Splendida Andalusia: dal mare alla montagna

Un viaggio on the road da Malaga a Cordova, scoprendo le montagne del Torcal, Ronda e i Pueblos Blancos, per poi assaporare il mare della Costa del Sol, assieme a nostro figlio Leonrdo di sei anni.
Scritto da: alvinktm
splendida andalusia: dal mare alla montagna

Giorno 1, giovedì 5 maggio

Questo è il viaggio della nostra ‘ripartenza’ dopo un inverno difficile segnato ancora dal Covid e dalle malattie. La gioia di essere sull’aereo per Malaga della compagnia Malta Air (partnership di Ryanair) pronto a decollare dall’aeroporto di Orio al Serio  è indescrivibile, nonostante l’orologio segni le 6:45 del mattino. Due ore e venti di volo ci separano dalla calda Andalusia di cui conosciamo già le città di Granada, con la meravigliosa Alhambra, e di Siviglia, dalla frenetica movida.

Appena atterrati ci sembra di sentire l’aria di mare (in effetti l’aeroporto è vicino alla costa), eppure siamo nel parcheggio della compagnia di noleggio auto Centauro, raggiunto con un bus navetta in spola continua con i terminal di arrivo e partenza. Soluzione economica ma seria, con macchina scelta tramite il sito Auto Europe che riserva sconti vantaggiosi agli iscritti e la possibilità di cancellazione gratuita fino a 48 ore prima.

Sbrigate le solite pratiche partiamo in direzione di El Torcal de Antequera, a circa 60 chilometri di distanza percorsi quasi completamente in un territorio rurale e montuoso, ben tenuto, coltivato, verdissimo e punteggiato di fiori, grazie a una primavera piovosa. Le colline prima e le montagne poi, lambiscono infatti la fascia costiera attorno a Malaga ed è rapidissimo passare dagli infradito agli scarponi da trekking.

El Torcal è una riserva naturale dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità nel 2016, situata nel cuore della Sierra del Torcal e resa unica a livello europeo dalle forme incredibili delle rocce calcaree che la compongono, modellate nel corso dei millenni dagli agenti atmosferici. Assaggi del magnifico ambiente si hanno già dal vicino punto panoramico Mirador Diego Moneo, con vedute ampie sulla Sierra, e nel parcheggio del parco, a ingresso libero. Da qui partono i due sentieri per esplorarlo, suddivisi per lunghezza, tempo di percorrenza e difficoltà. Il green trail, di 1440 metri in 45 minuti, e lo yellow trail, di 2750 metri in 2 ore. Prima di iniziare la camminata vi consiglio di acquistare viveri e bevande nel bar ristorante accanto al centro visitatori per poterli consumare in piena libertà, proprio come abbiamo fatto noi.

Appena partiti si viene subito inghiottiti da un paesaggio che potrebbe sembrare lunare se non fosse disseminato di specie floreali, piante, arbusti ed erbe ancorate tra e sulle rocce. Non si sa da quale parte guardare perché le conformazioni sono ovunque, perciò si procede a rilento, alternando l’attenzione all’appoggio dei piedi all’osservazione di torri e ‘panettoni’ calcarei dalle sagome originali. I due trail condividono gran parte del tracciato, dividendosi in corrispondenza del grande ‘Acero Montpellier’. Imbocchiamo il più lungo, addentrandoci in corridoi stretti, su salite e discese scoscese dominate da zone d’ombra e per questo molto umide e con lunghi tratti di pantano. Per tale motivo, sebbene le intenzioni iniziali fossero quelle di affrontarlo per intero, vi rinunciamo, tornando indietro a riprendere il percorso verde. Si scende fino al cuore del parco dove bisogna girare la testa all’insù per subire l’imponenza delle rocce, percorrere il lungo ‘Hoyo de los Arregladeros’ e chiudere il giro al centro visitatori.

Prima di salutare El Torqual merita camminare un altro centinaio di metri per ammirare il panorama dal ‘mirador’ che degrada fino al mare e notare, appollaiato sopra una torre calcarea dalla cima appiattita, due esemplari di stambecco iberico, esemplare tipico della zona.

Seguendo le indicazioni per la cittadina di Cordova (Cordoba in spagnolo e prossima meta), lambiamo il centro abitato di Antequera, contraddistinto dalla struttura possente e in posizione dominante dell’Alcazaba, il cui color sabbia contrasta con il classico candore delle abitazioni andaluse.

130 chilometri, macinati in due ore scarse, collegano El Torcal a Cordova. Parcheggiamo l’auto nel posteggio gratuito a fondo sterrato lungo Avenida Compositor Rafael Castro, in prossimità del centro storico, per raggiungere facilmente a piedi l’hotel Hospederìa Los Angeles, il primo in terra spagnola. Le camere ampie e pulite, i bagni dall’arredo essenziale ma pratico, il buon rapporto qualità prezzo nonostante il servizio colazione non sia previsto, e la posizione centrale, lo rendono un’ottima opzione per partire alla scoperta della città.

È facile immergersi nei ritmi andalusi, rilassati e sereni. Le vie con le abitazioni che si susseguono le une incollate alle altre, sebbene non siano alte, riparano dai raggi del sole bollenti già in primavera. Le loro facciate non colpiscono di certo per la bellezza ma nascondono delle perle rare che scopriremo in serata. Ora invece dobbiamo esplorare l’imponenza della Grande Moschea-Cattedrale, l’attrazione principale della città.

La costruzione iniziò nel 786 d.C. per volere del primo emiro Abd al-Rahman I sui ruderi della Basilica visigota di San Vicente. Col continuo crescere della comunità musulmana venne via via ampliata fino all’XI secolo e in tutto questo tempo rappresentò il simbolo del potere islamico in Occidente. Il 29 giugno 1236, a seguito della riconquista cristiana, ospitò la messa di dedicazione della cattedrale al culto cattolico, e dei nuovi lavori crearono lo splendido connubio di stili visibile oggi, grazie al quale nel 1984 fu dichiarata Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.

