Viaggio in India: il Kerala

La natura 'liquida' del Backwaters: tra gli aromi del tè, alla scoperta delle origini del cristianesimo
Scritto da: gildam21
viaggio in india: il kerala
Partenza il: 28/01/2011
Ritorno il: 31/01/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €
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Siamo in viaggio verso Thekkady, cittadina turistica alle porte del “Periyar Wildlife Sanctuary” (www.periyartigerreserve.org ), il parco naturale più importante del India meridionale, famoso per essere il rifugio degli ultimi esemplari di tigre asiatica.

Avanziamo sulle prime colline dei Ghati occidentali, dove alle palme si sostituiscono pian piano alle conifere e l’aria è più fresca e sottile. Superata la frontiera con il Tamil Nadu, entriamo nello stato del Kerala, uno dei più prosperosi dell’Unione Indiana, l’unico al mondo ad essere governato, con risultati positivi, da un regime comunista liberamente eletto dalla popolazione, la cui lingua (una delle 25 ufficiali del subcontinente) è il Malayalam. Iniziamo a vedere le prime chiesine bianche con il loro campanile, visione per noi familiare ma poco consueta in India: il Kerala infatti è lo stato indiano con la più alta concentrazione di fedeli di religione cristiana.

Giunti a Thekkady (circa 900 mt. di altitudine), piccolo centro che vive in funzione della sua vicinanza al parco naturale, veniamo accolti allo Spice Village, un bel resort completamente immerso in un odoroso giardino di spezie. Ci sistemano in un piccolo cottage con il tetto di paglia apparentemente un pò naif, ma all’interno ben arredato e confortevole, e ci viene offerta la possibiltà di seguire gratuitamente lezioni sulle piante officinali e sul loro utilizzo.

Nel pomeriggio trascorriamo due ore in battello sul lago all’interno del Perijar, alle cui rive vengono ad abbeverarsi gli animali selvatici. Non abbiamo avuto la fortuna di vedere la famosa tigre asiatica, ma di animali ne abbiamo visti parecchi, in particolare diversi branchi di elefanti con i loro piccoli (circa un migliaio in tutta l’area) e poi daini, bufali, cinghiali, scimmie, manguste e parecchie varietà di uccelli acquatici. La gita è molto bella, anche se non ci si può accostare alle rive perchè il rumore del motore potrebbe mettere in fuga gli animali, inoltre, è obbligatorio l’uso di un giubbotto salvagente piuttosto ingombrante che crea qualche problema con foto e riprese. Avendo più tempo a disposizione è possibile fare trekking e, volendo, soggiornare anche all’interno del parco.

Alla sera, dopo aver assistito all’esibizione di due danzatrici, “sacre”, ceniamo al buffet (tanta e buona roba da mangiare) dello Spice Village situato all’aperto, vicino alla piscina, quindi facciamo due passi fino a Thekkady, abbordati in modo insistente dai proprietari di innumerevoli negozi di souvenir che costeggiano la strada. Raggiunto il centro, molto misero e semibuio, animato solo da alcuni ristoranti di strada, scorgiamo vicino alla chiesa cattolica, una statua piuttosto primitiva che riproduce, ingrandendola più volte, la famosa ” Pietà” di Michelangelo.

immersi nella natura

Il giorno successivo siamo di nuovo in macchina e, scendendo dai Gathi, ci inoltriamo fra le piantagioni di thè: arbusti bassi e fitti ricoperti da cuscini di foglie, che visti a distanza danno l’idea di un unico tappeto verdissimo. Osserviamo anche il lavoro delle raccoglitrici, che staccano velocemente le foglie una ad una, riponendole in una gerla. Terminato il paesaggio collinare, ritroviamo la vegetazione tropicale e ci appaiono i primi canali con le house-boats: chiatte che un tempo trasportavano riso e che ora vengono utilizzate come alberghi galleggianti per i turisti in crociera. Il nostro hotel il “Coconut Lagoon” a Kumarakon, è raggiungibile solo ‘via acqua’, quindi saliamo su uno di questi barconi, salutando l’autista che rivedremo ad Alleppey. Le back-waters (acque interne) sono un’intricata rete di canali, alcuni naturali e altri creati dall’uomo, che collegano fiumi e lagune tipiche del paesaggio di questa zona che si estende fino al mare Arabico.

Lungo le rive si susseguono villaggi grandi e piccoli, palmeti e verdissime risaie. La gente si sposta usando canoe con le estremità ricurve, che possono essere a volte talmente capienti da trasportare tutti gli invitati di un matrimonio. Oltre a queste alcuni natanti (simili ai vaporetti di Venezia) svolgono il servizio pubblico, accostandosi a fermate realizzate sulle zattere. Nelle back-waters gli abitanti vivono a stretto contatto con l’acqua: il bucato, il lavaggio delle stovoglie e l’igiene personale, tutto si svolge nei canali!

