Tre giorni a Dublino. Indicazioni pratiche per anime astemie.

Quando direte che avete intenzione di andare a Dublino, tutti vi diranno di tutto. Non ascoltateli. Credete solo a una cosa. E' piccola. Ed è un bene. Così potete girare a piedi e, in pochi giorni, fare come noi che in soli tre giorni siamo andati al mare a vedere le foche e in montagna a scoprire i villaggi abbandonati.
Scritto da: essegreco
tre giorni a dublino. indicazioni pratiche per anime astemie.
Partenza il: 23/06/2011
Ritorno il: 26/06/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €
Quando direte che avete intenzione di andare a Dublino, tutti vi diranno di tutto. Non ascoltateli. Credete solo a una cosa. E’ piccola. Ed è un bene. Così potete girare a piedi e, in pochi giorni, fare come noi che in soli tre giorni siamo andati al mare a vedere le foche e in montagna a scoprire i villaggi abbandonati.

Partiamo in due, il mio amico ed io. Prenotiamo a novembre, fissiamo per gennaio ma poi la vita va storta e spostiamo a giugno. Abitiamo a Torino e lì il 24 giugno si fa festa: nessuna occasione migliore.

Il 23, alle 8:30 siamo alla Stazione Centrale di Milano. Da lì, lato Piazza Luigi di Savoia, partono i pullman per Linate. Il biglietto si fa a bordo e costa 4 Euro. Il tragitto non dura più di mezzora e alle 9, più o meno, siamo in aeroporto. Voliamo con Aer Lingus: partenza alle 11.20, arrivo alle 12.50 (irlandesi). Prenotazioni fatte on line, direttamente dal sito di Aer Lingus. Costo: sui 200 a testa, andata e ritorno. Ma non siamo bravi a cogliere le migliori offerte del web. Siam fatti così. Una volta atterrati a Dublino, saltiamo sul pullman di una compagnia a caso che ci porta in centro. Costa 7 euro e ci mette meno di 20 minuti. I biglietti si fanno al momento.

Immediatamente, siamo stupiti dal freddo. Quindi, se anche partite d’estate, non lasciate a casa una giacca che ripari dal vento, un maglione e un paio di pantaloni pesanti. Noi, ne abbiamo fatto grande uso e, personalmente, non ho mai adorato così tanto la mia sciarpa di cotone: ripara la gola, fa chic e non impegna.

Il pullman ci lascia alla fermata di O’Connell Street, ovvero la strada principale di Dublino, quella in cui si trovano il General Post Office e lo Spire, una scultura del 2003 a forma di ago (o stuzzicadenti). Il nostro hotel, prenotato on line tramite Booking.com, si trova proprio lì vicino, all’altezza del Rotunda Hospital, in Parnell Street. Si chiama Gate Hotel e questo è il suo sito: . Per tre notti, noi abbiamo speso circa 100 Euro a testa, in camera doppia con bagno privato. Non è un hotel di lusso, chiaramente. Ma siamo stati in posti peggiori e questo, tutto sommato, oltre a costare pochissimo è abbastanza pulito (compatibilmente con la presenza tutta anglosassone della moquette in ogni spazio), offre una ricca colazione all’irlandese (con prosciutto arrosto, salsiccia, pomodori, fagioli e uova), è in un’ottima posizione e si fa apprezzare per la gentilezza del personale.

Dopo esserci vestiti pesanti, usciamo. Tanto per avere un criterio (uno a caso) seguiamo i consigli della Lonely Planet, che ci porta a fare un piccolo itinerario a Nord del Liffey e poi giù per O’Connell Street. A metà della via, svoltiamo verso destra in Henry Street e ci immergiamo nello shopping più trendy di Dublino. Girovagando, raggiungiamo il fiume Liffey e, da lì, entriamo nella zona di Temple Bar: è come Brera a Milano, il Quadrilatero a Torino o il quartiere più pieno di locali in ogni vostra città. Sapendo di tornarci per cena, ci lasciamo queste vie alle spalle e andiamo verso il Trinity College. Dopo una visita ai suoi giardini, scendiamo lungo Grafton Street e, passando accanto ai negozi delle marche più famose del mondo, arriviamo fino al parco di St. Stephen Green. Passeggiamo tra i suoi vialetti e poi torniamo indietro, fino a Temple Bar dove ceniamo al pub O’Neill’s (www.oneillsbar.com): ci riempiamo il piatto al self service e spendiamo poco (13 euro per un enorme prosciutto arrosto con tante verdure e una Guinness piccola). Nel complesso, non è però il miglior pub di Dublino. Purtroppo. Tornando in hotel, ci stupiamo di una cosa: della luce. Sono le 11pm passate e non solo c’è chiaro, ma addirittura il cielo è azzurro e si può vedere ancora qualche raggio di sole. Decisamente, il nord Europa ha qualcosa di meraviglioso.

Il giorno dopo, essendoci resi conto che la città è davvero piccola come ci dicevano tutti in Italia (la sua city area è di 114.99 km2, quasi come quella di Torino) ed essendo tanto turisti anomali che non vanno per musei quanto persone solitarie che amano i luoghi fuori dalle mete tradizionali, prendiamo la DART dalla Connolly Station e, in mezzora, siamo a Howth. Ne vale la pena. Il paesaggio, se vi piacciono i colori del nord, è molto suggestivo. Si può camminare lungo il porto, dove vivono libere le foche, arrivare fino al faro e affacciarsi sul mare aperto. Non c’è molta gente e non se ne sente per nulla la mancanza. Si apprezzano semplicità, verità, silenzio e mare. Mentre si mette a piovere e a fare molto più freddo, pranziamo in un ristorante incastonato tra le botteghe dei pescatori, lungo la banchina: si chiama Deep (www.deep.ie) ed è delizioso. Consigliamo seafood chowder, fish&chips e pudding ma possiamo scommettere anche sulla bontà degli altri piatti. Sotto l’acqua e controvento, torniamo a Dublino. Piove talmente forte che rinunciamo ad altri giri e ci mettiamo in un caffè a leggere. Per una nostra personale passione, scegliamo Starbucks (catena purtroppo poco diffusa in città) ma di sicuro ci sarebbero altri posti più tipici.

