Non solo esiste, ma è anche piena di cose interessanti da vedere: ecco la regione incontaminata (e meno conosciuta) d’Italia
Per qualche problema di salute, quest’anno non abbiamo potuto muoverci da Roma ma ora decidiamo di prendere una boccata d’aria non lontano da casa, considerato che Fabio può essere chiamato da un momento all’altro per un intervento chirurgico. La nostra scelta ricade sul Molise dove non siamo mai stati: abbiamo letto tante volte il ritornello “il Molise non esiste”. Siamo andati così a verificare e ci siamo accorti che non solo esiste ma è anche una bella regione con tante cose interessanti da vedere, oltre allo splendido paesaggio naturale.
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Diario di viaggio in Molise
Giorno 1. Isernia e Castelpetroso
Partiamo da Roma con comodo intorno alle 08:30 in una splendida giornata di sole e intorno alle 11:00 siamo già ad Isernia.
La città si sviluppa sull’Appennino molisano ed è circondata dai monti: sia a livello paesaggistico che artistico e culturale, Isernia offre buone prospettive rendendo la visita del suo centro storico piuttosto piacevole. Parcheggiamo senza difficoltà e ci troviamo subito davanti alla Fontana della Fraterna in Via Giosuè Carducci, simbolo di Isernia e annoverata tra le più importanti fontane monumentali d’Italia per la sua particolare struttura architettonica, formata da una serie di archi a tutto sesto. Fu costruita utilizzando la pietra di palazzi presenti in città, riportandovi anche ornamenti e decorazioni di costruzioni signorili dismesse: deve il suo nome alla Frataria, la società di Mutuo Soccorso fondata da Papa Celestino V, originario del Molise.
Proseguiamo lungo Corso Marcelli fino alla Cattedrale di San Pietro Apostolo, sorta sul sito di un antico tempio pagano dedicato a Giove, Giunone e Minerva, di cui sono conservati i resti al di sotto dell’attuale chiesa, realizzata in stile greco-bizantino in epoca alto-medievale. Nel corso dei secoli la chiesa ha subito notevoli danneggiamenti ed è stata ristrutturata più volte, modificando parzialmente il proprio aspetto originario.
La torre campanaria della Cattedrale, fatta edificare successivamente al terremoto del 1349, è comunemente detta “Arco di San Pietro“, perché alla sua base si apre un arco utile a garantire il passaggio di corso Marcelli.
Poi gironzoliamo in città e ammiriamo il Palazzo D’Avalos-Laurelli (chiamato il Palazzotto) e la Chiesa di San Francesco, in Piazza Guglielmo Marconi, voluta proprio dal Santo di Assisi nel 1222 insieme ad un Monastero dei Padri Conventuali. Sulla stessa piazza prospetta, ad angolo con la chiesa, il Palazzo di San Francesco, oggi sede del Municipio.
Ritornando verso il parcheggio, ripassiamo in Via Carducci e ci troviamo di fronte al Palazzo Jadopi, famoso per le vicissitudini legate all’Unità d’Italia. Nel 1860, Stefano Jadopi si dimise dal parlamento napoletano per entrare nel comitato di accoglienza del nuovo re. Gli oppositori del nuovo sovrano gli tesero un agguato, accecando il figlio. Vittorio Emanuele inviò a sua difesa dei garibaldini che però furono sopraffatti dalle truppe dei Borboni: il palazzo fu incendiato e le teste dei garibaldini uccisi appese ai balconi. La leggenda narra che il palazzo sia ancora infestato dal fantasma di uno dei garibaldini che vi ha perso la vita.
Lasciamo questa città ben influenzati dalla sua tranquillità e proseguiamo il nostro itinerario che prevede la visita del Santuario della Madonna Addolorata, patrona del Molise, a Castelpetroso distante solo quindici chilometri da Isernia percorribili in venti minuti.
