Viaggio di nozze on the road: California, Nevada, Utah, Arizona da scoprire!

Breve diario di un viaggio di nozze tanto sognato: consigli e aneddoti di tre settimane tra le principali città della West coast e le sue meraviglie naturali.
Scritto da: Chiaritrace
viaggio di nozze on the road: california, nevada, utah, arizona da scoprire!
Partenza il: 04/09/2019
Ritorno il: 23/09/2019
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
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Viaggio di nozze on the road: California, Nevada, Utah, Arizona da scoprire!

4 settembre 2019: partenza!

Itinerario: Roma – San Francisco

Finalmente il gran giorno è arrivato! Felicissimi di poter iniziare questa nuova avventura insieme, partiamo alla volta del viaggio tanto studiato e sognato negli ultimi mesi.

Con noi abbiamo solo due zaini per viaggiare comodi e leggeri, tenendo conto soprattutto degli spostamenti in macchina, avendo scelto di dormire sempre in posti nuovi. Siamo partiti così leggeri che la sottoscritta ha lasciato anche il cellulare a casa. Una disattenzione della quale sarò felice durante il nostro viaggio.

Il volo Alitalia è andato benissimo e dopo un rapidissimo scalo a Los Angeles (fortuna che non avevamo i trolley, occorre re-imbarcare tutto!), arriviamo a San Francisco.

In attesa di andare a ritirare le chiavi di casa dove avremmo dormito la notte, abbiamo iniziato a vagabondare per le vie del centro, e per ripararci dal freddo siamo finiti in un localino a Chinatown. Qui abbiamo iniziato a prendere confidenza con la mancia: ci hanno chiesto se volessimo lasciare il 10, il 18 o il 25%, anche trovandoci in un fast food in cui eravamo noi a doverci servire a tavolo.

Verso le 21.00 ci siamo spostati a Presidio, poiché per il pernottamento della prima sera abbiamo scelto di fare uno scambio di casa con Jeanne Marie, ed è così che siamo finiti in una deliziosa casetta vicino al Presidio di San Francisco, una zona poco centrale ma molto carina.

Per lo scambio di casa abbiamo utilizzato il sito home exchange, e per una somma di 30 euro di assicurazione e uno scambio di qualche centinaia di guestpoints (gratutiti), abbiamo soggiornato presso la nostra casina californiana.

La cosa più interessante è stata notare le differenze con i nostri palazzi: quando siamo entrati nell’androne, pareva di stare in un’unica casa su più piani. Per terra c’era una moquette rosso mattone, le porte tutte bianche sembravano servire per accedere alle stanze, tanto erano minute, e la serratura praticamente inesistente. I muri erano in cartongesso, sottilissimi.

All’interno della cosa più bella era il salottino, super accogliente e pieno di oggetti interessanti provenienti da varie parti del mondo. Una bellissima bay window (finestra a bovindo) completava il l’idilliaco quadretto.

Ma di tutte queste cose, ci saremmo resi conto solo la mattina dopo…ci siamo buttati a dormire stremati dal viaggio a 24 ore dalla partenza.

5- 6 settembre 2019: San Francisco here we are!

San Francisco

I primi due giorni sul suolo americano sono trascorsi rapidamente, tra corse in tram, passeggiate lungo i Pier, una quasi rapina in metro e skyline da brividi.

Abbiamo scelto di non partire subito per il giro dei parchi per attutire gli effetti del jet leg e ambientarci nel nuovo continente. Scelta molto saggia perché la sera alle 19 eravamo cotti di sonno, neanche fossero le 4 del mattino!

In effetti la mia prima sveglia è stata alle 3.30, ma abbiamo aspettato un altro paio di ore per uscire di casa e fare una breakfast fiesta in un bellissimo e poco turistico localino retrò. Dopo un french toast, bacon eggs, cipolle a volontà, vanilla latte (che non è aromatizzato alla vaniglia), ci siamo recati verso la fermata del bus che ci avrebbe portato in centro…senza lo zaino della macchinetta fotografica! Tornati indietro lo zaino era ancora lì, mentre il bus era già passato e abbiamo ritardato il nostro giro in centro. Poco male.

Abbiamo girato per Union Square, passando per Chinatown e North Beach, fino a raggiungere la famosa Coit Tower a Telegraph Hill, da cui si gode di una bellissima vista di San Francisco a 360 gradi. A distanza di tempo ricordo ancora l’emozione del timbro di ingresso raffigurante l’orso della bandiera della California: era diventato tutto reale!

