Tdi OURchia? Yes, please. Istanbul e la costa mediterranea

Una vacanza già immaginata nel 2013. Poi gli scontri di Maggio a piazza Taksim ci avevano convinti a restare nell'Europa Occidentale che più conosciamo. Quest'anno però siamo ancora più convinti e, così, dopo aver evitato per mesi di incappare accidentalmente in un articolo negativo di cronaca internazionale, il 27 luglio inizia la vacanza...
Scritto da: GaFlo
Partenza il: 27/07/2014
Ritorno il: 07/08/2014
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €

Domenica 27 Luglio

Il primo giorno sarà solo di trasferimento dato che ci aspettano due voli, il primo da Milano a Istanbul (Turkish Airlines) e il secondo da Istanbul a Izmir (Pegasus Airlines). Infatti, come sempre cercando di far coincidere nel nostro programma giornate al mare non nei weekend, giornate nei musei non di Lunedì, serate di luna piena non in ristoranti senza terrazza, città umide non quando Flo si fa liscia, …, si era deciso di lasciare Istanbul come gran finale concentrandosi inizialmente su spiagge e località storiche della costa mediterranea.

Sul primo volo la Turkish Airlines ci coccola con i suoi televisori e il suo menu di pranzo. A Istanbul – dove attendiamo per circa cinque ore – ci dedichiamo a Dots (gioco per iPhone, una droga per tutta la vacanza) sorseggiando te e mangiando la prima baklava (il dessert turco per eccellenza, a base di pasta sfoglia ricca di miele, zucchero e frutta secca) da Mado (no non sto imprecando). Infine sul secondo volo anche la Pegasus Airlines ci coccola, ma in versione low cost, con la sua rivista da viaggio e il panino per cena.

Siamo convinti che sia meglio che le brutte impressioni, se proprio devono esserci in una vacanza, arrivino subito. Meglio ambientarsi velocemente e tutto il resto sarà in discesa. Quel giorno è andata proprio così: a serata inoltrata ritiriamo l’auto a noleggio e da Izmir ci dirigiamo verso Selcuk. L’entusiamo iniziale lascia per qualche minuto posto al silenzio e al dubbio: ma dove siamo finiti? Strade strette e bucherellate, illuminazione inesistente, pericolosi dossi in cemento, cani randagi ovunque, qualche uomo seduto in bar vecchi con luci al neon, presenza di donne inesistente. Decisamente meglio il tratto in autostrada che ci porta fino in città, dove inizia la ricerca dell’hotel (quest’anno il nostro navigatore si è dimostrato poco preparato sulla Turchia).

Lunedì 28 Luglio

Una sostanziosa colazione e raggiungiamo velocemente la prima meta della vacanza, Efeso, i resti della città classica che, fondata dai greci, era diventata in epoca romana capitale dell’Asia minore con oltre 250.000 abitanti. La giornata è molto calda e ci spostiamo dall’ombra di un ulivo al successivo per leggere qualche spiegazione sulla nostra guida e origliare i racconti dei tour operator, seppur si tratti principalmente di gruppi giapponesi o coreani. I punti più interessanti della visita sono senz’altro la Biblioteca di Celso, il monumento più fotografato e pubblicizzato del sito storico, e le case a terrazza (biglietto di ingresso da pagare a parte), sette dimore private che mostrano il lusso in cui vivevano le famiglie più agiate dell’epoca. Passeggiando ad Efeso immaginiamo come doveva svolgersi la vita qui all’epoca romana e così Flo diventa facilmente Aurelia, una patrizia di Roma con la passione per i negozi vichinghi (leggasi Ikea, H&M, …), e Ga rimane Ga perchè si sa la fantasia era donna anche 2.000 anni fa.