È un luogo molto particolare: il santuario appare all’improvviso isolato in mezzo ad una radura, uno dei luoghi più visitati dai turisti, non solo credenti, proprio per la sua forma particolare. Fu edificato nel luogo dove, secondo le testimonianze, la Vergine apparve a due pastorelle il 22 marzo 1888 e dove avvennero nel tempo alcuni miracoli riconosciuti dalla Chiesa. Fu realizzato in stile neogotico e, visto dall’alto, si nota perfettamente la composizione in sette cappelle che vogliono rappresentare i sette dolori della Madonna: al centro si ammira la grande cupola alta cinquantaquattro metri. Sicuramente scenografico, da vedere.
Ci fermiamo a mangiare qualcosa nel bar caffetteria adiacente al santuario e poi ci dirigiamo verso Bagnoli del Trigno, dove abbiamo prenotato una camera presso il Domus Hotel Resort, un po’ fuori del paese, sulla cosiddetta Variante Esterna: una bella struttura, molto elegante, annessa ad un centro medico noto nella zona. La camera si affaccia proprio sulla montagna su cui è arroccato il paese, di grande effetto, soprattutto con la luce calda del tramonto.
Ci riposiamo un po’, poi decidiamo di visitare Frosolone che dista una ventina di chilometri. Il paese risulta una sorpresa, veramente gradevole nonostante che un terremoto disastroso nel 1805 abbia distrutto una buona parte degli edifici antichi: è conosciuto in tutta Italia per la produzione di coltelli che va avanti da secoli, sembra che le prime botteghe artigiane risalgano al VI secolo, durante la presenza dei Longobardi, anche se furono i Borbone a far conoscere questa attività anche al di fuori dell’Italia. Ancora oggi ci sono numerose botteghe allineate nel suo piccolo centro storico e il Museo dei Ferri Taglienti.
Parcheggiamo tranquillamente, entriamo dalla Porta San Pietro e ci troviamo in Largo Vittoria in mezzo al quale si trova la Croce Stazionaria di San Pietro, risalente al 1660: a fianco della croce sono posizionate le sculture di due leoni che, probabilmente reggevano il protiro dell’antica chiesa scomparsa; il leone sinistro sta sbranando un vitello, mentre quello di destra sta mangiando un animale fantastico che ricorda un serpente con le zampe. Alla base della colonna c’è lo stemma dell’università di Frosolone, mentre sulla croce è scolpito Cristo e le sue braccia puntano verso le teste di due cherubini con ali spiegate. Al di sopra è invece simboleggiato lo Spirito Santo per mezzo di una colomba con un sole raggiato. Sul lato opposto della croce è invece scolpita la Madonna con le mani giunte.
Troviamo vicoletti stretti e colorati, piazzette intime, belle chiese come quelle di San Pietro Apostolo e di Santa Maria Assunta, il Palazzo Baronale Zampini che prese il posto dell’antico castello di Frosolone, costruito durante la dominazione longobarda. Le sue sale interne sono riccamente affrescate, ma non è visitabile.
Tra un vicolo e l’altro, ci troviamo in Via Fazioli dove si trova un’antica testimonianza della storia di questo borgo. Sulla facciata di una casa si nota un portone con le imposte in legno verde: la particolarità di questo ingresso è la sua cornice in pietra sulla cui sommità ci sono dei simboli che riportano alla produzione dei coltelli, i classici strumenti del fabbro, come il martello, la pinza e l’incudine. Si tratta dell’antico ingresso di una bottega artigiana. Poco oltre è interessante un vecchio palazzo la cui facciata è decorata da una folta vegetazione di viti che viene chiamato la Vecchia Casa di Ubald’. Ma chi era Ubald’? Ubaldo Di Nezza era un cittadino di Frosolone nato a fine Ottocento, che aveva una piccola bottega proprio qui nei pressi di Via Tevere, nota come la via delle botteghe, perché qui si concentravano la maggior parte delle botteghe artigiane (circa dieci) dei produttori di coltelli di Frosolone.
Ubaldo era un tuttofare benvoluto dai suoi compaesani e le viti che oggi ancora circondano la sua casa risalgono ai tempi in cui lui la abitava.