Dalla Coit Tower siamo scesi verso i Pier e qui finalmente mi sono sentita in California: sole, mare, vento caldo e tanta gente in infradito (e felpetta caratteristica).

Per pranzo ci dedichiamo un’ottima clam chowder, una zuppa di pesce servita in un paninone scavato (ok, lo ammetto, tra noi non è nata proprio una passione) e dopo un centinaio di foto circa sul Pier 39 e altrettanti improperi di mio marito, continuiamo a camminare lungo la costa.

Giunti nei pressi del famoso ponte rosso, o per meglio dire, arancione internazionale, una nebbiolina ci ha circondati velocemente e ha continuato ad accompagnare il nostro viaggio nei giorni a seguire, come se un gruppo di dissennatori ci seguisse ovunque. Da vicino è più maestoso e interessante che in foto, mi sarebbe piaciuto moltissimo poterlo attraversare e dedicare una mezza giornata a Sausalito. Sarà per la prossima volta!

Per le due sere a venire ci siamo trasferiti al The Mosser Hotel (modica cifra di 400 euro per due notti, piccola colazione inclusa. Stanza al di sotto delle aspettative, molto piccola).

Abbiamo cenato in un’ottima hamburgeria nei pressi dell’hotel e alle 21.00 eravamo già a nanna.

Il giorno dopo il jet leg ci ha fatti svegliare alle 5.00, in tempo per fare lunga doccia (calda), una breve colazione salutare (quei muffin con le noci…) e ci rituffiamo alla riscoperta di San Francisco.

Arrivati al Golden Park abbiamo avuto il primo (di una lunga serie) incontro con uno degli animali più aggressivi che abbia mai visto: gli scoiattoli! Pensavo fossero carini, pensavo male. Una piacevole camminata ci ha portati al Japanese Tea Garden (dalle 9 alle 10 l’ingresso è gratuito). E’ un angolo di Giappone in California, verde e rilassante… ma col senno di poi avremmo scelto di visitare qualcos’altro.

Sulla via di ritorno siamo passati per Alamo Square per salutare le Painted Ladies, 4 casette in stile vittoriano dai colori pastello.

Ci siamo goduti il tragitto con in mano un pacco di Doritos, patatine buonissime a vari gusti che creano forte dipendenza.

Tornati in centro abbiamo visitato Lombard Street, una delle vie più tortuose e affollate al mondo, giungendo a Fisherman’s Wharf, con il capolinea del famoso Cable car. Il pranzo è stato veloce a base di baked potatoes, per variare la nostra dieta.

Il pomeriggio alle 17.30 avevamo il biglietto per vedere Alcatraz. L’orario è stato importante, una chicca in più che ci ha permesso di vedere San Francisco tingersi dei colori del tramonto e, tornando con il traghetto, illuminata di notte.

La visita di Alcatraz è stata un’esperienza molto bella, complice la perfetta organizzazione statunitense: l’audioguida molto interessante, ti coinvolge e rende vivido ciò che accadeva in quel luogo anni prima. La vista al rientro è stata spiazzante: SF bellissima, elegantissima, con mille lucine a sorriderci.

Siamo arrivati nella zona dell’hotel stremati e abbiamo bissato la cena nel posto che già conoscevamo. E’ così che mi ritrovo a dare la buonanotte a San Francisco, emozionata nell’iniziare una nuova avventura il giorno seguente.

Consiglio: un pile sempre in borsa, a SF può fare molto freddo anche in estate, il tempo cambia velocemente ed è umido. E attenzione ai furti: un ragazzo ha provato a rapinarci e poi a estorcerci dei soldi in metro, abbordandoci con una scusa e poi diventando verbalmente violento.

7 settembre: finally on the road!

Itinerario: San Francisco – Yosemite (315 km)

La mattina ci rechiamo di buonora in aeroporto per ritirare la macchina presa in affitto con Alamo. Per la cronaca: ci siamo trovati benissimo, abbiamo avuto solo dieci minuti di panico per capire come si accendeva e come si poteva evadere dal parcheggio e via spediti (ma non troppo, è vero che le volanti spuntano DAL NULLA!) verso lo Yosemite. Prima di arrivare avevamo oculatamente previsto una tappa al Walmart di Livermore, molto comodo poiché si trova proprio sulla strada. Abbiamo acquistato così ogni sorta di genere alimentare, dei capi di vestiario che ancora usiamo (specie un giubbotto, di qualità ottimo e prezzo contenutissimo), una valigia da riempire lungo la strada. Siamo arrivati prima del tramonto all’ingresso del parco, abbiamo acquistato l’Annual pass (costo pari a 80 dollari, se si vogliono visitare almeno 3 parchi nazionali conviene) e arriviamo in tempo per vedere il nostro primo tramonto a Tunnel View.