Per entrare non è necessaria la prenotazione, basta mettersi in fila agli sportelli automatici di l’acquisto dei biglietti e in poco tempo ci si ritrova in una selva di colonne sormontate da archi sovrapposti, decorati con strisce color ocra. Tra una fila e l’altra spicca la copertura piana di legno scuro, spesso decorato con motivi ornamentali. La prospettiva composta dall’infinita serie di elementi architettonici è superlativa e nonostante lo spazio interno sia enorme è inondato da una buona illuminazione, proveniente dalle vetrate e dai lucernari. La zona con maggiore fascino è la Maqsura lungo il muro di qibla (direzione), che sarebbe dovuta essere orientata verso la Mecca ma in realtà, forse per un errore di calcolo dei costruttori, volge al Guadalquivir. L’area dedicata alla preghiera è impreziosita da colonne con fusto rosa che sorreggono doppi archi in stile mudejar poggiati su fastosi capitelli corinzi. Il Mihrab ne è il gioiello. Una stanza ottagonale con il tetto a forma di conchiglia, ricche decorazioni dai motivi vegetali stilizzati e geometrici, mosaici e tavole con i disegni che richiamano l’albero della vita.

Nelle pareti perimetrali della Mezquita, costruite con conci di calcare, si aprono diverse cappelle dalla copertura a cupola e altrettanti ornamenti e pilastrini: sono il  frutto della riconquista cristiana di cui parlavo prima. La più sontuosa fra tutte, la cappella Reale, si contrappone allo splendido coro impreziosito da intagli e dallo spettacolare trono episcopale. Merita sedersi ai banchi a contemplare in silenzio il tripudio di capolavori architettonici.

Conclusa la visita si esce nel Patio de los Naranjos, il grande chiostro ombreggiato da piante di aranci, cipressi, palme e ulivi, rinfrescato da fontane e rivoli d’acqua, e dominato dall’antico minareto alto ben 54 metri eretto nel X secolo, poi rivestito di elementi barocchi al fine di  trasformarlo in un campanile. E’ possibile visitarlo previo l’acquisto di un ticket alle biglietterie automatiche, con scelta della fascia orario di accesso. Noi vi abbiamo rinunciato perché l’ingresso è vietato ai bimbi al di sotto dei sette anni di età.

Un poco irritati da questo divieto per noi assurdo, in quanto siamo saliti a piedi con nostro figlio su edifici ben più alti, abbandoniamo la Moschea-Cattedrale per attraversare l’antistante Ponte Romano sul fiume Guadalquivir, seconda attrattiva di Cordova. Le origini risalgono al primo secolo avanti Cristo sebbene la struttura di oggi, caratterizzata da sedici archi possenti, sia del Medioevo. Nel centro spicca la statua dell’Arcangelo San Raffaele al quale gli abitanti sono grati per aver salvato la città dall’epidemia di peste del 1600, mentre all’apice opposto sorge la Torre di Calahorra. Nata con funzione protettiva di accesso al ponte, ora ospita il Museo Vivo di al-Andalus dedicato alle tre religioni, cristiana, musulmana ed ebrea che furono capaci di convivere tra il IX e il XIII secolo.

È giunto il momento per noi di cenare, sebbene qui in Spagna non sia nemmeno l’ora dei succulenti aperitivi a base di Tapas. Dovendo soddisfare le esigenze di un bambino optiamo per il locale Panzamorena, in realtà un negozio con produzione propria biologica di sughi, dolci e pasta fresca dov’è possibile anche consumare un pasto. I tavoli sono pochi e la scelta è ristretta ma i prodotti sono di qualità, ben cucinati e con un prezzo giusto. Si trova vicino ai resti del Tempio Romano, a pochi passi da uno dei diversi quartieri ospitanti l’attrazione che intendiamo visitare in serata. Sto parlando de la Fiesta de los Patios de Cordoba (informazioni con mappa dei patii disponibili negli uffici del turismo), ovvero il festival dei cortili fioriti in programma ogni anno nel mese di maggio, durante il quale i privati partecipanti spalancano gratuitamente le porte delle corti interne delle proprie abitazioni. In Spagna la manifestazione è molto famosa, attira migliaia di turisti e ha come fine ultimo quello di eleggere il patio più bello. Ciò crea una sana rivalità fra gli abitanti i quali impiegano cuore, fatiche e tante ore di lavoro per realizzare scenari idilliaci. Entrare in questi cortili significa capire l’anima andalusa, festosa e lavoratrice assieme, raffinata ed estrosa, gelosa delle tradizioni eppure aperta e calorosa verso il mondo. Profumi e colori scatenano la festa dei sensi, romanticismo è la parola d’ordine e noi ce ne siamo innamorati. Di certo programmare un viaggio a Cordova in occasione de la Fiesta de los Patios attribuisce alla visita un grosso valore aggiunto.

Giorno 2, venerdì 6 maggio

Non c’è modo migliore di iniziare la giornata con una colazione ricca di dolcezze spagnole e spostandosi lungo le vie del centro si ha l’imbarazzo della scelta. Noi gustiamo enormi Alfajor (due biscotti con un ripieno di crema di latte o marmellata), i Churros (pastella fritta spolverati di zucchero a velo) e i Tortell (ciambelle farcite con panna o crema) in un baretto a pochi passi dalla Cattedrale. I prezzi lì non sono proprio economici ma d’altronde si paga anche la location.

Una breve passeggiata conduce all’ingresso dell’Alcazar de los Reyes Cristianos, il palazzo-fortezza dentro cui è sintetizzata la storia dei diversi domini subiti dall’Andalusia, dai romani ai visigoti e all’epoca araba.

La costruzione attuale eretta da Alfonso XI nel 1328, patrimonio Unesco dal 1994, rappresentava il punto di riferimento della riconquista cristiana sul dominio musulmano. Per accedervi non occorre la prenotazione, bisogna mettersi semplicemente in coda alla biglietteria, e una volta entrati se ne percepisce la possanza, sebbene non possa competere in bellezza e prestigio con l’Alcazaba di Siviglia o con il complesso dell’Alhambra di Granada. Vale comunque la pena visitarla, non tanto per gli interni disegnati a formare un recinto quadrato attorno al patio centrale, con torri ai vertici e l’unica sala dei mosaici degna di nota, ma per i giardini meravigliosi. Ci si perde fra le piante di agrumi cariche di frutti, le palme e i cipressi, e si respira ad ampi polmoni zigzagando fra le siepi modellate a labirinto. I bambini come Leonardo possono correre e divertirsi lungo i grandi stagni nei piani superiori del parco e le immense fontane vivacizzate da zampilli d’acqua, attorniate da fiori dalle mille sfumature. Si perde la cognizione del tempo e credetemi, se viaggiate con figli piccoli, troverete un’oasi di svago per loro e di quiete per voi.

