapp sono i norvegesi. L’isola di Mageroya è collegata alla terraferma da un tunnel sottomarino lungo sei chilometri. Alla fine della galleria troviamo una simpatica signora che, in nome della repubblica monarchico-costituzionale di Norvegia pretende una tassa di ingresso all’isola e annuncia che ce ne sarà una anche al ritorno. Alle nostre proteste non trova di meglio che sorprendersi del fatto che solo gli italiani si lamentino di questa tassa. Non capisco, ma mi adeguo, sganciamo ognuno di noi il nostro gruzzolo e ci dirigiamo all’estremo nord. Altri trenta chilometri nell’isola per raggiungere il fatidico punto più settentrionale d’Europa. Il cielo è molto nuvoloso, ma almeno non piove come spesso capita da queste parti. Non è ancora buio e si possono ancora vedere le renne che pascolano sulle cime aspre delle montagne. Arriviamo a NordKapp; una doppia emozione ci pervade: la prima perché siamo in un luogo mitico, la seconda perché un casellante a pochi metri dall’arrivo ci chiede un pedaggio di circa 25 euro cadauno. L’onestuomo giustifica l’esosa richiesta rassicurandoci che con quel biglietto saremmo potuti entrare a NordKapp ben due giorni consecutivi. Non capisco assolutamente il discorso fattomi, ma mi adeguo e pago. NordKapp è il nulla, ovvero non vi è nulla di interessante: vi è la presenza di un grande complesso che funge da bar, ristorante e museo del nord. Oltre ad un enorme negozio di souvenirs dove credo nessuno acquisti niente visto il prezzo del biglietto versato per entrare. Tutto è molto kitch e appariscente ma superfluo. Aspettiamo l’alba che inizia all’una e ripartiamo. Il primo stop è atto dovuto visto che su un ponte ci sono due renne in mezzo alla strada. Nel mezzo del ponte si accende la sfida: loro due da una parte la mia auto dall’altra. Sono già pronto a lanciarmi contro come un cavaliere medievale quando loro, dopo aver fatto due rapidi calcoli, e vedendosi sconfitte nel confronto decidono di fare un grande balzo e lanciarsi nel dirupo. Pazienza, avrei preferito affrontarle a viso aperto, ma le vili hanno preferito la fuga ed una giusta morte. Altra sosta al casello per uscire dall’isola. Troviamo la stessa signora dell’andata (circa 4 ore prima), questo mi spinge ad una scena pietosa per avere almeno uno sconto studenti visto la breve permanenza. Lei mi parla di tasse, di finanziamenti ed altre scuse simili. Ancora una volta non capisco, ma questa volta non mi adeguo, pago e la mando affanculo. Alle due di mattina il sole è già alto. Incredibile. Arriviamo in ostello alle quattro del mattino. La sveglia è puntata per le otto. La puntatina a NordKapp ci è costata quarantadue euro a testa, per nulla giustificati data l’assenza dell’offerta. Avrei di gran lunga preferito acquistare degli oggetti artigianali dai Sami che sono i veri proprietari dell’isola ma che, da questo business, temo non guadagnino nulla. La vita è breve ma la giornata è stata lunghissima. Mercoledì 18 agosto Al mattino inizia il lungo ritorno alle isole Lofoten. Sicuramente impiegheremo due giorni, dati i fiscalissimi limiti di velocità. Cominciamo la lenta discesa fermandoci nella cittadina di Alta, dove c’è un museo all’aperto con graffiti di epoca preistorica. Interessante soprattutto perché il giro è breve ma ricco di testimonianze. Riprendiamo il viaggio lasciandoci alle spalle la contea del Finnmark per arrivare alle isole Vesteralen dove, verso le dieci di sera ci fermiamo in un campeggio con bungalow per un meritato quanto necessario riposo. Non ci sono grandi avvenimenti in questa giornata, avendola quasi interamente trascorsa in auto. Ci rifaremo più avanti. Giovedì 19 agosto Oggi regna la confusione nelle nostre teste. E’ arrivato il giorno della consegna della macchina, perciò bisogna decidere cosa fare nei giorni successivi. L’esperienza insegna che le difficoltà maggiori sono create dai pochi mezzi pubblici a disposizione e dal fatto che non vi sono coincidenze tra i vari trasporti. Perciò decidiamo di partire il prima possibile per Stansund, con il pensiero, però di fermarci nel primo grosso paese per chiedere informazioni sui trasporti. Partiamo al mattino, ma come previsto arrivano i disagi: all’ufficio del turismo di Svolvaer ci dicono che per continuare il nostro viaggio per la Svezia bisogna prendere il traghetto per Narvik (ce ne sono due) da dove parte il treno per Stoccolma (anche in questo caso ce ne sono due). Giustamente, visti i precedenti, l’unica possibilità è prendere il ferry