È ormai sera e lasciamo questo paese che ci ha sorpreso. Rientriamo a Bagnoli e ceniamo nel ristorante dell’hotel: il posto è elegante ma converremo che la cena non è memorabile e ci ripromettiamo di trovare qualcosa domani sera in paese.
Giorno 2. Agnone e Pietracupa
Facciamo una buona colazione, servita in una saletta adiacente al ristorante e poi ci dirigiamo ad Agnone percorrendo in circa mezz’ora il Fondo Valle Verrino, un ambiente quasi intatto se non fosse che si sono dovuti costruire viadotti e gallerie per favorire i collegamenti con l’Abruzzo e con il mare. Il Molise sembra quasi non avere centri abitati perché a volte nascosti dietro le rotondità dei rilievi e si possono percorrere chilometri senza incontrare nessuno: purtroppo non è molto buona la condizione delle sue strade provinciali che a volte possono creare seri problemi. Si capisce allora il motivo dello spopolamento e dell’abbandono progressivo e praticamente inarrestabile: purtroppo non ci sono molte prospettive di crescita per i giovani, soprattutto nei centri minori e questo rischia di far perdere dei valori e delle tradizioni importanti.
Parcheggiamo facilmente e percorriamo Corso Vittorio Emanuele: dapprima una lunga scalinata sale, sulla destra, alla Chiesa di Sant’Antonio Abate, dall’aspetto barocco ma fondata nel 1118. Torniamo sul Corso e subito troviamo la bella Chiesa di Sant’Emidio, eretta nel 1443 da mercanti ascolani al posto di una precedente chiesa distrutta da un terremoto. Ammiro uno splendido portale gotico a colonne tortili, ma molto particolare e pregevole è l’interno dove il coro presenta le statue lignee dei dodici apostoli a grandezza naturale. Superiamo la Chiesa dell’Annunziata e proseguiamo verso Piazza Plebiscito dove si affaccia la Chiesa della Trinità fino ad arrivare al cospetto dell’importante Chiesa di San Francesco, trecentesca e monumento nazionale. Ristrutturata nel Settecento, mantiene comunque portale gotico e bellissimo rosone del 1343: ma la chiesa non è visitabile, mentre si può accedere al chiostro dell’ex convento francescano e salire al primo piano del Palazzo San Francesco che ospita la Biblioteca intitolata allo storico agnonese Baldassarre Labanca, nonché la Mostra permanente del libro antico, con rari volumi, fra cui una copia cinquecentesca dell’Opera omnia di Platone. Tutto in belle sale dai soffitti decorati che si aprono lungo un corridoio monumentale. Una bella sorpresa veramente, poco pubblicizzata però: noi ci siamo entrati per caso, invitati da un gentile impiegato che ci ha visto interessati alla chiesa trovata chiusa e ci ha fatto fare una visita guidata improvvisata niente male.
Ridiscendiamo verso la parte bassa di Agnone perché dobbiamo raggiungere la Fonderia Marinelli in Via Felice D’Onofrio 14: alle 12:00 abbiamo prenotato una visita alla Fonderia e al Museo delle Campane e si raccomanda la puntualità. Una visita fantastica di circa un’ora in un luogo storico, accompagnati da un maestro campanaro ormai in pensione che, dopo un esaustivo video sulla nascita di una campana, ci accompagna nella fonderia vera e propria e ci illustra varie tipologie di questo manufatto anche con tanti aneddoti interessanti.
Al termine della visita, torniamo in Piazza del Plebiscito e ci accomodiamo per pranzo ad un tavolo all’aperto del Nuovo Caffè Letterario.
Poi, continuando a salire, tra bei palazzi nobiliari ed altre numerose chiese, ci troviamo nell’antico quartiere della Ripa che termina con un Belvedere da cui si gode di un bel panorama. Un quartiere molto particolare le cui origine sono dovute all’insediamento in questa zona di coloni provenienti dalla Dalmazia che nell’XI secolo era possedimento della Serenissima: molti edifici infatti hanno elementi in stile veneziano, soprattutto nella forma caratteristica degli ingressi o gli emblemi sulle architravi o ancora sculture di leoni rampanti sui palazzi.
