Perù: verso la cordillera di padre Ugo

È da qualche anno che il Perù sta nel cassetto dei viaggi da realizzare. Siamo attratti dalla Cordillera Blanca e dal fascino che emana la descrizione che ne fa la, normalmente parca, Lonely Planet. Una regione a nord di Lima che in uno spazio di 180 km per venti ospita circa 50 vette al disopra dei 5800 metri e altrettanti ghiacciai, la più...
Scritto da: stellre
perù: verso la cordillera di padre ugo
Partenza il: 01/11/2008
Ritorno il: 29/11/2008
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
È da qualche anno che il Perù sta nel cassetto dei viaggi da realizzare. Siamo attratti dalla Cordillera Blanca e dal fascino che emana la descrizione che ne fa la, normalmente parca, Lonely Planet. Una regione a nord di Lima che in uno spazio di 180 km per venti ospita circa 50 vette al disopra dei 5800 metri e altrettanti ghiacciai, la più alta catena al mondo situata in zone tropicali. Ne io ne mia moglie siamo alpinisti e scalatori, ma abitando a Biella a ridosso delle prealpi e con la Valle d’Aosta dietro l’angolo sovente ci capita di trovarci a camminare per i sentieri delle montagne. Abbiamo già avuto esperienze in alta quota in Bolivia e Cile fra i salar e le lagune e dopo le iniziali difficoltà di adattamento gestite con la necessaria gradualità, qualche pastiglia di aspirina e una dieta sobria e povera di grassi abbiamo gestito onorevolmente i nostri 50 e 60 anni. Questa volta vogliamo tentare il trek in alta quota ma lo vogliamo fare cercando esperienze, per quanto possibile, fuori dalle classiche rotte battute dalla massa dei turisti. Abbiamo a disposizione tutto il mese di novembre, periodo a rischio piogge per il Perù e in particolare per la Cordillera Blanca . Due settimane alla montagna e le altre due alle supersfruttate zone di Cuzco ed Arequipa. La Lonely fa intuire percorsi alternativi interessanti fuori dalle rotte battute nella cordillera ma le agenzie di Huaraz (capoluogo della zona) propongono sempre e solo itinerari dove i pochi turisti del fuori stagione vengono incanalati verso il Santa Cruz di 4 giorni che la fa da padrone. Non abbiamo voglia di venire intruppati in gruppi anonimi, abituati come siamo a muoverci in piena autonomia e libertà in tutti i nostri viaggi. Essere da soli favorisce contatti più autentici con l’ambiente e la gente del luogo. Mi do da fare su internet e alla fine approdo sul sito www.incaroca.it dove apprendo la storia degli 8 fratelli Roca strettamente intrecciata all’opera di padre Ugo de Censi fondatore del progetto Mato Grosso, che attualmente vive ed opera a Chacas proprio nella cordillera Blanca. Il capofamiglia Esteban, grande amico di padre Ugo, è stato cacciatore e conosce molto bene la natura e i luoghi, avendoli percorso in lungo e in largo. La famiglia è originaria di Alpabamba un villaggio tutt’ora senza luce elettrica che si trova nel Callejon de Conchucos ad est della cordillera. I figli di Esteban che sono cresciuti nell’impronta e nello spirito di padre Ugo e hanno imparato a ragionare in grande a beneficio di questo straordinario ambiente e della loro gente, hanno messo a frutto le conoscenze del territorio di papà, tracciando da qualche anno nuovi itinerari fuori dalle rotte turistiche. Si tratta di percorsi di alta quota che permettono di incontrare ambienti rurali incontaminati spesso non percorsi né da strade né da sentieri. Ne so abbastanza per contattare immediatamente Edgar, che vive in Italia perché ha sposato una volontaria italiana che ha prestato, come tantissimi altri italiani, la sua opera nel progetto Mato Grosso. Edgar, che è guida andina, mi risponde immediatamente e si