Trentino: terra di castelli, eremi e meleti
In questo week end siamo andati a scoprire due magnifiche fortezze, un eremo appollaiato su uno sperone di roccia e abbiamo girovagato nella splendida campagna della Val di Non.
Partiamo proprio da questa vallata laterale alla grande Val d’Adige che, per noi valtellinesi provenienti dal Passo Tonale, si sussegue alla più stretta e selvaggia Val di Sole. Da subito il lago di Santa Giustina cattura lo sguardo ammaliandoci con i suoi riflessi e il contrasto tra la superficie increspata dal vento e il verde perenne dei pini, il marrone delle latifoglie nude e i prati parzialmente innevati. Se non fosse per l’alto muraglione visibile percorrendo la statale 43 da Cles in direzione sud, nessuno sospetterebbe della natura artificiale dell’opera costruita dal gruppo Enel tra il 1943 e il 1951. Le sue acque si sono perfettamente integrate al territorio e probabilmente è anche per il microclima creatosi grazie a esse che sui pianori circostanti crescono i meravigliosi frutteti dai quali si produce la famosa mela della Val di Non, eccellente prodotto dal marchio Denominazione di Origine Protetta. Una passeggiata in un ambiente unico come questo è d’obbligo, così come il fermarsi di tanto in tanto a scattare delle foto in grado di cogliere le bellezze di un paesaggio reso affascinante proprio dal lavoro dell’uomo.
Dopo aver goduto del tiepido sole invernale in uno dei tanti sentieri nei meleti, risaliamo in macchina per guidare fino al paese di Sanzeno e da qui seguire le indicazioni per il Santuario di San Romedio attraverso la stretta carrozzabile fiancheggiata da un limpido torrente e all’ombra di due pareti di roccia bitorzolute ricoperte qua e là di alberi. Il tratto pianeggiante si conclude ai piedi di una grossa rupe per assumere pendenze impegnative sino al piccolo parcheggio all’ingresso del Santuario.
Durante la bella stagione è piacevole raggiungere l’antico luogo di culto a piedi tramite il suggestivo percorso scavato nella roccia con inizio al Museo Retico di Sanzeno (per info:http://www.visitvaldinon.it/it/da-vedere/arte-e-cultura/santuario-di-san-romedio/passeggiata-panoramica-trentino), oppure partendo dal paesino di Don e percorrendo il tracciato che si snoda in un lussureggiante scenario boschivo (per info:http://www.visitvaldinon.it/it/da-don-al-santuario-di-san-romedio). Conoscendoli, posso consigliarli entrambi perché se pur molto diversi, offrono bucolici scorci da ricordare insieme alla particolare esperienza della visita all’eremo.
Appena fuori dal Santuario un recinto elettrificato segna il perimetro di un’area verde nella quale dal 1958 trovano rifugio degli orsi provenienti da circhi e zoo per trascorrere gli ultimi anni della loro vita. Il Santo è da sempre legato alla figura di questo animale, secondo la leggenda pare infatti che Romedio trovò il suo cavallo sbranato da un orso il giorno in cui avrebbe voluto recarsi a Trento per incontrare l’amico vescovo. L’uomo non perse la speranza e, senza lasciarsi intimidire, si avvicinò al plantigrado rimasto vicino alla carcassa mostrandogli le briglie. L’animale allora, come a volersi scusare per aver sbranato il cavallo, si accasciò lasciandosi sellare e quindi montare da Romedio che così poté a raggiungere Trento.
Dopo aver guardato nell’area protetta senza riuscire a vedere l’orso (che fosse in letargo?), attraversiamo il portale d’ingresso sormontato dalla statua di San Romedio e da un antico crocifisso, introducendoci in un atmosfera antica, suggestiva, religiosa e solitaria. Un cortile rinascimentale acciottolato chiuso fra due ali di edifici obbliga a intraprendere la salita lungo la ripida scalinata e a transitare, dopo una decina di gradini, sotto un bell’arco sostenuto da quattro colonne rosate. Varcarlo significa entrare in un luogo sacro ed è proprio da qui che iniziano le Cappelle. La prima sulla destra è quella di San Giorgio dal bel soffitto affrescato, contrapposta a quella dell’Addolorata sulla sinistra. Continuando a salire ci si addentra in un corridoio curvilineo e all’ottantesimo gradino la chiesetta di San Michele apre le porte sul bell’altare e il soffitto a volta ornato da costoloni e stemmi araldici della famiglia Thun che lo fece costruire. Gradino dopo gradino, la luce del giorno proveniente dall’alto inizia a illuminare le pareti su cui sono appesi i ringraziamenti dei pellegrini negli anni giunti fino all’eremo per chiedere una grazia.