Siamo molto soddisfatti, Agnone è veramente una bella cittadina e merita senz’altro di essere apprezzata con una visita approfondita.
È ancora presto e decidiamo di visitare Pietracupa, a poco più di trenta minuti da Agnone. Tutt’altro scenario: un borgo piccolissimo, scavato letteralmente nella pietra, sembra quasi impossibile che ci si possa abitare.
A rendere infatti famoso il borgo è la sua rupe in pieno centro e intorno alla quale, durante i secoli, sono stati scavati diversi edifici: la rupe si erge ritta verso il cielo ma, pensate, è nata nel fondo del mare diverse ere geologiche fa, come testimoniano i numerosi fossili marini sulla sua superficie. In epoca medievale sulla sua sommità venne costruito un castello di cui non rimangono quasi più le tracce. Si dovrebbero scendere delle scalette e raggiungere le grotte scavate alla base della pietra, dove fino alla metà del Novecento vi si svolgeva una misera vita quotidiana ma in questo periodo non è possibile visitarle perché stanno facendo dei lavori per la messa in sicurezza.
Ai margini del borgo ci fermiamo di fronte alla Chiesa di San Gregorio Magno, di antichissima fondazione come testimoniato da alcuni resti come acquasantiere e capitelli sopravvissuti all’ultima ristrutturazione della metà del Cinquecento.
Ritornando verso il parcheggio, ci troviamo in Largo Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, dove è stato sistemato un monumento molto toccante dedicato ai due magistrati scomparsi: è stato realizzato in pietra ed è formato da due steli ricavati da un unico pezzo di roccia a simboleggiare lo stesso destino che ha colpito entrambi. Delle schegge di roccia, proiettate e divaricate verso l’alto vogliono ricordare una esplosione ma anche una V in segno di vittoria.
Solo una decina di chilometri ci separano da Bagnoli: ci facciamo un giretto nel borgo, veramente grazioso e poiché siamo comunque un po’ stanchi, decidiamo di cenare nuovamente nel ristorante dell’hotel.
Giorno 3. Ferrazzano e Campobasso
La nostra prima tappa di oggi prevede di fermarci a Ferrazzano, distante da Bagnoli circa quaranta chilometri. Anche in questo caso il borgo è piccolissimo, tutto concentrato lungo una via che sbocca in Piazza Spensieri, purtroppo utilizzata interamente come parcheggio: qui ammiriamo il Teatro del Loto, riconoscibile dalle sue pareti dipinte a colori vivaci, il Castello Carafa e la ottocentesca Casa Spensieri.
Il Teatro del Loto è stato riconosciuto come il più bel piccolo Teatro d’Italia, ricostituito solo nel 2007 da Stefano Sabelli con il recupero della preesistente casa canonica seguendo i principi di ergonomia del Feng Shui, riunendo in un unicum concetti architetturali occidentali e orientali.
Gli spazi del Teatro del Loto si distribuiscono su mille metri quadri al coperto e cinquecento metri quadri di terrazze. All’interno ci sono due sale teatrali polivalenti e un bistrot.
Il Castello Carafa serviva a controllare il territorio, grazie alla sua posizione rialzata e risale alla fine del Quattrocento, progettato da Girolamo Carafa, anche in questo caso su una precedente fortezza, risalente probabilmente all’anno mille.
Agli inizi dell’Ottocento, dopo un terremoto, vennero fatti dei massicci lavori che gli conferirono l’aspetto attuale. In questo contesto i torrioni furono modificati per rispondere all’esigenza di posizionare le armi da fuoco. Oggi il Castello Carafa sembra ancora una fortezza medievale, anche se all’interno è stato trasformato in appartamenti signorili e non è pertanto visitabile.
Accanto al Castello ci affacciamo dal Belvedere, un’ampia terrazza con balaustra in pietra da cui la vista arriva fino alla Majella e al Matese, oltre ad un’infinità di piccoli borghi molisani la cui collocazione viene indicata su un tabellone accanto alla balaustra.
