Stupore, ammirazione, estasi ed una strana sensazione: la Giordania in coppia si vive così
Glielo dovevo, erano anni che proponeva questo viaggio. Io, cafone ed insensibile come credo di sembrare, ho diretto, ogni estate, la bussola da un’altra parte. Ma stavolta: Giordania sia! Mese scelto per la vacanza in questo stato semi-desertico? Il migliore: luglio! Io sono Edo, più vicino ai 60 che ai 50, lei è Laura più vicina a me che ad altri, spero.
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Diario di viaggio
3-7. Partenza
Ormai siamo tra chi ricorda la gioventù, quindi l’ansia e qualche pillola sono diventate nostre, mie, compagne di viaggio, quindi partiamo col giusto anticipo. Volo Ryanair Bergamo-Amman (798 euro A/R due persone), siamo lì 2 ore e mezza prima della partenza.
Non siamo viaggiatori incalliti, ma qualche decina di voli li abbiamo presi, parecchi di corsa: l’anticipo sul volo ci tranquillizza un po’ troppo. Lunga fila per l’imbarco del bagaglio che non scalfisce la nostra calma. Mangiamo tranquilli e poi al gate. Qui ci rendiamo conto che a noi ed a molti altri devono controllare i passaporti. Fila che adesso diventa carburante per la nostra, mia, ansia. Laura, salvatrice, vede che si può fare il controllo automatico. Quasi senza fare fila passiamo ed arriviamo al gate con l’imbarco già aperto. Noi ed il ritardo: gemelli.
All’arrivo iter per il visto acquistato con il Jordan Pass (75 JOD) e poi si esce.
Acquistiamo due sim Umiah (tariffa U10+ 16 JOD) e prendiamo possesso dell’auto noleggiata (Budget via Ryanair 478 per 12 gg.).
È un bestione a 3 volumi, quando io avevo indicato una Yaris, col cambio automatico. Io non ho MAI guidato un’auto col cambio automatico… lo farò in Giordania. Prima tappa: la capitale. Facile, no?
Lentamente raggiungiamo l’albergo (Amman West Hotel 150 JOD 3 notti, col. Inclusa). Una cena soli soletti nel ristorante dell’albergo, poi l’ansia accumulata mi sferra il colpo. Crollo sul letto, già addormentato.
Ah, ho già notato che i giordani sono la cordialità fatta persona.
4-7. Amman
Colazione buona, non ricca, e si parte.
Prima destinazione: la Cittadella. Amman è un pullulare di case sparse su sette colli (come Roma, Lisbona, etc..). Non ha uno skyline, sembra più un alveare. Il traffico è molto intenso, ma non caotico. Suonano tutti, quindi nessuno pensa stiano suonando a te e si va, allegramente imbottigliati.
Arriviamo alla Cittadella sulla sommità di un colle. Ingresso incluso nel Jordan Pass (d’ora in poi scriverò solo JP), due bottigliette d’acqua arricchite col magnesio e si inizia. La Cittadella è stata eretta da popolazioni locali nell’età del bronzo, poi dai Romani, poi dagli Omayyadi (chi??). Sulla sommità tre colonne, tre, sono quel che resta del tempio romano di Ercole. Poi si va verso il palazzo degli Omayyadi, non è rimasto molto, da subito però: l’han costruito nel 720 d.C. e 29 anni dopo è venuto giù per un terremoto. Fine.
La cosa più bella, non poteva crollare, è la cisterna: un buco largo 25 metri e profondo un po’ che immagazzinava l’acqua piovana (pioveva 1300 anni fa!) per il palazzo. Visita un po’ così, siamo abituati ad altro, noi italiani (Pompei, Ercolano, Foro Romano a Roma, ecc..). Una sensazione strana ci dice che, verso la prossima destinazione, forse è meglio andare in auto. Si va giù, al Teatro Romano.
Parcheggiamo in un parcheggio poco lontano, gratis, ed entriamo col JP. Il Teatro è poderoso, lui sì. Foto varie poi Laura decide di salire in cima alle gradinate. Sempre quella strana sensazione mi consiglia di lasciarla andare. Arriva su giusto per farsi chiedere l’età da due ragazzi cui aveva chiesto una foto. Ben le sta! A me non l’avrebbero mai chiesta … non sarei mai arrivato in cima. Fame. La LP (Lonely Planet, abbrevio tutto!) ci obbliga ad andare da Hashem, non molto distante. Qui fanno i migliori felafel di Amman. Sono buoni proprio. E non costa nulla mangiare qui, pasto per due 8 JOD!
