Sulla Via Etrusca dei Due Mari

Questo percorso edito da Gianfranco Bracci è un ottimo esempio di "Slow Tour" per il progetto di Patrizio & Syusy l'Italia Senza Benzina. Dal mare Tirreno all’Adriatico (e viceversa) da Pisa a Spina un flusso continuo di merci teneva legate l’Etruria propria e l’Etruria padana lungo una millenaria direttrice di...
Scritto da: Redazione TPC
sulla via etrusca dei due mari
Questo percorso edito da Gianfranco Bracci è un ottimo esempio di “Slow Tour” per il progetto di Patrizio & Syusy l’Italia Senza Benzina. Dal mare Tirreno all’Adriatico (e viceversa) da Pisa a Spina un flusso continuo di merci teneva legate l’Etruria propria e l’Etruria padana lungo una millenaria direttrice di traffico che a breve potrà essere ripercorsa da quanti amano andare alla scoperta di un’Italia per chi ama “l’andar lento”. Il CAI progetterà e segnalerà l’intero percorso. L’idea di ripercorrere e poi studiare la più antica strada italiana, mi è venuta dopo aver “ricucito” insieme tre fatti particolari.

Il primo: avevo letto che lo storico greco di origine persiana Scilace di Carianda, vissuto fra VI e V sec. A.C., asseriva che i Tirreni (Etruschi) potevano percorrere il tracciato da Spina a Pisa in soli tre giorni. Tre giorni non bastano certamente per coprire, con i mezzi dell’epoca (essenzialmente carri e muli), i circa 260 chilometri che dividono l’Adriatico dal Tirreno. L’Etruria padana era comunque collegata all’Etruria propriamente detta (fra l’Arno e il Tevere) da un intenso flusso di traffici che doveva avvalersi di percorsi consolidati, fra cui non mancavano efficienti tratti stradali selciati. Il secondo: un bel giorno (maggio 2004) il gruppo di ricerca diretto da Michelangelo Zecchini, archeologo di Lucca, compie un ritrovamento di eccezionale valore. In località Casa del Lupo, presso Capannori (LU), affiorano 250 metri di una strada larga sette metri (potevano passarci tre carri). Sembrava la solita strada romana, segnata in più punti dai solchi dei carri, ma i frammenti di vasi etruschi e attici insinuati fra le pietre hanno consentito di datarla intorno alla metà del VI sec. A.C., in pieno periodo etrusco arcaico. Ecco apparire dunque la più antica “superstrada” italiana. Intanto a Prato, località Gonfienti (dal latino confluentes), si riconosce una città etrusca di dodici ettari (trenta quelli tutelati), al cui centro viene ritrovata una residenza di ben 1440 metri quadrati (la più grande di età arcaica mia ritrovata), più del doppio della coeva domus dei Tarquini a Roma. Fra i tanti reperti ci sono una khylix attribuita al pittore greco Douris (inizi V sec. A.C.) e le antefisse che ornavano il tetto. Il tutto a ulteriore conferma della floridezza economica di una città etrusca rimasta ancora senza nome. La tipologia del centro abitato ricorda la “consorella” d’oltre Appennino: Marzabotto, nella valle del Reno, a sua volta non lontana da Felsina (Bologna).

Il terzo fatto accade nel 2006 quando l’Associazione Camars scopre e segnala la presenza di una necropoli etrusca situata fra Casa Bastone e i Bifolchi (Prato), sui monti della Calvana, appena sopra a Prato e la Soprintendenza ai beni archeologici di Firenze dichiara: “le tombe segnalate e poi studiate, risalgono al IV° secolo a.C. E che, sottolineiamo, esse erano situate inequivocabilmente lungo l’antica strada transappenninica che collegava i due mari”. Ecco quindi che collegando queste tre importanti scoperte mi sono incuriosito ed ho deciso di percorrere l’intero tragitto tramite i mezzi più ecologici del momento: in bici, a piedi ed in canoa.

