Rosso come il deserto

"Aussie rules" Già da mezz’ora, prima di atterrare a Alice Springs, avevo tentato di intuire come sarebbe stato il mio impatto con il deserto Australiano,lo immaginavo rosso come il fuoco, vasto come il mare e arido come la mia carta di credito. L’impatto fu decisamente positivo, atterrando ad Alice Springs, vidi molte piste...
Scritto da: bitronic
rosso come il deserto
Partenza il: 02/08/1998
Ritorno il: 24/08/1998
Viaggiatori: in coppia
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“Aussie rules” Già da mezz’ora, prima di atterrare a Alice Springs, avevo tentato di intuire come sarebbe stato il mio impatto con il deserto Australiano,lo immaginavo rosso come il fuoco, vasto come il mare e arido come la mia carta di credito. L’impatto fu decisamente positivo, atterrando ad Alice Springs, vidi molte piste bianche solcare la sabbia rossa e mi immaginai alla guida di un potente fuoristrada derapare e controsterzare alzando nugoli di sabbia rossa e bianca, scavalcare dune alte decine di metri staccando le ruote dalla sabbia facendo volare il mio mezzo tra le terre del sogno alla ricerca della civiltà aborigena più vera.

Usciti dall’accogliente aeroporto, salimmo sul primo bus navetta diretto in città, ovviamente la sede della compagnia di noleggio del nostro campervan, era dall’altra parte della città e fummo gli ultimi a scendere.

Le immagini che poco prima mi riempivano la mente, quelle relative al fuoristrada estremo, mi abbandonarono immediatamente non appena il gentilissimo addetto della BRITHS ci mostrò il mezzo che avevamo noleggiato, un coniugato di pulmino da asilo e di furgone per la vendita dei surgelati, il tutto aggiunto alle raccomandazioni esplicite “No unsealed roads”. Fatto sta che, seduti in camera da letto, si poggiavano i piedi in cucina e si riusciva, allungando le mani, ad entrare in veranda. Mancava il bagno, ma nel deserto questo non è un problema, c’era la doccia con il sacchetto da mettere a scaldare al sole, ma neanche questa è servita, non perché non ci sia mai lavati, ma perché l’Australia è dotatissima se si tratta di servire i turisti. Ad ogni modo, il nostro pulmino ci ha scorrazzato prima ad ovest e quindi a nord, senza mai darci il fastidio di doverci preoccupare per il suo funzionamento. Se avesse avuto dei problemi, forse il nostro viaggio sarebbe potuto finire. Tra una città e l’altra, non sono mai passati meno di 200 Km. Le tante raccomandazioni relative al pieno di carburante e al controllo della cartina stradale, non sono servite la prima sera, perché molto più utili sarebbero state quelle relative al non circolare durante la notte e al fatto che d’inverno, il calar del sole è rapidissimo. Avrei dovuto notare quelle ombre lunghissime, disegnate dal gracile e minuto fisico di mia moglie, stagliarsi per quasi un chilometro oltre la strada asfaltata fino al confine del bush. Indicavano che il sole è all’orizzonte ed è sera tardi, solo non ci sono montagne intorno a noi, e quando il sole cala oltre l’orizzonte, non ce n’è più per nessuno, di luce intendo. Quel puntino sulla carta sembra un paesetto, mancano sessanta chilometri, che ne dici Michela, invece di restare qui in questo paese di poche anime, proviamo ad andare lì, in mezz’ora o poco più dovremo esserci e troveremo sicuramente quel campeggio che qui non c’è per fare una doccia e mangiare in qualche ristorante. Si parte.

In realtà, quel paesetto non era altro che un distributore di benzina, con una costruzione fatiscente in legno, coperta di polvere e bruciata dal sole. Decine di Aborigeni seduti davanti ad essa, aspettavano un qualche mezzo di trasporto, un’insegna “Coca-Cola” che deve essere stata montata da qualche rappresentante nel secolo scorso, primo dipendente della Coca-Cola Pty., induceva al pensiero che forse all’interno si vendesse qualcosa. Un rapido consulto alla mia compagna di avventure di viaggio e di vita, un rapido consulto alla cartina, un rapido consulto all’orologio e decidemmo che avevamo perso troppo tempo in rapidi consulti ed era il caso di proseguire fino all’incrocio con la strada che ci avrebbe poi portati a Ayers Rock. Erano le sei di sera, doveva esserci ancora più di un’ora di luce, secondo i nostri calcoli. Infatti il sole era ancora davanti a noi, quindi c’era luce fino al tramonto e poi ancora fino all’oscurità. Niente di più falso, l’equazione nel deserto è questa, niente sole, niente luce. La fortuna, ci venne incontro non appena accendemmo i fari, notammo infatti sulla nostra sinistra, una roulotte ferma e della gente attorno ad un fuoco, andammo a fargli compagnia. Ti ricordi Michela la cortesia si quel vecchietto che ci offrì il suo fuoco perché potessimo scaldarci il pane ed il formaggio? E sua moglie che parlava come un libro stampato per permetterci di capire il suo “Aussie English”? Quella fu la nostra prima notte nel Bush, il cielo era nero come la pece e le stelle erano tante che parevano toccarsi l’un l’altra, attimi vissuti in un’alchimia di sensazioni che infrangevano le normali regole che governano il nostro vivere in condizioni normali. Avremmo dovuto aver paura, ma la meraviglia del luogo che ci circondava, assorbiva le nostre emozioni riempendoci gli occhi di stupore e meraviglia, davanti ad uno spettacolo che ogni notte è davanti ai nostri occhi, in ogni dove noi ci si trovi. Basta alzare gli occhi al cielo e godere di ciò che si vede. Avremmo dovuto aver paura, perché eravamo a decine di migliaia di chilometri da casa nostra, eravamo a migliaia di chilometri dai nostri parenti, eravamo in mezzo al deserto più misterioso ed inesplorato del mondo soli come ci si può sentire solo in mezzo al deserto.