dice disponibile gratuitamente a tracciare un programma che tenga conto dei nostri interessi ed esigenze di tempo e di risorse fisiche personali. Ci scambiamo alcune telefonate dove mettiamo a punto il programma e verificata la disponibilità del fratello Cesar, anch’egli guida andina che risiede ad Huaraz e parla perfettamente l’italiano, ci affida a lui per tutta la parte organizzativa e logistica. Apro una parentesi: le guide andine della zone sono state formate da guide alpine italiane che si sono prestate all’interno del progetto Mato Grosso e gli stessi quattro rifugi ad alta quota esistenti sulla cordillera, su modello di quelli alpini, sono stati costruiti da migliaia di ragazzi di padre Ugo che dando origine a una immensa catena umana hanno trasportato il materiale sin lassù, il ricavato della gestione dei rifugi va alle famiglie bisognose. Abbiamo in tasca il passaggio aereo con la KLM, Milano-Lima via Amsterdam a 770 euro. Il taxi da e per l’aeroporto, l’albergo per la notte a Lima a 50 soles e il passaggio bus semicama pasto a bordo con Cruz del Sur Lima-Huaraz a 58 soles sono prenotati per noi da Cesar che ci aspetterà alla stazione del bus a Huaraz dove arriveremo 8 ore più tardi. Viaggiamo senza problemi, lasciamo la costa e ci inoltriamo negli splendidi panorami della cordillera cosparsi da piccoli villaggi fuori dal tempo. La temperatura scende e comincia a piovere, gran baruffa di nuvole e sprazzi di sole, ci mettiamo la giacca a vento. Arrivati alla stazione dei bus di Huaraz , prima di scendere, dal finestrino non possiamo fare a meno di notare un ragazzone in mezze maniche, zaino in spalla, faccia pulita e decisa, sguardo rilassato dietro agli occhiali da vista, che scruta i passeggeri che stanno scendendo dal bus. È Cesar! viene naturale abbracciarsi, gli spieghiamo che tipo di alloggiamento vogliamo e partiamo per il Soledad alojamiento familiar: economico, non troppo lontano dal centro, alla mano, tranquillo, colazione in famiglia, internet inclusa, custodia bagagli durante le escursioni, soggiorno da dividere tra gli ospiti e la famiglia, 60 soles. Francisco il proprietario, omone bonario, organizza in proprio escursioni nella cordillera a chi ne fa richiesta e nell’atrio fa sempre bella mostra un cartellone con le proposte del giorno a cui chi vuole può iscriversi. Il Soledad sarà la nostra base. La mattina seguente, ci raggiunge Cesar e insieme mettiamo a punto il programma, già concordato prima della partenza, che sarà reso flessibile a seconda delle nostre risposte alle alte quote e alla fatica. Il programma risulta essere il seguente: – due giorni di acclimatamento a Huaraz (3100 metri) – partenza per le lagunas Llanganuco in bus e campo tenda (3900 metri) – escursione alla laguna 69 (4600 metri) e ritorno al campo – trasferimento in collectivos a Yanama (3600) passando dal passo Porta del Cielo (4767mt) – da Yanama, con gli asini, partenza per il trek lungo il Callejon de Conchucos che in tre giorni ci porta a Chacas attraverso villaggi remoti, rovine incaiche, panorami superbi – da Chacas con un fuoristrada raggiungiamo Pompey e Vesuvio, miniere abbandonate dove lavoravano gli italiani. Campo lungo il torrente – escursione sino alla laguna Alicocha (4600) e ritorno al campo – con il fuoristrada verso punta Olimpica e pernottamento al minuscolo rifugio di padre Ugo situato sopra la laguna Cancaraca – escursione al passo Olimpica (4910 mt) e con mezzi vari ritorno ad Huaraz – due giorni per tirare il fiato al Soledad, dove riusciamo a infilare un tour di un giorno alle rovine di Chavin e un giorno di completo relax alle terme di Monterrey. I prezzi concordati, tenendo