Abbandonati i giardini, girovaghiamo nel labirinto di viuzze strette e fresche della Juderia, il quartiere ebraico adiacente la Mezquita, alla ricerca del souvenir perfetto. Le pareti bianche delle case, appiccicate le une alle altre, sono rivestite da macchie di fiori colorate, arricchite con il verde delle piante e rese vivaci da strisce gialle e blu attorno a porte e finestre.

Con queste ultime immagini negli occhi salutiamo Cordova. Di attrazioni ce ne sarebbero altre, come il Palazzo de Viana e la Sinagoga, ma quelle esplorate ci hanno regalato una buona visione della città e non vogliamo appesantire la visita a nostro figlio.

Con poco più di una mezz’ora di guida tra colline coltivate giungiamo al fiabesco Castillo di Almodovar del Rio, ben visibile già in lontananza, arroccato al culmine di un cucuzzolo roccioso. Bellezza a parte, è famoso per aver ospitato le riprese di alcune scene della famosissima serie televisiva fantasy Il trono di spade. Dei cartelli con le foto del film e relativa descrizione sono infatti sparsi in tutta la fortezza.

Vale la pena trascorrere un paio d’ore nel castello le cui origini sono datate 740 d.C.. Le tracce delle diverse culture, dalla mussulmana alla cristiana, con le rispettive architetture, rimangono visibili nel palazzo neo-gotico, nella sala medievale e nella cappella, sebbene quello che vediamo oggi sia il frutto di un grandioso restauro iniziato nel 1901 dall’allora proprietario il XII° Conte di Torralva.

La salita per passare sotto il grandioso portale d’accesso è ripida, lunga e può rivelarsi micidiali con le temperature elevate, meglio perciò superarla in auto, sperando di trovare un posto in cima. In alternativa è presente un posteggio sterrato ai piedi della rupe.

Inutile dire che il panorama dal castello si apre a 360° sul paesaggio collinare agricolo e la Sierra Morena.

Una volta entrati si è protetti sulla destra dalla cinta muraria più esterna, in parte percorribile, ai cui piedi si sviluppano i giardini. Una catapulta con enormi palle di sasso attira l’attenzione, tuttavia non si tratta di un reperto storico, bensì di una donazione da parte della Widescope Production in seguito alla campagna pubblicitaria della birra Budweiser.

Proseguendo si apre il Patio de Albero, assolato e cosparso di alberi, con una ‘porta di emergenza’ attraverso cui era possibile scappare senza passare dall’entrata principale. Sul cortile affacciano una sala con simpatici ritratti parlanti di personaggi legati alla storia del luogo, la cappella dalla pianta ottagonale e la cupola in stile neo-Mudéjar, le Gallerie e il Salone Medievale molto caratteristico. Lo spazio è dominato dalla Torre del Maestro.

Una rampa di scala conduce al camminamento superiore dove iniziare il tour delle torri, tutte magnificamente ristrutturate, abbellite da gargoyles e terrazze all’apice con elementi neo-gotici, dalle quali si godono panorami fantastici. Noi cominciamo da quella delle ‘Campane’ l’unica di cui non si conosce l’origine del nome. Più in là ci affacciamo sopra l’ampio cortile, o piazza d’armi, che in tempi di guerra veniva occupato dai ripari in legno per i soldati e dove si trovava una delle due cisterne per la raccolta dell’acqua. Il Mastio, o torre dei tributi, lo sorveglia. Fra tutte è la più alta dell’intero complesso, con i suoi 33 metri. Al suo interno si teneva la cerimonia del giuramento di fedeltà durante la quale il re concedeva ai vassalli una concessione feudale in cambio di lealtà e aiuto. Al piano terra del torrione erano locate le prigioni in cui il 28 marzo 1091 venne imprigionata la principessa Zaida dai soldati di Almohad, conquistatori dell’Alcazar di Cordova che uccisore il suo principe Fath Al Mamum. Una leggenda narra che il 28 marzo di ogni anno si odono i pianti e i lamenti della ragazza, morta proprio in quelle celle.

Superata la torre del Moro, dal chiaro compito difensivo e che deve il nome alla connotazione moresca degli archi a ferro di cavallo delle finestre, ci si ritrova su un terrazzo con al centro una roccia in cui è conficcata una spada. Sarà forse Excalibur? Quella di re Artù e del famoso mago Merlino? Mentre il visitatore cerca di dissipare il mistero, tentando pure di estrarla, è possibile farsi un’idea dell’evoluzione nel tempo di quest’arma, reale e popolare, grazie all’esposizione di alcuni esemplari di valenza storica o mitologica.

Concludiamo l’esplorazione di Almodovar del Rio con la Torre Quadrata, la meglio conservata prima del restauro, il Torrione Rotondo, unico nel castello a possedere una forma cilindrica e con all’interno l’albero genealogico dei Conti, e la Torre del Maestro, la più possente e seconda per altezza con i suoi 27 metri. Il nome è in onore della consegna della fortezza al Maestro dell’Ordine di Calatrava nel 1513, e all’interno un’esposizione fotografica illustra il processo di ristrutturazione accanto a reperti archeologici ritrovati durante i lavori.

Dopo tanto camminare abbiamo bisogno di un po’ di relax al Chiringuito El Mirador de la Brena, distante una decina di minuti d’auto. Osserva dall’alto, in posizione estremamente panoramica e tranquilla, il bacino artificiale de la Brena che è anche una riserva naturale all’interno della quale è possibile svolgere diverse attività a contatto con la natura come i tour naturalistici e gli sport d’acqua. A noi basta passare del tempo nel giardino disposto su vari terrazzamenti degradanti verso il lago, sorseggiando bibite fresche e gustando un gelato. Per chi volesse pranzare/cenare è presente un ristorante con specialità di carne alla brace.

Per trascorrere la notte a ECIJA, meta intermedia tra Cordova e l’area dei Pueblos Blancos, bisogna guidare per poco meno di un’ora in direzione sud.

Alloggiamo all’appartamento Civitas, un bilocale grazioso al piano terra di una via secondaria e silenziosa, a una manciata di passi dalla piazzetta dove, con un po’ di fortuna, è possibile parcheggiare gratuitamente. Di certo si trova di meglio ma avendo prenotato all’ultimo momento ci dobbiamo adeguare. La posizione però è strategica, e in serata portiamo Leonardo nel vicino parco San Pablo sul lungofiume Genil e poi seguiamo le viuzze del centro che conducono al cuore: Plaza España. Il profilo di Ecija è caratterizzato dalla diverse torri, campanili, cupole in stile gotico-mudejar e dai palazzi storici con facciate affrescate e decorate che lasciano filtrare la bellezza nostalgica e decadente del luogo.