Dai mercanti etruschi agli amanti del trekking Per poter riproporre l’antica direttrice commerciale etrusca in un itinerario per chi ama l’“andar lento” era d’uopo ripercorrerla integralmente. Ecco quindi che una bella mattina del luglio 2008, insieme all’amico Sergio Gardini, esperto del CAI di Bologna, abbiamo iniziato questo viaggio fra i due mari. Ecco una sintesi del diario di viaggio: 02/07 Comacchio – Campotto del Po (Argenta) Iniziamo a pedalare in sella alle mountain bike seguendo gli argini assolati del Po di Primaro che costeggia le belle Valli di Comacchio. Il sole implacabile della pianura padana ci obbliga a varie soste per dissetarci ed osservare l’avifauna di grande pregio che ha nel Parco del Delta del Po, una delle stazioni di sosta e riproduzione più ambite d’Europa. Fenicotteri, aironi cenerini, garzette e tanti altri uccelli, si mostrano in tutta la loro eleganza…Ma la cosa che ci stupisce sono i mille fenicotteri rosa che stazionano da una decina d’anni a questa parte in queste “Valli”. La fauna del Parco è sicuramente uno degli elementi di maggior pregio dell’area protetta. Sono note complessivamente più di 460 specie di Vertebrati. Gli uccelli del Delta del Po costituiscono un patrimonio di straordinario valore, con oltre 300 specie segnalate negli ultimi decenni. Tale ricchezza fa della zona protetta la più importante area ornitologica italiana ed una delle più rilevanti d’Europa. Questa straordinaria diversità di specie è dovuta alla grande complessità ambientale del Delta, che per molte specie rappresenta una vera roccaforte a livello europeo o nazionale. Dopo un po’ arriviamo al punto dove Anita Garibaldi venne ferita e facciamo un salto di alcuni secoli per ricordare questa celebrità del Risorgimento nazionale. Ancora un po’ di pedalate ed arriviamo a Campotto del Po, una frazioncina della Bassa Padana, nel Comune di Argenta, dove veniamo accolti con molto calore. Una bella cenetta con specialità locali a base di anguilla ed altre leccornie innaffiate da freschissimo vino bianco “delle sabbie”, fanno da prologo alla proiezione pubblica di un bel documentario del regista Fabio Avoni. Prima di addormentarci ripensiamo all’affettuosa accoglienza che il Comune di Argenta ci ha riservato. Gente amabilissima, questi romagnoli. In fondo domani ci aspetta una nuova pedalata e dunque abbiamo dovuto pur mettere in pancia un bel po’ di calorie per affrontare a breve le asperità del “silvoso Appennin”. Una sana dormita dovrebbe rimetterci in forze… staremo a vedere.” ^03/07 Campotto del Po (Argenta) – Agriturismo Dulcamara (Ozzano) Tappa di trasferimento in bici, un po’ noiosa in quanto si snoda attraverso zone antropizzate. Si giunge a Medicina e, dopo aver sottopassato l’autostrada adriatica. In breve giungiamo agli scavi di Claterna, una città romana e prima ancora etrusca, situata lungo la Via Emilia nel comune di Ozzano. Ci rifocilliamo in un bar ingurgitando litri di acqua minerale gasata e poi ripartiamo per affrontare le prime salite che ci condurranno all’interno del Parco dei gessi Bolognesi e calanchi dell’Abbadessa.