Ora quella strana sensazione ci consiglia un ritorno in albergo, più precisamente in piscina. Meritato sguazzamento più pennichella e siamo pronti per la cena. Cena al Rakwet Cafè: Laura ha preso la Manakish, una specie di pizza col formaggio, io il Gajun, una salsa di melanzane e peperoni, ed il Mansaf, una gamba d’agnello riposante su un letto di riso ed annaffiato con latte acido di pecora. Buonissimissimo! (Cena 25 JOD in due)
Passeggiatina per avviare la gamba d’agnello verso la giusta destinazione, acquisto dei canonici orecchini e si torna in albergo.
5/7. Jerash – Gadara – Ajlun
Giro “rovinoso”. Si parte più presto che riusciamo, quindi tardi, destinazione Jerash.
Appena arrivati ci facciamo subito fregare: per raggiungere l’ingresso ci sono le forche caudine di decine di negozietti: soccombiamo subito, al primo: due kefiah al prezzo di un organo non vitale. Ce le mettono in testa, io di mio metto il broncio, Laura sa che è la disciplina in cui sono campione mondiale, il broncio, io, ce l’ho Duracell, dura una vita, quindi le prova tutte e ci riesce. Non subito, ovvio, ma dopo un po’ rimangono solo le kefiah.
Basta parlare di me, c’è questo sito romano splendidamente conservato. L’Arco di Adriano, enorme, ci accoglie, poi l’ippodromo dove correvano le bighe e che ospitava 20.000 spettatori. Poi: il foro. Un semicerchio colonnato stupendo. Qui un ragazzo siriano si offre di farci delle foto. Ne farà tantissime, mi sono sentito importante. Lo salutiamo e saliamo al tempio di Zeus, in parte crollato, ma suggestivo, ed il Teatro perfettamente conservato. Camminata fino al tempio di Artemide e poi il Cardo massimo, che non è un fiore gigantesco ma una strada, ci riporta al foro. Non perdetevi Jerash, vi mancherebbe un sito magnifico.
Mangiamo al buffet (7 JOD + bevande) fuori il sito e partiamo per Gadara, a nord.
Vorrei parlare dell’algoritmo di Google Maps: l’itinerario migliore non sempre è il più agevole, andrebbero considerate il numero di curve, per evitare di far vomitare anche i bagagli, la larghezza delle strade, se si passa in due è meglio, i dislivelli, passare dai cammelli ai camosci in pochi chilometri può non essere il massimo… Velocemente, con i crampi per le troppe curve, arriviamo a Gadara. Altro sito romano, molto meno interessante di Jerash (da un 10 ad un 7) ma qui c’è un punto panoramico che dà sulle alture del Golan (storicamente luogo conteso tra Israele e Libano) ed il lago di Tiberiade e chi ha fatto il catechismo se lo ricorderà, a prescindere dalle scelte fatte in seguito il catechismo si pianta nella testa! Bello.
Ora mi riconsegno a Google Maps e puntiamo al castello di Ajlun. È un castello fatto costruire da un generale di Saladino nel 1100 su un’altura. È imponente. Dalla sommità, nelle giornate limpide, si vede Gerusalemme. Oggi è limpido? Vabbè, per Gerusalemme mi farò bastare il catechismo.
Torniamo ad Amman che è l’ora di cena. Mangiamo da Khashouka per soli 14 JOD. Buono!
Ora questi post-giovani devono trovare riposo, strameritato. Era l’ultimo giorno con base ad Amman. Domani si cambia città e albergo.
6/7. Betania – Monte Nebo – Madaba
Giro religioso, oggi.
Puntiamo la bussola verso il confine giordano-israeliano. Salutiamo la caotica Amman e ci dirigiamo a Betania oltre il Giordano. Questo è il luogo dove i vangeli dicono sia stato battezzato Gesù Cristo. Posiamo l’auto al centro visitatori, paghiamo 12 JOD/cad. e veniamo accompagnati con un minibus all’inizio della visita.
Qui, dal 1967, Guerra dei sei giorni, al 1994, accordi di Oslo, era terra di nessuno, ora è tutto militarizzato e si può accedere solo con personale autorizzato.
Prima tappa: souvenir shop. Noi non siamo religiosi,ma i nostri genitori sì: vuoi non comprare un rosario per loro? Addio ad un altro organo non vitale e siamo in possesso del “presente” per i nonni. Plus: se li immergessimo tre volte nel Giordano sarebbero benedetti da Lui in persona.
Si parte: non c’è molto da vedere. Prima il confine con la Cisgiordania, zona non tranquilla. Ogni 50 metri c’è una guardia armata. Il fiume è ridotto ad un rigagnolo: Israele dopo la Guerra dei Sei Giorni ha deviato il corso del fiume a monte del confine con la Giordania, se quel che abbiamo visto si chiama fiume, allora chiamatemi Raoul Bova.