Giorno 3, sabato 7 maggio

Questa mattina ci attende un percorso in auto di circa un’ora e mezza, e cento chilometri, su strade dal fondo asfaltato perfetto, tra panorami rurali minuziosamente curati e rilievi bassi foderati di boschi che si estendono a perdita d’occhio. Siamo pronti a scoprire uno dei Pueblos Blancos di maggiore fascino: Olvera.

Le case bianche compaiono da lontano rivestendo i fianchi di una collina ai piedi di una rupe sopra cui sorgono i due gioielli del luogo. Il Castello se ne sta appollaiato nel punto più alto, fondendo le mura alla roccia, mentre la Chiesa di Nuestra Señora de la Encarnacion si erge nel piazzale appena sottostante. Per raggiungerli sostiamo su Calle Bellavista e superiamo a piedi il dislivello in salita fino all’ufficio del turismo, nonché biglietteria, in Piazza della Chiesa. Da qui, una volta oltrepassati un cancello e il fresco corridoio attraversato da un canaletto d’acqua, comincia l’esplorazione della fortezza, inerpicandosi su una ripida e tortuosa scalinata incastonata nei massi. Salendo, la vista diviene magnifica, spalancandosi a 360° sull’orizzonte montuoso e l’edificio religioso poco più in basso, concluso nel 1843 in stile neoclassico, che ci limitiamo ad ammirare solo dall’esterno.

La rocca invece fu eretta alla fine del 1100, ai tempi della dominazione musulmana, come parte del sistema difensivo del Regno di Nasrid di Granada, almeno fino alla conquista perpetrata dalle truppe cristiane nel 1327. Da allora subì numerosi interventi strutturali che la videro trasformarsi in struttura prettamente difensiva per via della posizione strategica a 623 metri s.l.m. che rendeva possibile la visione della linea di confine tra la Spagna cristiana e quella musulmana, caduta definitivamente nel XV secolo. L’edificio è ben conservato seppure spoglio, d’altronde la vera attrattiva è il panorama meraviglioso.

Conclusa la visita vale la pena curiosare nel museo La Frontera y Los Castillos, accanto all’ufficio del turismo e compreso nel biglietto, piccolo eppure dettagliato, dedicato alla storia del luogo.

Se viaggiate con dei bambini i giardini della Victoria, in paese, dotati di un parco giochi sono una tappa obbligata. E mentre Leonardo si diverte con dei coetanei appena incontrati, io ne approfitto per camminare nel giardino pensile dominante Plaza Andalucìa. Gradini e terrazzamenti sono ricavati nella roccia e resi piacevoli da una vegetazione rigogliosa, in cima vi attendono la statua del Sacro Cuore e le vedute ampie su Olvera.

A trenta minuti di guida troviamo un’altra perla dei paesi bianchi: ZAHARA DE LA SIERRA, sorta al centro del parco naturale della Sierra de Grazalema, fortunatamente non ancora presa d’assalto dal turismo di massa.

In lontananza appare una macchia candida, in cui risulta difficile individuare i confini delle singole abitazioni, distribuita alla base di una parete di roccia verticale che segue il profilo della collina sopra la quale poggia. Prati e boschi circondano il borgo, discendendo verso le acque turchesi del bacino artificiale formato dal fiume Guadalete. La vista dal muraglione della diga, che si attraversa in macchina, in direzione del paese è estremamente suggestiva.

Per conoscere Zahara lasciamo l’auto nello spiazzo gratuito sterrato poco prima dell’area a transito limitato e ci rinfreschiamo con un’ottima spremuta preparata al momento al chiosco pizza da Enrico, gestito ovviamente da un italiano. Siamo proprio un popolo straordinario, emigrati ovunque e capaci di portare con noi la dote culinaria tanto amata nel mondo.

Ristorati e riposati partiamo in salita lungo le strade del nucleo storico, sbucando in prossimità della Cappella San Juan de Letran caratterizzata dalla fascia inferiore della facciata in mattoni rossi e da quella superiore di colore bianco con decori gialli, sormontata da tre campane. Proseguendo sulla pianeggiante Calle Ronda, ravvivata da negozi e ristoranti, raggiungiamo la chiesa barocca di Santa Maria de la Mesa del XVIII secolo, resa particolare dalle strisce rossastre che seguono i bordi dell’edificio. Qui c’è uno dei numerosi ‘mirador’ ovvero i punti d’osservazione con vedute meravigliose sulle acque del lago sottostante, i monti e le colline all’orizzonte sulle cui pendici si scorgono le macchie bianche dei paeselli.

Ancora qualche passo e siamo pronti per varcare il cancello di accesso della città medievale risalente ai secoli XIII-XV, o meglio quello che ne resta, previo l’acquisto dei tickets alla vicina biglietteria. Una lunga scalinata consente di superare l’antico muraglione e il dislivello della rupe, arrivando ai ruderi visitabili e protetti da una struttura moderna. Due percorsi conducono entrambi alla cima dove si erge la ben conservata Torre del Homenaje all’interno della quale troviamo riprodotti gli ambienti di vita semplice dei soldati accanto agli usi e costumi delle classi agiate.

Il valore aggiunto del luogo rimane il panorama, ampissimo e vario, e osservando l’orizzonte è probabile scorgere il volo ad aliante del Grifone, il rapace tipico di questo ecosistema, che sfrutta le correnti d’aria per spostarsi senza fatica da un cucuzzolo all’altro.

Con gli occhi pieni della bellezza della Sierra de Grazalema procediamo in direzione sud-ovest per 35 chilometri fino alla famosissima Ronda.

Avvicinandosi si nota un agglomerato di case accovacciato su un altopiano prativo e nulla lascia immaginare cosa cela questa città antichissima, fondata nel VI secolo a.C. dai Celti, che conserva l’eredità araba del periodo dell’occupazione musulmana in Spagna, e a essa mischia la cultura cristiana seguita alla Riconquista.

Prima di addentrarci tra i suoi vicoli e lasciar vagare la vista dai noti ‘miradores’, acquistiamo il necessario per cena e colazione nel supermercato Lidl in periferia ed eseguiamo il check-in automatico presso Apartamentos Martalia Arenal. Trattasi di un complesso moderno di appartamenti costruito in una zona di recente espansione residenziale, locato a tre chilometri dal centro. Vi sono parco giochi, molto verde attorno e un negozio minuscolo di generi alimentari. Se viaggiate in coppia vi consiglio ovviamente di alloggiare nel nucleo storico pieno di ristorantini e locali di Tapas, noi invece dobbiamo assecondare anche le esigenze di un bimbo di sei anni molto vivace, per evitare che la vacanza si trasformi in un incubo!