04/07 Agriturismo Dulcamara (Ozzano) – Monterenzio Il Parco dei Gessi, situato sulle prime colline bolognesi, comprende una fascia di affioramenti gessosi, che hanno dato vita ad un complesso carsico di estremo interesse, e i suggestivi Calanchi della Baddessa. Per quanto intaccati dalle passate attività estrattive, i gessi bolognesi rappresentano una delle principali emergenze naturalistiche della regione Emilia Romagna, con doline, altipiani, valli cieche e rupi che modellano il paesaggio e ospitano una vegetazione caratterizzata da presenze mediterranee miste a specie più montane. Ce ne accorgiamo subito muovendo i primi passi a piedi. L’ambiente è un po’ lunare e quindi suggestivo, completamente diverso da quello che abbiamo attraversato nei due giorni precedenti e di quello che troveremo successivamente seguendo il filo del crinale del fiume Idice. Di qui passava la prima strada d’Italia… Ma adesso è un semplice sentiero! Stiamo sbuffando su per le salite calancose ed assolate per poi attraversare gli ombrosi e freschi boschi del Monte Appennino. Non abbiamo i muli come i carovanieri di allora ma solo il Cavallo di S. Francesco (le nostre gambe) che aiutiamo con dei bastoncini da Nordic Walking. Questo nuovo modo di camminare è stato elaborato in Finlandia e ci permette di muovere anche le braccia ottenendo un movimento più completo in salita e in pianura. In discesa poi, grazie agli stessi bastoncini che adesso “contrastano la forza di gravità”, riusciamo ad alleviare il peso degli zaini e del nostro corpo sulle ginocchia. Il tutto per un virtuoso movimento naturale. Seguendo fedelmente l’antica via etrusca e poi romana (divenne infatti la Flaminia Minor), seguiamo il lungo crinale che punta decisamente a Sud e divide le valli del Quaderna e dell’Idice. Sergio Gardini esperto del CAI è nel suo territorio e guida con autorità e competenza il drappello base. “Il sentiero è segnato come CAI 801 e ci condurrà infine a Monterenzio dove ci attende una meravigliosa Festa Celtica”, ci informa con la sua s sibilante da vero bolognese. Siamo in territorio etrusco-celtico ed il ritrovamento dei corredi delle tombe dei due popoli che allora (IV se. A.C.) si erano perfettamente integrati, lo dimostra. Giungiamo al bel Museo Archeologico di Monterenzio ed ad attenderci troviamo il Prof Vitali, valente archeologo celtista ed il Dott. Calastri, suo assistente e collaboratore, esperto di topografia antica. La visita del museo è addirittura emozionante. Salendo al secondo piano riusciamo persino a toccare una spada celtica del III sec. A.C. Che valenti restauratori francesi stanno lavorando. L’operazione genera istantanea emozione. Penso ai 2.400 anni passati e mi vengono i brividi. Poi nelle sale al piano terra i due archeologi sopraccitati– che fanno parte del team scientifico della Via etrusca dei due mari – ci mostrano ed illustrano le rare collezioni dei reperti ritrovati in loco.“Ci dispiace che non potrete vedere alcuni pezzi pregiati”, aggiunge Vitali. “Al momento gli abbiamo prestati ad una Mostra francese sui Celti. Le sembrerà strano ma qui a Monterenzio abbiamo trovato più reperti celtici che nell’intera Francia !”…Incredibile ma vero. Fuori iniziano già ad arrivare appassionati di cultura celtica provenienti anche da Scozia, Irlanda, Francia e naturalmente da tutto il Nord Italia, ecc. Queste feste attirano migliaia di persone ed oltre che divertenti sono molto istruttive. Alcune capanne degli uomini del Nord sono state ricostruite nel parco del paese e si servono pasti cucinati rigorosamente con ingredienti d’epoca. Poi si rappresentano i riti sacri di allora che hanno nei Fuochi di Taranis, il loro momento più spettacolare. A noi della spedizione è riservato l’onore dell’inaugurazione di quest’anno e… ne siamo orgogliosi.