conto della bassa stagione, sono: 50 $, al giorno per i soli giorni di percorso effettuato a Cesar. Cesar nel prezzo ha messo a disposizione tende e cucina da campo spendendosi non solo come organizzatore e guida, ma anche come cuoco, più 2 pernottamenti ospiti dei suoi e utilizzo di parecchio del suo tempo nell’accompagnarci per Huaraz, prenotarci il bus di ritorno a Lima e i voli interni successivi per Lima-Cusco e Arequipa-Lima nonché i riferimenti per tutta la seconda parte del viaggio fatti con pazienza e quel suo inesauribile sorriso sulle labbra. A questo vanno aggiunti 10 $ al giorno per l’asinaio più 5 per ciascuno dei 2 asini che portano il materiale. La sua filosofia è che il turista paghi direttamente le prestazioni ricevute dai locali ai locali, tenendo ben presente che solo le sue prestazioni sono trattabili, mai quelle dei campesinos. Esattamente l’opposto delle agenzie, spesso a capitale straniero, dove ai locali vanno le briciole per il loro duro lavoro. Le scorte di cibo per il viaggio verranno scelte e acquistate insieme al mercato di Huaraz e durante le soste nei villaggi per una manciata di soles, a questi vanno aggiunti 60 $ per il fuoristrada, 22 $ per l’entrata al parco Huascaran e poche decine di $ per tutti i trasporti goduti lungo il percorso. Caricato tutto il nostro equipaggiamento, partiamo da Huaraz con bus di linea in una mattinata di pieno sole percorrendo parte del Callejon de Huaylas sino a Yungay. Lungo il percorso appaiono sulla destra abbacinanti i ghiacciai della cordillera. Da Yungay (2500mt.) una sterrata s’inerpica per 28 km sino alle Lagunas LLanganuco (3900 mt.), dapprima la Chinancocha “laguna femmina” color turchese, più su la Orconcocha “laguna maschio”. A un tornante scendiamo e carichi dei nostri bagagli mettiamo il campo mezzo km oltre, lungo le sponde di una zona solcata da rigagnoli provenienti dai fianchi e dal fondo della vallata. Solitudine e silenzio. Passiamo attraverso boschetti di quenuales dalla corteccia sfogliata per proteggersi dai repentini sbalzi di temperatura e piccole orchidee rosse che fanno capolino tra le rocce umide. Sopra di noi, come se partisse dalle acque increspate della laguna per forare la coltre di nubi minacciose che lo assaltano arcigne, mostra la sua testa candida, quasi 3000 metri più, su il Huascaran (6768). Dormiamo di un vago sonno dovuto alla quota che ci impedirà veri sonni ristoratori e pasti adeguati alle fatiche che dovremmo sostenere, in compenso non proveremo ne vera fatica ne fame autentica ma uno strana efficienza messa in discussione dopo pochi sforzi. Le prime luci dell’alba mettono a nudo le pareti verticali coperte di neve del Chacraraju (6112 mt) che chiudono la valle e sotto le quali si trova la laguna 69. Frugale colazione, la tenda è coperta di un leggero strato di brina farinosa, freddo secco, prima che il sole arrivi partiamo zaini in spalla. Saliamo lentamente e con fatica quello che sarebbe un comodo e facile sentiero alle quote delle nostre montagne, le 2 ore programmate diventano 4 per le numerose soste che dobbiamo fare, ma l’ambiente ci ripaga ampiamente e l’ultima svolta apre improvvisa sulla laguna 69 incastonata tra le rocce che mostra acque immobili di un turchese solido come di ghiaccio. Difficile da paragonare ad altre acque gia viste in altri viaggi, ma sulle Ande questo è il colore prevalente delle altre lagune di alta quota che vedremo. Una piccola cascata viene alimentata dalle acque di fusione del nevaio che scende lungo le pareti del Chacraraju sin quasi a lambire la laguna, due anatre incrociano tranquille. La discesa, priva di fatica, è rapida e ci concediamo una