La Chiesa di San Romedio, detta anche chiesa grande per le dimensioni maggiori rispetto alle precedenti, espone orgogliosa il ciclo di affreschi e l’altare in legno di epoca barocca. All’adiacente e raccolta Cappella Antica si accede tramite un possente portale romanico e proprio qui è custodito il sacello con le reliquie di San Romedio. Con un ultima fatica superiamo gli ultimi dei 131 scalini per arrivare al basso porticato a picco sullo spaventoso salto di oltre novanta metri della rupe. Inutile dire che la vista da quassù mette i brividi, soprattutto durante il periodo invernale quando il sole arriva a malapena a lambire la cima del canyon circostante e neve e ghiaccio rendono il paesaggio ancor più fiabesco e remoto.
San Romedio oggi è divenuto l’emblema di tutti gli eremiti che popolarono nel corso dei secoli le valli trentine e incarna il simbolo della riconciliazione fra l’uomo gli animali e la natura, ma quali sono le origini della sua leggenda? Romedio era un cavaliere dell’alta nobiltà bavarese vissuto intorno all’anno mille, possedeva un castello a Thaur, vicino a Innsbruck, e viveva nel lusso delegando ai sudditi le fatiche necessarie a soddisfare la propria agiata esistenza. Durante un pellegrinaggio a Roma l’incontro col vescovo di Trento segnò irreversibilmente la sua vita dato che, al rientro del viaggio, decise di donare tutti i possedimenti alle diocesi di Trento e di Augusta in Baviera spogliandosi di ogni ricchezza al fine di seguire in povertà e umiltà gli insegnamenti di Cristo. Si ritirò nell’eremo rupestre di Sanzeno in Val di Non a pregare e a fare penitenza e anni dopo i seguaci costruirono il santuario. Sembra una favola al contrario eppure pare sia andata veramente così; ovviamente viene da chiedersi cosa scattò nella testa del nobile ma forse la risposta è semplice ed è che nessuno, neppure la famiglia d’origine, può dirci qual’è il modo migliore per vivere e ognuno deve trovare una personale ragione alla propria esistenza. Per informazioni consultate il sito www.santimartiri.org/italiano/sanromedio
Lasciamo la Val di Non entusiasti per le emozioni e i panorami che ci ha regalato e scendiamo lungo la sorella maggiore Val d’Adige fino al piccolo abitato di Besenello dominato dall’imponente visione di Castel Beseno, il più vasto complesso fortificato del Trentino. Dall’alto del suo dosso controlla la Val Lagarina (parte più meridionale della Val d’Adige), un tempo importantissima via di comunicazione tra l’Impero Germanico e la nostra penisola. Le sue origini medievali lo videro appartenere alle famiglie Da Beseno, Castelbarco e successivamente ai Trapp, proprietari dal 1470 al 1972 quando lo donarono alla provincia di Trento, i quali ne rinnovarono completamente la struttura nel XVI secolo per adattarla all’utilizzo delle armi da fuoco dell’epoca.
Alla roccaforte si accede tramite una ripida via pedonale che sale attraverso il bosco fino all’arco d’ingresso aperto nella cerchia merlata più esterna. Una volta all’interno sulla destra, l’incredibile distesa verde chiusa fra due cortine murarie fungeva da campo dei tornei nei periodi di pace mentre in tempi di guerra rappresentava la difesa del castello verso i nemici provenienti dalla valle del Rio Cavallo.