Le notti successive furono altrettanto suggestive, talvolta allietate dal fuoco acceso col legno raccolto attorno al camper, spesso allietate dagli spaghetti che Michela cucinava usufruendo delle facilities del nostro mezzo. Il giorno successivo, fu un continuo supplizio. Il giorno non passava mai, ci aspettava infatti il tramonto ad Ayers Rock, il rosso monolito che rappresenta per gli aborigeni l’essenza della terra del sogno e che, non riuscivo a scorgere per quanto tirassi il collo.

Lo spettacolo che uno non si aspetta, è quello che più emoziona.

Lo spettacolo che solo certe condizioni ambientali, date dal paesaggio, dalla limpidezza del cielo, dall’esatto momento in cui ci si trova di fronte ad esso, è quello che più si ricorda, come quell’immagine della luna, bassa, appena sopra la linea dell’orizzonte , tanto bassa che la si può scambiare per il sole come ho fatto io. La tua immediata correzione, Michela, mi ha fatto ricordare che stavamo camminando verso Est e non verso Ovest, a passeggio per quel camping che fa da contorno all’Hotel più famoso di Ayers Rock. Quella luna enorme, grande come il sole e illuminata da esso, è ancor oggi uno dei fenomeni più affascinanti ai quali ho avuto la fortuna di assistere. Il luogo più monocromatico ch’io abbia mai visitato. Più rosso di quanto non sia blu il mare, più rosso di quanto non sia nera la notte.

E tutt’attorno di rosso si dipinge ogni cosa, nella sola mezz’ora che precede il tramonto, vengono impressionate ogni sera migliaia di pellicole della stessa tonalità, a parte quelli che per sbaglio inseriscono una pellicola in bianco e nero.

Se arrivi con discreto anticipo davanti allo steccato che delimita il miglior punto di visione per distanza e direzione, hai la possibilità di sceglierti un parcheggio comodo, tanto da riuscire a tirare fuori il tavolino e goderti lo spettacolo sorseggiando qualcosa di fresco. Se arrivi tardi, lo spettacolo è ugualmente bello, ma lo devi condividere con le decine di altri turisti che scendono in fila indiana dal loro pulmino dopo aver percorso qualche migliaia di chilometri in un sol giorno per arrivare esattamente al minuto preciso in cui il sole drappeggia di rosso le dolci curve della montagna sacra che restituisce la stessa tonalità della sabbia del deserto dipingendo di riflesso tutto ciò che la circonda.

Una luce accecante che invade le pupille perforando gli occhiali scuri e colma di un rosso ricordo non solo gli occhi ma anche il cuore. Stanco di vedere sempre canguri distesi sul ciglio della strada dello spessore di pochi centimetri, non lo spessore della strada ma proprio quello dei canguri, decido che per vedere canguri vivi occorre alzarsi presto e partire.

Inoltre, le distanze sono tali per cui questo diventa quasi obbligatorio. Non è che ci si possa perdere nel territorio del Nord, una sola strada conduce ad Est, una sola strada conduce a Nord, ad ogni incrocio c’è una pompa di benzina che funziona anche come spaccio e come campeggio. I campeggi lungo le statali sono attrezzati di doccia e bagno, non sempre sono in condizioni di igiene assoluta ma il più delle volte sì. La strada per il Kakadu National Park è ancora lunga e si prospetta un noioso trasferimento per me e la mia compagna di avventura, di vita, di riferimento. Noioso fintantochè non si è deciso di fermarci a Barrow Creek, il solito punto nella cartina geografica che sembra un paese ed in realtà non è altro che un distributore di benzina con annesso spaccio, un paio di camere e un parcheggio per camper. Tutt’attorno nient’altro che Bush, sterpi e rovi disseminati ovunque, fino a riempire anche la linea oltre la quale il mondo finisce, ma solo per i nostri occhi.

A far benzina quando noi, potevano esserci altri camper, ma non c’erano, potevano esserci delle auto australiane, ma non c’erano, potevano esserci dei mostruosi trattori agricoli a 8 ruote, ma non c’erano. C’erano invece due Lambretta di 125cc. E 150cc. Arrivate via nave un mese prima a Melbourne e da lì partite alla volta di Darwin per una traversata Sud-Nord che le avrebbe viste sfrecciare alla folle velocità di 65Kmh guidate dai loro temerari piloti.