frugale cena prima delle 17 in modo che la digestione non interferisca col sonno. L’indomani ci posizioniamo con i bagagli sulla sterrata dove un collectivos, contattato da Cesar, ci trasporterà a Yanama. La salita a Porta del Cielo (4767) è spettacolare, il pulmino si ferma accanto ad un belvedere che fronteggia le tre cime dell’Huascaran e del Pisco divise dalle lingue d’acqua delle lagunas LLanganuco. La sterrata è un serpente bianco che sale contorcendosi rabbioso sino ai nostri piedi. Raggiungiamo il remoto Callejon de Conchucos, raggiungibile dai passi che attraversano la cordillera sfiorando a volte i 5000 metri. E poco dopo il pulmino ci lascia a Yanama. La casa di papà Esteban sta sopra il paese e sotto il Chopicalqui (6354 mt). Un campo di patate fiorite, bianche e viola, accoglie il visitatore, poi un orto ordinato e infine dei fiori orlano l’abitazione e il piccolo spazio erboso attorno al porticato. Quasi subito un’anziana campesina fa capolino per salutare Cesar, porta in offerta, come è usanza da queste parti, una grembiulata di patate. Papà Esteban appare nel pomeriggio, cappello a falde larghe, occhi neri penetranti, corpo asciutto e statura bassa, 73 anni. Parla in modo assorto e coinvolgente della natura che ci attornia, delle stagioni, degli animali e di ciò che coltiva. Un’ape si è posata sulla manica del suo maglione, cerco di mandarla via, ma lui la preleva delicatamente tenendola tra il pollice e l’indice e la deposita sul cespuglio di fiori davanti a noi poi fa cenno di non muovermi e con il pollice indica dietro di noi qualcosa: “picaflores” dice. Mi giro lentamente, un colibri ronza in modo impercettibile su di una rosa, era questo ronzio che lui aveva subito decodificato come picaflores. A sera tutti a cena da Julia che con il marito è impegnata nelle iniziative di padre Ugo. Mangiamo in uno stanzone che ospita i fornelli e un grande tavolo dove si accomodano, oltre a noi: Cesar, papà Esteban , due nipotini, Julia e marito più i loro tre figli. Le pietanze, sono i piatti preferiti da padre Ugo, che Julia ha cucinato apposta per noi. L’atmosfera è festosa e tutti approfittano del cibo, il ritorno a casa avviene nel buio ovattato e muto della cordillera, intuiamo la presenza di papà Esteban che davanti a noi ci fa strada. Entrati in casa noto un album di Tex Willer in italiano, papà Esteban dice che ne ha uno scatolone, glieli passa padre Ugo, e lui li legge aiutandosi con le figure. Sono tutti questi piccoli episodi, questi contatti famigliari spontanei che rappresentano il sale di questo viaggio. Prima dell’alba Cesar mi sveglia per raggiungere a piedi uno spettacolare mirador da cui si apprezza la vista del sorgere del sole su di una buona parte della Cordillera Blanca che in questo punto fa da anfiteatro. Mia moglie non sarà con noi, ha pagato il prezzo dell’abbondanza del cibo di ieri sera che l’altitudine le ha richiesto. Ci sediamo su di un sasso e aspettiamo che il sole coli la luce sulle alte pareti ghiacciate, sulla vetta orgogliosa e incredibilmente appuntita che mostra il Chacraraju da questo versante, sull’enorme coltre bianca del nevaio che grava sulla schiena del Chopicalqui e su tutte le altre vette che dominano l’orizzonte. Più giù, intensamente verdi i pascoli andini e infine Yanama sotto di noi, che rompe il silenzio con il richiamo degli animali e il vociare confuso della gente che esce in strada. Al ritorno, nel cortile, ci aspetta Milton con due asini, che con papà Esteban si affretta a caricare, mia moglie sta meglio e insieme iniziamo il trek. Il primo giorno, il più impegnativo, dovrebbe terminare mettendo il campo sul mirador Incarica a 