Scopriamo perciò Ronda dal tramonto, quando gli ultimi raggi del sole colorano le montagne, i prati e le mura delle tonalità del rosso, dopo aver parcheggiato nell’autorimessa a pagamento Plaza del Socorro, nei sotterranei dell’omonima piazza.

Emergiamo in superficie accanto alla statua di Hercules affiancata da due leoni, perfetta per una foto ricordo, in uno slargo abbellito da piante, fiori e attorniato da tavolini all’aperto. L’aerea è chiusa sul lato corto dal bell’edificio modernista Casino de Ronda o Circulo de Artistas, e su quello vicino dalla chiesa con due campanili de Nuestra Señora de Socorro.

In una manciata di passi giungiamo in un’altra piazza, con la scultura di un toro al centro e l’edificio Plaza del Toros, sede della corrida, evento probabilmente criticabile ma che ha contraddistinto e caratterizza tutt’ora, seppure in maniera meno profonda, la cultura spagnola. Costruito  in stile neoclassico nel XVIII secolo è uno tra i più antichi di Spagna.

Lì accanto, preceduto dai giardini e dalle statue di due personaggi celebri innamoratisi di Ronda, Ernest Hemingway e Orson Welles, si allunga uno dei punti di osservazione più fascinosi della città, il Mirador de Ronda la Sevillana. Il panorama si spalanca sul territorio antistante, collinare e poi montuoso, verdissimo, composto da campi e prati coltivati con qualche ritaglio di bosco.

Stacchiamo gli occhi con difficoltà da un tale spettacolo per proseguire lungo il Paseo de Kazunori Yamauchi, perché poco oltre ci attende un’altra meravigliosa veduta. Svoltiamo l’angolo trovandoci all’improvviso in cima al canyon de El Tajo profondo cento metri e scavato dal fiume Guadalevin. Lo attraversa il Puente Nuevo, edificato nel XVIII secolo e sorretto da arcate possenti: rappresenta il panorama più famoso di Ronda, ammirato ogni anno da centinaia di migliaia di turisti. E’ impressionante guardare verso il basso, soprattutto di notte quando le luci non riescono a illuminare fino al torrente, lasciando così una voragine buia e misteriosa.

Oltrepassiamo il ponte piombando nella città vecchia, fermandoci al Mirador de Aldehuela sul versante opposto della gola, dal quale si gode l’ennesima veduta mozzafiato.

E’ piacevole camminare nel tepore serale tra le vie più antiche, ammirando fiori e palazzi, e da piazza de Maria Auxiliadora scendiamo lungo il selciato pedonale non illuminato, aiutandoci con la torcia dello smartphone, fino al primo Mirador sul Puente Nuevo. Siamo nell’area per passeggiate Molinos del Tajo. Pure da qui le nostre aspettative non vengono deluse e si ammira la struttura dal basso, da una prospettiva diversa rispetto le precedenti: per noi l’ultima di Ronda.

Giorno 4, domenica 8 maggio

Sebbene Ronda offra altre attrattive minori come la cinta muraria e il museo etnografico Lara, preferiamo avviarci in auto verso la Costa del Sol, scegliendo di percorrere la strada montuosa A-397 particolarmente scenografica, sino alla località marina San Pedro Alcantara. Poi si segue un percorso non lontano dalla costa per giungere alla prima meta di giornata: Estupa de la Iluminacion a Benalmadena.

Trattasi di un edificio bianco buddista dalla forma originale di ispirazione tibetana e dalle pareti interne decorate con la storia della vita di Shakyamuni Buddha, il fondatore della religione buddista. Oltre a essere una costruzione particolare è posta in una posizione privilegiata, affacciandosi dall’alto sulla Costa del Sol.

Lasciamo l’auto un chilometro dopo nei posteggi gratuiti su Avenida Retamar per affrontare una passeggiata nel Benalmadena Pueblo, il vecchio villaggio oggi ben restaurato, avvolto dalla tipica atmosfera andalusa, calda e rilassata. Le stradine sono abbellite da cespugli fioriti e possiede la sua piccola Plaza de Espana ravvivata da ristorantini e con al centro la fontana. Gli zampilli più alti sgorgano dalla statuetta della niña, una bimba con una conchiglia piatta tra le mani.

Proseguendo su Calle Santo Domingo si giunge alla chiesa dal candore accecante di Santo Domingo de Guzman, che nasconde sul retro un minuscolo parco giochi comunque apprezzato dai bambini. Eretta nel XVII secolo si annovera fra gli edifici più antichi di Benalmadena e sorge su un balcone artificiale al di sotto del quale si dispongono i giardini del Muro con rigagnoli e laghetti intorno ai quali saltellano le rane.

L’eccentrica costruzione del Castillo Monumento Colomares attira la nostra attenzione fin da Benalmadena Pueblo. Trovandosi poco sotto la chiesa la raggiungiamo a piedi, anche perché lo spazio adiacente l’ingresso è limitato.

E’ nata dalla mente estrosa e dal lavoro di braccia di Esteban Martin Martin che la realizzò tra il 1987 e il 1994 con l’aiuto di due muratori. Grazie alla sua approfondita cultura nei campi dell’architettura e della storia è riuscito a raccontare la storia della scoperta dell’America utilizzando cemento, pietra e mattoni. Un’opera unica al mondo nel suo genere.

Qui non sono i libri a narrare le gesta del navigatore Cristoforo Colombo che, sostenuto dalla regina Isabella di Castiglia, affrontò le tempeste dell’Oceano Atlantico alla ricerca di una nuova rotta per l’Asia. Era il 1492 quando approdò invece nel Nuovo Mondo a bordo della Nina, la Pinta e la Santa Maria e proprio quell’avventura, assieme alle vicende di Spagna del XV secolo, è scolpita nella roccia in un miscuglio armonico di stili: bizantino, arabo, gotico e castigliano, romanico e orientale.

Ammirare Colomares è meraviglioso e spiazzante allo stesso tempo. I dettagli sono talmente tanti che è impossibile dedicare a ciascuno di essi il tempo che merita. L’insieme colpisce per la ricchezza delle decorazioni e viene naturale provare ammirazione per il dottor Esteban Martin Martin. Tuttavia è strano pensare che quello che si sta guardando non sia un monumento antico, sebbene ne imiti le forme, ma appartenga alla nostra epoca.