Alla sera, abbiamo appuntamento con un amico del mio amico che vive lì. Ci incontriamo nella piazzetta di Temple Bar e ceniamo al Quays (www.quaysrestaurant.com) che si rivela di gran lunga migliore del posto della sera prima. Da provare. Dopo cena, l’amico del mio amico ci porta a fare un giro dei pub. Noi non siamo dei grandi bevitori (e per questo ci perdonerete anche di non aver visitato il celebre Museo della Guinness, meta di tutti i turisti) ma la serata è davvero piacevole e penso che, senza “uno del posto”, non l’avremmo vissuta nello stesso modo. Iniziamo con lo Stag’s Head (1, Dame Court) dove beviamo un succo di mirtillo e ci fermiamo a sentire tre ragazzi che suonano musica dal vivo. Proseguiamo poi con una serie infinita e variegata di locali. Mi stupiscono molto le differenze tra i vari posti. Non c’è un pub uguale all’altro, alla faccia delle copie stereotipate che sin trovano da noi: uno è in un appartamento, uno in un magazzino, uno sembra un caffè d’altri tempi e uno è fatto talmente a rampe e cunicoli da farci perdere l’orientamento.

Per il giorno dopo, ci siamo organizzati prima di partire: abbiamo prenotato da casa tramite www.buseireann.ie un tour di un giorno ai giardini di Powerscourt e al villaggio di Glendalough. Il costo a persona è di 28 euro. Si parte alle 10.30am dalla Busàras (la stazione dei bus) che si trova vicino alla Connolly Station, in Store Street, e si torna verso le 5.30pm. Anche se noi non siamo i tipi da visita guidata, ci troviamo subito molto bene: al volante c’è un simpatico signore, tipicamente irlandese, che inizia in viaggio portandoci fuori città e descrivendoci (in un inglese tutto sommato comprensibile) particolari urbani ed extraurbani che sicuramente ci sarebbero sfuggiti. In poco più di un’ora arriviamo a Powerscourt, dove ci vengono lasciate due ore abbondanti per la visita alla tenuta, in cui si possono vedere sequoie giganti e castagni nani, azalee, magnolie, rododendri, tassi irlandesi e faggi rossi, lungo sentieri e giardini curati secondo lo stile della scuola italiana, oppure giapponese. E per finire (o iniziare!), il palazzo offre anche una buona occasione per fare uno shopping che non ci si aspetterebbe di fare lì: all’Avoca Stores e all’Interiors Gallery si può infatti trovare il migliore design Irlandese in fatto di oggetti da regalo, abbigliamento e mobili. Noi compriamo degli scones alla bakery e risaliamo sul pullman.

La visita prosegue attraverso l’Irlanda che tutti possiamo immaginare, fatta di dolci colline verdi e prati punteggiati dal bianco delle pecore. Arriviamo così a Gledalough, un villaggio nelle Wicklow Mountains fondato dall’eremita San Kevin nel 500. La sala museo che accoglie i visitatori dà in modo dettagliato tutte le informazioni che possono servire a comprendere l’importanza di questo luogo, cuore della cristianità irlandese, ma per noi la parte più suggestiva della visita comincia poco dopo, quando siamo liberi di incamminarci per i sentieri del villaggio, lungo il suo piccolo lago e infine tra le lapidi del suo cimitero abbandonato. Personalmente, vorrei che ci fosse meno gente e più nebbia, giusto per godermi di più l’atmosfera del luogo, ma facciamo ugualmente tutte le nostre foto e ci godiamo il sole sul prato, prima di riprendere il pullman e raggiungere, poco distanti, le rovine di un villaggio di minatori abbandonato che accessibili solo a piedi. Da lì, il tour prosegue in silenzio, accompagnato solo da una musica celtica messa apposta per noi dall’autista, lungo il verde, i campi e i prati, giù fino al centro città, dove ci accolgono gli arcobaleni del LGBTQ Pride Festival: un evento comunicato, pubblicizzato, accettato e vissuto da tutta Dublino in modo non solo sereno ma persino felice.

Per l’ultima cena in città, un po’ provati dal prosciutto arrosto che si è presentato sui nostri piatti almeno due volte al giorno da quando siamo arrivati, decidiamo di provare un ristorante giapponese consigliato dalla Lonely Planet: lo Yamamori Sushi, vicino all’ Ha’Penny Bridge (www.yamamorisushi.ie). Ci aspettavano il classico locale “minimal” milanese e invece restiamo stupiti: è immenso, pieno di gente e invaso dalla musica ad alto volume. Nulla di negativo, ma sicuramente sorprendente: un po’ come le porzioni enormi dei piatti, tutt’altro che giapponesi nelle dosi ma molto saporiti e sicuramente adatti a concludere, in modo pop, i nostri tre giorni di vacanza. Il mattino dopo, alle 3.30am suona la nostra sveglia e alle 4.30 siamo in taxi diretti all’aeroporto. E’ domenica e ci divertiamo a vedere tanti ragazzi che rientrano ora dalla serata mentre noi ci siamo appena svegliati. Il nostro aereo, sempre Aer Lingus, parte alle 7.10 e quindi abbiamo ancora tempo per un ultimo caffè, lungo, nel bicchiere di carta grande. Un vizio che in Italia siamo costretti ad abbandonare.

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