New york city a settembre
Prima volta a NYC, approfittiamo del volo diretto Pisa – JFK della Delta , per trascorrere 5 giorni a Manhattan. Partenza alle 13,30 di giovedì, aereo quasi vuoto (sarà perché oggi è l’11 settembre?), quindi massima comodità; atterriamo alle 16,30 locali in perfetto orario ma subito sperimentiamo le lunghe attese di questa città. Per...
Prima volta a NYC, approfittiamo del volo diretto Pisa – JFK della Delta , per trascorrere 5 giorni a Manhattan. Partenza alle 13,30 di giovedì, aereo quasi vuoto (sarà perché oggi è l’11 settembre?), quindi massima comodità; atterriamo alle 16,30 locali in perfetto orario ma subito sperimentiamo le lunghe attese di questa città. Per “parcheggiare” l’aereo va via oltre mezz’ora, quindi sbarchiamo contemporanea con un volo proveniente dal Ghana e al controllo documenti si viene a creare una lunghissima coda. Gli africani sono elegantissimi, i bambini indossano completi con giacca cravatta e cappello in stile anni ’50, ma per ognuno occorrono almeno 10 minuti, cosicché arriviamo ad ottenere l’admitted sul passaporto solo dopo oltre due ore. Usciti dal terminal 3 optiamo per la metropolitana, quindi saliamo sull’Air Train verso Howard Beach (5 dollari, si paga all’arrivo) dove acquistiamo per 25 dollari la Metrocard unlimited valida 7 giorni, con la quale ci muoveremo per tutto il soggiorno. La linea A della subway ci porta direttamente a Penn Station in circa un’ora, e sbucati dal sottopassaggio vediamo subito l’albergo. Il Pennsylvania è un antico hotel, ovviamente in un grattacielo, con una hall degna di una stazione in cui si trovano negozi, ed è possibile prenotare escursioni o servizi. Le camere sono pulite (la nostra è la 1453 al 14° piano), ma niente di che considerata la spesa; gli standard americano sono molto inferiori ai nostri, ma comunque l’ubicazione ottima, proprio di fronte al mitico Madison Square Garden. Nel frattempo sono quasi le 22, ma per il nostro organismo sarebbero le 3, quindi andiamo direttamente a letto. Ci alziamo invece di buon’ora la mattina dopo, alle 7 siamo in strada e l’impatto ci disorienta un po’, per il traffico infernale (e oltre la metà delle auto sono i famosi taxi gialli), per il rumore che sarà la costante dell’intero soggiorno, per la fretta che tutti sembrano avere, per i marciapiedi perennemente affollati di gente con un bicchiere in mano, per gli innumerevoli chioschi che emanano un continuo odore di cibo, e soprattutto per i grattacieli che ci sovrastano in ogni direzione dello sguardo. Decidiamo di fare una prima esplorazione a piedi, vediamo l’Empire State Building, il Rockfeller Centre, la 5th avenue e Park City, la chiesa di San Patrick, il Crysler, e arriviamo al palazzo di vetro delle Nazioni Unite proprio mentre sta partendo un tour in italiano. Ci aggreghiamo, la guida è una giapponesina molto cordiale che ci spiega il funzionamento e i compiti dell’ONU e ci conduce fino alla sala del Consiglio, dove si trovano i tavoli dei delegati di tutti gli Stati del mondo. Cerchiamo ovviamente il tavolo dell’Italia, che quasi in fondo ma solo perché ogni anno la disposizione ruota e viene estratta a sorte: facciamo un po’ di foto, poi siamo di nuovo in strada. Comincia a piovere, per cui entriamo da Macy’s, che dicono essere il più grande negozio del mondo: non sappiamo se è vero, ma comunque è veramente enorme, e lo giriamo solo in parte anche se ci fermiamo a mangiare Dopo una breve pausa in albergo,mentre continua a piovere ci spostiamo verso downtown e capitiamo per caso prima a Chinatown e poi a Little Italy, dove è in corso l’annuale festa di San Gennaro che dovrebbe celebrare la tradizione italiana. In effetti Mulberry street è tutta ornata in tricolore, ma se l’idea che gli americani hanno dell’Italia è quella che si può notare dalle bancarelle, non c’è da stare molto allegri. Infatti sono in vendita chincaglierie varie che di italiano non hanno nulla, e c’è anche uno stand, gestito forse da giamaicani, in cui come simbolo di italianità si