Osservando la natura lussureggiante lungo i corsi d’acqua, sui quali proliferano stuoie di piante galleggianti, simili ai giacinti d’acqua, arriviamo al “Coconut Lagoon” che sembra una piccola Venezia tropicale. L’area del resort sorge su alcune isole collegate da piccoli ponti e di fronte al complesso si estende un lago di cui non vediamo le sponde.

Alla reception ci viene offerta, come benvenuto, l’acqua di cocco servita nei cocchi stessi, apprendiamo inoltre che le eventuali mance potranno essere versate in un apposito box e successivamente distribuite dalla direzione al personale in parti uguali. Anche qui alloggiamo in un bungalow in legno di teak, spazioso e ricco di ogni confort; una particolarità: i servizi igienici si trovano in un piccolo giardino parzialmente coperto annesso alla camera.

Il posto è di grande suggestione e molto silenzioso, vi abbondano orchidee e piante di spezie, tutte classificate con il nome comune e quella botanico della specie. Lo shop ha prezzi accessibili ed è piuttosto fornito di ogni genere di souvenir: dall’abbigliamento, all’oggettistica, dai libri ai quadri passando per le cartoline. Noto che molti manufatti provengono da Auroville, la città ideale di Aurobindo, e all’esterno sono esposti a alcuni pezzi di antiquariato interessanti ma, purtroppo, troppo grandi per essere trasportati in viaggio. La sera apprezziamo l’esibizione di una danzatrice, accompagnata da musica e cantanti, uno dei quali ci spiega il significato di gesti ed espressioni del volto attraverso i quali la ragazza racconta una vicenda tratta dal Mahabaratha o dal Ramayana.

Nel parco e lungo i canali

Il giorno successivo ci dedichiamo al bird watching. Kumarakon si trova infatti nell’area di un parco ornitologico: il Kumarakon Bird Sanctuary, e non ci manca l’occasione per scattare alcune belle foto, ma la nostra attenzione è attratta da alcune mucche in miniatura, che brucano tranquillamente l’erba nei prati vicino alla piscina. Apprendiamo che si tratta di una specie protetta, caratteristica del luogo. Il resort, come quasi tutti gli hotel nel Kerala, offre la possibilità di sottoporsi a trattamenti ayurvedici come massaggi e cure di bellezza, noi non lo abbiamo fatto per ragioni di tempo, ma pare che siano molto piacevoli e rilassanti. L’Ayurveda, antica medicina tradizionale indiana, il cui nome significa conoscenza della vita o anche conoscenza della longevità, è un complesso di trattamenti tesi a mantenere il benessere fisico e a prolungare la durata della vita mediante l’uso delle erbe officinali. Tiziano Terzani nel suo bel libro “Un altro giro di giostra” narra le sue personali esperienze in materia di Ayurveda; consiglio questo testo a chi voglia saperne di più sull’argomento.

A mezzogiorno ci imbarchiamo sulla nostra house boat, dove trascorreremo il pomeriggio. A prua c’è un timoniere e altre due persone provvedono ai servizi di bordo e al pranzo. L’imbarcazione è una sorta di cabinato dotato di una camera da letto con servizi privati, preceduta da un vano verandato adibito a soggiorno-sala da pranzo. L’arredamento e la coperture sono in paglia intrecciata e giunco. Iniziamo così il nostro viaggio nel clima sonnolento delle ore meridiane e ci tornano in mente le descrizioni che Arudhati Roy fa di questa regione nel suo libro “Il dio delle piccole cose” (da leggere assolutamente!). Col passare delle ore la temperatura scende e la vita si anima, la gente lungo le rive ci sorride e ci saluta, notiamo che ogni villaggio ha la sua chiesa, mentre un vaporetto, il ”Vatican”, ci supera… insomma il Kerala si presenta come un paese cattolico.

Dopo sei ore di navigazione arriviamo ad Alleppey, e troviamo ad attenderci il nostro autista, che ci conduce a Cochin (Kochi) seconda città del Kerala, un tempo importante porto per il commercio delle spezie e ora megalopoli che eccelle nell’industria delle tecnologie informatiche. Affacciata sulle sponde del lago Vembanad, al termine delle back waters sulla costa del Malabar, Cochin è una grande area metropolitana formata dalla penisola di Fort Cochin, da una vasta zona moderna, in fase di vorticosa espansione, chiamata Ernakulam e da alcune isole collegate alla terraferma da ponti e traghetti. La nostra destinazione è l’Hotel Trident, albergo di recente costruzione, valido come struttura, ma distante dalla zona storica.

Il giorno successivo visitiamo Fort Cochin che ci accoglie con suo lungomare (Marina Drive), costeggiato da un’area verde dove, all’ombra di alberi secolari, si susseguono piccoli ristoranti e chioschi di souvenir, un luogo vagamente europeo e molto piacevole.

La nostra guida: Marco, uno studente universitario che parla un po’ di italiano, ci fa notare le reti cinesi con il loro complicato sistema di contrappesi, la cui presenza qui testimonia il passaggio dei mercanti di Kublai Kan che, nel 14° secolo, raggiunsero il sud dell’India attirati dal prospero commercio delle spezie, seguiti poi da portoghesi, francesi, olandesi e britannici. Tutti questi viaggiatori lasciarono impronte architettoniche e culturali che rendono questa città una meta unica.