4300 mt. Ma la fatica accumulata lungo il percorso, dove le 4-5 ore diventano 7 e la precedente nottata difficile di mia moglie, sconsigliano la quota nel timore che il “soroche” ci sorprenda durante la notte. Ripiegheremo cercando di perdere quota il più possibile. Il cammino si snoda a mezza costa e poi sulla cresta di lunghi pendii dove solo a tratti compaiono sentieri, gli ambienti sono incontaminati da qualsiasi forma di turismo, incontreremo casolari isolati, pascoli e animali, campesinos che lavorano nei campi di patate e mais e una natura sorprendente che non ha nulla da invidiare ai sovraffollati percorsi turistici per grandiosità e ricchezza di espressione. Molte le varietà di fiori e piante che via via Cesar ci elenca e onnipresente attorno a noi è la presenza di padre Ugo, con opere di canalizzazione dell’acqua per l’irrigazione, forestazione, contenimento dei pendii, selezione di varietà di semi più resistenti, ponti, strade, potabilizzazione dell’acqua, creazione di cooperative di produzione e vendita, centrali elettriche …l’elenco sarebbe infinito e vale per ciascun paese della cordillera. Mi piace ricordare la presenza di padre Ugo fra queste montagne, classe 1924 salesiano, originario della Valtellina, con alcune sue parole: ..Così le montagne fanno da corona alla mia vita. Per la mia gente le montagne sono “belle” se danno pascolo e legna, mentre rocce e ghiacciai dicono solo freddo e fame. Da 30 anni qualcosa è cambiato attorno a loro. Dai ripidi pendii dove coltivano patate e segale, hanno visto passare gente con strane fogge: zaini e vestiti colorati. Cosa troveranno sulle cime? Cosa c’è che li attira? Tanti di questi nuovi venuti non calpestano i fiori ma passano sopra la povertà e le abitudini di questa gente. Spesso neppure si accorgono di loro. Li capisco perché anche io amo la montagna, però parlano di aprire nuove vie alle cime. Non potrebbero aiutarmi ad aprire UN CAMMINO ANCHE AI MIEI GIOVANI, figli dei campesinos, che per guadagnare il pane scappano a Lima? Cesar ci parla delle opere compiute da padre Ugo: ospedali e scuole infermieristiche, perché la sanità in Perù non è gratuita, scuole di intaglio, scultura, restauro e archeologia frequentati dagli stessi fratelli Roca, un fratello ha scolpito il portale della chiesa del villaggio ed è sua è la scultura che occupa il centro della piazza di Huaraz, istituti pedagogici, orfanotrofi, oratori che raccolgono più di 20000 ragazzi, cooperative di tessitura e molto altro ancora. Aggirato il mirador, non senza rimpianto, ci accampiamo un’ora dopo in un piccolo spiazzo su 4000 metri accanto ad un campo di patate. Scaricati gli asini e piazzata la tenda mi dirigo verso muri di pietra e insiemi di massi apparentemente informi proprio in faccia al campo, per godere meglio del panorama che questa balconata offre, prima che il sole scompaia. Dalla valle che si perde nella penombra, con lo sguardo risalgo i pendii dell’altro lato sino all’eterno spettacolo del sole che tramonta dietro le vette bianche della cordillera. Ritornando mi rendo conto che la disposizione dei massi ha un senso, qui ci sono le piante quadre delle abitazioni, li quelle circolari dei magazzini e cisterne, la mura diroccate di protezione e ancora tracce di gradini e segni di strade e sulla sommità a strapiombo, la rocca militare. E’ una città inca con la sua chiara ed estesa trama, inaccessibile alla nostra civiltà, solo un sentiero usato dai campesinos, spesso labile, vi conduce. Non sono le uniche rovine della zona. Mattino chiuso, uggioso, forse per non farci rimpiangere la mancata salita al mirador Incaroca, facciamo colazione, carichiamo gli asini e