Sulle strade della Turchia in moto

Intenso "on the road" tra rovine, Cappadocia, mare e - la più bella delle sorprese - la gente turca!
Scritto da: steber
sulle strade della turchia in moto
Partenza il: 21/06/2010
Ritorno il: 09/07/2010
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €
E’ finalmente venuto il momento del viaggio più entusiasmante, quello con il mezzo di trasporto più scomodo e più pericoloso: la moto. Non siamo più dei ragazzi, ma 4 anni fa abbiamo voluto provare questa nuova avventura e ci è piaciuta, così da farne un appuntamento annuale. Quest’anno però la nostra meta è piuttosto ambiziosa: passando dalla Grecia ci aspettano circa 4500 km da percorrere in 19 giorni. Ce la faremo a goderci anche le tappe, o il viaggio sarà solo un interminabile “on the road”? Purtroppo la qualità delle strade merita un capitolo a parte: ci sono certamente anche strade nuove e pulite, ma molte sono in stato mediocre, con manto sconnesso, scivoloso e discontinuo nel migliore dei casi. Nel peggiore, invece, come ci è successo moltissime volte, soprattutto nella seconda parte del viaggio, con lavori in corso poco segnalati e che trasformavano improvvisamente la strada in sterrato, o in asfalto fresco o addirittura in una pericolosissima pista sassosa. Inutile dire che in queste condizioni la prudenza e la bassa velocità sono imperative, rallentando di conseguenza, a volte in modo estenuante, le percorrenze. Quando questi lavori saranno terminati, dovrebbero però esserci praticamente solo ampie strade a quattro corsie.

Il nostro viaggio è stato lungo: sbarcando a Igoumenitsa , siamo arrivati alla frontiera e scesi a Canakkale attraverso lo stretto di Dardanelli (evitando Istanbul, che avevamo già visitato anni fa), poi Troia, Pergamo, Efeso e via verso l’interno, Pamukkale, e la Cappadocia, meta principale. Dalla Cappadocia poi in discesa diretta verso la costa, che abbiamo percorso per intero: da Tarsus fino a Fethiye, Marmaris e Cesme, dove ci siamo imbarcati per Chios, e da lì al Pireo, poi Patrasso e il ritorno in Italia. Ben felici di questi passaggi in terra ellenica, occasione anche per stare tra gli amichevoli greci, siamo però rimasti assolutamente stupefatti dall’assoluta amabilità dei turchi. Soprattutto nelle zone interne, abbiamo incontrato persone di una tale schietta gentilezza, di una totale affabilità e disponibilità, a volte addirittura imbarazzanti. E’ stato un tuffo in un’altra dimensione: nessuna fretta, tanti sorrisi e chiacchiere anche capendosi poco o nulla. E’ sempre il momento di un tè, e, cosa che mi ha fatto molto pensare, mai nulla, nemmeno un boccone di pane, è concepibile che venga consumato in piedi. Evidentemente i turchi sono persone senza mezze misure: se non ci sono teste da tagliare, viene fuori la loro indole docile e bonaria. Ecco il nostro diario di bordo:

Giorno 1: Pescara-Ancona Il traghetto Minoan ci aspetta ad Ancona, come l’anno scorso, ma per un’altra meta. La giornata è piovosa e le previsioni sono pessime: burrasca nelle Marche. Partiamo da Pescara e ci godiamo 150 km di autostrada sotto una pioggia scrosciante, vento forte e, per gradire, anche una spruzzata di grandine. Incontriamo solo un’altra moto e dalle auto ci guardano con commiserazione e, credo, anche con un certo sottile sadismo. Io sogno di infilarmi al più presto sotto le coperte in cabina. Oggi è il 21 giugno, primo giorno d’estate. Il traghetto ha 2 ore di ritardo per il mare agitato ed è già pronta l’ambulanza per chi si è sentito male. Mastico già da ora le mie gomme antivomito e incrocio le dita.

Giorno 2: Igoumenitsa-Logkari La traversata è andata bene, e arriviamo a Igoumenitsa con mare calmo e sole. Imbocchiamo dal porto l’autostrada Egnatia, che ci porterà fino al confine. Prima sorpresa: la benzina in Grecia, per via della crisi, è arrivata a 1euro e 50. Anche nei bar i prezzi sono alle stelle. La strada è interrotta nei pressi di Grevena e obbliga ad una lunga deviazione attraverso le montagne. Fa molto freddo e sta per piovere. Riconquistata la comoda autostrada, usciamo casualmente a Logkari, un paesino di mare subito dopo la penisola calcidica. Siamo stanchi, prendiamo una camera in uno dei tanti residence pieni di turisti slavi, poi la classica, piacevole cena greca in una taverna sul lungomare. I prezzi di albergo e ristorante non sono aumentati, anzi: 25 euro per la camera e 20 per la cena.