Consiglio: si arriva e si parcheggia la macchina, ma è un posto molto famoso per cui è meglio non arrivare troppo tardi. C’è anche un sentiero che parte da lì ma non lo abbiamo considerato dato il poco tempo a nostra disposizione.

La sera torniamo alla nostra cabin a El Portal (Indian Flat Campground, 10 minuti dall’entrata del parco) e la sera ci dedichiamo una cena immersi nel verde dei confini dello Yosemite, presso lo Yosemite Cedar Lodge, un po’ caro ma buono.

8 settembre: stunning Yosemite!

Itinerario: Yosemite – Bridgeport (160 km)

Arrivati presto in mattinata, ci siamo recati presso lo Yosemite Valley visitor center per avere la cartina con i sentieri e delle informazioni. Consiglio: per noi è stato sempre molto utile passare per i visitor centers, poiché sono degli infopoint organizzatissimi, chiarissimi, spesso accolgono dei musei che spiegano la formazione delle rocce, la caratterizzazione della fauna e della flora, e riportano le informazioni e gli orari per gli shuttle che ti portano nei parchi. Nei NP infatti, in alcuni punti ci si può muovere con la macchina, in altri invece è conveniente lasciarsi portare dalle navette. Abbiamo intrapreso un sentiero di difficoltà media che ci permettesse di vedere il parco dall’alto (sentiero Nevada Falls loop) e camminato per qualche ora su questa roccia granitica meravigliosa…Lo spettacolo che si apriva davanti ai nostri occhi ad ogni passo era veramente sorprendente!

Dopo un pranzo veloce in un’amena radura, affatto sereno data l’ansia di controllare che non arrivassero animali selvatici attratti dal nostro cibo, abbiamo ripreso la macchina in direzione Bridgeport, una minuscola cittadina situata alla parte opposta del parco, meta scelta per percorrere la famosa Tioga Road e poter vedere la ghost town Bodie (Bodie State Historic Park).

La Tioga road (California State Ruote 120) è una strada che gode di una meritatissima fama, che attraversa le montagne della Sierra Nevada e costeggia dei laghi splendidi.

Nel tardo pomeriggio siamo arrivati a Bridgeport, fatta da 4 incroci e 10 strade… uno splendido tramonto ci ha accolto. Abbiamo alloggiato al Big Meadow Lodge: è stata un’esperienza molto americana, dispersi praticamente nel nulla, ai lati della superstrada, con i camion enormi che sfrecciavano su e giù. Posto essenziale ma consigliato.

9 settembre: verso la Valle della Morte

Bridgeport- Death Valley (400 km)

Sveglia presto, rapida colazione con la spesa di Walmart e il caffè americano (è il sesto giorno, ormai siamo diventati dei fan) e ci siamo diretti verso Bodie. Onestamente non ne sono rimasta entusiasta, tuttavia credo che in questo tipo di viaggio era praticamente d’obbligo visitarla. Nel nostro itinerario era molto comoda in effetti. Comunque continuiamo verso il deserto facendo tappa a Mammoth Lake, bellissima cittadina di alta montagna in cui abbiamo fatto anche il nostro primo bucato a gettoni! Abbiamo consumato un rapido pranzo in un parchetto per bambini a base di insalata e ottimo pollo in scatola (avremmo iniziato ad apprezzare anche questo, ma ancora non lo sapevamo), con i daini che brucavano l’erba proprio accanto a noi! Meravigliosa la California: non c’è un angolo uguale all’altro! Arriviamo all’ingresso della Death Valley poco prima del tramonto, con il chiaro intento di stare a Mesquite Flat Sand Dunes.

Tornando al nostro viaggio: scesi gli ultimi raggi di luce solare ci siamo trovati nel buio pesto, che è buio vero. Senza navigatore che non funziona nella Death Valley. Bene, per 10 minuti ho temuto ci fossimo persi e che non avremmo mai trovato quello che cercavamo. Ovviamente mi sbagliavo alla grande. A distanza di mesi sorrido a vedermi persa sull’unica strada che attraversa la valle.