Sicuramente vale la pena dedicargli almeno una mezz’ora.

E’ giunto il momento di un pic-nic ristoratore e per goderci il pranzo all’aperto ci spostiamo nella Benalmadena nuova, quella vicina al mare, precisamente al Parque de la Paloma, la principale area verde della città con i sui 200.000 metri quadri di alberi e prati. E’ attraversato da ampi sentieri e al suo interno si trovano un lago artificiale, diversi animali come anatre e conigli, aree ristoro, un bel giardino di cactus e piante tipiche delle zone desertiche, e per la gioia dei bambini due aree gioco con attrezzature moderne. E’ un’oasi di fresco e relax fra i condomini dove il frastuono delle strade e delle spiagge si percepisce appena.

A pomeriggio inoltrato ci trasferiamo nella località di Torremolinos, prospiciente a Benalmadena, per restare nel verde, stavolta del giardino botanico Molino de Inca. La storia di Torremolinos è legata alla presenza dei mulini già in uso diversi secoli fa, quello che ci apprestiamo a scoprire ha le origini più antiche e serviva a produrre la farina sfruttando la potenza generata dall’acqua proveniente dalle tante sorgenti della zona.

Il luogo ci conquista da subito per la tranquillità, la bellezza della natura e dell’edificio principale che al piano terra ospita il corridoio con gli attrezzature originali e una mostra di miniature in movimento delle diverse tipologie di macinazione. Queste ultime, realizzate con minuzia di particolari, possiedono la qualità di istruire con divertimento l’intera famiglia.

Oltrepassata la struttura principale si può godere della frescura dell’immensa fontana rallegrata da alti spruzzi. Sul bordo è disposto un piedistallo ottagonale su cui poggiano quattro sculture di donne in stile classico: rappresentano le Stagioni e simboleggiano il movimento circolare del trascorrere del tempo, le celebrazioni annuali e le attività che contraddistinguono i vari periodi dell’anno.

Passeggiando sui sentieri del parco si capita nel labirinto dalle siepi basse, si segue il fiumiciattolo che alimenta la fontana fino alla grotta della sorgente con la scultura della ninfa dell’acqua e ci si ferma a osservare le tante varietà di piante. Il giardino botanico non è di grandi dimensioni, circa 40000 metri quadri, volendo lo si gira in una quarantina di minuti ma noi vi abbiamo trascorso quasi due ore fra lunghe soste, pausa merenda, giochi tra sassi e rigagnoli.

Ampie voliere ospitano fagiani, pappagalli, piccioni, diverse specie di gufi e hoco (un uccello particolarissimo in via di estinzione). Un edificio tra gli alberi ospita un balcone che affaccia sulla fonte di Albercon del Rey, un luogo fresco, carico di storia e fascino.

La perla di Molino de Inca è a mio parere il piccolo eppure incantato Giardino giapponese, nel quale si respira l’atmosfera del paese del sol levante. E’ decorato con stagni, dimora di pesci e tartarughe, un’area zen creata con la sabbia, ponticelli, elementi decorativi e casetta nel tipico stile giapponese.

Volare in Giappone è il nostro sogno e ogni volta che capitiamo in questi angoli magici il desiderio di vivere un’esperienza in Estremo Oriente si rafforza. Intanto speriamo e continuiamo a sognare.

Per la notte rimaniamo a Torremolinos, all’hotel tre stelle Arcos de Montemar posto sulla larga Avenida Carlota Alessandri lungo cui è facile trovare un posteggio gratuito. In alternativa l’albergo ne offre uno privato a pagamento, compresi nel prezzo ci sono invece l’utilizzo della piscina in giardino e la colazione dolce-salata varia e abbondante, con uno squisito arroz con leche, riso cotto nel latte aromatizzato alla cannella e agrumi. Camere e bagni sono ampi e puliti, il rapporto qualità-prezzo è ottimo e la gentilezza del personale è il valore aggiunto. Saremo rimasti volentieri un’altra notte se le stanze non fossero state tutte occupate.

Usciamo per la cena al ristorante Italian Factory che, come s’intuisce, offre una cucina italiana ed è gestito da un nostro connazionale. Il locale è molto semplice ma la pizza e i primi piatti sono buonissimi e a prezzi onesti. Anche in tal caso se viaggiate in coppia o senza figli piccoli la scelta si amplia notevolmente nella vicina Calle Bulto, ricca di proposte culinarie allettanti.

Con la pancia piena diventa un obbligo piacevole la passeggiata sul lungomare, accompagnata su un lato da un susseguirsi di negozi, bar e localini, e aperta verso la spiaggia su quello opposto.

Cammina e cammina, senza nemmeno accorgerci, arriviamo al Puerto Marina di Benalmadena, distante circa due chilometri. Trattasi di un’area di recente realizzazione, una sorta di porto commerciale con edifici costruiti pure al centro della baia e collegati alla riva tramite ponti. Zeppo di negozi di souvenir, ristoranti e botteghe dove si vende un po’ di tutto come in un mercato moderno. Per noi è un ambiente troppo confusionario, disturbato da rumori eccessivi, preferiamo di gran lunga la vivacità più rispettosa ed elegante di Torremolinos, ma questo è solo un parere personale.

Giorno 5, lunedì 9 maggio

La mattina e una parte del pomeriggio la dedichiamo proprio al mare di Torremolinos, un litorale ampio segnato da spiagge attrezzate e spazi liberi, acqua bassa simile a quella dell’Adriatico. Vista la temperatura fresca ci limitiamo a bagnare i piedi e alterniamo le passeggiate agli ‘scavi’ nella sabbia, le pause stesi al sole a impegnative ricerche di conchiglie. Non è certo l’idillio trasparente del mare sardo o siciliano ma per trascorrerci qualche ora è perfetto.

Poi cambiamo ambiente, risalendo un poco i fianchi della montagna fino al Parque de la Bateria, il polmone verde della cittadina, disteso su un altopiano in posizione panoramica. Deve il nome alla batteria difensiva costiera un tempo ubicata qui e della quale rimangono alcuni cannoni di artiglieria e due bunker. L’attrattiva maggiore del parco sarebbe il lago artificiale dov’è possibile navigare con barchette a noleggio, purtroppo ancora svuotato dell’acqua. Io e mio marito allora ci consoliamo salendo in cima alla torre di avvistamento alta 15 metri per ammirare il paesaggio, mentre a Leonardo torna il sorriso gettandosi dall’alto scivolo-tubo nel nuovo e ben attrezzato parco giochi.

