La terra dei due mari e dei magnifici deserti: viaggio on the road tra i luoghi più belli della Giordania

dal Mar Morto al Mar Rosso
Scritto da: fabri979
la terra dei due mari e dei magnifici deserti: viaggio on the road tra i luoghi più belli della giordania

Giordania on the road. Un viaggio alla scoperta dei luoghi più belli del paese, tra cui: Amman, Mar Morto, Jerash, Ajlun, Monte Nebo, Kerak, Petra, Al Bahyda, Wadi Rum, Aqaba

Ho raccolto gli appunti di un viaggio intrapreso alcuni anni fa in un paese bellissimo, che purtroppo  è stato sminuito da una pessima organizzazione logistica. In questo racconto voglio evidenziare le lacune che hanno fatto la differenza fra una buona ed una mediocre riuscita, in un Paese che si è rivelato essere fra i più difficili da me visitati in un lasso di tempo che copre poco meno di quarant’anni, e spero possano essere di aiuto a chi decidesse di intraprendere questa destinazione. Il vero, grosso problema è stato la modalità con la quale effettuare i trasferimenti per visitare i luoghi più simbolici del Paese, da nord a sud. Viaggio da molti anni, e con i passare del tempo, delle esperienze acquisite e soprattutto con l’avvento di internet mi sono trasformato da turista in viaggiatore, abbandonando le agenzie per organizzarmi in autonomia. Se viaggio per la vecchia e cara Europa di regola noleggio un’auto, ma fuori dal nostro continente non mi azzardo. Ho girato in lungo ed in largo, prevalentemente nel sud est asiatico, usando normalmente aerei, battelli ed autobus, ma nel caso della Giordania non sono riuscito a trovare valide fonti di informazione, non riuscendo di conseguenza a mettere insieme i collegamenti fra le varie distanze, anche a causa della penuria di aeroporti e di mezzi di trasporto in genere. Ho deciso quindi di noleggiare un’auto con autista, una scelta che mai più lascerò accettare dalla mia mente; è stata un’esperienza assolutamente fallimentare. Non mi dilungherò nei particolari, forse non ho pescato dal mazzo l’asso di briscola, ma ho avuto a che fare per una settimana con un personaggio che ha praticato un accattonaggio continuo (abitudine consueta e comune in tutti i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, ma qui abbiamo passato abbondantemente il segno); il finale poi è stato con il botto. Al rientro ho chiesto ed ottenuto un risarcimento per i servizi non usufruiti, che ho ottenuto, ma è stata una soddisfazione da poco. Per le mie esperienze passate in quest’area geografica ho preferito sistemazioni in hotel di elevato standard,  causa la differenza abissale che ho sempre riscontrato in categorie di livello inferiore rispetto ai nostri livelli, e non me ne sono pentito. Il Paese merita sicuramente di essere considerato come una meta ad alto livello di interesse, ma i suoi abitanti sono ancora riottosi a considerare gli stranieri come gente come loro, li vedono solo come grassi polli da spennare, pur con tutte le scusanti e le attenuanti dovute alle condizioni di vita. 

Diario di viaggio

26 Giugno, mercoledì. Roma – Amman

Partiamo da Roma a metà del pomeriggio con un volo diretto della Royal Jordanian per Amman, dove atterriamo dopo circa poco più di tre ore volo; è già buio. Percorriamo il corridoio che reca ai controlli passaporto, incontrando gente rigorosamente vestita in modo consono ed appropriato, in regola con il contegno voluto dalla religione islamica. Le poche turiste che incontriamo sono vestite in modo sobrio, con gambe e spalle coperte. Superiamo anche una stanza a vetri destinata a luogo di culto, dove alcuni devoti sono intenti nella preghiera. Appena varcata l’uscita incontriamo il nostro autista, che regge un cartello con il mio nome: stretta di mano di prassi e saliamo su una vecchia Mercedes verso il centro città, all’albergo prenotato. Il primo impatto non è dei migliori, ma nel giro di dodici ore appurerò che l’antipatia è reciproca: abbiamo a che fare con un uomo sulla cinquantina, un viso tondo e grasso sul quale spiccano due piccoli baffetti e due occhi porcini gelidi ed indagatori. Non mi piace da subito. Durante il tragitto mi pone alcune domande di circostanza, se è la prima volta che visito il Paese e a cosa è dovuta la scelta, oltre a qualche altra indagine di poco conto. Non gli lascio il tempo di riflettere, e a mia volta gli domando se ha sempre lavorato con questa agenzia, e lui toppa rispondendomi che proviene dall’esercito. Proseguo chiedendogli della famiglia, e mi dice, sempre in modo asettico e con gli occhi puntati allo specchietto retrovisore che ha due figli in Italia, uno a Roma e l’altro in Veneto o Friuli, non ricordo. Sono convinto che capisce l’italiano, e mi tornano in mente le parole di mio padre, che lavorò in Iran all’epoca della Rivoluzione, e che mi ricordava sempre che i tassisti erano funzionari del governo appartenenti alla famigerata Savak, la polizia politica. Mi fisso con l’idea che costui sia un poliziotto (idea idiota) e mi rovino la vita. Una volta giunti in hotel nel centro di Amman, è ora di cena: condividiamo la sala con un gruppo di asiatici vocianti e festanti, che alla fine ci fanno dono di una fetta di torta dal banchetto del festeggiato.