La sera abbiamo cenato e alloggiato a The Ranch: il posto è molto carino, anche se fintissimo, con l’aria condizionata a palla tanto da farci rimpiangere il maglione ben riposto nello zaino in camera. Cena nella media, costo molto elevato. Tutto sommato, sarebbe stato meglio bissare il pollo in scatola.

Ah e l’effetto all’esterno, spesso descritto come sensazione di avere un phon sparato addosso, è proprio veritiero.

Consiglio: se potete, dormite nella Death Valley, anche se il costo è elevato. Così facendo si può vedere alba e tramonto nel deserto, con panorami e colori mai visti. Inoltre si evita di attraversare il parco nel pieno del caldo, una cosa super sconsigliata ma che tanti fanno sottovalutando il caldo del deserto che è veramente molto molto caldo. Altro consiglio: fare sempre sempre benzina prima, e girare con il serbatoio pieno.

10 settembre: Vegas baby!

Death Valley- Las Vegas (215 km)

La sveglia è suonata presto per recarci a Zabrieskie Point e Dante’s View per vedere l’alba. Le morbide rocce delle Black Mountains si colorano di toni caldi e armoniosi, veramente strabiliante! Abbiamo camminato un po’ seguendo un sentiero per vedere il deserto dall’alto (Badwater basin, Devil’s golf course) e alle 9 il sole ha iniziato a battere caldo e ci siamo rimessi in moto verso la Sin City. Prima di arrivare al nostro trashissimo hotel abbiamo fatto una tappa all’outlet. Non sono sicura di poterlo consigliare, ma abbiamo comprato qualcosa a prezzi decenti. Non essendo dei fissati della moda potevamo anche evitarlo col senno di poi.

Bene. Las Vegas. Personalmente è un grande NO, ma è affascinante in qualche modo. Probabilmente dopo giorni immersi nella natura, nella quiete, nel religioso silenzio nell’osservare albe, tramonti, montagne, prati, animali…arrivare in questo tripudio di luci, persone, cibo è stato troppo. Las Vegas è tanta, o la ami o la odi. Abbiamo alloggiato all’Excalibur Hotel, non ricordo se 40esimo piano. Già questo ci ha fatto un brutto effetto, insieme alla coda fatta per avere la stanza, e alle persone incollate alle macchinette a giocare e giocare con l’aria condizionata a palla e la puzza di fumo che li circondava. Abbiamo fatto un rapido giro per vedere i principali hotel della street.

Al buffet del Bellagio c’era di tutto. Cibo proveniente da praticamente ogni parte del globo terrestre. I dolci erano uno spettacolo già per la vista. Il gruppo di giapponesi che mangiava rumorosamente un branco di aragoste un po’ meno. Comunque lo consiglio nonostante il prezzo abbastanza alto (circa 50 dollari a persona mancia esclusa). Lo spettacolo a cui abbiamo assistito delle fontane danzanti è stato bello ed elegante, veramente non me lo aspettavo.

Siamo rientrati nel nostro kitsch hotel interdetti, ma con gli occhi pieni di cose nuove.

Consiglio: se si sceglie di andare ai buffet calcolate le code! Inoltre c’è un app (MyVegas) che giocando permette di ricevere servizi e sconti vari sui principali hotel della street. Noi abbiamo presentato un voucher per bevande illimitate al buffet del Bellagio

11 settembre: Zion NP, la vera scoperta del nostro viaggio

Las Vegas – Zion (260km) – Panguitch (100 km)

Siamo partiti da LV a cuor leggero, felici di riimmergerci nei colori e nei suoni della natura.

Lo Zion è stato il parco che mi è piaciuto di più, forse perché è quello che mi ha sorpreso più di tutti. Fino all’ultimo non sapevo se metterlo o meno nell’itinerario e sono stata felice di averlo fatto. Per arrivare abbiamo percorso la strada panoramica UT-9, iniziando a prendere confidenza con le rocce rosse che hanno accompagnato da lì a qualche giorno il nostro viaggio.