Ridiscendendo, nel cuore del borgo troviamo poi la Chiesa di Santa Maria Assunta, risalente ai secoli undicesimo e dodicesimo, ristrutturata completamente nel Settecento, riducendo le tre navate originarie ad un unico ambiente.
C’è una leggenda intorno a questa chiesa, che racconta della storia di un re chiamato Bove che si era innamorato di una sua parente e voleva sposarla. Ovviamente ciò era proibito, ma il re chiese un’eccezione al Papa stesso. Questi acconsentì, a patto che venissero costruite cento chiese in una sola notte che dovevano avere la stessa grandezza e la stessa architettura. Bove non si perse d’animo e accontentò il Papa costruendo, tra le altre, anche la Chiesa di Santa Maria Assunta.
Infine, riusciamo ad individuare, tra un vicolo e l’altro, il Piccolo Teatro, dalla facciata interamente costruita in pietra, proprio per distinguerlo dal Teatro del Loto, di dimensioni maggiori ma dalla storia più moderna: è nascosto all’interno delle abitazioni in pietra lungo un vicolo in discesa.
Prima di risalire in auto, avremmo voluto visitare la Chiesa di Sant’Onofrio, leggermente fuori dal centro storico. La sua storia è particolare perché quando venne costruita durante il 1300, risultava all’interno della cinta muraria cittadina. Solo successivamente, con il restringimento del centro storico, creatosi con l’erezione delle Mura Nuove, risultò esserne al di fuori. Purtroppo, a causa di lavori proprio nei pressi della chiesa, questa non è momentaneamente visitabile.
La visita di Ferrazzano non impegna molto e così, ripresa l’auto, a soli cinque chilometri di distanza, arriviamo a Campobasso che si vedeva distintamente dal Belvedere di Piazza Spensieri e parcheggiamo nella parte più alta della città.
Campobasso ha una parte storica che si sviluppa intorno al Castello Monforte e una parte più moderna e commerciale a cui si arriva scendendo parecchie scalinate. Si può decidere di iniziare la visita dal basso verso la parte alta, ma le scale, in un senso o nell’altro, vanno comunque affrontate. Vale comunque la pena di faticare un po’ perché il borgo storico, composto da un intrico di vicoli è veramente suggestivo.
Così noi iniziamo con la visita della bella Chiesa di San Giorgio che sembra risalire all’undicesimo secolo, come attesta anche il campanile romanico: bellissima la lunetta scolpita sopra il portale che raffigura un agnello crocifero circondato da foglie ovali intrecciate a grappoli d’uva. Anche l’interno è pregevole, ricco di statue e opere d’arte: spicca la Cappella di San Gregorio, costruita agli inizi del 1300 e dove è ancora leggibile una bella cupola ottagonale con affreschi.
Poco al di sotto di questa chiesa troviamo la Torre Terzano, conosciuta anche come Torre Delicata Civerra, risalente al Duecento ma rimaneggiata dai Monforte due secoli più tardi: qui era presente la struttura di ingresso alla città. Questa torre è anche al centro di una leggenda, secondo la quale, nel cinquecento, due ragazzi, Delicata Civerra e Fonzo Mastrangelo si erano innamorati ma le loro famiglie, appartenenti a due confraternite rivali, quella dei Trinitari e quella dei Crociati, si opposero al loro amore. Delicata venne rinchiusa in questa torre per evitare che Fonzo la potesse rapire. Fonzo partì per il servizio militare e nel frattempo Delicata morì in preda alla disperazione. Al suo ritorno, Fonzo apprese la triste notizia e decise di farsi monaco.
Praticamente a lato della torre c’è la Chiesa di San Bartolomeo, altrettanto interessante e molto particolare all’interno, anch’essa risalente all’undicesimo secolo: davanti all’altare è posta una croce stazionaria che anticamente era sul sagrato della chiesa.