5/07 Monterenzio – Campeggio La Martina (Monghidoro) Siamo partiti col sole già alto nel cielo. L’aria fresca che scende dal crinale dello spartiacque ha mitigato la fatica e limitato la sudorazione. Stamani si sono aggiunti escursionisti provenienti da molte regioni italiane. In tutti siamo una ventina e la compagnia sembra affiatata. Il sito archeologico di Monte Bibele appare ben mimetizzato nel bosco e sovrasta la pianura dell’Idice. Gli antichi sapevano dove abitare con sicurezza. Girellando per i resti degli scavi si possono immaginare le capanne celtico-etrusche e la vita che vi pulsava. L’archeologo del Nostro team, Claudio Calastri, riesce benissimo a farci rivivere quei momenti. Riprendiamo il cammino per scendere di nuovo in valle e poi risalire ancora verso la meta della giornata: il Campeggio “La Martina” nel Comune di Monghidoro. Chi sa se vedremo Gianni Morandi che si allena fra i boschi di casa sua per prepararsi alle maratone? Sarebbe bello canticchiare insieme a lui: “C’era un ragazzo che come me… amava i Beatles e i Rolling Stones”. In fondo sia chi scrive che il grande Gianni, facciamo parte della generazione di “quei ragazzi” della canzone. Lui ha fatto una gran carriera ed io mi sono fermato ai due anni da urlatore nel complesso rock dei Teyus di Firenze. Ma i Beatles…Mi sono rimasti nel cuore e la loro musica immortale ha accompagnato ed accompagna tutt’ora la mia vita. Pensieri che vengono a chi cammina. Camminando si ha modo di riflettere e meditare. Si crea una specie di vuoto dentro l’anima che poi verrà riempito da nuove idee, quasi sempre buone, comunque più chiare. Si vive una specie di fase onirica senza riferimenti temporali e spaziali. Ci sposiamo con l’ambiente circostante e, come direbbe Benigni, ci “facciamo all’amore”. Questa droga naturale ci obbliga piacevolmente a rimetterci in cammino. Se poi – come in questi giorni – intraprendiamo un lungo viaggio, ebbene allora viviamo in assoluto una dimensione a parte. L’arrivo al Campeggio La Martina, ben collocato nella silente foresta, avviene nel tardo pomeriggio. Non vediamo l’ora di toglierci gli scarponi e calpestare l’erba a piedi scalzi… piccoli, grandi piaceri del trekker. ^6/07 Campeggio La Martina (Monghidoro)-Firenzuola Al mattino presto riprendiamo a camminare per giungere presto al Passo della Raticosa. La giornata è splendida e l’aria, salendo in quota si stà facendo sempre più fresca. Fra bianche mucche al pascolo e profumate fioriture scendiamo verso Pietramala e divalliamo nella conca di Firenzuola. L’arrivo attraverso la Porta Bolognese è emozionante. La città murata eretta a difesa di Firenze dall’arroganza dei Conti Guidi, ci accoglie con l’indifferenza propria dei borghi di montagna… Ma noi girelliamo per il paese gustando caffè e gelati a non finire! 7/07 Firenzuola – San Piero a Sieve E’ l’alba quando decidiamo di muoverci. Il caldo infernale di questi giorni di sol leone ci obbliga a sveglie quasi notturne. L’asfalto che ci divide dal borgo di Sigliola non è bellissimo ma a quell’ora ci appare pur sempre fresco. Dal vecchio paese di pietra serena prendiamo l’antica mulattiera che seguivano anche gli etruschi. Ci sono enormi castagni, alcuni cavi e l’ambiente si fa sempre più suggestivo. Un tratto calancoso punteggiato da gialli ciuffi di ginestre, prelude ad una salita più dura. Poi ecco giungere il passo dell’Osteria Bruciata, con le sue leggende, adesso ridotto a semplice crocevia di sentieri. Camminando in quest’ambiente silente e misterioso si possono capire tutti i timori che attanagliavano l’anima dei nostri avi. L’Appennino allora doveva essere molto temuto. Un bel tratto scavato nella roccia e dotato di scalini..Potrebbe essere ancora quello che gli stessi etruschi avevano scavato per far salire e scendere meglio le proprie merci… Chissà? Intanto, fra una radura e l’altra, appare il lago di Bilancino e noi continuiamo a scendere nel Mugello. Un lungo tratto di pianura conduce alla case di Gabbiano e poi giunge infine a San Piero a Sieve, borgo sovrastato da una fortezza medicea.

8/07 San Piero a Sieve – Calenzano e Prato Da San Piero a Sieve, dopo aver sfiorato la fortezza medicea di San Martino, la salita verso il castello del Trebbio avviene all’ ombra di alti cipressi e l’ edificio storico si nasconde alla vista fino all’ultimo secondo quando riappare sovrastandoci imponente. «Fate una bella gita a piedi?», ci domanda un gentile signore che abita proprio di fronte. «Chiamala gita, veniamo dal mare Adriatico e andremo fino a Pisa, sul Tirreno per ricercare l’ antica direttrice etrusca dei due mari» rispondo io. «Ma bene! Complimenti, che bella cosa che fate – aggiunge lui – Ma lo sapete che il toponimo Trebbio viene proprio dalla parola “trivio”? Quindi questo era un trivio importante nel passato e qui si dividevano e si incontravano viabilità di tutto rispetto che conducevano a Fiesole, Firenze e Bologna. Sono venuti anche degli archeologi a fare dei saggi ma, come potrete capire, da quando arrivarono i Medici, che qui son nati, cambiarono un po’ tutto il territorio e sconvolsero ogni traccia di infrastruttura precedente». Mentre saliamo verso il crinale che divide la Val di Marina dal Mugello, salutiamo il gentile e colto signore del Trebbio e ammiriamo la svettante sagoma del castello in controluce. Sergio ed io cominciamo a sentirci lontani dalle “valli” (lagune) del mare Adriatico e dalle giornate afose e solari della Bassa padana. Qui è tutta un’ altra cosa: un tunnel verde ci accoglie con la sua ombra e il suo frescolino che corrobora le membra ormai provate. La giornata è ventosa e quindi ideale per camminare. Tracce di antico selciato ci rincuorano quanto la direzione seguita: entrambe conducono verso quella che era la grande città etrusca del VI secolo a. C. Eretta sulle rive del Bisenzio, dove adesso è la città di Prato. Un ritrovamento eccezionale che purtroppo ha avuto la sfortuna di venire alla luce sotto l’Interporto della Toscana Centrale e quindi non ha avuto ancora le “attenzioni archeologiche” che merita. Questa città aveva una strada larga 11 metri e il signore che controllava il commercio transappenninico della “Via etrusca dei due mari” possedeva una reggia di 1.440 metri quadrati! Un paperone dell’ epoca. Non ci crederete: gli scavi sono fermi da anni! Ma tant’ è. Questa è l’ Italia, con i suoi veti incrociati. Fra una chiacchiera e l’ altra giungiamo alle torri medievali di Collina (Calenzano) e poi prendiamo Via del Pratello dai suoi selciati importanti per giungere a Calenzano dove faremo tappa.