Per il resto della giornata torniamo nella vicina Benalmadena, iniziando con uno spuntino veloce in un baretto di Benalmadena pueblo, la località da noi molto apprezzata appena ventiquattr’ore prima.

Poco distante sorge il Mariposario, il giardino delle farfalle ospitato in un tempio thailandese dov’è stato riprodotto un ecosistema tropicale in cui vivono liberi circa 1500 esemplari esotici provenienti dall’intero mondo. Varcarne la soglia può sembrare all’inizio soffocante per via della temperatura elevata e dell’alto tasso di umidità, tuttavia ci si abitua in fretta per vivere dei momenti davvero particolari. Le farfalle infatti volteggiano attorno a noi e possono posarsi su qualsiasi cosa, pavimento compreso, e per questo bisogna prestare attenzione a dove si posano i piedi. L’emozione è immediata e i più piccoli ne sono entusiasti. E’ un paradiso di piante e fiori con tanto di cascatella, fiumiciattolo, laghetto e altri animali come tartarughe, wallaby, pesci e volativi. Un’esperienza di certo da sperimentare.

Per la notte prenotiamo l’appartamento Agata Beach, con facilità di parcheggio, a un chilometro dal mare, vicino al Parque de la Paloma e al supermercato spagnolo Mercadona che offre una scelta ampia di prodotti, compresi quelli di panetteria e rosticceria. Posizione comoda a parte, sconsiglio la struttura per la rumorosità del condominio e lo squallore dello stesso, nonostante le recensioni positive lette su vari siti internet.

Giorno 6, martedì 10 maggio

Finalmente Malaga! Siamo pronti a esplorare la capitale della Costa del Sol, nonché città natale del famosissimo Pablo Picasso, dopo un breve tragitto in auto da Benalmadena di poco oltre mezz’ora.

Possiede una storia millenaria, fondata dai fenici nel VII secolo a.C. che già ne scoprirono la posizione favorevole per l’approdo, poi passata ai visigoti e dal VII secolo d.C. invasa dai musulmani la cui memoria è rimasta indelebile negli anni con due dei tre monumenti cittadini principali: l’Alcazaba e il Castillo de Gibralfaro. Come il resto dell’Andalusia subì infine la Reconquista cristiana nella seconda metà del 1400, dopo un assedio lungo e sanguinoso.

Per visitare tutto questo e molto altro in piena libertà, senza doverci preoccupare di code, semafori e sensi unici, lasciamo la macchina nel parcheggio a pagamento del Duplex Victory, l’appartamento grazioso scelto per la notte in zona semi-centrale. 900 metri a piedi è infatti la distanza dal cuore storico, precisamente dai resti del Teatro Romano riscoperto durante gli scavi del 1951 e sopra i quale incombe l’Alcazaba.

Costruita alle falde del monte Gibralfaro, risale all’epoca musulmana e dall’esterno appare un susseguirsi di mura e torri privo di decorazioni, possente e inespugnabile per soddisfare gli scopi difensivi. Una volta entrati però l’atmosfera cambia radicalmente. Si scoprono i giardini e i cortili porticati sui lati, le siepi e le fontane, quel che rimane delle ceramiche e degli intonaci sulle pareti, gli archi finemente decorati con motivi floreali sorretti da una propria tipologia di colonne non presente in nessun’altra costruzione. Il tutto è legato dallo stile mudejar frutto  della dominazione islamica. Dalla cinta muraria si gode un bel panorama, tuttavia non comparabile alle vedute del Castillo de Gibralfaro.

Posto al culmine del monte omonimo, si raggiunge a piedi dall’Alcazaba (o con i mezzi pubblici seguendo il percorso sul fianco opposto) grazie a una discreta passeggiata in salita, in gran parte esposta al sole. Si guadagna quota alternando il camminare alle soste per ammirare un paesaggio via via più ampio e fascinoso su Malaga, con Plaza de Toros la Malagueta, ovvero l’arena per le corride, e gli eleganti giardini di Pedro Luis Alfonso culminanti nella grande fontana de las Tres Gracias al centro di una rotatoria.

Lì accanto cresce la vegetazione rigogliosa del Parque de Malaga, creato tra il 1900 e il 1926 dall’idea del Marchese di Larios di trasformare in parco una zona in parte portuale e in parte occupata dal mare. Parallelo agli alberi si allunga il nuovo Palmeral de Las Sorpresas (palmeto delle sorprese, così chiamato per le 400 palme impiantate), ovvero il lungomare riconoscibile dalla moderna e sinuosa copertura bianca, e dove si susseguono aree ricreative per i più piccoli e per il relax. L’area si apre sul Porto e prosegue nella Muelle Uno, la zona anch’essa di recente riqualificazione piena di negozi e ristoranti, estesa dal cubo colorato del Centro Pompidou spagnolo, un distaccamento del museo di arte contemporanea parigino, sino al Faro, oltre cui continua la banchina per raggiungere gli imbarchi/sbarchi delle navi da crociera.

Ma torniamo al Castillo de Gibralfaro e all’attrazione per i bambini antistante l’ingresso. Una volta superata la salita infatti li attendono gli scoiattoli che saltellano liberi da un ramo all’altro e dei quali è possibile attirare l’attenzione grazie alle noccioline in vendita al chioschetto.

Da tempi remoti esisteva qui una torre di avvistamento ed è facile capirne il motivo: la vista si spalanca a 360° dal litorale alla montagna e sull’intera città.

La fortezza che vediamo oggi è sorta nel XIV secolo per ospitare le truppe con il compito di proteggere la vicina Alcazaba, a essa collegata (una volta) da una strada murata detta la Coracha. Oggi percorriamo la cinta muraria ancora in condizioni perfette e scopriamo nel parco protetto dalle mura il Pozzo Airon profondo 40 metri, i due forni per il pane, antichi posti di blocco e l’esposizione sulla vita militare e di vedetta nel castello tra il 1487 e il 1925, accolta nella vecchia polveriera.

Poi è un piacere assaporare un gustoso Bocadillo, la baguette farcita con vari ingredienti tipica della cucina spagnola, al chiosco del castello dall’ottimo rapporto qualità-prezzo se rapportato al luogo turistico.

Scesi di nuovo nel centro storico imbocchiamo Calle Cister dov’è impossibile non rimanere ipnotizzati dalle vetrine del negozio Torrons Vicens, con le diverse varianti del dolce di produzione locale, esposte come fossero gioielli… e in effetti i prezzi somigliano più a quelli di una gioielleria.