Iniziamo così a scendere verso la parte più moderna di Campobasso per le scalinate di Via Chiarizia, lungo la quale si affacciano bei palazzi nobiliari come Palazzo Japoce, Palazzo Pistilli e Palazzo Mazzarotta che ospita al suo interno il Museo Sannitico. Incontriamo la statua dedicata a Fred Bongusto, originario del luogo, nella sua classica posa con la chitarra in mano, posta a pochi passi da Via Marconi, dove il cantante aveva passato la sua infanzia. Poi finalmente siamo in piano, in Largo Leonardo dove prospetta la Chiesa di San Leonardo, esattamente nel punto di incontro tra il borgo antico e la città nuova. Anche questa chiesa risale al Duecento, ha una facciata maestosa e sotto il suo pavimento è stato ritrovato un cimitero, testimonianza della pratica di seppellire i defunti all’interno delle chiese.
A poca distanza, ammiriamo il Palazzo Cannavina, sull’omonima via, caratterizzato da un imponente portale in stile neoclassico con sopra lo stemma della famiglia: due leoni rampanti poggiati su tre colli con, al centro, un albero di pino, sormontato dalla corona marchesale.
Proseguiamo fino al Fondaco della Farina, uno slargo una volta compreso all’interno delle mura cittadine che cingevano la parte più antica del borgo. Oggi è una piazzetta con dei bei palazzi residenziali, mentre anticamente era il luogo in cui confluivano tutte le farine e i cereali prodotti nei mulini che circondavano la città di Campobasso: qui i prodotti venivano pesati per riscuotere il dazio.
Una curiosità: all’ingresso del Fondaco della Farina, su via Cannavina, è presente ancora oggi la Mezzacanna, ovvero l’unità di misura ufficiale che veniva utilizzata dai doganieri.
Siamo ormai a Piazza Gabriele Pepe che, insieme alla Piazza Vittorio Emanuele II costituisce la parte più importante del borgo nuovo di Campobasso.
Qui si trovano la Cattedrale della Santissima Trinità, oggi la principale chiesa della città, il Teatro Savoia, il Palazzo del Governo e il Palazzo della Banca d’Italia.
La Cattedrale è interamente in stile neoclassico, ricostruita dopo che il terremoto del 1805 la fece crollare, avendo avuto come destinazione d’uso, tra la fine Ottocento e gli inizi del Novecento, anche quella di caserma.
Ci fermiamo a pranzo in un bar gastronomia che ha i tavolini sulla Piazza Pepe e poi ci facciamo coraggio e riprendiamo a salire per recuperare l’auto.
Prima di lasciare Campobasso, però, ci fermiamo davanti al Castello Monforte che svetta su tutta la città e le cui origini sono longobarde anche se il suo aspetto attuale risale al 1458 quando Cola Monforte, feudatario di Campobasso, decise di ribellarsi al re Ferdinando I d’Aragona occorrendogli però un fortino utile per garantirsi una difesa. Riprese il castello già esistente, ma in parte distrutto da un terremoto del 1456, e ne fece rinforzare le mura esterne, aggiungendo torri e una seconda cerchia di mura dove oggi ancora è presente il redondone, ovvero il mastio quadrato che si innalza sopra al corpo di fabbrica. Le mura sono chiuse dai merli e sulle facciate le poche finestre si alternano a feritoie, proprio a sottolinearne lo scopo difensivo.
Entrando nel castello ci si trova in un cortile interno e da qui si raggiunge il Sacrario dei Caduti in Guerra al pian terreno, ma noi troviamo dei lavori in corso e non si può accedervi. Dalle mura si gode di una vista notevole sulle vallate circostanti che, in condizioni di cielo terso, permette di distinguere persino il Tavoliere delle Puglie.
Infine, visitiamo la Chiesa di Santa Maria del Monte, nota anche come Chiesa di Santa Maria Maggiore o de supra, per via della sua posizione, nel grande piazzale proprio di fronte al castello. Una piccola chiesa era presente qui già nel Duecento, utilizzata per seppellire i componenti delle famiglie feudali locali.