Primo giorno e primo fuori programma con pranzo a Sirince, un grazioso villaggio nascosto tra orti, frutteti e uliveti con case bianche in pietra e stucco. Mangiamo all’Artemis Sirince Restaurant proprio all’ingresso del paese godendo della vista sulla valle sottostante e sulle casette arroccate lungo la collina. Proviamo le prime polpette di agnello, che ritroveremo ovunque in Turchia ma queste resteranno decisamente le migliori, e la vera specialità di Sirince, il vino aromatizzato alla frutta, mirtilli per Flo e melograno per Ga. Dopo pranzo una breve passeggiata nel centro che sembra un bazar all’aperto e recuperiamo l’auto dando cinque lire turche al parcheggiatore abusivo di turno. Ci aspettano oltre tre ore di strada sotto il cocente sole dell’estate turca per raggiungere la meta del giorno successivo, Pamukkale.

Arrivo nel tardo pomeriggio all’Hotel Melrose e cena semplice e un po’ turistica nella via principale del piccolo villaggio, con vista sul sito che visiteremo la mattina successiva.

Martedì 29 Luglio

Pamukkale deve la propria notorietà alle fonti termali le cui acque particolarmente ricche di calcio hanno creato un paesaggio assolutamente unico sbiancando completamente il versante della collina rivolta verso il paese. Ciò che da distante da l’impressione di essere neve è in realtà un susseguirsi di strati di calcare e travertino che contrastano con le verdeggianti colline lì vicino. Entrando nel sito dall’ingresso sud dal paese di Pamukkale e risalendo la collina si rimane ancora più sorpresi scoprendo che l’acqua della fonte termale scende continuamente lungo la collina (è obbligatorio infatti togliersi le scarpe e proseguire a piedi nudi) formando anche delle terrazze colme d’acqua che rispecchiano il colore del cielo e dentro le quali ci si può bagnare. Arrivati poi in cima alla collina si possono vedere le vere e proprie terrazze di travertino (quelle lungo la salita devono essere artificiali e create per i visitatori) a formare un paesaggio tanto strano quanto bello ed accecante che riflette la luce del sole da più punti.

Oltre a questo in cima alla collina si trovano le rovine della città termale romana di Hierapolis con la sua piscina antica, dove ancora oggi si può fare il bagno nell’acqua calda a 35° C all’interno di una vasca sul cui fondo si trovato colonne (antiche?) di marmo lavorate. All’interno dello stabilimento termale è poi possibile affittare un armadietto per lasciare al sicuro le proprie cose e godersi l’intero sito, dalla piscina, alle terrazze in travertino di cui parlavamo sino al teatro dell’antica Hierapolis.

Pamukkale oggi è piuttosto affollata e sembra che siano i viaggi organizzati a portare qui la maggior parte delle persone. Il turista lo si riconosce da come si muove. Il russo se vuole paga più di te per entrare e quindi non vuole fare la coda o, per lo meno, si fa largo con i gomiti per essere in acqua venti secondi prima. La russa è più pacata ma se qualcuno le propone di fare una foto (e qui i turchi ci hanno visto lungo piazzando fotografi a pagamento ogni dieci metri) si accende in pose che Selen è una principiante. Il nipponico non ama l’acqua: entra in piscina con la tutina aderente da ciclista e tiene per mano tutti i suoi amici sorridendo imbarazzato. Se cade il primo parte il domino. Il domino è più divertente se ci sono tanti occhiali da vista. L’ultimo a sinistra di solito ha la macchina fotografica che difende in ogni modo rischiando anche di annegare pur di tenere fuori la manina asciutta con l’indice che ripetutamente immortala la scena. Italiani pochi, a parte un gentile signore che a pranzo ci racconta entusiasta la sua esperienza di napoletano emigrato in Turchia, un paese che ritiene avere ancora enormi potenzialità.

A metà pomeriggio riscendiamo la bianca collina di Pamukkale per rientrare all’Hotel Melrose e rilassarci nella bella piscina all’ingresso per un paio d’ore. Il Melrose è promosso anche per la cena della sera, l’atmosfera e le lanterne colorate del cortile, la gentilezza dei ragazzi alla reception e il prezzo sorprendente di 35 euro a notte che qui paghiamo. Unico imprevisto la seconda notte quando inspiegabilmente verso le tre di mattina il wc, che in Turchia come in altri paesi è dotato di un getto d’acqua utilizzabile come bidet, inizia a sparare acqua rendendo impossibile il sonno. Un’attivazione davvero inspiegabile per me, Flo magari tu ne sai qualcosa in più?