Torrone a parte, siamo attratti dall’edificio religioso infondo alla via: la Cattedrale. Non è soltanto una semplice chiesa, bensì un punto di riferimento e la testimone di numerosi eventi storici. I lavori per erigerla cominciarono nel 1530 sui resti di altre costruzioni e proseguirono per oltre un secolo, creando un connubio tra stile gotico e rinascimentale, tipico dell’arte religiosa spagnola. È possibile visitarne l’interno, previa coda alla cassa, ma noi preferiamo goderci l’esterno monumentale dai meravigliosi prospetti, slanciati e poderosi grazie alle torri e al campanile. Quello che vediamo per primo venendo da Calle Cister si affaccia sul piccolo giardino con zampilli e specchi d’acqua, siepi, fiori e aranci. Il principale invece troneggia sulla raffinata Plaza del Obispo, ravvivata dalla fontana circolare al centro e dai colori vivaci, giallo e rosso, del palazzo in stile barocco della Fundacion Unicaja con l’appariscente portale in marmo.

Sedersi a osservare la cattedrale e indagarne con gli occhi i particolari è un piacere. Come sempre quando ci troviamo al cospetto di un tale prodigio architettonico cerchiamo d’immaginare gli artigiani di cinquecento anni fa intenti a scolpire i capitelli o a smussare i fusti delle colonne, in un enorme cantiere a cielo aperto.

Passiamo dall’arte dell’architettura a quella musicale, coprendo una distanza di nemmeno 500 metri per entrare al Museo della Musica. Si tratta di un’esposizione interattiva adatta in particolare ai più piccoli, con alcune stanze rosse nelle quali è possibile mettersi alla prova suonando (o meglio per noi strimpellando) violino, chitarra o violoncello, ballando al ritmo di strumenti a percussione, e ascoltando la propagazione delle onde sonore.

Altri due colori differenziano i locali. Quelli bianchi ospitano pianoforti, mostre temporanee e installazioni di grandi dimensioni, mentre le camere dalle pareti nere raccolgono le collezioni permanenti sulla storia della musica nei cinque continenti.

Il museo è di dimensioni ridotte, poco curato e a mio parere dovrebbe offrire altre esperienze interattive, tuttavia nostro figlio si è divertito molto ed è questo l’importante. Se qualche mese fa non avessimo visitato la ‘Casa della musica’ nella capitale austriaca (descritta nel mio diario di viaggio ‘Vienna: la città imperiale a misura di bambino’ al link: https://turistipercaso.it/diari-di-viaggio/vienna-la-citta-imperiale-a-misura-di-bambino.html), di certo il giudizio non sarebbe stato così critico. Detto ciò, se volete sperimentare un museo diverso dal solito, viaggiate con figli piccoli e avete del tempo libero a disposizione lo consiglio comunque. Noi possedevamo tutte e tre le condizioni, avendo scelto di non visitare il Centro Pompidou spagnolo, in quanto non amanti dell’arte contemporanea, e il Museo Picasso, perché le maggiori opere del pittore sono conservate altrove.

Dopo la ‘scorpacciata’ di attrazioni camminiamo rilassati fino a Plaza de la Constitucion dove ha inizio la strada dello shopping di Malaga, Calles Marques de Larios.

Prima di zigzagare da una vetrina all’altra scopriamo nella piazza una mostra fotografica inaspettata, del National Geographic ‘da Polo a Polo, un viaggio nei magnifici paradisi naturali’. Le immagini di animali e natura mostrano dei soggetti e possiedono dei colori capaci di ipnotizzare: sono a dir poco magnifiche.

Seguendo il dolce richiamo della brezza marina ci rifugiamo nel lussureggiante Parque de Malaga, dove sono presenti un paio di parchi giochi, per proseguire all’ora di cena fino alla nuova area commerciale del Muelle Uno. Ci sono diversi ristoranti ma l’ideale per le famiglie è il Gaucho Grill steak house, con tavoli spaziosi disposti all’esterno sul Paseo, menù bimbi e tovaglietta di carta da colorare, cucina variegata con piatti messicani e spagnoli, pizze e hamburger, carne e pesce alla griglia, il servizio è veloce e il personale è simpatico e disponibile, il rapporto qualità-quantità-prezzo è buono.

La sera prima del rientro a casa è sempre un po’ malinconica. Noi cerchiamo di beneficiare sino all’ultimo respiro dell’aria di mare con una camminata sul lunghissimo molo, e di assorbire l’atmosfera festosa d’Andalusia tuffandoci ancora nelle viuzze del centro storico ora animate dalla ‘movida’. Bar e ristorantini sono zeppi di gente che, come noi, vuole godersi la vita, dimenticando almeno per un po’ il periodo buio, segnato dall’instabilità e dalle prospettive incerte, che stiamo vivendo.

Giorno 7, mercoledì 11 maggio

Purtroppo anche questo viaggio on the road sta giungendo al termine.

Per vivere ancora un pezzetto di Costa del Sol ci spostiamo con l’auto nell’area ovest di Malaga, precisamente al Parque del Oeste, distante una ventina di minuti dall’appartamento e già in direzione aeroporto.

Il parco si rivela un’altra piacevole sorpresa, pulito e molto ben tenuto, con due aree giochi e una zona sportiva, è vivacizzato da laghetti, fontane, statue e collinette, ricco di piante e fiori, e non mancano neppure gli animali con esemplari di emù, Wallaby di Bennet (simile a un piccolo canguro), di volatili ed anatre. È un’oasi di verde a due passi dalla spiagge, infatti il lato sud-est del parco lambisce l’infinita camminata sul lungomare.

L’aeroporto è vicino ma bisogna considerare il tempo per fare il pieno alla macchina, sbrigare le pratiche di riconsegna e per l’attesa/trasporto bus navetta dall’autonoleggio fino ai terminal (questo se come noi optate per compagnie più economiche con uffici esterni all’aeroscalo). Centauro si è rivelata una scelta dall’ottimo rapporto qualità del servizio-prezzo.

Del viaggio in Andalusia conserveremo nella mente dei panorami naturali splendidi uniti a visioni di monumenti eccezionali, nel cuore invece custodiremo svariati momenti di relax e la dedizione vista negli abitanti di Cordova per le proprie abitazioni. Questa regione è magica, capace di conquistare e accontentare la personalità di ognuno di noi.

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