Secondo la leggenda, l’apostolo Tommaso, nel 52 d.C., raggiunse le coste del Malabar per diffondere il messaggio cristiano e la comunità siriano-ortodossa si considera tutt’ora depositaria dei suoi insegnamenti religiosi.

La chiesa di San Francesco, la più antica chiesa cattolica dell subcontinente, fu costruita dai francescani portoghesi, all’inizio del 1500. Visitarla è molto suggestivo per il contrasto fra l’esterno, tipicamente europeo, e l’interno, dove dal soffitto pendono i panka, grandi ventagli di stoffa che, azionati dal basso, mitigano la calura nelle giornate più torride. Nella chiesa è visibile ancora la lastra tombale del navigatore Vasco da Gama, le cui spoglie furono traslate a Lisbona 14 anni dopo la morte, e su una parete una targa commemorativa ricorda la visita, avvenuta nel 1997, della regina Elisabetta II d’Inghilterra.

Passeggiare per le stradine di Fort Cochin è molto gradevole, il traffico è quasi assente e si possono ammirare gli edifici in stile coloniale portoghese e le graziose facciate delle case olandesi, che ricordano Amsterdam. Parecchie di queste costruzioni sopravvivono in buono stato di conservazione perché trasformate in alberghi e guest houses di charme. Ci fermiamo anche ad osservare il cimitero olandese, abbandonato e un po’ malinconico con le sue lapidi di pietra che spuntano tra l’erba alta.

Raggiungiamo il quartiere di Mattancherry, dove a poca distanza uno dall’altra si possono visitare il Palazzo Mattancherry e la Sinagoga. Secondo la tradizione, alcune comunità giudaiche in fuga dalla Palestina dopo la distruzione del tempio nel 70 d.C., giunsero in Kerala e si insediarono su questa costa, lo testimonia il quartiere ebraico, le cui strade strette, tortuose e ricche di negozi di antiquariato, circondano la piccola sinagoga Paradesi, la più antica della città. Quest’ultima è caratterizzata da un grazioso campanile con l’orologio, è piccina ma interessante da visitare: è illuminata da grandi finestre e decorata con lucenti piastrelle di maiolica cinese, mentre dal soffitto pendono fragili lampadari di cristallo belga. Il palazzo Mattancerry, che condivide una parete con la sinagoga, fu costruito dai portoghesi e donato al Raja di Cochin in cambio di favori commerciali. Successivamente fu restaurato dagli olandesi e questo spiega l’appellativo di palazzo Olandese col quale è anche conosciuto. La visita è interessante grazie alla presenza di un ciclo di affreschi veramente notevoli che ne decorano le pareti e rappresentano episodi del Ramayana, inoltre dalle finestre si può ammirare il caratteristico tetto a cono del piccolo tempio Hindu che sorge nel cortile interno del palazzo ed è dedicato a una divinità locale protettrice della famiglia reale.

Il nostro soggiorno a Fort Cochin si conclude con uno spettacolo di teatro-danza Kathakali. Queste rappresentazioni di carattere artistico-religioso, hanno una tradizione che risale al XVII sec. e consistono nella drammatizzazione di episodi tratti dai poemi epici hindu, che un tempo si svolgevano nei recinti dei templi e duravano per tutta la notte. Ora è possibile vederne brevi spezzoni all’interno di piccoli teatri di fronte a un pubblico prevalentemente turistico.

Ci rechiamo sul posto un’ora prima dell’inizio dello spettacolo per assistere alle operazioni di trucco degli attori, che si presentano sul palcoscenico con specchio e pennelli, decorandosi il volto con colori che hanno un significato simbolico: il verde per gli dei e gli eroi, rosso e nero per i demoni e le creature infernali, mentre il personaggi femminili (interpretati sempre da uomini) ed i saggi recitano con la pelle al naturale.

Gli artisti si esprimono ricorrendo alla mimica facciale e a una gestualità manuale molto complessa e codificata, indossano costumi sontuosi caratterizzati da gonne a ruota sostenute da intelaiature, che ricordano le nostre crinoline e portano in testa torreggianti ed elaborate tiare. Lo spettacolo è accompagnato da un musicista che scandisce il ritmo della narrazione con un tamburo e da un cantante. L’impressione che ne ho tratto è stata di grande coinvogimento e di forte emozione. Al termine della recita ci è stato chiesto di lasciare (oltre al biglietto già pagato) un’offerta libera a favore delle scuole che educano i ragazzini a questa splendida forma d’arte, purtroppo in via di estinzione, richiesta alla quale abbiamo aderito volentieri.

Lasciamo Fort Kochi la mattina presto con un volo dell Easy Jet per Bangalore, ma portiamo con noi il ricordo della splendida natura tropicale del Kerala.

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