Mercoledì 30 Luglio

La mattina successiva cerchiamo di partire presto perchè ci spostiamo al mare e vorremmo per lo meno riuscire a sfruttare il pomeriggio. Servono infatti circa quattro ore per raggiungere Patara nella costa sud occidentale della Turchia. E qui si inizia a capire un problema della vacanza in Turchia: il paese è grande, le autostrade molto spesso non esistono e le mappe dei navigatori sono poco aggiornate e così tante ore vengono spese negli spostamenti da una meta a quella successiva.

Al nostro arrivo capiamo subito che Patara non è proprio un paese reale ma più che altro un piccolo villaggio creato per il turismo con una decina di alberghi, una decina di ristoranti, due supermercati, un bar e soprattutto due parrucchieri (che fanno anche i massaggi) nella via principale. Per gli amanti delle curiosità qui è nato San Nicola, conosciuto nei paesi del nord come Santa Claus. Si avete capito bene, Babbo Natale è nato al mare in Turchia e d’estate probabilmente doveva tagliarsi la barba per non lasciare il segno dell’abbronzatura.

Posiamo le valigie in albergo, pranziamo con due insalate in paese e poi sfruttiamo il passaggio in macchina di due turchi di Istanbul (papà e figlia, forse) per raggiungere la spiagga di Patara, il cui ingresso è a pagamento essendo in comune con le rovine di un’antica città della Licia. La spiagga di sabbia, una delle più grandi della Turchia, è lunga circa 18 km e se si ha voglia di camminare un po’ oltre l’ingresso ci si può davvero isolare davanti al mare. Facciamo il primo bagno al mare della vacanza, passeggiamo un po’ insieme a un cane che deve averci scambiati per i suoi padroni, facciamo gara nel vedere i granchi che scappano al nostro arrivo e nel tardo pomeriggio lasciamo la spiaggia (rientrando a piedi per oltre due km in paese!) che alle 19 chiude per lasciare spazio alle tartarughe marine che la notte arrivano per nidificare.

La sera Patara ci conferma di essere il posto di mare ideale per due pensionati come noi: si cena al Lazy Frog a base di verdure, si fa qualche vasca nella via principale (circa 400 metri), si guardano un paio di vetrine (quelle dei due barbieri), e per i più temerari che riescono ad arrivare alle 11 si va al Medusa bar a bere due succhi di mela.

Giovedì 31 Luglio

Il giorno seguente torniamo nella stessa spiaggia accompagnati in macchina dai ragazzi dell’albergo e durante il tragitto parliamo con una signora di Milano che ci da qualche spunto per l’improvvisazione del giorno successivo. Oggi sarà la giornata ufficialmente dedicata al dolce far niente, tra bagni, camminate e sonnellini. Dato il colore della mia pelle tendente al rosso pompeiano decidiamo di affittare per la giornate un ombrellone e due sdraio per la modica cifra di 15 lire turche, circa 5 euro. Per pranzo assaggiamo i tipici gozleme, delle specie di piadine turche da riempire a scelta con carne, verdure, formaggio, uova… Quello stesso pranzo segna un momento di svolta della nostra vacanza: forse la frutta lavata male, forse una congestione, forse un virus intestinale nascosto nel gozleme cambiano le abitudini alimentari di Ga che passa dagli abituali cinque/sei pasti al giorno ad una sola contenuta cena fino a fine vacanza. Un lutto per una coppia che ha sempre fatto del mangiare uno dei principali motivi del viaggiare.