Giorno 3: Logkari-. Canakkale Meno di 250 km ed eccoci al confine. Che emozione! 48 ore per arrivare dove un aereo ci avrebbe portato con 2, ma vuoi mettere… Tanti posti di blocco, tanti controlli di documenti, ma niente di più. In meno di mezz’ora ne siamo fuori. Siamo in Turchia! Ce ne accorgiamo soprattutto dal manto stradale che, abbandonata la morbida autostrada greca, si è fatto improvvisamente sconnesso. Verso Istanbul nuvole nere, ma noi pieghiamo verso Gelibolu e speriamo di cavarcela. La strada è lunga e tortuosa per arrivare allo stretto di Dardanelli e non ce la caveremo. Finalmente il rettilineo, ma la pioggia, seppure sottile, ci insegue. Soprattutto ci insegue un motorino con a bordo due vecchietti, che continua a superarci. Sembra un film comico: andiamo sui 90, la strada è bagnata, ma i vecchietti ci superano. Li risuperiamo e distanziamo, ma dopo un po’ rieccoli comparire come per magia, pure senza casco e in maniche di camicia. Alla fine li lasciamo davanti a noi, vanno anche nella nostra direzione, anzi, proprio al nostro traghetto. Al botteghino dei biglietti cambiamo degli euro in lire turche (1 euro vale un po’ meno di 2 lire). I vecchietti ci stanno aspettando e viene spontaneo darci la mano e ridere. La loro moto è un assurda , piccola e datata “Etna 125“, ma davvero fortissima. La fotografiamo vicino alla nostra un po’ spocchiosa Tiger. La traversata dura un quarto d’ora e costa 2 lire turche per i passeggeri e 3 o 4 per la moto. Ora non ci resta che proseguiere per Canakkale, dove passeremo la notte. La strada è una specie di strada di campagna costeggiante lo stretto. Niente traffico e primo pieno turco a 2 euro al litro. La benzina, di cui sapevamo il costo esagerato, sarà la maggiore voce di spesa del viaggio. Prima saporita cena in terra turca e meditazione su una panchina del porto, davanti ai traghetti che fanno la spola nel secondo punto di attraversamento: quello da Canakkale a Eceabat.

Giorno4: Canakkale-Troia-Pergamo Lasciamo l’Hotel Temizay (35 euro con colazione) e i suoi gentilissimi gestori, destinazione Troia. Avevamo sentito parlare non troppo bene di queso sito, perché sostanzialmente piuttosto povero, invece ci ha affascinati. La giornata, al solito, nuvolosa, ce lo ha fatto girare con calma, senza soffrire il caldo. I resti delle nove città a vari livelli di profondità, la piana più in basso, dove sembra di vedere la polvere delle battaglie, le rovine delle mura. Insomma, come al solito l’immaginazione gioca il suo ruolo determinante. Ripartiamo da Troia verso Pergamo, la strada è buona, anche se attraversiamo vari paesi con relativi semafori, e arriviamo verso le 4. L’ingresso della città da nord è di uno squallore impressionante, ma poi arriviamo alla zona ottomana , situata ai piedi della città antica, e tutto è più gradevole. Saliamo subito al sito archeologico, che si trova decisamente in alto. Si stanno anche ultimando i lavori per una funicolare. Il panorama è eccezionale. Vorremmo entrare, ma, guarda caso, sta per piovere. Rimandiamo a domani e scendiamo per cercare un albergo. Un consiglio: se avete voglia di conoscere e comunicare, scegliete ovunque le pensioni. Ce ne sono di davvero graziose e particolari, anche se bisogna un po’ girare, perché magari con lo stesso prezzo (di solito sulle 60 lire) potreste trovare una topaia o un posto eccellente. Qui a Pergamo ci fermiamo all’Athena Pension, un’antica casa ottomana restaurata dalla giovane coppia di proprietari. Possiamo anche parcheggiare la moto nel giardino interno. Ottima cena in una specie di bettola nella zona vecchia, dove alloggiamo, a base di verdure, carne e salse allo yogurt. Spendiamo 20 lire (10 euro).