Poi si arriva al punto dove in primavera si incrociano le acque del Giordano e quelle di una sorgente. Qui, narrano i Vangeli, Giovanni Battista battezzò Gesù. C’è una piccola costruzione e delle lastre di marmo (Carrara!) su cui c’è poca acqua, quell’acqua.
La guida, una volta passato avanti il gruppo, ci dice che, non si potrebbe, ma se vogliamo possiamo scendere ed immergere i rosari proprio in quel punto e se ne va, dicendoci di fare in fretta. Ci sentiamo dei privilegiati, forse gli saremo simpatici: scendiamo e facciamo il rito in uno dei luoghi più sacri della cristianità. Farò colpo su mia madre!
Più avanti c’è il luogo in cui, chi vuole, acquistando prima una tunica bianca, può battezzarsi (o ri-battezzarsi) nel Giordano.
Di fronte, sul lato israeliano, viene offerta la stessa opportunità. Io sono ateo, ma ho rispetto dei luoghi religiosi. Sulla sponda israeliana, provenienti dalla vicina Gerico, c’erano dei bagnanti, più che dei battezzandi. Schiamazzi, spruzzi, bah… La cosa più degna di nota, per me, è stato vedere questo confine con le bandiere israeliane e giordane sulle rive opposte, in questa super travagliata zona del mondo.
Ora si va al Monte Nebo. Attraversiamo una zona aridissima: sembra l’interno del cranio di Gasparri: non c’è niente!
Parcheggiamo e saliamo (biglietto 3 JOD) al Monte. Qui la Bibbia narra sia arrivato Mosè a vedere la Terra Promessa che non gli era permesso di raggiungere. Da qui si vede il Mar Morto e, nelle giornate limpide, Gerusalemme. Niente, non la vedrò mai. Anche qui, comunque, molta suggestione.
Mangiamo al ristorante all’uscita e si va a Madaba (Aitch Boutique Hotel, 116 JOD 2 notti + colazione). Posati i bagagli andiamo a visitare la città. Bruttina, direi.
Nella chiesa di San Giorgio c’è un bel mosaico rappresentante la Palestina avanti Cristo. Salendo ancora c’è la chiesa di San Giovanni, sotto la quale c’è un reticolo di tunnel che prima erano parte della preesistente chiesa bizantina. Interessante.
Si può salire sul campanile. Saliamo per vedere la città dall’alto, che rimane bruttina.
Cena da Adonis: appena entrati abbiamo pensato di aver sbagliato posto, non c’era nessuno. Poi la signora all’ingresso si presenta, ci dice che quella è la casa più antica Madaba e ci mostra un cunicolo che la collegava alla chiesa accanto, San Giovanni. Così: tutto nel primo minuto di conoscenza.
Ci siamo seduti, c’era un’altra coppia e basta. Bel locale, mangiato bene ed alla fine, la coppia era andata via, in nostro onore vai con L’italiano, Sarà perché ti amo, Bella ciao (!!!). Tutto per farci sentire a casa, bella gente, proprio. Abbiamo poi scoperto che i gestori sono egiziani e quindi ho sparato il pippone, sacrosanto, sul nostro Giulio Regeni. Non sapevano nulla, ora sì… Cena, 31 JOD in due. Stop, giornata terminata.
7/7. Castelli del deserto
Giro di castelli, oggi. Partiamo a quella che per noi è l’alba: 8:30!
Abbiamo letto in giro che d’estate il deserto orientale è inospitale. Chi dice prendete una guida, chi fate il pieno di benzina e di acqua, non sostate al sole. Alla guida ci abbiamo pensato, ma sono troppo tirchio… Alla fine ci siamo detti: andiamo presto, con le scorte e vediamo come va.
Spoiler: è andata benissimo, era puro terrorismo psicologico.
Faremo il giro inverso, alla araba, di quello classico che si fa da Amman, anche perché lo facciamo da Madaba.
Prima tappa: Qasr al-Kharana. Un cubo di pietra gialla in mezzo al nulla. Il deserto orientale è di terra, non quello classico di sabbia. Ma i dromedari ci sono.
Li chiamano castelli, ma sono dei caravanserragli, delle aree di sosta per i mercanti.
A me piacciono le cose regolari, simmetriche e questa costruzione è perfetta. La tagli in due per dritto o in diagonale e le parti si sovrappongono perfettamente. Bravo sto omayyadi.
Usciamo, ci offrono un the, Laura, in cambio, compra mezza la roba che c’è nella tenda e partiamo: qui abbiamo scroccato, chiedendo però, la spiegazione di una guida che accompagnava una famiglia mantovana, vediamo se ci riesce il colpo anche alla prossima tappa.