La sera riprendiamo la macchina e ci spostiamo di pochi kilometri sulla costa (bellissima la vista dalla collina lungo la strada sulla baia sottostante) per trascorrere la serata a Kalkan. Nulla di più diverso potevamo trovare rispetto a Patara guidando soli venti minuti: una cittadina portuale decisamente turistica, riccamente illuminata e abbondante di ristoranti, negozi di souvenir e abbigliamento dei principali brand europei (non lo ricordiamo mai ma qui siamo in Asia!). La città è stratificata nel senso che di stradina in stradina, di scalinata in scalinata, si scende dalla collina su cui sorge il paese fino al mare. E più si scende più i prezzi salgono, il volume della musica aumenta e i camerieri di fronte ai ristoranti propongono con maggior insistenza e sorrisi sempre più grandi le pietanze del proprio locale. Un’altra curiosità di Kalkan sta nel fatto che i turisti sono quasi esclusivamente inglesi o, meglio, sembra di essere volati direttamente in Gran Bretagna: menu in inglese, musica uk, camerieri che padroneggiano la lingua come dei piccoli lord turchi. Mangiamo pesce non proprio sul lungomare ma su una terrazza al Belgin’s kitchen in Nolu Sokak adagiati su dei bei cuscinoni, concludendo la cena con un raki, il liquore tipico turco, una specie di Sambuca un po’ forte.

E qui si può aprire un interessante parentesi relativa a come chiudere un pasto in Turchia, rituale a cui loro tengono molto, tanto che in certi ristoranti, proprio come il Belgin, il cameriere insisterà nell’offrirvi qualcosa se non lo avete già ordinato. Per prima cosa un piattino misto di frutta di stagione o una baklava sono considerati necessari. Per concludere il nostro caffè espresso può essere sostituito dal raki, di cui parlavamo poco prima, da un te (cay) digestivo o un caffè turco, una miscela di polvere di caffè e acqua che lo rende decisamente concentrato e potente.

La notte è appena iniziata a Kalkan e così rientriamo a Patara dove la notte è praticamente finita. Domani mattina un altro fuori programma richiede di svegliarci presto.

Venerdì 1 Agosto

Le idee per questo ultimo giorno nel Sud della Turchia erano diverse: una camminata nella via Licia, un sentiero a lunga percorrenza tra natura e rovine di città antiche, oppure una giornata di mare nella laguna di Oludeniz o nella spiaggia di Kabak raggiungibile a piedi o col trattore. Alla fine però ha vinto la proposta che ci sembrava più affascinante, ovvero prendere un battello da Kas e lasciare momentaneamente la Turchia per raggiungere, in soli venti minuti, l’isola di Kastelorizo in Grecia. Arriviamo un po’ prima per sbrigare le procedure doganali, io con il mio passaporto e Flo con la sua carta di identità e fogliettino timbrato rilasciato all’arrivo a Istanbul dalle autorità turche; ottima colazione a base di dolcetti in una pasticceria vicina al porto e in circa venti minuti siamo di nuovo in Europa, prima volta insieme in Grecia.

Kastelorizo deve la propria fama in Italia per esser stato lo scenario del film Mediterraneo di Gabriele Salvatores del 1991. Diversi luoghi del film, come la casa di Vassilissa e il palazzo del sindaco, sono ancora facilmente riconoscibili anche se, vent’anni dopo e col proliferare di alberghi e ristoranti il paese non trasmette più quel senso di distacco dal mondo che il film ben presentava. Detto questo il villaggio è molto carino e caratteristico ed il mare tanto pulito che le sue mille tonalità di azzurro invitano a fare il bagno sin dall’arrivo nel porticciolo dove attracca il battello. Adocchiamo un po’ le casette sul porto e poi ci allontaniamo dal centro (seguiamo l’indicazione per il museo) per spostarci in punti più isolati di fronte al mare in cui facciamo il bagno. Questa si che è vita: sole, temperatura vicino ai 40 gradi, mare fantastico, bel paesaggio, pochi turisti, una compagnia di caprette che bruca poco più in la. Nel pomeriggio torniamo in paese e ci accomodiamo al ristorante Lazarakis dove il proprietario dimostra tutta la propria cafonaggine (modi grezzi, battutine sulla Turchia low cost, conto palesemente sbagliato al rialzo) per aver ordinato solo due insalate nel suo ristorante che proponeva anche costosi piatti di pesce. Lettori e lettrici italiani, segnatevi questo nome: ristorante Lazarakis di Kastelorizo e non andateci per nessuno motivo. Un vostro piccolo gesto farebbe molto felice il sottoscritto.