I loro nomi in realtà mi sono scivolati fuori dalla memoria senza scalfire però in me il ricordo della loro strana, stranissima affinità di coppia. Lui, un metro e novanta per 60 chili, Lei un metro e sessanta per novanta chili. E giù a raccontarci le loro avventure vissute in lungo ed in largo in giro per il mondo, quando in Lambretta e quando in fuoristrada, attraversando gli Stati Uniti o i deserti dell’Africa del Nord, con quella strana aria di presunzione così naturale che la può avere solo un Milanese.

Barrow Creek è un posto che dista duecento chilometri da tutto ciò che lo circonda, un edificio col tetto in lamiera, le pareti di legno dove ti servono la birra senza che tu la chieda soltanto perchè ti sei fermato lì. Gestito da un pancione con una barba folta e cespugliosa, dalla sua compagna che sembra uscire da un American movie e da una ragazza che sta dietro il bancone ad aprire bottiglie di birra e che quand’è sera se ne va, non si sa dove. Barrow Creek è una veranda con delle panchine e degli sdrai, dove le poche persone che abitano nei dintorni aspettano che venga sera seduti guardando il tramonto senza scambiarlo per un incendio e bevendo l’ultima birra prima di tornare a casa. Ma a casa dove? Tutto intorno al motel non si vede altro che terra rossa e qualche steccato, una striscia di asfalto che si perde appena oltre la collina e qualche deposito di acqua in lontananza. Case, nemmeno l’ombra.

Questa è la misura del territorio in cui ci troviamo, non bastano gli occhi per trovare ciò che si cerca, o meglio, ciò che si cerca non lo si trova solo con gli occhi…

Barrow Creek sono quattro sgangherati tavoli messi lì tra il bar e l’officina, dove ci siamo seduti quella sera e dove abbiamo mangiato gli spaghetti che abbiamo cucinato in onore dell’incontro con i nostri connazionali. Barrow Creek è una parete riempita di biglietti da visita, fotografie e cimeli di chiunque sia passato di lì, di qualunque nazionalità.

Barrow Creek è la donna dell’oste che ci ha offerto la pizza e che ci ha fotografato per ricordarsi di noi.

Barrow Creek è uno dei tanti punti sulla cartina geografica dell’immenso territorio del Nord.

Se ci passate, cercate la nostra foto sul muro all’interno del bar.

Se Barrow Creek è un punto sulla cartina, Douglas Hot Spring è una tabella a lato della statale lontano da ogni altro punto sulla cartina ma non troppo lontana da Darwin. Odio entrare in acqua al mare, a meno che non ci sia da vedere la barriera corallina, solo perchè odio l’acqua fredda. A Douglas, la temperatura dell’acqua era così calda, che ne sono uscito dopo quattro ore. Quattro ore a contemplare mia moglie che contemplava me che non mi ero ancora lamentato, che non avevo ancora detto “allora , andiamo?” ,nel senso di “Usciamo?”.

Il tempo corre veloce a Douglas, veloce come il torrente che nasce dalle falde della terra, che attraversa una piccola radura circondata dalla foresta tropicale, che circonda questo angolo di mondo grande come un fazzoletto, che ti servirà per asciugarti le lacrime nel momento stesso in cui varcherai il cancello di quel parcheggio mal attrezzato e per niente accogliente.

Veloce come il desiderio di tornarci mi viene in mente ogni volta che ci penso. Ti ricordi Michela come l’abbiamo trovato quel posto ?Eravamo giusto usciti dalla stazione di servizio quando quella tabella marrone ci ha tagliato la strada, non la si poteva non seguire. Trenta, forse cinquanta chilometri fuori dalla statale, metà d’asfalto e meta di terra rossa. Unsealed road , strada non asfaltata, con qualche punto da fare a 2 all’ora per non restare senza ammortizzatori.

Douglas Hot Spring, è ancor meno di un punto sulla cartina geografica, è un recinto di trecento metri quadri dove, al tramonto, sbuca una signora di mezz’età a riscuotere un non ben precisato dollaro per il posteggio del camper in quell’area.

A due passi dal paradiso, da quella foresta da attraversare, da quel ruscello da percorrere distesi a pancia in giù accarezzati dall’acqua e dalle immagini che si stampano nelle pupille e non si tolgono più. Mai più, mai più, mai più.

Ma quante immagini ci staranno ancora nelle tue pupille Michela? Saranno abbastanza grandi da contenerne almeno il doppio? Avrà le pupille come le nostre, così piene di fantastiche immagini, così piene di ricordi, così piene di voglia di vedere, di conoscere, di apprezzare ciò che sta oltre la soglia della nostra vita reale, la casa, gli affetti, gli amici, nostro figlio ? Si amore ricordo tutto perfettamente ! E quando, all’alba o al tramonto, guardo oltre quella linea tesa all’orizzonte tra due confini che non posso raggiungere con un solo sguardo, vedo la mia prossima meta. Che non è reale, è solo un sogno, il sogno ricorrente di quell’inguaribile viaggiatore che sono io.

Angelo Bisinella Agosto 2000



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