Qar al-Asra: una piccola costruzione modesta che cela, però, all’interno degli affreschi perfettamente conservati: un piccolo gioiello in mezzo ad un bellissimo nulla. Avremmo anche potuto fare lo scroccoguida,ma abbiamo evitato. Siamo piemontesi, da noi si dice sempre: “chissà poi cosa dicono di noi”. Si riparte, sempre nel mezzo di lande sterminatamente vuote.
Arriviamo ad al-Azraq, dove c’è il castello da cui Lawrence d’Arabia ha guidato la rivolta che cacciò gli ottomani da Damasco. È un forte in pietra basaltica, nera, suggestivo, ma quelli nel deserto, qui siamo in una città, sono molto più affascinanti.
Ho una strana sensazione, mi sa che alla prossima tappa dovrò ricorrere alla kefiah di Trussardi che ho comprato a Jerash.
Ultimo castello, Qasr Al-Hallabat. Si staglia su una collina. Metto la kefiah a Laura e lei a me e, belli come il Re Abd Allah e la Regina Rania, andiamo impettiti al castello. Era un forte romano riadattato a palazzo. Molto belli gli archi che stan su senza altro collante che la forza delle pietre una contro l’altra.
Dobbiamo pranzare, adesso. Google dice che vicino c’è un ristorante: andiamo. Arriviamo in un paese orrendo, che puzza di immondizia ed il ristorante, in realtà, è una baracca dove però fanno effettivamente da mangiare. Ma chissene della forma, entriamo. Prendiamo humus, felafel, omelette, patatine, acqua e una fanta alla fragola (!!!) all’esorbitante prezzo di 2,70 JOD. Laura è stata anche a lungo osservata da due bambine incuriosite forse dal suo abbigliamento. Bella esperienza.
Questa giornata aveva più di un’incognita, tutte fugate tranne una: i dossi. In Giordania ci sono dossi a tradimento, ovunque. Non sono quasi mai segnalati, non sono di un colore diverso dall’asfalto e sono anche sulle strade a scorrimento veloce, a due corsie. Qui non si rischiano le multe, si rischio l’infarto.
Tornati in albergo presto ci siamo concessi un po’ di piscina e poi cena da Ayola (20 JOD). Sulla strada verso l’albergo abbiamo ancora avuto tempo di assistere ad una rissa tra giovani e di incontrare tre bimbe che hanno voluto sapere chi eravamo e con cui abbiamo anche giocato un po’.
Ah, una cosa oggi che mi ha colpito: un campo rifugiati in pieno deserto, dopo Al-Azraq. Siamo a 90 km dal confine siriano. Pensare che chi è scappato dalla guerra sia stato portato qui fa veramente impressione. Non so in quali condizioni vivano i profughi in questo campo, mi informerò, ma vedere una distesa enorme, veramente enorme, di tende bianche molto grandi, letteralmente in mezzo al deserto non lascia indifferenti.
8/7. Mar Morto
Giro “morto”, oggi.
Partiamo ad un’ora più nostra, alle 10 e ci consegniamo a Google Maps per raggiungere la prossima tappa: il Mar Morto.
Dovrei ricominciare a comprare le cartine stradali, Google Maps sono convinto conosca strade tutte sue, magari sono sponsorizzate. Laura che vede in tutto qualcosa di positivo, e meno male altrimenti io non avrei mai avuto speranze con lei, dice che abbiamo visto paesaggi che ci sarebbero stati negati da un itinerario più classico. In effetti siamo passati da zone aride a vigneti e, ad un tratto, là sotto il mar Morto, il punto emerso più basso del pianeta.
Scendiamo ed entriamo nel Dead Sea Spa Hotel, un posto, per noi, di super lusso: una hall gigantesca, 4 piscine e ci hanno pure dato una camera migliore di quella prenotata (ho visto che si dice upgrade). Enorme, con vista sul mare (140 JOD una notte+cena+colazione). Ma prima di vedere la camera siamo andati a fare l’esperienza del tappo di sughero.
Scesi in spiaggia, subito in acqua! Prima sensazione quella del pollo bollito: l’acqua è calda come il brodo. Ma chissene! Ci buttiamo di schiena (di testa sarebbe un martirio) e subito le gambe emergono dall’acqua. Una sensazione unica, galleggerebbe anche un tombino di ghisa, qui.
Facciamo le classiche foto: io, devoto al dio divano, ho inventato lo stile chaise-longue, gambe incrociate e mani sotto la testa, un pascià.
Non ci sono molte altre cose da dire: giornata balneare e di relax. Ah, non sradicatevi le unghie prima di venire qui, come ho fatto io: ogni singola e piccola ferita si farà sentire al contatto con l’acqua più salata del mondo!
9/7. Mukawer – Wadi Mujib – Karak
Giro verso giù.
Ci svegliamo presto ed andiamo, come Laura desiderava, a fare ancora un bagno. Bel modo di iniziare una giornata.