La sera ultima cena a Patara a base di carne, ci lasciamo trasportare per l’ultima volta dalla movida di questo fantastico paesino e così chiudiamo la prima parte delle nostra vacanza nella costa sud occidentale della Turchia. Da domani saremo a Istanbul.

Sabato 2 Agosto

Trasferimento a Istanbul o come molti lo hanno rinominato il viaggio della speranza. Partenza ore 7.30 circa da Patara, quasi quattro ore di macchina fino ad Antalya, aereo Pegasus Airlines delle ore 13.50, arrivo all’aeroporto di Sabiha Gokcen, pulmino Havatas fino a Kadikoy, traghetto sul Bosforo fino a Eminonu, traversata a piedi della città vecchia con doppio bagaglio e cartina alla mano. Mezzi morti arriviamo nel quartiere di Sultanahmet all’hotel Saruhan dove pernotteremo da qui fino a fine vacanza. Hotel consigliabile per la sua posizione, per le colazioni in terrazza e per il ragazzo davvero simpatico e accogliente alla reception che al nostro arrivo ci intrattiene presentandoci la città e, ad ogni domanda a cui non sa rispondere, ci ricorda di essere „solo il ragazzo della reception“.

Come di solito facciamo nei nostri report quando dedichiamo così tanti giorni ad una sola città cerchiamo di non raccontare tutto ciò che si è fatto ma di concentrarci su quei monumenti, quelle attività, quelle cene che più ci hanno fatto capire cosa è Istanbul. Prima di iniziare forse conviene dare qualche punto di riferimento a chi si appresta a visitare la città. Istanbul è separata dallo stretto del Bosforo nella sua parte europea ed in quella asiatica. La prima di queste, quella più turistica e interessante dal punto di vista storico, è a sua volta suddivisa dal Corno d’Oro (un altro stretto collegato da ponti) in città vecchia (contraddistinta dal quartiere di Sultanahmet) e nuova (contraddistinta dal quartiere di Beyoglu). Un altro punto di riferimento nella città vecchia è il porto di Eminonu, una zona estremamente trafficata e confusionaria, da cui partono i battelli e dove si trova il ponte pedonale che porta alla città nuova. Tutto sommato dopo qualche ore si impara ad orientarsi piuttosto bene e se avete dubbi salite sul tram che porta a Kabatas e molto probabilmente non sbaglierete.

Domenica 3, Lunedì 4 e Martedì 5 Agosto

Capitolo Uno: le moschee e l’Islam. La Turchia è un paese principalmente islamico e, pertanto, ricco di moschee da visitare. Il culto nel paese è moderato o, per meglio dire, distante da ciò che si trova nei paesi arabi. A Istanbul, così come nel Sud, si trova di tutto in fatto di abbigliamento, in particolare per quello che riguarda le donne: da minigonne a semplici veli neri che coprono visi molto ben truccati a volte accessoriati con occhiali Prada, a burqa che coprono interamente la persona. Per entrare nelle mosche anche i turisti devono togliersi le scarpe, indossare pantaloni o gonne lunghe e coprire le spalle. In ogni caso all’ingresso sono sempre disponibili veli e sacchetti per portare con se le proprie calzature.