Giorno 5: Pergamo-Efeso Scendiamo nel cortile per la colazione e facciamo per sederci ad un tavolino, ma il ragazzo dell’albergo ci ferma: prende tutti i pochi tavoli e li unisce in un’unica tavolata. In un attimo arrivano gli altri ospiti: una coppia di belgi, un americano, una ragazza fiamminga e un giapponese. E’ un’allegra compagnia multietnica di sconosciuti , tenuti insieme da un turco che continua a ridere e portare in tavola di tutto: colazione turca a base di cetrioli, pomodori, formaggio e olive, ma anche caffè, frittata, pane e ciambelle appena sfornati, miele, marmellata, frutta fresca e pasta sfoglia ripiena… Più che rimpinzati, andiamo a visitare l’antica città di Pergamo (20 lire turche e almeno 3 ore di tempo). Città favolosa e enorme, si sviluppa in un interminabile saliscendi su tutto il fianco della collina. Anche qui il cielo nuvoloso è una benedizione. Di nuovo in sella, destinazione Efeso. Ad Izmir imbocchiamo, dopo un imbottigliamento nel traffico e qualche difficoltà di segnaletica, l’ autostrada. Peccato che ci colga un acquazzone furibondo quanto improvviso. Siamo costretti ad uscire e ripararci sotto un ponte per mettere gli antipioggia. Il sito di Efeso è giustamente assai famoso, con l’immagine-simbolo della bellissima biblioteca, con il teatro, le strade, ecc, ma il paese di Selçuk, dove praticamente si trova, ci ha sorpreso con il castello, le stradine della zona ottomana, le cicogne sulle colonne… Dormiamo all’hotel Antik, sulla strada principale. Impossibile sfuggire alla chiacchierata sulla terrazza prima di dormire con i proprietari che ci vogliono offrire il tè. Il mattino dopo partiremo per Pamukkale, e i ragazzi chiamano un loro amico e ci prenotano l’albergo, senza impegno, naturalmente.

Giorno 6: Efeso-Pamukkale-Egirdir Finalmente una strada buona e senza intoppi. Arriviamo infatti a Pamukkale velocemente, nonostante la sosta lungo la strada per uno spuntino di kokoreç. I baracchini dove si girano sullo spiedo le interiora di agnello, sono in questa zona numerosissimi. Per chi non ama queste cose, non mancano mai i venditori di frutta, che per poche lire ti riempiono di ogni ben di dio. Il sito di Hierapolis-Pamukkale ha 3 ingressi. Noi arriviamo da quello superiore, quello di Hierapolis, ma sono quasi le 2 del pomeriggio, fa molto caldo (finalmente!) siamo sazi di rovine, e decidiamo di non entrare. Scendiamo all’ingresso inferiore, quello da cui il candore delle terme si manifesta, anche se non compiutamente. Ci fermiamo nel giardino con laghetto, indecisi se entrare o proseguire: per entrare abbiamo bisogno di cambiarci e quindi andare in albergo, ma la tappa di oggi non può essere così breve. Dobbiamo arrivare stasera ad Egirdir, e se ci fermiamo non ce la faremo. Inoltre, tutti i racconti che descrivono una Pamukkale deludente, annerita e prosciugata, ci fanno optare per la partenza, accontentandoci di ciò che si vede dal nostro punto di osservazione. Arriva anche il ragazzo dell’hotel Goreme, prenotato dagli albergatori di Selçuk, ma gli diciamo che non resteremo a dormire. Importante dirlo ora: torneremo a Pamukkale nell’ultima parte del viaggio e non ce ne pentiremo. Riusciamo ad arrivare ad Egirdir, il punto di sosta delle antiche rotte carovaniere, prima del tramonto. Al nostro arrivo è un ameno paesino su un lago azzurro, ma in un attimo vento e nuvole nere lo trasformano in un luogo sinistro. Cerchiamo alloggio verso l’isola Yesilada, in una delle vecchie e caratteristiche pensioni. Ibrahim, una specie di factotum o proprietario, non si è ben capito, ci offre sulla terrazza di legno, che scricchiola al vento, il rituale tè insieme a due americani e un anziano francese, che alloggiano lì da mesi. Ceneremo con loro, e poi dormiremo in una piccolissima camera più simile a una baita di montagna, con tanto di trapunte.

Giorno 7: Egirdir-Goreme Non avremmo mai pensato di farcela in giornata, invece, limitandoci ad una sosta a Konia per il solito approvvigionamento di frutta da due simpatici ragazzini, riusciremo ad arrivare in Cappadocia entro il tardo pomeriggio. Da Konia attraversiamo la monotona pianura anatolica su una strada ad elevatissima presenza di camion. Stiamo per arrivare a Nevsehir, quando l’ormai solito temporale pomeridiano ci costringe a fermarci in un’area di servizio. Siamo sotto la tettoia, e… stupore! arriva il benzinaio ad offrirci un tè! Spunta finalmente l’arcobaleno e ripartiamo, ma, con la strada non proprio omogenea, si sono formate grosse pozzanghere che ci vengono direttamente gettate in faccia tipo-onda dagli altri mezzi. Arrivare però in Cappadocia con l’arcobaleno e anche al tramonto, ci ripaga di ogni sofferenza. L’unicità di questo paesaggio è davvero stupefacente. Scoprirlo all’improvviso dopo una curva, è un tuffo al cuore. Dobbiamo ora cercarci un alloggio per 3 notti, e vorremmo qualcosa di confortevole. Mio marito, stanco di pioggia, non vuole il classico alloggio nelle “cave”, che gli danno un senso di umidità. Così ci fermiamo al Walnut House, subito sulla destra entrando in paese. Casa ottomana restaurata di fresco, gestita da una gentile giapponese sposata a un turco. Solite 60 lire con colazione. La sera, nel ristorante Old Cappadocia, facciamo la conoscenza di Aishe, la figlia del proprietario. Fatto l’Erasmus a Trieste, vorrebbe tornare in Italia e viverci, e appena sente che siamo italiani, ci chiede di parlare un po’ con noi, per via della lingua. Con lei, una coppia di camperisti triestini, che si avvicinano e ci raccontano di aver fatto un bellissimo giro nella valle con lo zio di Aishe, e ce lo consigliano. Ci chiedono anche se siamo stati a Pamukkale, perché anche loro sono indecisi se andarvi, per via della solita pubblicità negativa. Noi raccontiamo di non essere entrati, ma spero francamente che loro l’abbiano fatto. Assaggiamo la prima pizza turca. Molto buona.