Colazione e via, dobbiamo raggiungere Wadi Musa a sud, ma abbiamo deciso di farlo attraverso la Strada dei Re, una strada che ricalca il percorso sud-nord e nord-sud dei mercanti, pellegrini, crociati ed ora anche il nostro.
Dal mar Morto prima si sale e poi si scende a precipizio verso le sorgenti di Ma’in. Sono all’interno di una Spa, forse si può entrare per fare le foto, ma noi siamo timidi: abbiamo visto una sbarra e siamo tornati indietro.
Da qui andiamo verso Mukawer, dove ci sono le rovine del castello di Erode, quello che ha fatto tagliare la testa, e l’ha fatto qui, a Giovanni Battista. Il castello non si vede … , da lontano si nota una collina con la punta smussata, era là sopra.
La storia (leggenda?) narra che Salomè, nipote di Erode, chiese come premio per una sua sensuale danza la testa di Giovanni Battista detenuto nelle grotte sotto il castello. E così fu, anche se Erode non era tanto dell’idea, ma si sa come vanno le cose in questi contesti. E così Caravaggio ha avuto il soggetto per uno dei suoi quadri più famosi.
2000 anni fa le donne ci facevano fare cose che non avremmo voluto fare, per fortuna che i tempi son cambiati… Non c’era nessuno, c’era una salita COSÍ per andare al castello, ma Laura voleva andare. Non avrò tagliato la testa ad un poveraccio, ma la salita l’ho fatta con lo stesso sentimento di Erode.
Lassù non c’è nulla, ecco perché non si vedeva da sotto il castello, c’è solo una colonna dove si suppone abbia danzato Salomè. Foto a Laura in posa salomesca e scendiamo, io sono in preda a quella sensazione strana che ho temuto dall’inizio del viaggio.
Ora trasferimento verso il Wadi Mujib, il Gran Canyon della Giordania. È una spaccatura che taglia il paese da est a ovest: da un punto panoramico dove c’è un chioschetto la vista è spettacolare. Foto, the al chioschetto, discesa fino ad una diga e risalita dalla parte opposta. Una meraviglia della natura.
Mangiamo in un bugigattolo lungo la strada, con di nuovo i bambini che venivano a vederci (saremo famosi?) e facciamo un po’ di strada per raggiungere Karak. Qui c’è un castello mastodontico che domina il paese.
Non seguite le insegne gigantesche di un parking, parcheggiate per strada così non pagate come invece abbiamo fatto noi.
Il castello si narra sia stato fatto costruire da Saladino, di sicuro è stato utilizzato dai crociati nel 1300. È veramente ciclopico. Muri spessi metri, gallerie e stanze enormi. Tutto all’insegna del gigantismo. Anche il vento era più forte che altrove: se avessi avuto i capelli ora sarei calvo, ed invece.
Ora ci sarebbe un bel pezzo di strada per Wadi Musa, io però di dossi assassini ne ho piene le tasche, anche le gomme della macchina hanno detto basta, quindi abbiamo deviato verso la Desert Highway, una superstrada quasi senza dossi.
Arriviamo a Wadi Musa all’ora di cena. Ci hanno assegnato, di nuovo, una super camera. Abbiamo addirittura il salotto. Cena in albergo e subito a nanna, perché il nome Wadi Musa non vi avrà detto un granchè, ma è la città dove c’è Petra e quindi domani sveglia presto che si visita una meraviglia! (Petra Canyon Hotel 2 notti più colazione 149 JOD).
10/7. Petra
Giro petroso, oggi.
Sveglia veramente presto per noi, le 7! Apriamo le tende e la prima cosa che vediamo è una mongolfiera, poi capiamo essere un pallone al guinzaglio, in effetti era sempre nello stesso posto.
Arriviamo, non siamo dei missili, anzi, alle 8.45 all’ingresso. Petra l’hanno descritta in tutti (è molto più di tanti) quindi vi tedierò il meno possibile. Faccio delle considerazioni sulle emozioni: attesa, stupore ed ammirazione, estasi e svenimento. L’attesa è quella di Laura, era quasi rassegnata a non vederla mai Petra e oggi era raggiante ed io irraggiato.
Lo stupore e l’ammirazione ci hanno accompagnato tutto il giorno. Questo luogo emana magia, ardimento e sapienza. Tutto merito dei nabatei che hanno sfruttato, 2000 anni fa, un ambiente già meraviglioso costruendo, anzi scolpendo, edifici sacri e tombe sfruttando la friabilità e la tonalità delle rocce.