Giunti nel parco, abbiamo intrapreso il sentiero Angels Landing, senza raggiungere la vetta perché ho avuto molta paura: la parte finale del sentiero infatti è molto scoscesa. Per arrampicarsi sulla vetta c’è una catena a cui ci si può sostenere per la salita e per la discesa (non molto sicuro), ma la cosa peggiore era che era il tratto era stra-pieno di turisti, molti dei quali in infradito. Ho temuto per la mia e la loro incolumità, se una persona fosse inciampata, ne sarebbero cadute giù almeno tre, per cui abbiamo preferito restare in cima, a goderci il bellissimo panorama e a scrutare gli scoiattoli che litigavano tra loro per delle ghiande. Il panorama anche in discesa è stato magnifico: questo parco merita tanto. mentre ci trovavamo sul sentiero, abbiamo incontrato un giovane statunitense che portava nello zaino una sventolante bandiera degli USA. Molti dei connazionali lì presenti applaudivano e gli lanciavano grida di sostegno ringraziandolo per quello che faceva nel giorno della commemorazione delle vittime del 9/11. Siamo rimasti ancora una volta colpiti dal loro patriottismo, e la sottoscritta si è sentita in colpa perché ha subito pensato fosse un altro americano esaltato.

Abbiamo pernottato a Panguitch al Blue Pine Motel, e cena alla Cowboys Smokehouse Cafè a base di hamburger, patatine fritte dolci e birra.

La sera, con la testa sul cuscino, mi ritrovo ancora una volta mi ritrovo a benedire la soffice morbidezza dei letti nei motel americani.

12 settembre: Tra le rocce rosse

Panguitch – Bryce Canyon (40 km) – Page (240 km)

Ci siamo lasciati alle spalle Panguitch per andare verso il Bryce Canyon, parco famoso per gli hoodoos, dei pinnacoli rossi, arancioni e bianchi prodotti dall’erosione delle rocce da parte di acqua, vento e ghiaccio. Suggerivano in molti di vedere questo parco all’alba e al tramonto, ma purtroppo, complici le decine di Km percorsi a piedi, non siamo riusciti ad alzarci in tempo. Le rocce rosse dello Utah e dell’Arizona sono spettacolari, e anche questo parco è riuscito a meravigliarci. Siamo partiti alla volta di Page perché qui volevamo vedere il tramonto all’Horseshoe Bend sul Lake Powell (tutto molto caratteristico, ma è un lago creato artificialmente nel fiume Colorado, con la costruzione della diga Glen Canon). Abbiamo alloggiato in un Motel 6, che sicuramente non possiamo consigliare data la scortesia del personale. Il ristorante Fiesta Mexicana in cui abbiamo mangiato degli ottimi burritos e enchiladas invece è consigliatissimo, attenzione solo alle dimensioni della margarita regular (dimensione normale, non grande) che è da mezzo litro!

13 settembre: nelle terre dei Navajo

Page – Antelope Canyon – Monument Valley (200 km)

La mattina abbiamo lasciato molto volentieri i nostri amici Navajo che gestivano rudemente il motel, per andare verso la Monument. Eravamo indecisi se dormire o meno presso il The View dati i suoi costi esorbitanti, ma ascoltando i consigli dei viaggiatori più esperti abbiamo ben investito i nostri 140 dollari.

La mattina è stata dedicata alla visita dell’Antelope Canyon, un canyon scavato dal vento e dall’acqua, dalle forme sinuose e i colori rossastri. Certamente lo consiglio, soprattutto il tour delle 11.00, momento in cui il sole è alto e la luce è perfetta, ma dal vivo è stato deludente: certamente è un luogo unico nel suo genere, ma è un posto molto turistico, in cui i gestori, per lo più Navajo, sono sgarbati. Organizzano le visite di massa e di corsa. Ed è piccolo, estremamente piccolo rispetto alla grandiosità degli altri parchi visitati.

Ad ogni modo siamo partiti per la Monument e subito dopo il check in, sistemati in stanza, siamo partiti alla volta della Valley Drive, la strada che circonda i Butte. L’inizio è dissestato (una strategia dei Navajo per far desistere i viaggiatori solitari e far acquistare dei tour?), e dopo qualche metro migliora. Con il nostro umile mid-suv siamo riusciti a percorrere il breve itinerario ad anello in circa 2 ore, fermandoci spesso per osservare da vicino tante grandi piccole meraviglie. Ci siamo goduti un rossissimo tramonto dalla terrazza del The View Hotel, e in seguito abbiamo consumato lì anche la cena, unica esperienza non memorabile della giornata.

Prima di tornare in stanza, ci siamo fermati a guardare una parte di un vecchio film western in bianco e nero proiettato all’aperto. Siamo andati a dormire che ci sembrava di stare in un’altra dimensione.