Lasciamo Campobasso che ci è piaciuta parecchio, ricca di testimonianze storiche di epoche diverse.
La nostra giornata da turisti non è però ancora finita: in circa mezz’ora di auto raggiungiamo l’Area Archeologica di Altilia Saepinum.
Sepinum era il nome originario di una città fondata dai Sanniti nel V secolo avanti Cristo, trasformato in Altilia solo durante il medioevo. Era molto importante perché posta al centro della via percorsa dai pastori abruzzesi durante la transumanza verso la Puglia.
La passeggiata nel sito archeologico di Altilia e Sepino è una piacevole esperienza: lungo il percorso ci sono dei pannelli informativi che però non entrano nel dettaglio di ciò che si va a visitare.
Le parti più interessanti sono il teatro, il foro e la basilica, oltre che i due mausolei, entrambi al di fuori delle mura. Nei pressi del teatro è allestito anche un piccolo museo che espone reperti trovati nell’area e fornisce parecchie informazioni. Vi si accede con un biglietto di ingresso di € 4,00 a persona, mentre tutto il resto dell’area archeologica si visita liberamente.
Parcheggiamo facilmente in uno spiazzo di fronte ad un ristorante e, percorsi pochi metri, entriamo dall’antica Porta Tammaro, chiamata così perché in corrispondenza del fiume omonimo. È ancora massiccia anche se ha perso monumentalità quando nell’Ottocento vi sono state costruite intorno abitazioni rurali e ambienti per il ricovero degli animali.
Poco dopo, sulla destra, si accede ai resti del teatro di Altilia che poteva ospitare fino a tremila persone. Sono riconoscibili la cavea, l’orchestra e il blocco frontale del proscenio mentre proprio sulla scena, nel Settecento è stato costruito l’edificio rurale che oggi ospita il museo.
Percorriamo le mura di Altilia, volute dall’imperatore Augusto dopo aver conquistato la città sottraendola ai Sanniti, come attestato da una iscrizione riportata sulle quattro porte.
Percorriamo il Decumano, lungo il quale si incontrano la maggior parte dei resti archeologici più significativi e il cui pavimento è ancora l’originario basolato di epoca romana.
Ben riconoscibili sono i resti del Foro e della sua Basilica nonché il Macellum, ovvero l’area alle spalle della grande basilica, dedicata al mercato, dove confluivano generi alimentari di varia natura: d’altra parte questa è l’area del decumano dove si trovavano le residenze private della città e un macellum, con tanto di vasca all’interno di un bacino utilizzato come frantoio, era indispensabile.
Ammiriamo anche diversi monumenti interessanti lungo il cardo e il decumano: un mulino ad acqua, uno dei più antichi d’Italia ad essersi conservato e caratterizzato dalla vasca rettangolare sulla quale era posizionata una ruota idraulica; la Fontana del Grifo; edifici termali; edifici di culto e i due mausolei.
Consiglio vivamente di mettere in preventivo una visita a questo sito durante un viaggio in Molise.
Rientriamo a Bagnoli per fare degli acquisti in una bottega di prodotti locali che avevamo individuato ieri sera e, non avendo trovato niente di interessante per cenare in paese, ci rivolgiamo ancora una volta al ristorante dell’hotel.
Giorno 4. San Vincenzo al Volturno e Venafro
Siamo già arrivati al termine di questa breve vacanza ma la giornata prevede di visitare altre meraviglie prima di rientrare a casa.