riprendiamo a scendere per pendii, casupole in adobe, greggi e vacche al pascolo. Dopo poche ore giungiamo ad una casa bianca affiancata da un cactus fiorito ancora più alto, il tutto su di una sporgenza cinta di fichi d’india quasi sospesa sul villaggio di Alpabamba. Qui abita la madre di Cesar. Non vi è elettricità ed è inutile cercare il villaggio sulle carte geografiche e sulle guide. Sotto di noi fervono i lavori, aratri di legno con la punta rinforzata in ferro vengono trascinati da coppie di buoi per l’aratura dei pendii scoscesi. Le terrazze inca che un tempo davano forma al terreno sono andate distrutte. Ceniamo in cucina al lume di una lampada a gas, il pavimento è in terra battuta, la mamma di Cesar cucina su di un focolare di pietre, la chioccia si rifugia seguita dai pulcini dietro la porta aperta e l’ultimo pigolio si confonde con il fruscio dei cuy (porcellini d’india) che scorazzano sul pavimento in cerca di cibo. L’indomani partiamo di buon ora e ci immettiamo sullo sterrato che porta molti km più avanti a Chacas, dove ha base padre Ugo. Attraversiamo diversi villaggi e con ogni persona incontrata Cesar scambia un saluto e brevi informazioni in quechua, conosce tutti e tutti si fermano a salutarlo. Donne e uomini portano cappelli di foggia diversa in ogni villaggio attraversato e per la strada si vedono donne e bambini che spingono davanti a se gruppi di maiali di piccola taglia, ovunque fervono lavori di aratura. Attorno appezzamenti ben curati, atmosfera rilassata, rumori attutiti, aria frizzante, senso di libertà. Da un dirupo scorgo un fascione di legna che lentamente risale la china. Prima che me ne renda conto, Cesar, con quattro balzi lo fa suo e caricandoselo sulle spalle scopre l’anziano campesino piegato sotto di esso. Portata la legna sul ciglio della strada, Cesar porge la sua borraccia colma di chicha (fermentato di mais a leggero contenuto alcolico) all’uomo che la svuota senza mai staccarne le labbra. Sotto il cappello a pan di zucchero, lo sguardo dilatato dalla fatica; ancora un ringraziamento ed una benedizione e poi sparisce su per il pendio dall’altro lato della strada. Cesar sa e non ha dimenticato. Ci confida che vorrebbe aprire una scuola di avvicinamento alla cordillera aperta a tutti i ragazzi, perché imparino a conoscere e a usare bene ciò che è loro. Padre Ugo ha lasciato il segno ed ha messo radici. Decidiamo di proseguire in collectivos, pago il silenzioso Milton che intasca i dollari senza contarli ne guardarli, come si conviene fra amici di vecchia data o qui nella cordillera dove la parola e il gesto contano più della carta scritta. Ci metterà poco più di un giorno per ritornare a Yanama con i suoi asini, la dove noi ne abbiamo impiegati 3 per arrivare sin qui . Sul pulmino, di fronte a me c’è una giovane campesina con l’alto cappello piumato e lo sguardo assente, tiene in braccio una bimba, cappelli arruffati, viso sporco, occhi sgranati e vuoti, la bocca socchiusa e inespressiva. Chacas: una grande piazza erbosa attorniata da edifici neocoloniali, la grande chiesa è sulla parte alta della piazza, attorno chiude l’onnipresente cordillera dove spicca chiaro il nevado dello Hualcan (6122 mt). Villaggio piacevole ed animato, qui anche i sassi sanno chi è padre Ugo, peccato che in questo periodo sia assente, sempre in giro per il mondo a rastrellare fondi, non potremo salutarlo. Facciamo provviste, mentre Cesar contratta un fuoristrada che il giorno seguente ci porterà a Pompey, miniera abbandonata dove hanno lavorato gli italiani. Partiamo al buio e in breve tempo raggiungiamo le rive umide di un torrente impetuoso, piazzate le tende e organizzati