27 Giugno, giovedì. Amman

Dopo colazione arriva puntuale il nostro autista, e partiamo verso il Mar Morto, dove giungiamo in un ambiente pressoché deserto: siamo i primi. Ci mettiamo i costumi in una specie di cabina adibita allo scopo, guardando bene dove mettere i piedi ed ignorando il sudiciume che vi ristagna, e una volta in acqua proviamo la sensazione del galleggiamento, dovuto alla nota densità salina dell’acqua, quasi pastosa ed opaca già a pochi centimetri dalla superficie. Mi faccio scattare la foto di rito disteso sul lago mentre leggo il giornale, quindi, una volta a riva, mi rendo conto che la spiaggia comincia a riempirsi: uomini con maschera che si immergono (non capisco come facciano senza zavorra) e riemergono con le mani piene di nere alghe che mettono ad asciugare al sole, donne intabarrate in pesanti tuniche colorate dalla punta dei capelli alle unghie dei piedi, e cinque o sei ragazze americane che si apprestano a prendere il sole sugli asciugamani appena deposti sul terreno rosso e solido, sotto lo sguardo fisso di decine di paia di occhi. Vengo a sapere che sono le mogli o le compagne dei militari statunitensi che stazionano perennemente in quest’area da tempo immemorabile; attorno a loro si è creata una specie di zona di nessuno, quasi fossero appestate.

La quiete viene squarciata da urla disumane, e tutti ci voltiamo in direzione della provenienza: ad uno dei pescatori di alghe evidentemente deve essere entrata dell’acqua nella maschera, provocandogli una vera ustione agli occhi. Completamente accecato, una volta uscito dall’acqua inizia a correre in tondo, e viene coricato di forza dai presenti che provvedono a lavargli gli occhi con l’acqua potabile di svariate bottiglie. Passata la paura torna la calma, ed osservo giovani donne immergersi completamente vestite nell’acqua e camminare costeggiando la riva con l’acqua fino alle spalle, seguite (con marcatura stretta da mastino d’area di rigore) dai loro uomini sull’asciutto al limite delle acque. Ora sono le americane a commentare. Siamo giunti al termine della mattinata, e chiedo al nostro autista di portarci da qualche parte per uno spuntino veloce dove mangiano i Giordani; cibo locale senza tanti fronzoli. Ci conduce in un bel ristorante all’ombra di piante e spruzzi d’acqua che rendono gradevole la temperatura; vorrei obiettare che non volevo la forma ma la pura essenza, ma mi sembra di essere privo di tatto. Ottimo pranzo, con una serie di assaggi della cucina giordana, non appena tolto dal forno accompagnato da salse e yogurt, carne alla brace e verdure, rigorosamente acqua minerale. Al momento di pagare il conto, il nostro autista mi fa notare che è buona educazione lasciare una mancia, la cui entità logicamente non deve scalfire l’asticella dell’elemosina. Butto lì: “quant’è la giusta misura?” Risposta secca: “quindici dinari” (venti euro o più). Decisamente cominciamo male, e siamo solo al primo giorno. Dopo pranzo andiamo alla Grande Moschea, con la stupenda cupola azzurra ed i fregi blu, visitiamo gli interni dove abbiamo anche il privilegio di vedere le toilettes dorate dove il monarca fa pipì. E per aver visto due WC d’oro dovrei pagare una tangente; glisso e tiro dritto. Ora andiamo alla cittadella, sul colle più alto dei sette sui quali poggia la città, dove osserviamo i resti romani e della chiesa bizantina. Diametralmente opposto alla nostra posizione, sul versante dirimpettaio possiamo vedere l’emisfero del teatro romano e, a sinistra, lo stadio ovale dove svettano ancora due colonne con capitello. Scendiamo ora in città dove, congedato l’autista, facciamo due passi in mezzo alla vita locale quotidiana, fra bancarelle, negozi e ambulanti, quindi raggiungiamo il vicino hotel.