Il momento più particolare della giornata, naturalmente per noi non islamici, è la preghiera che viene chiamata cinque volte al giorno dal Muezzin dall’alto dei minareti delle moschee. Se questo momento non ci aveva particolarmente colipiti nel piccoli paesi del Sud, tutt’altra cosa è assistere al richiamo alla preghiera di fronte alla Moschea Blu, dove si sommano le voci dei diversi Muezzin delle Moschee di Sultanahmet. Sarò sincero nel dire che un’altra senzazione ancora si prova quando si viene svegliati dal richiamo alla preghiera delle cinque del mattino …

Tappa obbligatoria sono le visite alla Moschea Blu, imponente all’esterno con le forme sinuose e i sei minareti e grandiosa all’interno con le sue maioliche blu, e Aya Sofia, oggi museo ed in passato prima Chiesa cristiana poi Moschea musulmana. Ma ancor più di queste noi abbiamo apprezzato la Moschea Suleymaniye (da noi ribattezzata Su-le-manine), dietro all’Università e quella di Rustem Pasa, vicino al Bazar delle spezie, probabilmente perchè meno affollate di turisti e quindi più intime e autentiche.

Capitolo due: Beyoglu e la città nuova. Ogni giorno abbiamo cercato di far convivere la visita della città vecchia e più interessante dal punto di vista storico con le camminate tra i negozi di Beyoglu. Noi abbiamo deciso, e lo consigliamo, di risalire con la funicolare da Kabatas fino a piazza Taksim e da li ridiscendere fino a Karakoy lungo Istikal Caddesi. E lungo questa strada pedonale dello shopping, Istanbul mostra il suo lato più europeo e cosmopolita con le catene, da Starbucks a Zara, da H&M a Kfc, a farla da padrone superando di gran lunga i bazar e i mercati della parte vecchia. Inutile dire che siamo entrati nella maggior parte dei negozi.

Capitolo tre: i bazar. Spostandosi da Sultanahmet verso ovest si arriva nel quartiere dei bazar, nulla di più diverso da quanto ci aveva proposto Istikal Caddesi. Un labirintico e caotico susseguirsi di stradine e negozietti all’interno di un mercato coperto che, in alcuni suoi punti, vanta un importante interesse architettonico. Tessuti, borse, pellame, tappeti, antiquariato, magliette di Drogba e tanto altro sono a disposizione di cittadini e turisti che qui vogliono comprare e, magari, contrattare sul prezzo fino all’ultima lira turca come da vecchia regola del bazar. Poco più distante sorge anche il bazar delle spezie, piccolo e molto profumato.

Capitolo quattro: buon appetito. In Turchia si mangia bene e questo è risaputo. Sul fatto che la cucina turca sia varia abbiamo qualche dubbio in più. Da nord a sud i menu si somigliano molto: si inizia con qualche antipasto (meze) molto spesso di verdura, ma poi è la carne, soprattutto di agnello, a dominare sia che si tratti di un classico kebap, sia che si tratti di un piatto di polpette (kofte) o di una grigliata mista. Noi abbiamo apprezzato tanto la cucina locale per buona parte della vacanza ma arrivati al Martedì a Istanbul abbiamo rinunciato ad una serata tranquilla a Sultanahmet per raggiungere Eataly nel nord della città (un tram, una funicolare, una metro) e mangiare bruschetta, spaghetti, gelato e caffè. Orgoglio nostrano.

Tra le varie cene ci sentiamo di consigliare quella dell’ultima sera al Pasazade, un ristorante ottomano molto grande in Cafariye Sokak, una belle stradina tra Sultanahmet ed Eminonu. Camerieri molto gentili, bel locale con tavolini all’aperto e ottimo cibo, soprattuto per la rivisitazione originale di classici della cucina turca. Per non farci mancare nulla due sere abbiamo cenato a base di pesce, esperienza decisamente sconsigliabile a Istanbul per chi non sa resistere ai gattoni che circondano i tavoli dei locali speranzosi di condivere il pasto. Una sera abbiamo mangiato in un quartiere molto folkloristico, colorato, rumoroso e pieno di musicisti da strada che si trova a ovest di Sultanahment, a pochi passi dal porto. La seconda volta, richiamati dall’alto dal grido „Terrace! Terrace!“ di un cameriere abbiamo optato per un ristorante con terrazza dove abbiamo ordinato il pesce scegliendolo, come da nostra lunga esperienza in base alla vivacità dell’occhio, tra il pescato del giorno.

