Paesaggi primordiali della Namibia
Sapevo che, alcune centinaia di milioni di anni or sono, il ghiaccio che ricopriva questo cratone aveva inciso valli e trascinato blocchi di rocce. Con i successivi cambiamenti climatici, provocati dalla migrazione del Gondwana verso l’equatore, il ghiaccio, sciogliendosi, aveva formato laghi, paludi ed una savana dove gli animali avevano trovato un habitat ricco, testimoniato da impronte di dinosauri. Un ulteriore incremento della temperatura, milioni di anni dopo, aveva prosciugato laghi e inaridito la terra, dando luogo a deserti preistorici di arenaria rossa e di conglomerati rocciosi su cui poggiano, ancora oggi, le dune fossili longitudinali. La precipitazione di carbonati, per la degassazione di CO2 prodotta dalla formazione e dall’agitazione degli oceani primordiali o per l’attività di batteri capaci di “fissare” il carbonato di calcio e di intrappolare un sedimento fine, prodotto dall’azione erosiva degli agenti atmosferici, aveva dato origine a sottili lamine di fango carbonatico chiaro, alternate a lamine scure ricche di materia organica, derivata dall’attività dei tappeti algali. L’evaporazione dell’acqua aveva invece trasportato, verso la superficie delle rocce, sali ferrosi che, ossidandosi, formarono come una “vernice” di protezione mentre altri sali, compattati dagli zoccoli degli animali, avevano formato edifici carbonatici di notevole estensione, quale la famosa “padella” bianca dell’Etosha. Pareti franate di antichi crateri, ancora osservabili a Twyfelfontein; dolerite scura a forma di dicchi, in parte ricoperti successivamente da sabbia o cristallizzata in forme esagonali e parallele, quali quelle dell’Organ pipes, parlano ancora oggi delle eruzioni vulcaniche avvenute circa 150 milioni di anni fa quando il supercontinente si separò in tre grandi blocchi. La montagna bruciata suggerisce la forza dell’azione metamorfica al contatto tra la massa incandescente e le rocce fredde. Canyon profondi “6 redini di buoi” e ambienti lunari, per l’alternanza di cupole nere e sedimenti calcarei senza vita, lasciano intendere la violenza delle acque nel cammino verso un mare che si andava riempendo di sedimenti, frananti verso la scarpata oceanica. La terra, alleggerita del suo peso, per fenomeni di eustatismo si innalzava sul livello del mare aumentando in tal modo il potere erosivo che permette alle acque di formare bacini, quale quello del Kalahari ed ammassare, per centinaia di km, maestose dune di sabbia, che fanno da barriera all’oceano. Nella zona del Waterberg si evidenziano ancora i segni di un’antica faglia, con un’estensione di più di 250 km. Dal contatto tra le acque calde del sistema subtropicale e quelle più fredde che arrivano dal sud, si forma la corrente del Benguela che ancora oggi trasporta un’enorme biomassa di pesci, crostacei, uccelli e mammiferi marini e dà origine ad una nebbia che, mentre alimenta licheni e piante millenarie, influenza il clima e disperde, nei bassi fondali, relitti di navi naufragate.
Ripensando la storia geomorfica della Namibia sono andata nel deserto del Namib tra sabbie rosse e ambra all’alba, giallo e malva al tramonto; tra savane color del grano maturo; attraverso inospitali dirupi inframezzati di rosso e di nero, ripiegati come onde in fuga; per strade sempre diritte e monotone, su piste sterrate che si inerpicano verso l’altopiano della pianta millenaria e dei licheni, sulla strada salina che “piange” con le piogge ma non certo per gli ingorghi urbani! Poche costruzioni e nessun abitante cui chiedere informazioni; pochi incroci di strade con qualche casa isolata; nessuna opportunità di shopping. Tanto spazio ma senza interesse; nessun campo coltivato ma rocce e terre ricche di risorse minerarie ancora nascoste; lunghe ricenzioni con filo spinato a protezione delle terre di lodge privati o dei parchi naturalistici; tanti termitai color mattone o di terra grigia, abbarbicati ad alberi destinati ad essere devitalizzati; strani alberi faretra, baobab e acacia erioloba, euforbie velenose (damarana), marula aromatica e mopane, l’albero con le foglie a farfalla. Animali e piante allo stato naturale, uomini in simbiosi con la terra e privi di desideri se non quello di vivere in pace, paghi di quel poco che sembra elargire una natura matrigna. Difficile incontrare gli attuali abitanti del bush, difficile risalire alle etnie originarie della gente che lavora nei lodge o nei parchi; più facile incontrare le donne Herero che confezionano bamboline per turisti o visitare la terra degli Himba, quando il “capo” accetta regali, in cambio di una sbirciatina al campo. Poche capanne di fango, senza acqua corrente né elettricità, tanti bambini ed una comunità orgogliosa, con la ferma volontà di difendere la storia e l’identità del proprio popolo. Bellissimo l’incontro con gli animali selvatici mentre, facendo game-drive nei parchi, scorgi tra le fronde di un’acacia la testa di una giraffa; tra l’erba smossa dal vento vedi una leonessa acquattata che punta un gruppo di antilopi. E mentre guardi le varie pozze d’acqua vedi arrivare, per abbeverarsi, un gruppo di zebre e qualche orice; un elefante gioca con l’acqua, come un bimbo sotto la doccia, ed una giraffa si inchina sino a lambire l’acqua fresca. Dal campo di Okaukuejo, protetti da una barriera di pietre e di filo spinato elettrificato, puoi ammirare in assoluto silenzio, al buio, gli animali che vengono alla pozza d’acqua allo stesso orario, alternandosi con metodica precisione, i rinoceronti coi leoni, i kudu con le zebre e le giraffe, i facoceri con gli sciacalli dalla gualdrappa. Puoi camminare con riverenziale timore sulla candida e silenziosa piattaforma “a mosaico” del Pan, lasciando che lo sguardo si perda oltre un orizzonte vasto quanto il territorio della florida e profumata Sicilia. In Namibia puoi godere dell’ospitalità di albergatori che sanno trarre dal nuovo turismo un’opportunità per proteggere animali in via d’estinzione, come avviene per la fondazione Africat ed altre conservancies che tutelano, beneficiandone, le risorse naturali. I rangers organizzano passeggiate guidate, sulle tracce di leopardi curati e monitorati con un collare, o safari fotografici, all’interno della riserva del lodge o del parco adiacente, brindando, al tramonto, ad un sole che infiamma di rosso l’orizzonte terso. Puoi ammirare dall’alto, in mongolfiera, la natura che hai sognato con i documentari; puoi vivere le tue giornate senza fretta; puoi aspettare il buio attorno ad un fuoco scoppiettante mentre il geco palmato gracida tra l’erba alta; puoi ritornare a gustare il vero sapore dell’acqua di sorgente, senza paura di contaminazioni urbane e industriali; puoi degustare carni di selvaggina, con lo scrupolo di essere anche tu un predatore!