28 Giugno, venerdì. Amman

Oggi partiamo per Jerash, la Gerasa dei Romani. All’appuntamento ricompare lo stesso personaggio; gli faccio presente che tramite l’agenzia ho prenotato l’opzione che prevedeva il pacchetto autista/guida in italiano, e che a quanto mi risulta lui non corrisponde a queste specifiche. “No Problem”, la guida è a Jerash. Ci siamo appena messi in viaggio che si ferma fuori da un negozio: “creme di bellezza e alghe del Mar Morto per tua moglie!”. Credo sia giunto il momento di mettere in chiaro le cose così, con tutta la diplomazia del mondo e le buone maniere possibili, gli dico di chiudere queste parentesi sul nascere, e che se avrò necessità, sarò io a chiedere. Fatta la frittata: gli occhi porcini mandano saette di odio nella mia direzione, ma ancora insiste, e allora compro giusto una busta di alghe e due saponette per dargli il contentino. Per tutto il viaggio silenzio di tomba. Giunti a destinazione, l’autista confabula qualcosa con gli addetti all’ingresso e di lì a poco compare la guida: lo riconosco, avendolo notato parecchi anni fa in una trasmissione televisiva culturale sulla Giordania, molto preparato e parla bene la nostra lingua.

Una volta vista Gerasa, rimane il rammarico di non poter visitare mai più Palmira, in Siria, perché in questi luoghi si ammira tutta la magnificenza dell’impero romano. Iniziamo entrando nella grande piazza ovale circondata dal colonnato per entrare nel complesso archeologico lungo la via lastricata fiancheggiata anch’essa da colonne, templi e tempietti, fontane, mosaici a perdita d’occhio. Facciamo una sosta alle colonne che rimangono di un tempio, e la guida ci fa notare la flessibilità delle stesse: inserisce un cucchiaino da caffè in una fessura, mettendo in risalto le vibrazioni che denotano il movimento della colonna. Terminiamo la visita all’anfiteatro, dove anche qui scopriamo una genialità dei nostri antenati: parlando sottovoce attraverso un foro posto nello zoccolo che sostiene il primo ordine di gradoni, mi giunge la risposta di mia moglie appollaiata diametralmente opposta a me al termine del condotto. Era il sistema di suggerimenti agli attori che si esibivano alla platea. Terminiamo quindi la visita, e ritroviamo il nostro autista nei pressi dell’ingresso che ci invita a sedere ad un tavolo: niente tè o caffè, la guida si accende una sigaretta ed attende; guardo il nostro autista e gli rido sarcastico in faccia. Altra tangente da pagare. Oggi naturalmente di andare a pranzo non se ne parla nemmeno, quindi proseguiamo verso Ajlun, a visitare le rovine della fortezza, molto malandata ma che evidenzia ancora la possenza di ciò che doveva essere in passato.

Rientrati in hotel congedo l’autista e chiamo l’agenzia, chiedendone la sostituzione senza calcare troppo la mano, ricordando loro che il contratto prevede il nolo della vettura per sei giorni con autista/guida parlante italiano (la persona con la quale sto interloquendo parla correttamente la nostra lingua), compresi i trasferimenti da e per l’aeroporto (Aqaba l’ultimo giorno), tutto già pagato in anticipo. Naturalmente mi riservo il diritto di chiedere il rimborso dei servizi non usufruiti, sempre cercando di non far trapelare l’astio che ho per questa persona. La sera, poco prima di cena, vengo chiamato dalla reception con preghiera di scendere nella Hall: ho una visita. Mi trovo di fronte un bel ragazzo dai modi molto gentili che parla un italiano forse meglio del mio, che si presenta come la guida per i prossimi giorni. L’autista non può essere sostituito per mancanza di alternativa, e qui divento paranoico con il sospetto sempre più forte di essere costantemente spiato! Vacanza rovinata. Il ragazzo (manco mi ricordo più il nome) mi assicura comunque che farà il possibile per ricucire lo strappo con l’autista, causato probabilmente da incomprensioni dovute alla lingua. Preferisco non andare oltre.