Giorno 8: Cappadocia Il mattino ci lasciamo portare dallo zio di Aishe, con la sua trentennale e impeccabile Renault 12, a fare un primo giro di orientamento nei dintorni di Goreme: Cavuçin, Zelve, la valle rossa, la valle rosa, Uçhisar, con vari passaggi a piedi. La Cappadocia credo si goda al massimo proprio a piedi, magari all’alba o al tramonto. I luoghi sono spettacolari, certo li avremmo trovati anche da soli, ma una mattina di riposo mentale ci voleva. Gli alberghi, a questo proposito, forniscono mappe abbastanza dettagliate, e in caso non ce ne fossero in albergo, c’è un ufficio turistico proprio all’ingresso di Goreme. Dopo aver visto chiese e abitazioni scavate nelle cave di tufo, nel pomeriggio risaliamo in moto e ci dirigiamo alla scalata di castelli costruiti allo stesso modo. Iniziamo da quello di Orthaisar, ed è un esperienza da brivido. Non si paga l’ingresso, e si capisce perché: non tutti probabilmente arrivano in cima. Le scale a pioli di ferro si insinuano in stretti cunicoli in salita. I corrimani, quando i gradini passano all’esterno, non sono che pezzi di catena , mentre il panorama si allontana sempre più. Sulla cima, come sempre, la bandiera turca. Il castello di Uchisar (4 lire di ingresso) è invece molto meglio tenuto, e la salita non è così difficoltosa. Pare si goda da qui il più bel panorama al tramonto. Appena prima di arrivare al castello c’è un negozio di tappeti, davanti a cui parcheggiamo. Esce subito Faruk, il titolare, che parla benissimo l’italiano. Dice di volerci segnalare un percorso per l’indomani e fare due chiacchiere. Insiste, e io mi preparo per la solita sceneggiata dell’allergia ai tappeti (l’unica che funzioni con i venditori insistenti). Invece Faruk ci fa accomodare in terrazza, ci offre il vino corposo della Cappadocia, e poi su una piantina ci sottolinea i posti da non perdere: le città sotterranee, l‘area di Soganli e le chiese greche di Mustafapasha Ci chiede da quale città veniamo, e sul suo libro dei clienti trova nomi di pescaresi, tra cui, nel 1988 strano a dirsi, quello di un vecchio amico di mio padre. Questa del libro dei clienti, o degli ospiti, su cui ognuno può scrivere solo il proprio nome o un pensiero, o ciò che vuole, l’abbiamo riscontrata spesso in questo viaggio, e trovo sia un’usanza bellissima. Faruk ci chiede solo una cosa: mandargli un pacco di caffè se qualche nostro amico dovesse passare di qui. Mi sembra più che doveroso. Rientriamo un attimo prima del tradizionale temporale della sera. Solita cena all’Old Cappadocia, come promesso alla graziosa Aishe. Stasera adana kebab, ma c’è da dire che quando si tratta di carne, le porzioni sono davvero minime. Probabilmente non esistono allevamenti intensivi, e la carne è poca, naturale e cara. Mio marito brontola un po’, ma io sono contenta: non sono vegetariana, ma mi piace che si mangi solo l’indispensabile, senza sprechi.