14 settembre: la vastità del Grand Canyon

Monument Valley – Grand Canyon – Tuyasan (280 km)

La mattina la sveglia è suonata prestissimo. Abbiamo aspettato l’alba sulla terrazza con il nostro solito caffe americano tra le mani, più che altro per provare a scaldarci. Questa è stata l’alba più bella della mia vita: il silenzio intorno a noi era assordante, i colori indescrivibili tanto che nessuna foto potrebbe mai render loro giustizia.

Ci siamo rimessi in macchina verso le 9.00, alla volta del Grand Canyon (South Rym). Onestamente, con gli occhi pieni delle meraviglie appena vissute, il Grand Canyon in un primo momento ci è parso talmente vasto e oggettivamente bello che non ci ha colpito. Scegliendo poi di percorrere il Bright Angel Trail la situazione è cambiata: il camminare nelle gole del Grand Canyon, osservarne le mille sfaccettature, le piante, le rocce, le aquile che volano basse, ce lo ha fatto amare in un modo grandioso.

La sera abbiamo fatto una ottima cena al Big E Steackhouse, e dormito al Red Feather Lodge. Entrambi consigliati

15 settembre: “One, two, three…Say queeesooo!”

Grand Canyon – Sedona (175 km)

Rimessi gli scarponi ai piedi iniziamo la discesa nel secondo trail del GC, il South Kaibab trail. Si tratta di un sentiero più soleggiato, ampio, con grandi orizzonti che si aprono agli occhi. In un tratto mi sono trovata lo strapiombo su entrambi i lati del sentiero, immersi in una delle migliaia di gole del GC…è stato un momento bellissimo, magico, rovinato poco dopo da una rumorosa inglese che per farci sorridere in foto ha cominciato a urlare “one, two, three…SAY QUEEESOOO!”.

Il pomeriggio siamo partiti alla volta di Sedona, tappa aggiunta all’ultimissimo momento e per questo preparata non nel dettaglio. A questo si è sommata la stanchezza dei km percorsi la mattina, e abbiamo desistito dal percorrere un percorso li intorno.

Cena a Tortas de fuego e notte al Sedona Village Lodge. Consiglio entrambi, anche se il lodge era in fase di ristrutturazione e non si vedeva il panorama sulle rocce rosse.

Abbiamo notato che siamo stati scambiati spessissimo scambiati per spagnoli/latinoamericani. Con molte delle persone incontrate, in particolare i camerieri, abbiamo parlato spagnolo che è praticamente una seconda lingua in queste zone.

16 settembre: cosa significa “flash flood?”

Itinerario: Sedona – Kingman (280 km)

Abbiamo trascorso la mattina tra una veloce passeggiata per le rocce rosse di Sedona (anche un po’ scivolose, abbiamo provato a intraprendere il Bell Rock trail ma dopo un paio di foto siamo tornati verso la nostra Chevy, anche perché il tempo iniziava a cambiare, e in effetti è diventato minaccioso in pochi istanti. Abbiamo poi visitato la Holy Chapel nella quale ci siamo riparati da un violento acquazzone. In effetti occorre tener presente che è una zona soggetta a “flash foods”, come segnalano i cartelli di pericolo.

Consiglio: il coffee pot a Sedona, per fare una colazione o un brunch. Ha più di 100 tipi di omelettes e il prezzo è più che onesto.

Con la pancia piena ci siamo messi in viaggio per Kingman, arrivati a Williams abbiamo preso la vecchia Route 66, facendo una tappa a Seligman. Ci siamo trovati trapiantati nel film “Cars”. E Infatti Seligman è una città che vive grazie ai nostalgici dei veri OTR degli anni passati. E’ molto vintage, a tratti trash, ma carina. Tornati sulla mother road abbiamo assistito a un inseguimento: una macchina ci ha sorpassati, superando il limite orario di 10 miglia. Dal nulla è spuntata una macchina della polizia che ha inseguito i malcapitati .

Arrivati a Kingman in un modesto motel (Arizona Inn, soli 58 dollari a notte con colazione!), siamo andati direttamente a cenare al Rickety Cricket Brewery per un panino e una buonissima birra al mango (per chi passasse di lì: prendete la mango drop!) solo dopo aver mostrato il documento di identità.

17 settembre: cara vecchia Route 66

Itinerario: Kingman – Santa Monica (540 km)

Oggi ci aspetta il tratto di strada più lungo. Col senno di poi, anche quello più noioso. Persino del Nevada che spesso è tutto uguale.