Estasi è la mia, ma credo anche di Laura: camminare nel Siq, una fenditura tra le rocce rosse e striate mai più larga di 5-6 mt. e alta 150-200 mt., farebbe battere il cuore anche ad uno sgabello, guardare in alto e quasi non vedere il cielo e sapere che alla fine ci sarà Il Tesoro.. Appare, si intravede, dopo una curva, scolpito nella parete di fronte, illuminato dal sole del mattino. Estasi, questo si prova.
Lo svenimento non riguarda l’estasi, ma l’età. Dieci ore (10 ore!) a camminare sotto un sole a picco, beh non per dieci ore, c’era anche l’ombra, ma lasciatemi esagerare un po’, porta un cinquantenne stagionato a sfiorare il collasso, ma ho retto!
Siamo stati sull’altura del Sacrificio, 40’ di salita per vedere Petra dall’alto, poi giù, aggiungendo 20’ di strada sbagliata, verso il centro della città antica. Vista spettacolare sulla parete delle tombe, scendendo per il Wadi Farasa abbiamo visto la bellissima Tomba del Soldato. Il punto d’arrivo è stato il Castello della ragazza, uno dei pochi edifici non scavati nella roccia.
Dopo pranzo (ristorante Nabatel) ci avviamo sulla strada colonnata (romana), saliamo a vedere i mosaici della chiesa bizantina, qui abbiamo seriamente pensato ad una pennichella, ma eravamo troppo scomodi.
Ora si guardano le tombe reali, spettacolari. E qui Laura escogita il delitto perfetto. Io non ho quasi più funzioni vitali e lei, che secondo me si droga, mi convince a fare 160.000 gradini, al fondo delle tombe, per raggiungere un punto panoramico sul Tesoro. Per allungare ulteriormente il percorso sbagliamo, ancora, strada e mi, diciamo, incupisco un po’ per il contrattempo. Ma poi arriviamo e la vista è effettivamente incantevole. Un balcone su un dirupo e là sotto il tesoro. Brava Laura e scusa se non sono morto, il tentativo era valido.
Si ritorna, vediamo il teatro, anche lui scolpito nella roccia e accompagnati da tre cani, ripercorriamo il Siq, dopo aver malinconicamente salutato il Tesoro.
Visitare Petra va fatto, non c’è posto simile sulla Terra. Poche emozioni sono state forti come il Siq, l’apparizione del Tesoro. Unico neo è l’impressione dei fuochi d’artificio al contrario, con il massimo delle emozioni all’inizio.
Grazie Laura per avermi portato qui. La prossima volta, però, non cercare di uccidermi…
11/7. Piccola Petra – Petra – Wadi Rum
Giro misto, oggi. È l’11 luglio, nel 1982 siamo diventati Campioni del Mondo e nel 2021 Campioni d’Europa, quindi la giornata DEVE essere indimenticabile. Lo è stata.
Iniziamo con la visita alla Piccola Petra, il villaggio dove vivevano i petrani, pretesi, petrini, quelli che andavano a Petra a pregare.
Ovvio che nulla potrà reggere il confronto, forse neanche i mondiali dell’ 82 (i miei!) o l’europeo del ’21, con Petra, ma questo villaggio merita di essere visto. Come Petra è tutto scavato lungo le pareti di una fenditura lunga 2-300 metri. Forse, per essere apprezzata al meglio, andrebbe vista prima di Petra.
Seconda tappa: ritorno a Petra. Dobbiamo ancora vedere il Monastero. Con il JP abbiamo diritto a due ingressi e quindi abbiamo pensato di dividere la visita per riuscire poi a raccontarla.
Lasciamo la macchina a Umm Sayoun davanti all’ingresso secondario di Petra e ci spariamo un paio di chilometri su strada asfaltata, per fortuna in discesa, per raggiungere il punto di partenza per il Monastero. Ci è subito evidente che se non troveremo un passaggio per salire, la nostra vacanza finirà con due corpi squagliati su questa strada.
Inkefiati benissimo, ormai abbiamo imparato a piazzarla sulle nostre testoline, partiamo per gli oltre 800 gradini, intervallati da salite, che ci porteranno al Monastero. Oggi non sono in formissima e, a metà strada, l’intenzione era di mettermi a piangere, ho optato per un più signorile: “Ci fermiamo un attimo?” Noi ci siamo fermati e Laura è partita a prendermi in giro. E neanche avevo pianto!
Alla fine siamo arrivati. Il Monastero, chiamato così per via di croci incise forse da sacerdoti bizantini, anch’esso completamente scavato nella roccia è simile al Tesoro, ma molto più grande. Anche qui l’impatto è veramente forte. Decine di foto, un succo di limone e menta e si scende.