il mattino successivo. Ancora una volta rimaniamo bloccati in un luogo a causa della scarsa frequenza dei mezzi di trasporto. Non è neppure una notizia tanto negativa, in quanto il viaggio in treno da Narvik a Stoccolma durerà ben 21 ore. Finalmente arriva una giornata di riposo: prendiamo alloggio a Svolvaer in una casa di una cordiale nonnetta dall’aspetto sessantottino, e torniamo a Stamsund a riconsegnare l’automobile. Il meccanico che ce l’aveva noleggiata si beve la storia del viaggio a Tromsøe e non controlla i chilometri; questo ci da la possibilità di lanciarci in una rapida fuga verso l’autobus che ci riporterà, dopo un lunghissimo percorso, a Svolvaer. Gran bel giorno di riposo. L’unico. Domani sarà un’altra giornata campale. Venerdì 20 agosto Vi racconterò oggi un’altra delle giornate più infelici di questa vacanza. Un’ennesima esperienza di continua attesa che qualcosa accada. Mattino: partenza verso il porto dove c’è il traghetto per Narvik. Sono tre ore di traversata nel fiordo delle Lofoten. Viaggio tranquillo perché non in mare aperto; la paura era tanta in quanto pioveva ed il cielo era spazzato dal vento. Narvik è una cittadina piccola, industriale e abbastanza brutta. E’ la più importante città del Nordland pur essendo abitata da 14.000 anime. Meglio evitarla in un viaggio in auto o in camper. Offre poco. Pur essendo piccola non riusciamo a trovare la stazione dei treni. Dai cittadini locali ai quali chiediamo informazioni, non otteniamo che risposte vaghe e contraddittorie; qualcuno, addirittura nega l’esistenza di una stazione dei treni in città. Dopo lungo vagare in salita arriviamo in stazione. Non c’è nessuno. Nella tabella degli orari trovano posto solo quattro treni: due vanno a Stoccolma e due ritornano dalla Svezia. La principale stazione di tutto il Nord della Norvegia (nonché l’unica) accoglie la bellezza di quattro treni. Ecco perché neppure gli abitanti sanno che Narvik ha una stazione. La colletta delle ultima corone norvegesi ci permette un pasto non certo luculliano, ma almeno basta a farci sopravvivere. Alle 15.00 arriva il treno. Purtroppo arriverà a destinazione solamente all’ora di pranzo del giorno successivo. Che dire di una giornata così? Mi sono seduto sul mio sedile e come un monaco stilita ho aspettato immobile che il tempo trascorresse. Solo una cosa posso dire: in un viaggio in treno di 21 ore senza cuccette, il tempo passa, ma molto lentamente! Sabato 21 agosto Stoccolma. Finalmente la civiltà, le persone, i luoghi pubblici e la vita frenetica delle grandi città. Mi mancava lo smog e la confusione, il traffico e le persone che gridano. Finalmente la vita, mi sembrava di essere ritornato a casa dopo due settimane di carcere. Mi lascio alle spalle i boschi e le cascate, i fiordi, i montanari e i contadini, gli allevatori, le renne e pescatori. Tutto questo è dietro, è il passato. Adesso si pensa in grande; siamo in città, l’ambiente naturale dell’uomo occidentale ed evoluto. I boschi e la Norvegia sono adatti alle specie in via di estinzione. Sono convinto che un occidentale debba vivere in città, tra lo smog, altrimenti l’aria pura e solitaria dei boschi finirebbe per soffocarlo. Nel mio habitat naturale mi trovo subito bene. Ma essendo nato male il viaggio, non potevano esserci eccezione neppure in Svezia: dopo una breve speranza sorta dopo la vista di una città così vitale ed energetica, è seguito lo sconforto, non appena inserita la mia tessera nel bancomat. La scritta apparsa non lasciava molti dubbi: (“Spiacente, la tua banca non concede altri prelievi. Limite raggiunto”). Un brivido mi scosse alla vista della scritta. Decido velocemente di cambiare bancomat, ma sia il secondo che il terzo riportano la stessa scritta. Mi arrendo. Bene, proprio un bell’inizio in Svezia. Non mi è più consentito prelevare, come se la mia banca, sorpresa dalle continue spese avesse deciso di dare un taglio agli sprechi. Ciò mi consentiva di risparmiare, ma allo stesso tempo in tasca non avevo una sola corona svedese. Come sopravvivere? Sono costretto ad andare a caccia di prestiti o, laddove fosse possibile, di rubare. La mia povertà era compiuta: per quattro giorni non posso spendere denaro. Ero povero, triste. Anche se mancavano solo quattro giorni alla fine mi aspettavo qualsiasi avvenimento negativo. Cos’altro poteva succedere: una malattia, un furto oppure rischiare di dormire in un parco? Ecco, succede proprio questo! Il rischio serissimo di non trovare un alloggio