29 Giugno, sabato. Monte Nebo

La mattina ci ritroviamo in quattro, e caricati i bagagli ci apprestiamo a scendere a sud: sarà una giornata intensa. Percorrendo la Strada dei Re facciamo la prima sosta al monte Nebo, il luogo dove Mosè vide la Terra Promessa che non riuscì mai a calpestare. Qui un frate francescano, padre Piccirillo, mi sembra di ricordare, ha speso molti anni della sua vita cercando (con buoni risultati, direi) di rimettere in piedi questo luogo sacro. Nella chiesa possiamo ammirare il pavimento con il meraviglioso mosaico che evidenzia il percorso dell’uomo nella sua evoluzione da cacciatore nomade ad agricoltore ed allevatore stanziale. Guardiamo anche noi la città di Gerico al di là del Giordano, quindi proseguiamo il viaggio con altra sosta a Madaba per visitare all’interno della chiesa il pavimento che racchiude il mosaico con la pianta della Palestina (al centro la città di Gerusalemme). C’è un particolare da evidenziare: nel fiume ci sono dei pesci che nuotano in direzione destra, ma alla fine del mosaico invertono la rotta, perché sono giunti al Mar Morto, notoriamente acqua salata. Altro tratto di strada e sosta per il pranzo a Ma’In, dove approfittiamo per fare un bagno sotto la cascata, nelle vasche delle acque termali.

Altro trasferimento fino a Kerak, dove visitiamo la fortezza dei Crociati, semplicemente imponente, per poi giungere, dopo aver attraversato zone brulle dove vivono pastori nomadi palestinesi non molto socievoli (scatto una foro e ricevo una sassata), Petra. Siamo in città, lungo una strada in discesa, quando in prossimità di uno di quei dossi spropositati adibiti al rallentamento dei mezzi, veniamo speronati dalla macchina che ci seguiva. Il colpo lo sento, essendo completamente rilassato, e fortuna vuole che sbatto contro il poggiatesta alzato, sennò non so come avrei rimediato, l’autista scende e inizia una litania di urli e di berci incomprensibili, dovuti al fatto che in Giordania non c’è assicurazione obbligatoria, e quindi le parti devono accordarsi bonariamente o ricorrere alla Polizia (con tutti gli annessi e connessi che ne derivano); fortunatamente la nostra guida blocca un taxi e ci conduce all’hotel, dove, dopo l’assegnazione della camera, ci tuffiamo in piscina fino al tramontare del sole, quando prendo una magnifica foto della tomba di Aronne con il disco solare sulla cresta del monte di fronte.

30 Giugno, domenica. Petra

La mattina trovo l’autista che mi aspetta fuori dalla sala ristorante e mi elargisce un sorriso a sessantaquattro denti porgendomi la mano destra in segno di saluto, ma prendo il gesto come delle scuse per l’inconveniente di ieri pomeriggio, e mi rinfranco. Raggiunta l’area della città nella roccia percorriamo a piedi il Siq (si può farlo anche a dorso d’asino), il lungo corridoio ricavato nella fenditura della roccia, dove nelle pareti sono stati scavati dei canali per portare acqua all’interno della città, fino al momento in cui ci appare, quasi d’incanto, il Tesoro, un vero e proprio ricamo cesellato nell’arenaria rossa. La cosa stupefacente è che sta salendo il sole, e ad ogni minuto che trascorre la roccia cambia colore, assumendo toni più chiari ed evidenziando le sfumature ad onda che si vedono sempre più evidenti. Gironzoliamo in lungo ed in largo in mezzo a questo enorme emmenthal di pietra che sembra senza fine. C’è da dire, ad onor del vero, che a parte il Tesoro e qualche raro portale scolpito e colonnato, gli ambienti scavati nella roccia solo degli anfratti squadrati senza ornamenti; merita un apprezzamento l’anfiteatro ed una costruzione in mattoni e blocchi sicuramente postuma, forse una chiesa. Come ciliegina sulla torta ci sarebbe l’ascesa al monastero, ma la sola vista dei ripidi scalini ed il sole a picco ci fanno desistere. Mangiamo un boccone in una specie di ristoro, facendo quasi subito una ritirata strategica causa l’aria ammorbata da un lezzo incredibile che proviene dai bagni intasati fino all’inverosimile che traboccano liquami (scusate, ma corrisponde al vero). Rientrati in hotel ci rilassiamo in piscina.