Abbiamo velocemente visitato il museo della route 66, per dirigerci verso Los Angeles. Il museo racconta la storia della Route, della ferrovia che la precedeva, delle persone che l’hanno abitata. E’ stato utile per entrare più a fondo a nella mentalità americana, dei grandi camion e delle macchinone. Molte cittadine sono morte con la morte della motherroad, come Oatman, popolata da soli asinelli e da negozianti. Una citta fittizia costruita per i turisti.

Abbiamo ripreso interstate 40 abbandonata a Williams (la terza autostrada più lunga degli USA). Attraversare il Mojave Desert non è stato particolarmente emozionante, complice la strada che scorre monotona. In compenso al settimo giorno di macchina ho capito di amare le note famigliari della musica country, anche perché se così non fosse stato sarebbe stata dura, dato che sono almeno 10 le stazioni che passano questo genere musicale!

Per arrivare a Santa Monica passiamo per Los Angeles: un caos di macchine incolonnate le une sulle altre. Santa Monica invece è un’altra storia. Abbiamo preso una casetta con airbnb non lontano dal molo e da qui andiamo prima a Venice, poi a piedi fino a Santa Monica (è una passeggiata molto lunga, specie via sabbia). Cena da Bubba Gump, fantastico fast food di pesce sul molo da cui puoi osservare il mare, e in cui ho gustato un’altra fantastica tequila con degli ottimi gamberi al cocco. Profumavano di Paradiso!

18 settembre: La Città degli Angeli

Los Angeles

E’ stata una giornata impegnativa, immersi nel caos di questa città ricca di contraddizioni. Non eravamo partiti con molte aspettative ed è stato meglio così. I mezzi di trasporto pressoché inesistenti o inutilizzati, la conseguenza è che il traffico è pazzesco. Il costo dei parcheggi è esorbitante.

Usciamo da casa alle 8, arriviamo a Dowtown dopo due ore di macchina (per fare 16km). Visitiamo la vecchia stazione passando poi per Grand Park, la plaza Pueblo de la Reina de los Angeles (punto in cui a fine 170 nacque LA, con 44 persone, 11 famiglie), per arrivare fino alla Walt Disney concert hall. Ci siamo recati poi al Griffith Observatory, di cui ho apprezzato la vista sulla città e da qui si può ammirare la scritta Hollywood da più vicino. Siamo poi scesi per visitare l’omonimo quartiere e visitare la walk of fame con il Dolby Theatre e Chinese Theatre.Per pranzo ci sediamo, ordiniamo dei panini e poi corriamo letteralmente verso la macchina poiché scadeva il parcheggio (è un problema a LA, e costa moltissimo) ed è cosi che ci siamo ritrovati a mangiare panini unti in macchina sulla walk of fame.

La sera ci gustiamo un altro splendido coloratissimo tramonto e una cena all’Albright. Finalmente del pesce dopo tutti i panini (ottimi) degli ultimi giorni!

19 settembre: Big Sur

Itinerario: Santa Monica – Monterey (510 km)

La nostra vacanza sta finendo, si inizia a sentire il sapore dolceagre del dover tornare.

Per giungere a Monterey, siamo passati per il Big Sur: spettacolare questa strada panoramica a picco sul mare. Se la si percorre al contrario è ancora più bella in quanto il lato di guida è a strapiombo sull’oceano. Ma non è il nostro caso dato che stiamo risalendo la costa.

Il pranzo è da dimenticare: essendo le 15, molto tardi per gli orari statunitensi, l’unico posto che abbiamo trovato è stato un vecchio hotel con la moquette blu che puzzava di pipi di gatto.

Arrivati al nostro nuovo motel (Monterey Pines Inn), ci siamo sistemati e abbiamo anche rischiato un infarto: facendo la doccia abbiamo fatto in qualche modo scattare l’allarme antincendio e il tipo della reception è corso in nostro soccorso radunando una folla di curiosi fuori dalla nostra stanza. Mio marito ha dato spettacolo in accappatoio e dopo 5 minuti si disperdono tutti.

La cena è passata velocemente, in un ristorante hawaiano costoso ma buono.

20 settembre: la costa californiana

Itinerario: Monterey – San Francisco (190 km)

La mattina dopo abbiamo optato per una rapida passeggiata per Monterey, è un vero gioiellino anche se turistica e cara. Non visitiamo l’acquario per guardarci un po’ intorno e quello che vediamo in effetti ci piace.