La visita prosegue penetrando nella Porta Scura sotto la possente sagoma semicircolare del Bastione Nord le cui inquietanti bocche da fuoco ospitavano i cannoni. Un corridoio buio, curvo e in salita impediva la visione all’interno e altri due portali posti in successione aperti e richiusi uno per volta permettevano un’entrata lenta e controllata, costituendo così un’efficace difesa contro i malintenzionati. Nel primo cortile avvolto da alte mura si avverte un senso di protezione e tranquillità. La stessa percezione ci accompagna in Piazza Grande dopo aver superato la Quarta Porta, un ulteriore ostacolo per gli aggressori che sarebbero stati bombardati con sassi, proiettili e liquidi bollenti. Qui ci troviamo nella zona residenziale della rocca, infatti sulla piazza si affaccia il Palazzo Comitale dimora dei Trapp e trovano spazio le scuderie, la polveriera e la torre dell’orologio. Il cortile interno del Palazzo è delimitato dal Bastione di Mezzo ed è anche chiamato corte della cisterna perché vi era stata scavata una fossa per raccogliere l’acqua piovana. Procedendo verso sud un passaggio coperto conduce alla Corte d’Onore sulla quale si aprivano diversi locali atti all’autosufficienza del castello come le cucine, il pozzo, i magazzini, le cantine e il forno del pane. In quest’ala di Castel Beseno sorge anche il Palazzo di Marcabruno, costruito dai Castelbarco nel XIV secolo, dov’è possibile visitare l’esposizione permanente ‘la virtù della Fortezza’. Nelle sue stanze sono esposte le armi del cavaliere (lancia, spada, la mazza, il martello, la scure…) e della fanteria (alabarde, falcioni, ronconi…), dipinti, attività didattiche e una suggestiva rappresentazione della battaglia di Calliano avvenuta il 10 agosto 1487 quando le truppe della Repubblica di Venezia furono sconfitte dall’esercito tirolese e il capitano di ventura della Serenissima Roberto da Sanseverino trovò la morte.
La visita di Castel Beseno si conclude nel raccolto pianoro prativo dominato dai resti della Torre Altomedioevale, uno dei nuclei originari dell’antica fortezza, e circondato dal muraglione semicircolare del Bastione Sud sul quale è d’obbligo inerpicarsi per seguire il cammino di ronda e bearsi del panorama spettacolare sulla Val d’Adige e sui rilievi dai dolci pendii culminanti in cucuzzoli innevati. Per informazioni consultate il sito www.buonconsiglio.it/index.php/Castel-Beseno
La giornata è scivolata via piena ed entusiasmante perciò non resta che dirigerci sulla sponda settentrionale del lago di Garda e in particolare nel turistico paese di Riva, impraticabile per gli amanti della tranquillità durante la bella stagione ma ideale in questo periodo dell’anno grazie alle giornate limpide e alle temperature piacevoli.
CONSIGLI PER DORMIRE E MANGIARE A RIVA DEL GARDA E ARCO DI TRENTO
Abbiamo pernottato a Riva del Garda a Villa Mazzano, un nuovo bed and breakfast dall’ottimo rapporto qualità prezzo situato in posizione panoramica un po’ fuori dal centro (sito: www.bbvillamazzanoriva.it).
Per la cena ci siamo spostati nel paese confinante di Arco (considerate che a Riva la maggior parte dei ristoranti a gennaio sono chiusi) per cenare nell’allegro ristorante pizzeria Peter Pan (sito www.ristorantepeterpan.eu/); la pizza è davvero buona e il servizio è veloce ed estremamente cordiale.
La domenica mattina indugiamo qualche minuto al balcone della nostra camera per ammirare il bel panorama sul lago, il tempo anche oggi è magnifico e non potremmo pretendere di più. La prossima meta è il Castello di Arco, letteralmente incastonato su un costolone di roccia che spunta nella Valle del Sarca, molto apprezzata per gli amanti dell’arrampicata, delle escursioni e in generale degli sport all’aperto.