Dopo aver pranzato al Basil restaurant, ladri, partiamo per la salita che potrebbe esserci fatale. Alla partenza c’è un capannello di uomini cui ho chiesto se qualcuno poteva, pagando, portarci su in auto. Risposta laconica e inequivocabile: NO. Affranti e sicuri della morte vicina, partiamo. Dopo pochissimi minuti un tizio che sta scendendo con un pick-up ci chiede se, quando risalirà, vogliamo un passaggio: l’avrei baciato, poi l’avrei sputato quando mi ha detto la cifra che voleva per il passaggio. Ma la vita vale di più, contrattiamo un po’ e raggiungiamo la vetta. Il tipo non era sceso per caso, l’avevano sicuramente chiamato i tizi cui avevo chiesto un passaggio, tanto che, quando ci caricano, sul pick-up c’erano pure loro. Infami.
Ora puntiamo a sud, al deserto del Wadi Rum.
Appuntamento con Hussein che, prima ci porta a casa sua, dove conosciamo la moglie con cui chiacchieriamo per un bel po’ e che farà anche un bel disegno con l’henna sulla mano di Laura, poi alla nostra Bubble tent.
Una tenda con una mega apertura frontale fronte deserto. Indescrivibile (Moon Magic Valley, 1 notte + colazione 76 JOD. Jeep tour 100 JOD/cad.). Il programma adesso prevede tramonto nel deserto, cena beduina, giro nel deserto di notte. La cena, vabbè, ma le altre due cose: quasi poesia. Il deserto va visto, non descritto: io non ci provo neanche.
Il giro notturno ci ha permesso di vedere un cielo stellato dal buio più profondo e poi un bel tè alla beduina su un bel falò acceso dal nostro accompagnatore per l’occasione. Ora sto scrivendo davanti alla tenda nel silenzio assoluto. Mi sento quasi zen.
12/7. Wadi Rum – Aqaba
Giro desertoso, oggi.
Sveglia presto, apriamo le tende e ci incantiamo di nuovo alla vista. Colazione in tenda e alle 8 arriva Jahed con la jeep. Ci carica e via, nel deserto.
Il Wadi Rum, devo provare però a descriverlo: una distesa di sabbia rossastra costellata di rocce alte anche 100 mt., dune e punti in cui la sabbia rossa incontra, nettamente, quella gialla. Rocce che con l’erosione del vento hanno preso forme varie (un fungo, una pecora) archi di roccia lunghi 80 mt., dromedari, bambini che ti ci vogliono far salire sopra, tende beduine dove bere il tè e comprare chincaglierie, ma anche per fare due chiacchiere. In pratica, il deserto, dove godi di quel che vedi e non avevi mai visto. Quattro ore in cui mi son scordato anche di aver sete!
Intendiamoci, il giro è turistico, con pataccate turistiche, compreso il sand-bob, cioè farsi trascinare dalla macchina seduti su una tavola di plastica: divertente finchè capisci cosa prova Gatto Silvestro quando si infiamma la coda. La sabbia del deserto, alle 10 di mattina, sotto il sedere, un’esperienza scottante.
Ma nonostante questo il deserto ti entra dentro, sul bob anche troppo, ti rendi conto che posti così ne vedrai pochi e, come questo, te li ricorderai per sempre.
Finiamo il giro ringraziando Jahed dopo un pranzo beduino consumato seduti per terra, dove ho rischiato di rimanere dopo la protesta delle gambe che non si volevano più distendere.
Recuperiamo la macchina a casa di Hussein, dove ci viene offerto il tè. Chiacchieriamo un bel po’ con lui e la moglie il cui aspetto rimarrà un mistero, velata com’era, di nero, dalla testa ai piedi. È lei la più istruita della famiglia, ma vive in questa condizione di subalternità. Ma Hussein la coinvolgeva molto nel dialogo, anzi, quasi sempre le chiedeva di tradurre poiché lei sapeva molto meglio l’inglese di lui. Non so, a me è sembrato ci tenesse a stare così intabarrata, ma credo sia un pensiero maschilista. Scusatemi.
Ci hanno chiesto di tornare, ma non più in tenda, a casa loro, cosa che ci ha fatto molto piacere.
Ora si va verso l’ultima tappa del viaggio: Aqaba ed il Mar Rosso (Baity Boutique Hotel, 2 notti + colazione, 121 JOD). Arriviamo all’hotel e quella strana sensazione che era il mio timore dall’inizio, mi sbatte in faccia con i 45° segnati dall’ indicatore sul cruscotto della macchina appena parcheggiata. Sono le 15:00 e dico a Laura che mi voglio barricare in albergo finchè la sensazione strana non passa. Più della sensazione poté la fame e siamo usciti, ci siamo nutriti al Captains Restaurant (ottima orata) e rialbergati.
Anche qui ci hanno assegnato una suite: sapevo di essere famoso, ma credevo meno.
13/7. Aqaba
Nessun giro, solo svacco, oggi.