Giorno 9: Cappadocia Avevamo intenzione di vedere all’incirca ciò che Faruk ci ha indicato, ma visto che i km complessivi di questo giro sono un centinaio, ora ci sentiamo più motivati. Iniziamo dalla città sotterranea di Kaymakli. Le città sono due: Kaymakli e Derinkuyu probabilmente una volta unite. Questa è la più profonda, e, come diceva anche Faruk, basta vederne una. E’ qualcosa di incredibile e perfetto: i semplici condotti di aereazione funzionano ancora. Qui la gente viveva, per difendersi, come le talpe, tra cunicoli e sale, dove si riuniva, mangiava, nasceva, amava, moriva. Assurdo. Ripartiamo verso Soganli, detta la piccola Goreme. La strada è discreta e deserta, ma attenzione agli animali che possono attraversare in qualsiasi momento: mucche, galline, oche, pavoni, cani, tutti a famiglie intere. L’area di Soganli (si paga un piccolo obolo per entrare) è una Cappadocia meno turistica, direi da meditazione e trekking. Ci sono tre chiese rupestri molto belle, con affreschi bizantini deturpati da incisioni di cuori e scritte tipo “Antonio ama Lucia”. Viene spontaneo chiedersi se i cretini sono sempre innamorati o se essere innamorati fa diventare cretini. Ci fermiamo a Sobesos, dove sono in corso scavi che stanno portando alla luce una città romana con le sue terme. Poi il monastero di Cemil, dove c’è un custode che ti offre il tè all’ombra e ti fa entrare per 4 lire. A Mustafapasha c’è una chiesa che si trova in fondo a una vallata, e deve essere qualcosa di unico, ma purtoppo il cancello di accesso è chiuso, e un cartello dice che per entrare dovremmo cercare “qualcuno” nella piazza del paese, peraltro deserto. Basta così. Torniamo a Goreme, e per fortuna stasera niente temporale. Così possiamo salire sulla collina che domina il paese e aspettare il tramonto. Bello camminare, bello fermarsi, bello aspettare il cambiamento di colore del paesaggio secondo il girare del sole. Pinnacoli rosa, arancio, bianchi, grigi… Ovviamente le foto sono d’obbligo. Ultima cena al nostro ristorante, stasera di nuovo con le ottime pizze e le ricche insalate. Salutiamo Aishe e le auguriamo che i suoi sogni si realizzino.

Giorno 10: Goreme-Ovacik (?) L’idea è di non rifare la strada dell’andata, ripassando per Konia, ma scendere verso la costa e percorrerla da Tarsus fino a Cesme (ovviamente non tutta assieme). Prima però un’ultima visita a Zelve, ai “camini delle fate”, perché mi sembrava di aver fatto poche foto. Poi un po’ di punti panoramici e finalmente si va verso sud. Poco prima di Nidge, una sorpresa allucinante: c’è un operaio che fiaccamente ci fa segno con una bandierina rossa. All’istante la strada diventa un tappeto di sassi neri. Per fortuna andavamo piano, ma comunque il sottofondo di una strada da asfaltare non è l’ideale per la moto. Mio marito procede a fatica imprecando, e ancora oggi ci chiediamo perché non chiudano le strade prima in un senso e poi nell’altro quando ci lavorano. Imboccata l’autostrada, anche questa non sarà proprio liscia come l’olio. Ancora interruzioni, asfalto fresco che fuma, e tanti camion. Le aree di sosta, poi, sono orrende: quando va bene,un benzinaio e bagni luridi, quando va male nemmeno questo e nemmeno un po’ d’ombra. Il tratto migliore è quello da Tarsus a Cesmeli, dove l’autostrada finisce. Proseguiamo fiduciosi lungo la costa. Per ora è abbastanza deludente: mio marito si aspettava paesini di pescatori sul mare, ma per ora solo palazzoni. Arriviamo a Silifke e il paesaggio cambia: si fa più squallido. Proseguiamo ancora, ormai sono le 5 del pomeriggio e vogliamo un albergo. La strada inizia a inerpicarsi e c’è la solita pericolosa interruzione. Tra la polvere e i sassi la strada scende verso il mare e l’imbocchiamo. Troviamo un paese (?) con 2 pensioni, 2 ristoranti di pesce sul mare, qualche barca e una spiaggetta. Mio marito sarà contento… La pensione è appena accettabile, ma il ragazzo che la gestisce è gentilissimo: ci lascia tutte le camere aperte e ci fa scegliere. Semplice cena di pesce fritto, insalate e strane verdure varie in salamoia al porticciolo .