01 Luglio, lunedì. Wadi Rum

Oggi arriveremo alla fine della corsa, e non vedo l’ora. Di prima mattina facciamo tappa a Bahyida, definita come la piccola Petra, dove possiamo ammirare un pregevole tempietto scavato nella roccia con tanto di cornice e colonne in un pezzo unico; veramente bello. La visita del sito merita una mezz’ora (siamo solo noi), poi via ancora a sud, destinazione il Wadi Rum, dove giungiamo poco prima di mezzogiorno. Facciamo una prima esplorazione a vedere delle preistoriche pitture rupestri in mezzo alle rocce, poi un giro in mezzo alla sabbia ed una foto nel punto roccioso dove era solito bivaccare Lawrence d’Arabia (sarà vero?).

Mangiamo un boccone veloce veloce in mezzo ad un turbinio di mosche, ma lasciamo a metà per paura che rilascino le loro uova sul cibo, quindi facciamo l’ultimo tratto di strada e ci fermiamo di fronte all’hotel sul  lungomare di Aqaba, dove trascorreremo cinque giorni in totale relax. Nella hall prima di compilare i documenti di ingresso mi saluta la guida (che alla fine dei fatti si è rivelato essere un accompagnatore e nulla più), poi lesto lesto si dilegua. Speravo con tutto il sentimento di non fare altrettanto con l’autista, ma compare vicino al bancone e aspetta il suo avere: gli porgo un paio di banconote e lui con sguardo teatrale e drammaticamente offeso mi rinfaccia di avere rovinato la vettura in occasione del tamponamento, quasi fossi io la causa delle sue disgrazie (avevo notato il fanale posteriore sinistro rimesso insieme con del nastro adesivo, ed una ammaccatura al paraurti) e di aver consumato una cisterna di benzina per fare un paio di chilometri in più in occasione del trasferimento alle terme di Ma’ In. Rimango di stucco, mai mi era capitato un essere immondo come questo, che vista la mia riottosità si volta verso l’addetto alla reception per farmi una buona pubblicità. Aggiungo un’altra  banconota e lo lascio dove si trova e compilo il check-in, sotto lo sguardo flemmatico ma vigile del funzionario. Ho ancora il trasferimento in aeroporto, ma ora non ci voglio pensare. La sera usciamo per la città: Aqaba è un vecchio villaggio di pescatori che si è ingrandito, ma con una certa logica e razionalità. Nonostante ci sia la netta impronta araba-islamica, le costruzioni sono prevalentemente basse, le strade larghe e. se non fosse per la sabbia trasportata dal vento e sempre presente ovunque, anche pulita. La fortuna di questa città l’hanno fatta gli statunitensi, che qui hanno impostato una base per la Marina e non se ne sono più andati. Sul litorale sono sorti alberghi a cinque stelle, e sono cominciati ad arrivare i turisti. Dal nostro hotel sulla destra si vedono le costruzioni a piramide della città israeliana di Eilat, poco distante, appena oltre il confine, mentre a sinistra è ormeggiata una portaelicotteri americana con una piccola nave di scorta.