Raggiungiamo così, in circa un’ora di viaggio, l’Area archeologica di San Vincenzo al Volturno le cui rovine sono la testimonianza di molteplici attività di religiosi in un’area considerata una vera e propria culla di cultura benedettina nel medioevo. La storia è di grande interesse: già nell’anno 787 Carlo Magno pone il monastero di San Vincenzo al Volturno sotto la sua protezione ed emana un privilegio contenente esenzioni fiscali e giudiziarie e l’autorizzazione alla comunità ad eleggere il proprio abate senza alcuna interferenza da parte di altre autorità ecclesiastiche. Nel corso di pochi decenni il complesso raggiunge le dimensioni di una vera e propria città monastica, oltretutto inserito in un contesto paesaggistico di grande effetto: l’abbazia di San Vincenzo al Volturno possedeva dieci chiese, terre in gran parte dell’Italia centro-meridionale e vi vivevano più di trecento monaci. Nei secoli successivi diversi eventi disastrosi segnarono per sempre il destino dell’abbazia, fino alla sua completa distruzione e alla successiva riedificazione sulla riva opposta del fiume. Gli scavi condotti in anni recenti hanno permesso di scoprirne la storia.
Parcheggiamo lungo la strada e, oltrepassato il Volturno attraverso il pittoresco Ponte della Zingara, si accede all’area con un biglietto di ingresso di € 6,00 a persona e in breve si raggiungono i primi edifici ecclesiastici: i resti di affreschi, le pavimentazioni in marmo, gli altari rendono perfettamente l’idea di quanto fosse importante questo complesso monastico che era dotato di un refettorio, di una cucina con forni e sistema di smaltimento dei rifiuti oltre che di un lavatoio coperto; imponente era la chiesa (Basilica Maior) circondata da un grande chiostro e dove sono state trovate le tombe degli abati.
Ma il pezzo forte della visita è l’accesso ad un piccolo e prezioso ambiente noto come “Cripta di Epifanio”. Al suo interno si scopre un mondo coloratissimo animato da immagini di sante, vergini, arcangeli, martiri e scene della vita di Gesù e di Maria, tutto conservato in modo eccellente.
Proprio per preservare ancora gli affreschi di questo gioiello, l’accesso è limitato a pochissime persone alla volta mediante un biglietto a parte di € 10,00 possibilmente da prenotare per tempo on line o telefonicamente per essere sicuri di potervi entrare. Vi assicuro che la visita è proprio una esperienza emozionante.
Ora attraversiamo la strada e, percorso un bel viale alberato, ci troviamo davanti alla Basilica di San Vincenzo Nuovo, comunque scenografica anch’essa, isolata in mezzo ad una radura al di là delle caratteristiche arcate del cosiddetto Portico dei Pellegrini.
Una visita decisamente interessante, lungo le rive del fiume Volturno e circondati dalle imponenti catene montuose delle Mainarde, della Meta e del Matese. Poco distante si può sostare sulle sponde del Lago di San Vincenzo, ma purtroppo noi non lo facciamo per mancanza di tempo.
Riprendiamo il cammino per arrivare a Venafro, ormai al confine tra Molise e Lazio, per visitare dapprima il Castello Pandone, dal nome della famiglia proprietaria di questo maniero medievale, ancora piuttosto massiccio, trasformato in palazzo nobiliare solo nel sedicesimo secolo. Molto divertenti sono gli originali affreschi voluti dal conte Enrico Pandone nei primi anni del 1500 che rappresentano i cavalli di sua proprietà a grandezza naturale e molto bello il Salone nobile con affreschi a tema bucolico. Si accede al castello con un biglietto di ingresso di € 5,00 a persona.
Ultima tappa del nostro itinerario: il fantastico Winter Line Museum, un museo storico-militare italiano dedicato alla storia della Linea Gustav, ovvero la linea fortificata difensiva approntata dai tedeschi nell’inverno del 1943/44. Nato dall’idea di alcuni amici appassionati di storia moderna che si costituiscono in un’associazione con l’intento di raccogliere e catalogare migliaia di reperti che sono riusciti a trovare, fotografie, divise, allestimenti spettacolari. Noi abbiamo telefonato per prendere accordi per le 15:00, in quanto non è sempre aperto ma i componenti dell’associazione sono molto disponibili e la visita risulta coinvolgente come poche.
È ormai ora di tornare a casa, ma lo facciamo soddisfatti di tutto quanto abbiamo potuto vedere in poco tempo e soprattutto perché abbiamo potuto constatare che il Molise esiste, eccome!!.