Giorno11: Ovacik-Alanya Giornata tremenda. Il ragazzo della pensione, sentito che vogliamo risalire la costa, ci avvisa che la strada è “ very bad”, ma non credevamo fino a quel punto. Curve su curve, lavori su lavori, camion pieni di terra che ce la scaricano a pochi centimetri. Viviamo momenti di disperazione pura. Impossibile cercare paesini di mare, perché la strada è molto interna, e solo a tratti scopre la costa, inoltre impossibile deviare per qualche stradina, per non peggiorare la situazione, già critica. Unico sollievo, i venditori di frutta, tè e succo nero e denso di carrube, panacea per tutti i mali. Finalmente, verso Gazipasha (sono già le 3 del pomeriggio e siamo partiti alle 9), la strada diventa un rettilineo. Avevo letto che qui il mare è eccezionale. Arriviamo alla spiaggia. Mare bello ma profondo e agitato, non il mare che preferiamo. Purtroppo veniamo da una paese dove il mare c’è, e quindi vorremmo davvero qualcosa di speciale. Cerchiamo allora la grotta Ialandunya, pensando e avendolo letto in un diario, che fosse qualcosa di marino. Invece è qualcosa di non bene identificato, forse una piscina naturale, ma verso la montagna (basta buche!) e oltretutto chiusa. Ripartiamo stanchi e sconfortati. Vorremmo fermarci ad Alanya, magari non nella zona turistica (albergoni, piscine e animazione), ma nel paese vecchio. Nessuno però ci dà una stanza per una sola notte. Il sole picchia, il traffico è intenso. Arriviamo al porto e al castello. La zona è chiusa al traffico. Il driver è distrutto, dice di non sentirsi più le mani. Io credo di avere un inizio di piaghe da decubito. Usciamo da Alanya, e sulla provinciale cerchiamo un posto qualunque. Al Dede App ci affittano, per le solite 60 lire, un appartamento nuovissimo con camera, soggiorno-cucina, un bagno enorme e un terrazzo doppio. Cissà che ce ne faremo… Zona di passaggio di turisti, molto squallida e piena di negozi e locali un po’ improvvisati. La notte la stanza rimbomba letteralmente per i ritmi da discoteca, mentre il muezzin predica. La lunga spiaggia che costeggia la via deve essere bella, ma non ci interessa, vogliamo solo riposare e andarcene.

Giorno 12: Alanya- Fethiye Chiediamo consigli circa la strada per Fethiye, e tutti sono concordi nel dire di non percorrere tutta la costa, ma di fare la strada interna da Antalya. Anche questa non è eccezionale, ma immaginiamo cosa potesse essere l’altra… Arriviamo comunque nel pomeriggio e ci dirigiamo direttamente verso la baia di Oludeniz. E’ ben segnalata, ma, al solito, si svela solo alla fine, dopo una serie di curve dove sono posizionati alberghi e ristoranti a bizzeffe. Alla fine del percorso, proprio prima di arrivare alla baia di sassi bianchi, c’è l’ufficio turistico, ed è da loro che ci facciamo trovare un albergo, Sarà il Manzara Hotel, sulla strada, ma non al centro della zona più turistica e rumorosa. 70 lire, piscina e colazione. Il bagno nell’acqua azzurrissima e trasparente è d’obbligo. Se fosse fuori dal caos sarebbe il paradiso. Donne in topless si bagnano assieme a musulmane vestite. Questa è anche l’unica zona dove vediamo mangiare pancetta e salsicce, e devo dire che troviamo molto sgradevole questa libertà ad uso e consumo turistico.

Giorno 13: Fethiye- Datça Momento di indecisione: restiamo qui e esploriamo altre baie o partiamo per la penisola di Marmaris? Il mio driver, ancora sperando in tranquilli porticcioli, opta per la partenza. Questo posto non gli piace, e quando un animatore ci blocca per prenotarci per la grigliata serale (alla Fantozzi) la decisione è irrevocabile. Lungo la strada, poco fuori dal centro di Fethiye, c’è la rinomata spiaggia di Calis. Ci fermiamo per curiosità, ma non c’è proprio niente di speciale. L’acqua non è neanche pulita. Ancora curve. Molti venditori di pannocchie lesse per strada. Ci fermiamo e facciamo amicizia con due simpatiche sorelle e la loro madre. In motorino caricano e scaricano casse di verdure da vendere. Sono gentili e sorridenti.Compriamo le pannocchie, ci fanno sedere, ci offrono il tè e da fumare a mio marito, e lui dà loro sigarette europee. Sono contente. Hanno mani sporche, abiti contadineschi, ma una classe e una grazia che noi dobbiamo ancora imparare. Dopo il bivio per Dalaman la strada migliora, ma dal bivio per Marmaris all’arrivo sarà pesante, anche se abbastanza breve. Buche improvvise, terra e detriti lasciati dai camion. Ora capiamo perché durante tutti questi km, avremmo incontrato al massimo 7 o 8 motociclisti. Da Marmaris si scende lungo la penisola verso Datça. Strada nuova, ma curve, curve e ancora curve. Il mare è nascosto dalle colline e dagli alberi. Brevissimi lampi di blu appaiono all’improvviso. Datça,, ancora una volta, non si concede che all’arrivo. E’ un paese tranquillo, con il porto dei pescatori dove si può fare tranquillamente il bagno. Spiagge di ghiaia e acqua cristallina. Si sta bene, ma forse non meritava tanta fatica. Prendiamo la solita pensione e decidiamo di restare due notti. Verso sera andiamo al mercato, paradiso della frutta e di tante altre stuzzicherie. I prezzi sono ridicoli e la merce è fresca e buonissima. Per intenderci, 2 lire per un chilo di grosse ciliegie.