10/07 Prato – Porcari Appesi gli scarponi e lo zaino ad un chiodo, eccoci di nuovo in viaggio con le nostre fide mountain bike preparate amorevolmente dai tecnici della Tuttinbici di Calenzano.

A questo punto non ci resta che seguire l’antica Via Cassia che da Gonfienti conduceva a Pistoia e oltre. Seguendo tratti di nuove e pratiche piste ciclabili del Comune di Prato tocchiamo il Centro di Scienze Naturali di Galceti e, dopo alcuni leggeri saliscendi giungiamo alla imponente e suggestiva rocca della Smilea caratterizzata da due eleganti torri d’avvistamento, che segnava le sex- milia (sei miglia) di quest’arteria romana costruita probabilmente sul precedente tracciato etrusco. Il percorso, sebbene oggi molto antropizzato, si svolge in un ambiente suggestivo: a destra le propaggini dell’Appennino pratese e poi pistoiese ricoperte di boschi e foreste, a sinistra la pianura ormai preda della maxi-città che si estende fino a Firenze. E’ presto e l’aria è frizzante; come al solito partiamo per tempo onde ridurre al massimo l’impatto del traffico veicolare ed il fastidio dell’alta temperatura di questo luglio. Ci vengono incontro i cicloamatori del Torretta Bike di Porcari (Lu).

In testa c’è Franco Fanucchi, adesso Assessore al turismo e sport del comune di Porcari. Questi ragazzi, nel 2005 sperimentarono la Via etrusca passando dalla città etrusca di Marzabotto (Bo), per certi aspetti gemella di Gonfienti (Po), ancora in buona parte da scavare.

Pedaliamo affiancati scambiandoci pareri e racconti di questo viaggio simile fatto a distanza di tre anni e concordiamo di collaborare per la migliore riuscita del progetto che ci vedrà impegnati insieme al CAI emiliano e toscano, nella realizzazione di questa importante proposta turistico-culturale e del tempo libero.

Siamo tutti appassionati di etruscologia ma anche di sport all’aria aperta ed inoltre siamo dei naturalisti. Quindi unendo queste sane passioni dovremmo giungere ad un buon risultato.

La salita del Serravalle è breve ma sufficiente a produrre un bel po’ di sudore che però la discesa verso Montecatini Terme asciuga velocemente. Proprio a Montecatini, nel prossimo Ottobre in occasione della BTS (Borsa del Turismo Sportivo), getteremo le basi per mettere a progetto tutto il percorso da mare a mare. Pedalando ci accorgiamo che questa zona ci creerà un certo numero di problemi dovuti alla diffusa presenza di strade, autostrade e zone abitate che ormai riempiono tutto il paesaggio. Con gli amici del Torretta Bike cerchiamo strade alternative ed alcune sterrate ci facilitano il compito. Intanto comincia a far caldo e non vediamo l’ora di arrivare a destinazione. “Ragazzi stiamo per arrivare”, ci dice Valter, l’altro amico del Torretta Bike, indicandoci il bel borgo medievale di Porcari addossato ad una collina . Poi, inaspettatamente, ecco apparire gli scavi delle fattorie romane di Fossanera appena ritrovate. Sono rimaste intatte grazie al lago di Bientina che le sigillò per poi rendercele, dopo la bonifica. L’archeologo Luca Ubaldo Cascinu ci spiega che vi si produceva il vino e le anfore per contenerlo. Poi ci mostra dove è stato ritrovato il tratto di via etrusca dei due mari largo ben sette metri , haimè ormai ricoperto di terra. Siamo Stanchi ed affamati ed accettiamo di buon grado di concludere la serata alla Festa delle Corti, in questa bella parte di Lucchesia.