02 Luglio, martedì. Aqaba

Dopo la prima colazione ci piazziamo in spiaggia sotto un ombrellone ed oziamo in un dolce far niente. Il caldo è opprimente, e quando proviamo a mettere un piede in acqua poco ci manca che ci prende un colpo: fuori siamo abbondantemente sopra i 40 gradi, mentre l’acqua sarà attorno ai 10, e l’escursione termica si fa sentire. Il primo pomeriggio sotto l’ombrellone ci pare di stare dentro ad un forno, fra il calore del sole e la sabbia bollente che riflette i raggi: ritirata in camera e condizionatore a palla. Dopo le quattro usciamo per la città, ma in giro non c’è quasi anima viva: imposte chiuse e gente a ripararsi dalla calura. Dobbiamo procurarci una bottiglia di acqua, perché quella che avevamo è finita nel giro di cinquecento metri: l’afa è insopportabile, anche se non sudiamo affatto. Percorriamo un marciapiedi in direzione opposta al mare, senza una meta, solo per vedere come è fatta la città, e quando decidiamo di fare dietro front cominciano ad aprire negozi e locali di ristoro. Ci fermiamo in un bar dove all’esterno ruota uno spiedo con un enorme involucro di carne, così ci sediamo all’interno, in ombra, e mangiamo pita e kebab con della birra analcolica. Stanno calando le ombre della sera, ed è gradevole ora curiosare nei vari negozi che espongono le loro merci sui marciapiedi. Acquistiamo quattro o cinque piccole scatole d’argento finemente cesellate, mentre poco distante tre marinai stanno contrattando qualcosa con un giordano, fra fischi, risate e pugni sul tavolo del bar dove stanno seduti: stanno perfezionando l’acquisto di uno splendido pugnale con il manico intarsiato, copia di quello che portano alla cintura le guardie Reali di Re Abdallah. Sembrano molto soddisfatti, perché dopo aver pagato lasciano due pacchetti di sigarette come extra.

03 – 06 Luglio, Aqaba

Passiamo questi giorni a crogiolarci al sole, con poche varianti sul tema: una mattina noleggio una barca per andare a vedere i fondali (siamo pur sempre sul mar Rosso), e una volta mercanteggiato il prezzo, si parte. Siamo su una piccola lancia con il fondo di vetro e tettuccio di canne per ripararci dal sole, con tutte le dotazioni di sicurezza fornite dalla US Navy, si direbbe; salvagenti e giubbotti di salvataggio arancioni recano il marchio dei battelli a stelle e strisce. Domando ad Alì, il nostro nocchiero, come sono gli americani: “friendly”, mi risponde; poi fa correre lo sguardo sulla portaelicotteri e sfrega il pollice con l’indice. Si capisce che è in affari con loro. Raggiunta la zona dei coralli, che quasi affiorano, mi porge una maschera tipo oblò della lavatrice e mi invita ad immergermi: declino l’offerta del boccaglio, e mi butto fra le variopinte formazioni calcaree a godermi lo spettacolo. La sera finiamo in bellezza con un barbeque sulla spiaggia.

07 Luglio, domenica. Aqaba – Amman – Roma

Ho giocato d’anticipo. Sono assolutamente certo che il nostro spregevole signore ci lascerà a piedi, fatto positivo dal momento che non mi disgusterà più con la sua presenza, e ho cercato e trovato con largo anticipo un taxi parcheggiato nei dintorni. Ne avrei comunque fatto chiamare uno dall’hotel, ma quando stavo per contattarlo ho adocchiato un pullmino scuro della Royal Jordanian che è venuto a prendere un gruppo di italiani, e ho chiesto all’autista se può caricare anche noi: “se avete i biglietti per il volo, il trasferimento è compreso”. Ottimo, si parte. Raggiungiamo il piccolo aeroporto e decolliamo in orario a bordo di un Dornier turboelica. Sono sul lato sinistro della cabina ed una volta in quota osservo che stiamo facendo rotta seguendo il fiume Giordano, che segna il confine con lo stato di Israele; sotto di noi la monotonia del colore rosso argilla di una distesa rocciosa desertica, al di là del fiume una miriade di appezzamenti verdi squadrati che identificano gli insediamenti agricoli dei coloni con la stella di Davide.

Il volo durerà un’oretta, quindi sbarchiamo ad Amman e dopo circa un paio d’ore prendiamo la coincidenza per Roma. Questo viaggio mi ha lasciato parecchia bile nello stomaco, perché ho sempre cercato di interagire ed avere buoni rapporti con la gente del posto ovunque sia stato, forse questa è stata la classica eccezione che conferma la regola. Il Paese mi ha lasciato soddisfatto; credo che l’itinerario studiato e realizzato fosse quello migliore, oltre ad essere quello classico di un viaggio in Giordania.

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