Per una pausa pomeridiana ci è piaciuto il Set Ustu Cay Bahcesi all’interno del Gulhane Park, il parco del Palazzo Topkapi, che serve semplici toast, hamburger e tradizionali te turchi su una rilassante terrazza con vista mare. Che sia di giorno o di sera potrete poi entrare in una pasticceria per gustare una baklava o bere un caffé, solitamente accompagnato dalla delizia turca (lokum), morbidi dolcetti a base di amido e zucchero aromatizzati con limone, mandorle, pistacchi e tante altre varianti. In alcuni di questi locali è possibile anche rilassarsi fumando il narghilè ma, se non siete fumatori e avete dei dubbi, il consiglio è di cercare informazioni su google solo dopo aver fumato (qui di seguto alcuni dei titoli che si possono trovare: „equivale a fumare cento sigarette“, „fa male ai polmoni, alla pelle e non solo“, „la nuova emergenza si chiama narghilé“).

Capitolo cinque: cos’altro? Ci è piaciuta poi molto la Cisterna Basilica, una struttura sotteranea ben illuminata costruita dai bizantini nel 500 per immagazzinare l’acqua per gli edifici del centro della vecchia Bisanzio, oggi Istanbul. Non si può poi non visitare l’immenso Palazzo Topkapi, la residenza dei Sultani, al cui interno si visitano le camere, i cortili, l’Harem (biglietto di ingresso da pagare a parte) e le stanze con i tesori e gli oggetti preziosi. Infine tra le visite da ricordare (ma che maratona quel pomeriggio!) la Chiesa di Chora, ricca di mosaici bizantini raffiguranti scene della vita cristiana di Gesù e Maria.

Capitolo sei: i turchi. Ad essere sinceri il popolo turco ci ha colpiti per la gentilezza e disponibilità, così come per l’organizzazione della maggior parte dei siti turistici, dei ristoranti ed alberghi in cui siamo stati. Ad esempio l’inglese è molto diffuso e non abbiamo mai avuto problemi di comunicazione. Diverse volte ci è capitato di perderci e, nel controllare la cartina, essere avvicinati da un signore che ci chiedeva dove eravamo diretti. Per essere altrettanto sinceri però, la sera abbiamo sempre evitato di camminare in certe stradine buie di Sultanahmet che non davano l’impressione di essere particolarmente tranquille.

L’arte del vendere qui è molto diffusa e chiunque cerca di venderevi qualcosa o richiamare la vostra attenzione con un „yes please“. Da una bottiglia d’acqua ad un’anguria, le castagne, un tappeto di fronte ad un negozio, un’escursione sul Bosforo, una cena al ristorante raccontandovi del nonno italiano emigrato in Turchia. Tuttavia quasi nessuno è mai davvero fastidioso ed un sorriso ed un „no thanks“ sono sufficienti a declinare l’invito e starsene tranquilli. Almeno per venti secondi prima che il prossimo venditore da strada vi avvicini con un „yes please“.

Conclusioni. Istanbul è una bella città da visitare e propone davvero tanti motivi di interesse. Secondo noi, e per i ritimi delle nostre vacanze, tre giorni pieni sono sufficienti per farsi un’idea di cosa offre la città turca. Ci hanno affascinato alcune moschee, ci è piaciuta la basilica cisterna, è stato rilassante riposarsi su una panchina del Gulhane park così come è stato stressante arrivare con le valigie a Eminonu, ci ha incuriosito la coesistenza del gran bazar e di Istikal Caddesi e, in definitiva, ci soddisfa aver aggiunto un’altra meta alle nostre vacanze. Detto questo Istanbul è una città estremamente caotica, trafficata e rumorosa. E quest’ultimo aspetto, che accomuna Istanbul ad altre megalopoli del mondo, riduce in parte il fascino della sua storia e della sua religione che invece avevamo immaginato e sperato essere la caratteristica predominante.