Giorno 14: Datça Avevo letto che a pochi km da Datça c’è una spiaggia straordinaria: quella di Kormen. Forse abbiamo sbagliato tutto, ma abbiamo trovato un posto orrendo e sporco con un mare nero e tumultuoso. Meglio il paese di Datça. Giornata di ozio tra due spiagge diverse, con piacevoli bagni in un’ acqua fredda ma limpidissima, infine cena da Kervan kebab, che ci fa rimpinzare come non mai. Ora manca solo una bella passeggiata al tramonto lungo il mare. Partiamo dal porticciolo dove ci sono le imbarcazioni turistiche e risaliamo lungo la collina Ci sono perfino delle oche nell’acqua e tra gli ombrelloni. Ci siamo rilassati, ma per quel poco che abbiamo visto, consiglieremmo il mare turco principalmente a chi possiede una barca.

Giorno15: Datça-Pamukkale Ecco il nostro ritorno a Pamukkale, decisione maturata soprattutto avendo capito quanto più ci è piaciuta la Turchia dell’interno, e anche per totale sfiducia nei commenti negativi circa questo luogo, che vogliamo comunque vedere. Del resto, essendoci fidati delle indicazioni per le spiagge, non abbiamo poi trovato granché… Perché dovremmo fidarci ora? Allunghiamo solo di poco la strada per Cesme, che dovremo raggiungere domani, e, raggiunta Mugla, pieghiamo verso Denizli. Siamo premiati perché la strada è ottima, tranne un po’ di curve e qualche lavoro prima di Denizli. Comunque poco dopo le 13 arriviamo e vorremmo andare all’hotel Goreme, quello prenotatoci giorni addietro dal ragazzo di Selçuk. Guarda caso un ragazzo in motorino ci chiede dove siamo diretti, ed è proprio lui uno dell’hotel, gestito da una numerosa famiglia, di cui la giovane nonna è il capo indiscusso. Ci riposiamo un po’ in albergo, e intorno alle 16 ci avviamo per vedere, e, speriamo anche godere, le famose piscine naturali. Entriamo dall’ingresso inferiore, quello più scenografico, in mezzo al biancore quasi totale. Pagato il biglietto (solite 20 lire per Pamukkale e Hierapolis insieme), ci mettiamo in costume e ciabatte. Le ciabatte vanno tolte, perché per evitare ulteriori danni al travertino, è imperativo camminare scalzi, ma ci si può bagnare nella quindicina di vasche ancora piene d’acqua lungo il percorso in salita verso la città di Hierapolis. Ci divertiamo da pazzi: l’acqua è tiepida, e dalla roccia ci sgorgano addosso spruzzi d’acqua termale. Ci cospargiamo della fanghiglia che si trova sul fondo delle vasche, restiamo a mollo con gran piacere in questa giornata caldissima, con un panorama favoloso ai nostri piedi. Caspita, come sapevano vivere questi romani! Pensare che queste non sono che una minima parte delle vasche che fino a qualche anno fa erano piene d’acqua. Ora delle altre non restano che gli scheletri transennati, in modo che, non più calpestate e usurate (sono marroni, non bianche), la pietra possa rigenerarsi. Alla sommità del percorso si arriva a Hierapolis. Consiglio di arrivarci bagnati, così da non soffrire poi per il caldo. Il sito è grande e con rovine molto distanti tra loro, ma è anche uno dei meglio tenuti, con piante fiorite e zone d’ombra. Al centro c’è un luogo coperto con tanto di bar, dove si può fare il bagno nella famosa piscina romana tra le colonne (25 lire). A dire il vero l’acqua non è molto invitante, e ci limitiamo a guardare. Ci vogliono almeno 4 ore per godere appieno della città e delle sue terme. Consigli: in mano solo l’indispensabile, perché se vi vorrete bagnare non saprete dove mettere la roba. Ci sono armadietti nella zona della piscina tra le colonne, ma ci dovete arrivare. Costumi chiari: il fango bianco si insinua nelle trame ed è antipatico da togliere. Dopo questa bella esperienza, ci aspetta la cena nel nostro hotel: la nonna si è offerta di cucinare anche per noi. Tutte le piscine degli alberghi di Pamukkale sono alimentate con l’acqua bianca termale. Purtroppo stanotte l’acqua verrà cambiata, e dobbiamo subire prima gli schiamazzi dei ragazzini che stanno spazzolando la vasca, poi il fragore dell’acqua che arriva a riempirla.