^11/07 Porcari – Pisa Gli etruschi usavano regolarmente l’Arno quale via di comunicazione. Per immaginarsi il tipo di imbarcazione usata all’epoca basta pensare ai lunghi scafi dei barcaioli fiorentini a fondo piatto. Usate per portare la sabbia raccolta sul fondo del fiume, queste barche potevano sopportare pesi enormi senza pescare più di tanto. Infatti l’Arno è un fiume a carattere torrentizio e nelle stagioni calde in certe zone il livello dell’acqua è veramente basso.

Se si pensa che alcuni cippi funerari di marmo delle Apuane sono stati ritrovati a Calenzano ed a Campi Bisenzio, si può intuire che siano stati trasportati, come tanta merce pesante, via Arno. Da Pisa si raggiungeva il “porto della Gonfolina” appena sotto la fortezza di Artimino che dall’alto ne proteggeva gli scambi commerciali, per giungere fino alla città etrusca sul Bisenzio, rimasta ancora senza nome. Adesso l’Arno, specialmente nella stagione estiva è una specie di cloaca. Vi si trova un po’ di tutto. Noi siamo andati ad Altopascio, città del pane, per giungere, dopo una lunghissima dirittura molto trafficata a Bientina. In breve siamo arrivati al piccolo scalo fluviale di Ciglione presso Titignano, alle porte di Pisa.

Daniele Baldeschi, dirigente dell’Associazione Canottieri Arno, ci viene incontro col motorino: “salve ragazzi…Siete voi quelli della Via Etrusca?”, ci domanda togliendosi il casco. “Ciao Daniele, come stai?. Finalmente ci conosciamo”, rispondo.

“Seguitemi che vi mostro lo scalo dove vi imbarcherete sui nostri dragon boat.” In breve siamo sull’argine e la vista delle due grandi canoe mi emoziona. Sono belle da morire e poi…Tutti quei giovani atleti che remeranno per noi, mi fa sentire importante come un condottiero al ritorno da una campagna militare Mentre salgo sento un groppo salire a stringermi la gola. Sono un emotivo, lo ammetto. Il tempo è passato in fretta e quasi mi dispiace che questa modesta avventura stia per concludersi.

Intanto l’aria fresca ci scorre addosso e le due filanti imbarcazioni, scortate da un bel pò di kayak, iniziano a viaggiare verso il centro storico di Pisa, l’antica repubblica marinara che fece tremare il mondo. Vederla dal pelo dell’acqua è quanto meno suggestivo. Con Sergio Gardini ci scambiamo occhiolini e saluti. Stiamo per arrivare a destinazione. Abbiamo attraversato l’Italia da una mare all’altro. Ne abbiamo carpito i segreti girando fuori dalle piste battute. Siamo stati sempre più coscienti di aver visitato zone bellissime ma anche fragili che meritano una fruizione turistica attenta e corretta. Quando sarà percorribile, a piedi, in bici ed in canoa, la via etrusca dei due mari, diventerà – ne siamo certi – un’arteria escursionistica di grande spessore che attirerà flussi turistici nazionali e sopratutto stranieri. Da Parco del delta del Po al Parco dei Gessi Bolognesi all’AMPIL della Calvana, fino a Bocca d’Arno. Da Comacchio a Pisa passando per Argenta, Ozzano, Monterenzio, Monghidoro, Firenzuola, San Piero a Sieve, Prato, Pistoia, Montecatini Terme e Porcari, abbiamo incontrato ogni responsabile ed ogni dirigente pubblico o privato. Tutti si sono detti entusiasti di aderire al tavolo di lavoro dal quale dovrebbe nascere il percorso. Come dicevano i nostri nonni etruschi… Se son rose fioriranno.

di Gianfranco Bracci La Via Etrusca dei due Mari



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