Mercoledì 6 Agosto

Invece di dedicare l’ultimo giorno ad una delle pubblicizzatissime escursioni sul Bosforo optiamo per unire il giro in traghetto ad una visita delle Isole dei Principi, quattro isolette a circa venti kilometri a sud di Istanbul. Si tratta di località di villeggiatura, soprattutto per i più ricchi cittadini di Istanbul che qui hanno bellissime villette in riva al mare. La cosa più sorprendente delle Isole dei Principi è che non sembra di essere più a Istanbul: non circolano infatti veicoli ma solo cavalli con carrozza e biciclette che si possono noleggiare all’arrivo al porto. Dopo aver fatto un po‘ di ricerca su internet la sera precedente, stiamo infatti parlando dell’ultimo fuori programma della vacanza, decidiamo di raggiungere l’ultima delle quattro isole, Buyukada.

E‘ una splendida giornata di sole e con la bicicletta iniziamo ad avventurarci per l’isola, se non fosse che ad ogni leggera discesa segue un gran premio della montagna di prima categoria (senzazione causata soprattutto dalla bicicletta in dotazione). Descrizione del paesaggio in discesa: la strada è ben asfaltata e si avanza tranquillamente lungo viali alberati al lato dei quali sorgono bellissime ville con giardino. Si pedala bene in mezzo ad altri turisti sorridenti e ai leggiadri cavalli che trainano carrozze con signore aristocratiche con ombrello per ripararsi dal sole cocente. In alcuni punti poi la vista si libera verso il mare e lì è uno spettacolo di colori con le onde che si infrangono sulla costa e sullo sfondo i grattacieli della Istanbul moderna. Descrizione del paesaggio in salita: la strada è davvero tenuta male. Qua e là l’asfalto lascia il posto agli escrementi di cavallo che causano l’odore caratteristico di questa isola che avevamo riconosciuto già dal battello. Gli altri turisti devono essersi allenati per mesi prima di venire qui e ora vogliono dimostrare la loro bravura. Al kilometro 4 un colombiano mi supera di scatto e con il piede cerca di indirizzarmi verso una pianta del viale alberato. Se poi ci si gira di lato sale ancora di più la rabbia: certe ville da ricconi in un posto che tanto, anche per loro, ha un intenso tanfo di escrementi di cavallo. Che poi voglio proprio vedere se questi arrivano in villa in bici o se di nascosto la macchina la usano.

Il programma era quello di pedalare un po‘ per poi arrivare in una spiaggetta, tutte a pagamento ma a prezzi modici, per rilassarsi e fare l’ultimo bagno. Ma subito dopo pranzo avviene il patatrac: la catena della mia bici si spezza e ci costringe a ritornare a piedi fino al porto. Questa volta la vacanza è davvero finita.

Giovedì 7 Agosto

Nel ricordarsi che si parte sempre da Ataturk, Giovedì 7 Agosto alle ore 13.00 l‘aereo Turkish Airlines decolla da Istanbul per riportarci in Italia. Questa volta rimane proprio poco da aggiungere dato che, pagina dopo pagina, abbiamo già raccontato cosa abbiamo visitato, cosa ci ha entusiasmato, cosa ci colpito e cosa ci è piaciuto meno. Ciò che poi non si può raccontare è quello che forse ricorderemo di più anche di questa vacanza, ovvero le mille chiacchiere dalla prima sera in macchina nel buio del Sud della Turchia all’ultima catena spezzata al sole delle Isole dei Principi. Per non parlare poi di Maometto, Er Dogana (finanziere di Fiumicino al controllo passaporti), il narghilé, Dots, i tifosi del Galatasaray e mille altri racconti prima della buonanotte che però a partire da quest’anno non saranno più prerogativa solo delle vacanze estive di Gaflo.



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