Giorno 16: Pamukkale- Cesme Stiamo tornando a casa: a Cesme c’è il traghetto per Chios, prima tappa del nostro viaggio di ritorno. Ho prenotato la piccola e costosa traversata, tramite e mail alla Kanaris tour, l’agenzia che faceva il prezzo più basso, ma comunque esagerato: 70 euro per noi due più la moto, per una traversata di 40 minuti. Dicono a causa dei cattivi rapporti tra i due paesi. L’andata e ritorno ha lo stesso prezzo. Da Pamukkale a Cesme facciamo un ottimo viaggio, se non fosse che all’imbocco dell’autostrada a Torbali passiamo con il rosso, e la polizia ci ferma. Finora ci era andata bene: ci avevano già fermati, guardata la targa italiana e fatti ripartire, invece stavolta ci fanno una multa di 130 lire, danno a mio marito il pezzo di carta e dicono che possiamo andare. Boh? L’autostrada è ottima e deserta. In un lampo siamo a Cesme. Bel posto: la fortezza sul mare, prima cosa che si vede arrivando, è d’effetto. Siamo in anticipo per l’imbarco, così pranziamo con freschissime spigole alla brace e acquistiamo gli ultimi souvenir. Il traghetto che ci porterà in Grecia è davvero piccolo e contiene pochi veicoli. Meglio aver prenotato. All’imbarco c’è un’altra moto con una coppia di Cascais. Mi sembrava di aver fatto tanta strada, ma questi ci battono: dal Portogallo si sono sciroppati 8000 km e una traghettata dalla Spagna all’Italia in più. Anche loro si sono beccati una multa di 260 lire per eccesso di velocità, e anche loro si chiedono come e se dovranno pagarla. Pensiamo che ora, col controllo di frontiera, la multa verrà fuori dai computer e si dovrà pagare se ce ne vogliamo andare, ma invece i poliziotti vanno e vengono, controllano e ricontrollano le targhe e i modelli delle moto, ma poi ci lasciano andare. Ci arriverà a casa? O forse verremo schedati e pagheremo solo in caso volessimo tornare in Turchia? Vedremo! Alle 19 siamo a Chios. Rapidissima ricerca di una camera sul lungomare vicino al porto, e poi cena ad un passo dall’albergo. Le porzioni (il triplo di quelle turche) ci fanno ricordare che siamo in Grecia.

Giorno 17: Chios Alzandoci senza fretta, vorremmo vedere qualcosa di quest’isola poco votata al turismo. E’ un’isola col paesaggio duro della Grecia continentale. Saliamo verso le città dalle case in pietra: Avanos e Sidirounta,. La strada è tra montagna e mare, tortuosa e panoramica. Le città sono belline, ma non ci entusiasmano: niente rispetto alle case in pietra del Peloponneso. Scendendo da Sidirounta, dopo 3 o 4 km prendiamo uno sterrato sulla destra. Arrivando avevamo visto una bella spiaggia, e ci era sembrato che questa fosse la via. Ci troviamo invece in un’altra, che dalla strada non si vedeva, più piccola ma incantevole. Ci sono due tende tra la vegetazione, ma non si vede anima viva. L’acqua è trasparentissima e scintillante, anche se il fondo di sassi e grosse pietre richiede scarpe da scoglio. Comunque ci mettiamo in acqua, e passiamo un paio d’ore in armonia con la natura. Meno armonica la risalita per lo sterrato, ma stavolta ce la siamo cercata. Alle 22 abbiamo il traghetto Anek per il Pireo, a me fa male la testa, quindi la giornata a Chios può finire qui. Ceniamo presto e ci sediamo al porto. Traghetto puntualissimo, e addirittura ci viene data una grande cabina esterna al posto dell’interna prenotata. Bene, bene

Giorno 18: Pireo-Patrasso Arriviamo al Pireo in anticipo, e in un lampo siamo fuori dalla nave. Autostrada, uscita A per Corinto, e ci ritroviamo sullo stretto. Chi l’avrebbe mai detto che dopo un anno saremmo stati di nuovo a fare foto al vertiginoso Canale? Patrasso non è lontana. Per rallentare un po’ (l’imbarco è alle 17), non facciamo l’autostrada, ma comunque dopo qualche paese ci ritroviamo su una comoda superstrada, meno trafficata e senza mezzi pesanti. Pranzo a Patrasso e ore di attesa al confortevole porto. Io me la svigno, e in un mercato compro le dolci cipolle greche per l’insalata. Questi sono i souvenir che preferisco. Il traghetto Minoan è in ritardo. E’ l’Europa Cruise, il più grande. Sembra una nave da crociera, ma forse la sua grandezza lo rende poco governabile. Cabine e ponti sporchi, disservizi vari (il personale ci entra in cabina col passepartout credendo sia libera). Eravamo entusiasti di questi traghetti, ora meno.

Giorno 19: Ancona-Pescara Sbarchiamo con “solo” due ore di ritardo. Incasinata A 14 verso casa: lavori, corsie ridotte, camion che ti vogliono schiacciare,,, Tutto il mondo è paese…



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