gli zaini ci incamminiamo verso la laguna Alicocha (4600 mt). Il tempo è grigio e minaccia, la salita non lascia intravedere un gran che per via delle nuvole basse, scorgiamo cavalli liberi al pascolo e boschetti di quenuales con esemplari contorti e giganteschi. Raggiunta la laguna dopo poche ore, un raggio di sole ci restituisce l’incredibile color turchese delle sue acque, ci sediamo tra l’erba e le rocce mentre un grande rapace vola alto sulle nostre teste. L’incanto viene interrotto da nubi nere e gonfie che subito ci accerchiano, siamo esposti, ripieghiamo velocemente verso quote più basse incalzati da nebbia e pioggia. Dura poco, il vento si alza e ripropone montagne e ghiacciai attraverso un grandioso e mutevole gioco di dissolvenze, le nuvole cercano di porre resistenza e vengono sfilacciate dalle cime e dai crinali, tentano di insediarsi lungo le valli e sono stanate ed esposte al caldo sole tropicale, si illuminano e resistono, ma per poco, il blu del cielo fa rapidamente da sfondo ad ogni cosa. Appaiono ora vertiginose e sontuose nel contempo le pareti strapiombanti oppresse da cumuli di neve e ghiaccio del Copa, Bayoraju e Paqcharaju Passata una notte fredda e umida ai bordi dell’impetuoso Allipampa che raccoglie buona parte delle acque di fusione dei ghiacciai visti ieri, carichiamo tutta l’attrezzatura sul fuoristrada che puntuale si è presentato alle prime luci dell’alba, il prossimo campo sarà una sorpresa. Ripassiamo da Pompey e puntiamo sul lato opposto, verso il passo Olimpica (4910 mt). Lo sterrato, all’inizio cheto e rassicurante, si impenna all’improvviso in ziz zag estenuanti nello sforzo titanico di scalare il pendio che porta, a rischio continuo di frane, verso il passo. La coltre nera che ben presto ci avvolge e i racconti macabri di Cesar sugli incidenti accaduti su questa strada non rasserenano gli animi. Ci fermiamo e con apprensione guardiamo il fuoristrada riaffrontare i tornanti del ritorno mentre consideriamo la nostra nuova situazione: soli, con tutti i bagagli allo sbocco di un sentiero, silenzio dilatato, atmosfera rarefatta e immobile, l’altimetro indica 4700…nevica!! . Seguiamo Cesar, che porta il grosso dei bagagli sulle spalle, disorientati cercando di stargli alle calcagna. Di li a poco, dietro un costone e sopra uno sperone, appare una minuscola costruzione in pietra che mostra il tetto in lamiera malamente coperto dall’erba secca e dura che cresce in cespugli radi tra le rocce attorno. Sono pochi metri quadrati sufficienti per ricavare, con altra erba secca, tre giacigli, spazio quanto basta per appoggiare i bagagli e l’angolo per cucinare…un eremo si direbbe. Cesar conferma, qui si rifugiava padre Ugo che ama la montagna e questo ambiente in particolare. La mente corre spontanea ad altri luoghi e ad altre epoche: l’Hoggar, che in arabo significa “luogo della paura”, Algeria meridionale in centro Sahara, proprio in cima all’Assekrem a 2800 metri c’è l’eremo di padre De Foucault, uno sguardo sul caos e sul nulla e quindi sull’essenza del tutto. Ululati rabbiosi mi strappano dalle riflessioni, guardo attraverso i vetri rotti della finestra, la laguna Cancaraca, proprio sotto di noi, sta mutando in turchese la superfice grigio ferro a completa somiglianza degli ampi squarci del cielo. In direzione del serpentone, che salendo dalla valle incide la parete, altre piccole lagune stanno sintonizzandosi, con continue mutazioni del colore, ai capricci del cielo. Via, via, più definito un arcobaleno prende forma sopra la valle e a destra del passo Olimpica il Contrahierbas (6036 mt) ora, mostra tutta la sua imponenza. Decidiamo di salire sino al passo per