per la sera. La dinamica del rischio è stata questa: mentre io tento, invano, di prelevare denaro per la prenotazione dell’ostello, il vecchio Generale prenota tre posti in un ostello tramite l’ufficio informazioni. Una volta prenotato, pagato, prelevato e prestato a me un po’ di soldi per la sopravvivenza, siamo partiti alla volta dell’ostello. Prima delle due di pomeriggio siamo lì, dove ci (mi) aspetta un’amara sorpresa: la ragazza dell’ufficio informazioni, aveva sbagliato la prenotazione, indicando in tre ragazze le richiedenti. Alla reception il solito sorry mi fa capire che per me non c’è posto e mi porgono due soluzioni: la prima era aspettare le sei quando scadevano le prenotazioni; a quel punto se qualcuno non si presentava prendevo io il suo posto. Nel caso fosse ancora tutto al completo potevo dormire nella sala conferenze, in qualche comodissima poltroncina in pelle! La secondo soluzione era accomodarmi nel retrostante parco, il quale era sì spazioso e comodo, ma di notte si narrava fosse un po’ freschino sostarci. Con lo sguardo atterrito non mi rimane che accettare la prima soluzione e scartare la seconda. Nel frattempo il generale guarda stupita la mia rassegnazione e si chiede meravigliata dove fosse il problema visto che tanto almeno due letti c’erano. Nemmeno la mia reazione scomposta la porta alla realtà delle cose, tanto che mi sento dire: ”Ma che problemi hai, magari potessi dormire io nella sala riunioni, invece sono costretta a rimanere in una stanza troppo piccola”. Scarto immediatamente l’ipotesi dell’omicidio in quanto punito con l’ergastolo e punto allo sciopero della parola. Evito di parlare per protesta e attendo le sei di sera per conoscere la mia sorte. Chiudo gli occhi nella speranza di risvegliarmi a casa, ma anche stavolta non funziona. Sosto per un’ora in poltrona e aspetto. Dopo molte ore mi trovano un posto in una stanza. Anch’io posso dormire con un tetto sulla testa. Evviva, evviva: che giornata di merda. Faccio un passo indietro, precisamente in città. L’impressione è assolutamente positiva. La città è gremita di gente sia nel centro sia nelle zone più defilate. Notiamo un gran numero di giovani che si recano nei numerosi negozi e locali che puntellano il grande centro cittadino. Numerosi e molto belli sono anche i palazzi in mattoni rossi. In alcune zone si respira un’atmosfera veneziana tra calli strette, campielli, ponti e canali. Veramente interessante questa metropoli del nord. L’idea comune è che sarebbe stato meglio passarci più giorni. Domenica 22 agosto Oggi, per la prima volta dall’inizio delle ferie, rimarremo nello stesso posto di ieri. Non dobbiamo trascinare valigie, cercare alloggio in luoghi sconosciuti né prendere mezzi pubblici; già questo è molto positivo. Si può trascorrere una giornata nel segno dell’ozio. Dal mattino a sera ci trasciniamo per l’enorme centro urbano della città, da Gamla Stan all’isola giardino di Djurgaarden dove signoreggia l’imponente nave-museo Vasa. Stoccolma non smette di stupire per l’alto numero di negozio e botteghe di design e artigianato. Si potrebbero trascorrere molti giorni per visitare tutte le isolette che la compongono. Non abbiamo tutto questo tempo perciò decidiamo di aumentare il passo. Il municipio di Stoccolma, celebre sede della consegna dei premi nobel. Qui una simpatica guida locale mi toglie definitamene un dubbio che covavo da giorni: con mia grande gioia mi dice che gli svedesi considerano i loro vicini norvegesi come un popolo di stupidi montanari. Dice lui: “Noi quando parliamo dei norvegesi, lo facciamo solo per inserirli nelle barzellette”. Parole sante. Avevo il sospetto che non fossero delle cime, isolati come sono dal resto del mondo. Dopo questa affermazione considero la Svezia ancora più interessante e prendo in considerazione l’idea di tornarci. Furbi e scaltri questi svedesi: la rivalità che hanno con i danesi è talmente sentita che, per batterli e ferirli nell’onore, aspettarono che i vicini finissero di costruire il municipio di Copenaghen per poi erigere quello di Stoccolma, simbolicamente alto un metro in più. Usciti dal municipio costringo le due compagne di disavventura a seguirmi alla visita del cimitero di Stoccolma che ha due importanti caratteristiche: è l’unico cimitero ad essere stato dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco, per la sua incredibile architettura. Le tombe sono tutte riposte nel terreno, in mezzo ad un bosco di conifere. Il secondo motivo che