All’ora di pranzo ci rimettiamo in macchina per San Francisco, e la nostra triste meta è il Best Western el Rancho. Qui hanno un sistema di navette per l’aeroporto molto comodo. Così abbiamo restituito la cara Chevrolet che ci ha accompagnati per tanti km, e mio marito si è concesso il primo bagno della vacanza nella misera piscina dell’hotel.

Dopo la cena nel ristorante del Best western abbiamo preso le nostre due ultime Sierra Nevada ghiacciate, protraendo il più a lungo possibile la nostra ultima serata del viaggio.

21 settembre: mal d’America

San Francisco – Roma

La mattina presto con il servizio navetta dell’hotel abbiamo comodamente raggiunto l’aeroporto. Sul primo volo abbiamo fatto conoscenza di un cameramen di Hollywood che ci ha raccontato molte cose interessanti sul proprio lavoro, e che da San Francisco si stava recando agli Studios per girare un film. Il secondo volo, molto turbolento, è passato lentamente ma ci ha permesso di conoscere la signora Audrey, una vecchia preside di una scuola di Santa Barbara che si recava a Roma per la 71esima volta. Prima di scendere dall’aereo mi ha abbracciata e lasciato tra le mani il suo biglietto di visita, pregandomi di andarla a trovare sulla sua casa sul mare a Malibù.

Torneremo signora Audrey, torneremo!

Per l’organizzazione del viaggio abbiamo letto decine di diari di viaggio (su Turisti per caso, forum Tripadvisor italiano e americano, blog personali), prediligendo sicuramente un giro molto classico essendo la prima volta che facevamo questo giro. Anche per questo abbiamo consapevolmente scelto di non trascorrere più di un giorno in ogni parco. I diari sono stati utili per avere quelle preziose informazioni sugli orari in cui visitare Alcatraz o l’Antelope per esempio, o per capire dove fosse significativo dormire, per risparmiare qualche soldo e per conoscere meglio la cultura in cui ci saremmo immersi.

E’ stato un viaggio da sogno, e la soddisfazione di averlo immaginato e realizzato tutto da noi è grandissima!

Alla fine di queste tre settimane, mi porto dentro la grandezza dei posti che abbiamo visto, più di 100 km di strada condivisa con mio marito, i 4.621 km percorsi con la nostra adorata Chevy, le risate con tante persone incontrate, le lacrime davanti a un’alba pazzesca o a un tramonto con le sfumature più particolari… soprattutto torno a casa con nuovo amore inaspettato e inimmaginato, quello per il nord America.

Info logistiche

Itinerario

Roma – San Francisco

SF

SF

San Francisco –Yosemite (315 km) Yosemite – Bridgeport (Tioga Road) (160 km)

Bridgeport – Death Valley (Bodie, Mammoth Lakes) (400 km)

Death Valley – Las Vegas (215 km)

Las Vegas – Zion NP – Panguitch (360 km)

Panguitch – Bryce Canyon – Page (280 km)

Page – Antelope Canyon – Monument valley (200 km)

Monument Valley – Grand Canyon (280 km)

Grand Canyon – Sedona (175 km)

Sedona – Kingman (280 km)

Kingman – Santa Monica (LA) (540 km)

Los Angeles

Los Angeles – Monterey (510 km)

Monterey – San Francisco (190 km)

San Francisco – Roma

Volo: Alitalia Roma-LA e LA- San Francisco, 910 euro A/R (prenotazione a febbraio 2019)

Assicurazione: Columbus assicurazione, 150 euro in due

Affitto macchina: Alamo, Chevrolet Equinox con navigatore (14 giorni 500 euro circa)

Bagagli: due zaini da 70 l contenenti vari cambi (pantaloni lunghi, pantaloncini, magliette, pile da montagna, giacchetto, scarpe da ginnastica, infradito), protezione solare e crema idratante, burrocacao, adattatori prese, diario di viaggio con itinerario e contatti.

Documenti: patente internazionale (non richiesta ma fatta per sicurezza), passaporto, stampa moduli assicurazione.

Pasti: a differenza di qualche tempo fa, è raro che le colazioni siano incluse nel pernotto nei motel, e il costo è decisamente più elevato. In stanza facevamo un caffè americano, spesso con l’aggiunta della cream (tipo latte), e mangiavamo biscotti o merende prese nei supermercati. Il pranzo lo consumavamo nelle aree di sosta attrezzate, comprando insalate fresche e cose in scatola acquistate nei supermercati. Le cene erano composte per lo più da hamburger, patatine e birra, o cucina messicana, seguendo le nostre preferenze culinarie. Attenzione agli orari: si pranza e cena presto.



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