La cittadina di Arco è già di per sé una piccola attrazione con le vie lastricate del centro che, mutando in sentieri, risalgono il fianco della rupe zigzagando qua e là per superare l’importante dislivello fino alla fortezza. La passeggiata è immersa in splendidi uliveti e piante giganti di agave perfettamente adattate all’ambiente montano grazie al clima temperato della zona ben noto da secoli. Non per niente reperti archeologici testimoniano la presenza di un primitivo maniero ancor prima del medioevo e nel XI secolo è certa la presenza di un grande castello costruito dai nobili del posto per scopi difensivi. Successivamente la famiglia d’Arco ne divenne l’unica proprietaria e condusse la fortezza all’apice della gloria, la fece resistere per secoli ad assalti e guerre, la ingrandì e la trasformò in una cittadella prospera e sicura. Tuttavia, come sempre c’insegne la storia, anche per il castello di Arco arrivò, nel 1700, il periodo di declino. Fu bombardato dai francesi, depredato, abbandonato e solo nel 1982, quando il comune lo acquistò dall’ultimo proprietario, iniziò una lenta rinascita grazie all’ingente opera di restauro per renderlo visitabile e farlo divenire il simbolo della vallata.
Dopo essersi inerpicati fino all’ampio terrazzo naturale che sporge sopra i tetti del borgo di Arco e venera dal basso la Torre Grande, s’inizia la visita del sito dalla Prigione del Sasso, un locale angusto ricavato in un anfratto roccioso dove un tempo venivano rinchiusi i prigionieri. Da qui il Sentiero delle Torri sale per il crinale in quella che era l’antica cittadella fortificata, chiamata anche delle 120 stanze per le estese dimensioni, e incontra l’alta Torre Grande di cui rimangono solo tre delle quattro robuste mura merlate esterne mentre l’interno è andato perduto. La vista spazia verso sud nella conca del Basso Sarca occupata al centro dal Monte Brione e si allunga fino alla riva settentrionale del lago di Garda.
Vicino alla Torre Grande, la Stanza del Sarto testimonia la presenza di diversi ambienti dedicati al lavoro degli artigiani come appunto quello del sarto, del falegname, del fornaio mentre nella Sala degli Affreschi conservata nella Torre della Stua si comprende la raffinatezza della corte che vi abitava. La presenza (ormai svanita) di curati giardini, di una biblioteca ben fornita, di un mulino, cisterne per la raccolta dell’acqua, dispense e cantine completava il quadro della vivace e prolifera vita quotidiana dell’epoca. Alla sinistra di tutto questo si estendeva il Rivellino ovvero la cinta muraria, parzialmente conservata, che scendendo dalla sommità della rupe divideva in due il sito e forniva un’ulteriore difesa contro gli aggressori provenienti da ovest. Proprio all’estremità superiore del Revellino s’innalza l’edificio più antico del castello: la Torre Renghera, con la campana detta Renga che chiamava a raccolta il popolo.
Dalla cima non si può fare altro che scendere all’ombra del magnifico bosco di lecci avviandosi verso l’uscita ma un’ultima sosta è pretesa dalla Torre di Guarda, uno strategico punto di controllo per le sentinelle sulla lunga vallata del Sarca estesa verso nord e le pareti verticali di roccia nuda del monte Collodri. Se un tempo le guardie scrutavano l’orizzonte in cerca di possibili nemici, noi oggi ammiriamo lo stupendo scenario alpino che l’uomo fortunatamente non ha voluto deturpare (www.comune.arco.tn.it/Territorio/Luoghi-e-punti-di-interesse/Cosa-puoi-visitare/Beni-artistici-e-monumentali/Il-Castello)
Per variare il percorso di rientro seguiamo la strada statale 45bis scomparendo in lunghe gallerie scavate nella roccia viva e percorrendo i tratti a picco sul romantico lago di Garda che scoprono borghi appoggiati nelle strette insenature concesse all’uomo dalla montagna. Ci concediamo una breve sosta a Limone e a Gardone Riviera quest’ultima nota per il Vittoriale degli italiani, una vera e propria cittadella voluta dal poeta Gabriele d’Annunzio in ricordo della sua ineguagliabile vita e delle imprese italiane nella prima guerra mondiale, del quale però rimandiamo la visita (così avremo la scusa per organizzare un week end, magari in primavera!).
Prima di seguire le indicazioni per il lago di Como e quindi risalire fino a Sondrio, approfittiamo delle temperature miti per rilassarci su una panchina in riva al lago (il termometro segna 13°C, temperatura primaverile per noi valtellinesi!) e una domanda ci frulla per la testa: chissà dove ci porterà il prossimo viaggio…