toccare i ghiacciai che da li si dipartono e oltre, dare uno sguardo allo Huascaran completandone così l’intero periplo. Lasciamo l’eremo e camminiamo sul filo della cresta sopra la laguna in direzione del Ulta (5875). Sul terreno al riparo dei massi, piante dalle foglie coriacee proiettano verso l’alto campanule viola, piccoli cactus colonizzano brevi spazi protetti e zone di fitte foglie erbacee dure e variegate attraggono per il loro colore. Sole e colori vivi ma forze spente, l’altitudine ci impedisce di nutrirci come dovremmo ed esausti, a poche centinaia di metri dal passo, ritorniamo. Dopo una lunga notte di sonno, non sonno che ormai conosciamo bene, progettiamo di salire al passo chiedendo un passaggio ai rari veicoli che salgono, da li ci muoveremo a piedi e in discesa per godere dell’ambiente sino a quando Cesar ci raggiungerà con autobus e bagagli una mezzora dopo. Siamo fortunati un gigantesco camion, movimento terra, ci raccoglie ma tremiamo quando poco dopo un masso ancora più grande ostruendo una buona metà dello sterrato costringe il camion a sfiorare il ciglio del baratro per passare. Per un attimo i maledetti racconti di Cesar ci fanno sudare freddo anche perchè in fondo al burrone si vedono carcasse…Giunti al passo senza altre emozioni degne di nota, scendiamo fra lingue di neve che lambiscono la strada, freddo umido e intenso e movimenti rapidi di nuvole. Ci fermiamo ad ammirare, prima di lasciare, quella che per noi è stata la cordillera di padre Ugo. Ricordiamo la sua scuola di Andinismo che ha permesso il 24 febbraio del 2006 a Jaime Ramirez, campesino della Escuela Don Bosco di Marcarà di stracciare tutti i primati degli scalatori e rocciatori occidentali conquistando la vetta dell’Aconcagua (6962 mt) migliorando il tempo di ben 5 ore, con un equipaggiamento ridotto all’osso e tre buchi nelle suole degli scarponi tappati con il silicone. “Salire in alto per aiutare quelli che stanno in basso” è il motto. Queste montagne non hanno segreti ne per Cesar ne per Edgar, ex campesinos che non dimenticano e che le hanno salite numerose volte per condurvi gli alpinisti di tutto il mondo e per imparare a sciare portandosi gli sci sino a 5500 metri, senza impianti di salita ovviamente. Scendiamo lungo il versante che mostra la parete sud dello Huascaran passando lungo il ghiacciaio del Contrahierbas, l’ambiente è straordinario e siamo grati a Cesar che ritardando ci concede di indugiare in questa esperienza. Camminiamo in discesa leggeri e senza sforzo fra cime incombenti da capogiro e valli che si aprono fra nuvole in continuo movimento. Passano le ore, di Cesar neppure l’ombra, davanti a noi ora lo sterrato si tuffa a tornanti per molti km lungo un ripido versante per guadagnare il fondo valle. Decidiamo di fermare un camion che scende, sopra c’è Cesar, ci racconta che il bus era strapieno e non aveva spazio per i nostri bagagli, alla fine si era fermato un amico con il camion. Scendiamo con il camion fino a Carhuaz e con un taxi arriviamo a Huaraz a fine mattinata. Partiremo di notte alla volta di Lima con un comodo bus cama della Movil per iniziare la seconda parte del viaggio, oltre ai bagagli dell’andata: un lembo di stoffa avvolge carta da giornale al cui interno si trovano ben custodite alcune patate dono di papà Esteban, germoglieranno sulle nostre Alpi. Per chi volesse tentare la nostra esperienza, alla portata di tutti coloro che hanno dimestichezza con passeggiate in montagna, non esitate a contattare stellre@fastwebnet.it ben contento di essere utile nel dare ulteriori indicazioni e a dissipare dubbi e timori.


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