mi spinge al Skogskyrkogaarden è che qui riposa la divina Greta Garbo, un’autentica icona del cinema europeo nonché simbolo della donna fatale di inizio secolo. La scarpinata per il suggestivo bosco è più che giustificata, anche se, malgrado le ripetute ricerche, non riusciamo a trovare la dimora della Divina. Pazienza, ne è valsa comunque la pena. Fino a sera giriamo ronzanti attraverso la città. Il ritorno all’ostello riserva una lieta sorpresa: la televisione è accesa sulle Olimpiadi. Lunedì 23 agosto Anche oggi passeremo quasi tutto il giorno a Stoccolma. Per risparmiare qualche quattrino decidiamo di prendere il treno che ci riporterà a Copenaghen alle undici di sera. Dormiremo in treno, ma il viaggio durerà solamente sei ore. Quindi si dormirà veramente poco, ma questo è un problema secondario, date le nostre residue finanze. Altra novità della giornata: oggi ci alziamo quando vogliamo! Dalla mia stanza esco per ultimo, con tutta la calma di chi è giunto alla fine del suo percorso. Con calma andiamo in centro e successivamente alla residenza dei monarchi di Svezia a Drottningholm. Proprio bella una giornata di riposo, serviva proprio staccare. Tanto più che decidiamo di ritornare in ostello e, incuranti delle regole internazionali del buongusto, ci facciamo beffe dei controlli e rimaniamo lì fino alle ventidue a cenare e usufruire di tutti i servizi dell’ostello (tutto gratis naturalmente). Alla sera ci attende la peggiore delle sorprese: il treno è tutto pieno, bisogna possedere una prenotazione che noi non abbiamo. Per chi non ha la prenotazione il controllore propone due soluzioni: la prima è di rimanere in piedi nel corridoio (poco confortevole), la seconda è di prendere posto nell’ultima carrozza, adibita a sala giochi per i bambini. Decidiamo di infilarci lì, all’interno di un recinto tra i giochini dei bimbi, distesi a terra dentro i sacchi a pelo. Martedì 24 agosto La felicità per essere finalmente giunti al termine della pista si trasformerà in incubo. Gli accordi presi in serata che prevedevano di passare la mattinata a Malmoe per poi andare in aeroporto a Copenaghen un paio d’ore prima del volo, saltano subito senza motivi. Così, alla mercè del fato, senza reagire né ribellarsi all’incalzare degli eventi negativi, ci ritroviamo di nuovo all’aeroporto di Copenaghen. Sono le sette e mezza del mattino e l’aereo partirà solamente dopo sette ore! Cosa ci facciamo lì? Perché non depositiamo i bagagli e ce ne andiamo via? Tutte domande logiche, ma non riusciamo ad affrontarne alcuna. Come dei condannati a morte, consapevoli di non poter modificare la sventurata sorte, rimaniamo lì, inermi, speranzosi in un qualche miracolo che ci possa far andar via prima delle due del pomeriggio. Sarà per la spossatezza dovuta al lungo viaggio, sarà per la consapevolezza che nulla avrebbe migliorato la valutazione finale di quel viaggio oppure per una incline voglia al martirio ma, alla fine, rimaniamo in aeroporto, seduti in scomode poltrone a fissare lo schermo delle partenze per sette ore consecutive. Non racconto neppure le sette ore di attesa all’aeroporto, in quanto chiunque può immaginare le pene che si passano, ma posso affermare che fu, assolutamente l’ultima piaga in quanto prima di essa ognuno di noi tre era a casa propria a rielaborare questo viaggio e a trarne le dovute conclusioni: io che scrivo lo giudico quantomeno infausto visto il logorio delle giornate trascorse, il Generale al contrario rifarebbe tutto ciò che ha fatto e del viaggio ne parla un gran bene; infine Valentina non crede di aver investito bene le sue due settimane di ferie ma riesce a mediare le due precedenti valutazioni, anche se il giudizio è negativo. Chi leggerà questo scritto penserà che i protagonisti di questo viaggio siano dei Grandi Lebowsky catapultati nel mondo delle fatiche e delle decisioni da prendere in breve tempo; ma posso tranquillamente negarlo: siamo persone normalissime che hanno commesso una vagonata di errori nello scegliere il viaggio, i tempi e i modi di spostamento oppure semplicemente siamo stati veramente sfortunati. Non mi dilungo in giustificazioni, in quanto il prossimo capitolo è dedicato ai lettori di questo scritto: spetta a voi valutare e commentare questo breve manoscritto. Lasciate la vostra opinione sui personaggi (veri) o sui fatti che hanno accompagnato questi tre idealisti delle vacanze fai da te. Max De Donno Novembre 2004: i commenti
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