Ci alziamo con calma e dopo colazione puntiamo verso l’Arabia Saudita: a 10 km dal confine c’è il Berenice Beach Club, l’unico segnalato dalla LP e anche consigliato da due ragazzi incontrati sul Mar Morto, per fare spiaggia e snorkeling sulla barriera corallina.
Paghiamo 13 JOD a testa, più 7 JOD per il noleggio delle maschere ed entriamo in questo non-luogo: 3 piscine, musica reggaeton a palla, gli animatori che ballano, ombrelloni, lettini e beach bar. Ma chissene, noi vogliamo vedere il reef! Ignoriamo tutte ste pacchianate, occupiamo lettini e ombrelloni e splash!
Io e lo snorkeling abbiamo frequentato posti diversi, non ci conosciamo proprio. Metto sti occhialoni, tubo in bocca e mi immergo, due secondi, e riemergo con occhi a palla, tachicardia, iperventilazione ed un litro di acqua salata in bocca. Ho avuto la sensazione di entrare in un buco senza uscita. Ansia pura. Tutta sta strada e ora sono in un posto un po’ così, col reggaeton, a non potermi godere un’esperienza unica.
Santa Laura interviene: mi spiega come fare. Lo fa un po’ di volte, è insegnante e sa come trattare quelli un po’ ‘ostinati’. Riprovo e, rischiando più volte l’infarto, indigestione di acqua salata, soffocamento, riesco a mettere in pratica la teoria.
E finalmente vedo! Non so se sia una barriera top o così così, non ne ho mai vista una prima d’ora: decine di pesci colorati, mille manine (i coralli!), spugne grosse come palloni da basket. E tutto a 10 metri dalla riva!
Ora atterro sul lettino, felice e un po’ provato dalle emozioni, sia quelle mortali iniziali che quelle incantevoli successive, e pronto ad affrontare il nulla facere (ci reimmergeremo più volte, però) cui dedicheremo tutta la giornata.
Per oggi non c’è molto altro da dire, sono passato dallo sconforto (per non dire terrore) alla gioia in pochi minuti, grazie Laura. Anche stavolta.
14/7. Shobak – casa
Abbiamo la giornata, mezza, da riempire, poi dobbiamo raggiungere l’aeroporto di Amman e tornare in Italia.
Da Aqaba ad Amman sono 350 km. quindi decidiamo di trovare una tappa che spezzi il viaggio e permetta di usare il tempo che abbiamo per vedere ancora qualcosa.
Il dito cade sul castello di Shobak, sulla Strada dei Re, abbandonata giorni fa per eccesso di dossi assassini (tremila esse!). Il castello si staglia su una collina, imponente anche se ampiamente sgarrupato. Costruito dai Crociati, come quello di Karak, conquistato da Saladino, come quello di Karak, nel secolo XII.
Ho quella sensazione che impone di non fare una visita molto accurata, sarà che è mezzogiorno. Comunque il castello merita una tappa, coi i suoi torrioni ciclopici e mura spesse un uomo. Mangiamo in un ristorante sulla strada e questa sarà l’ultima cosa da vacanza che faremo.
Ora si va all’aeroporto a consegnare il baraccone d’auto che ci ha accompagnato fin qui. Automatica va benissimo, intelligente andrebbe anche meglio, la nostra non lo era. Quando, in salita, doveva scalare le marce si incantava a guardare il panorama facendoci salire ai 15 Km/h a 1000 giri.
Fine.
Conclusioni
La Giordania è veramente affascinante, il popolo è cordialissimo, un po’ troppe donne velate, speriamo in una veloce emancipazione femminile. Si gira molto facilmente, basta adattarsi un po’ all’anarchia automobilistica. Andate piano altrimenti distruggerete l’auto sui dossi fantasma.
Le città sono oggettivamente brutte, non esiste il concetto di centro, una zona più curata. Sono tutte democraticamente incurate. I prezzi sono più bassi che da noi, ma non esageratamente, almeno nei posti più turistici. Altrove abbiamo mangiato con tre euro in due.
Se temete la stessa sensazione che temevo io, no, non fa così caldo. Certo, il mar Morto, la salita al Monastero di Petra, gli ultimi due giorni ad Aqaba (45° col vento caldo…) sono stati tremendi, ma normalmente fa caldo, sì, ma sopportabile. Compratevi, magari spendendo un po’ meno di noi, delle kefiah, servono. Mi porto nel cuore l’emozione del Siq, i colori del Wadi Rum, la gentilezza dei giordani, la felicità di Laura.
Riflessione green: sono dell’idea che il mondo sia così bello anche per le cose che l’uomo ha fatto, dobbiamo cercare di continuare ad abitarlo e averne cura, altrimenti rimarranno solo gli animali che non sapranno apprezzare le belle cose che avremo lasciato.