vendono DVD della trilogia del Padrino. Anche i cibi esposti sono lontani anni luce dalla dieta mediterranea: a parte le zeppole e i cannoli, si vendono prevalentemente hot dog, kebab, hamburger (ma “with italian sauce”), accompagnati da birra e pina colada. Comunque l’atmosfera è anche simpatica, e siccome piove ancora verso le 19 decidiamo di cenare in un ristorante italiano dove (lo notiamo dopo) c’è il classico strimpellatore napoletano (“Torna a Surriento”, “That’s amore”), ma nessuno parla o capisce la nostra lingua. Comunque non si mangia male, le porzioni sono abbondantissime (ci propongono anche il “doggy bag”, cioè di portarci via gli avanzi, e al nostro rifiuto insistono molto), e si spende poco. Per il dopocena ci si sposta a Times Square: la piazza e le vie della vicina Broadway sono scintillanti di luci, cartelloni pubblicitari sfavillanti, e quasi non si cammina dalla folla, anche se ancora piove (ma sarà alla fine l’unica giornata bagnata). Il sabato mattina, subito a downtown per la gita a Liberty Island, dopo una rapida visita a Ground Zero (ma non si vede quasi nulla, è tutto transennato), a Wall Street e alla Trinità Church. A Battery park, un signore offre noccioline agli scoiattoli che vengono a prendersele arrampicandosi direttamente sulla persona: sapevamo degli scoiattoli di Central Park, ma invece si trovano anche in ogni piccolo parco cittadino, e sembrano assolutamente tranquilli e abituati all’uomo. Il traghetto l’avevamo prenotato on line (www.Statuecruises.Com), ed in effetti ci siamo risparmiati un po’ di code, anche se i controlli di sicurezza sono comunque accurati e lunghi. Il prezzo è assolutamente conveniente, 12 dollari che comprende il traghetto e la visita sia alla statua della libertà che ad Ellis island. La statua della libertà è affascinate, anche se non si può più salre all’interno ma solo alla base, e il panorama su Manhattan e New Jersey è impressionante. Interessantissimo il museo dell’immigrazione a Ellis Island, l’isolotto dove appunto gli immigrati dovevano sostare in attesa delle pratiche di ingresso: c’è anche un filmato d’epoca, e se avete un antenato che è emigrato in America, lo potete cercare qui o sul sito www.Ellisisland.Org. Rientriamo con l’ultimo traghetto alle 18, e la sera siamo a mangiare la pizza da John’s, a Broadway: ottima pizza, bell’ambiente e prezzi onestissimi. Completiamo la serata ancora in giro per Times square, e al rientro in albergo scopriamo che la chiave magnetica non apre più la porta della camera. Alla reception ci danno un nuova chiave, risaliamo al 14° piano, ma neanche questa apre: scendiamo di nuovo, riusciamo a farci capire, e a capire che dobbiamo aspettare l’addetto che arriva dopo oltre un’ora di attesa nel corridoio…
Domenica mattina, è la volta di Harelm. Non riusciamo a trovare una messa gospel, ma girovaghiamo intorno alla 125esima. Convenientissimi i prezzi nei negozi di abbigliamento, ma taglie extra extra large, e questa è una costante di tutta la città (non a caso nei negozi di “food” accanto ad ogni prezzo ci sono le calorie..). Ci spostiamo poi verso la Columbia University, ma poi optiamo per Riverside Church dove è in corso una messa. Ci fanno accomodare nella gradinata del quarto piano, non capiamo molto del sermone del reverendo Braxton ma lo stile è affascinante, spettacolare e aggressivo, agli antipodi delle prediche delle nostre chiese. Pausa pranzo a Central Park con un hot dog, dopo aver reso omaggio a John Lennon (sul pavimento vicino all’ingresso sul lato del Dakota dove fu ucciso c’è semplicemente la scritta “Immagine”, sempre circondata da fiori). Nel parco si può fare di tutto, dalla bici al baseball ad una gita in barca, o persino in gondola. Ripresa la subway, arriviamo a Brooklyn e percorriamo il ponte verso Manhattan. Il panorama è stupendo, così come lo è percorrere il ponte a piedi con il traffico sotto di noi.
La mattina seguente, finalmente saliamo sull’Empire State Buiding. Arrivati prima delle 9 evitiamo le code, così come evitiamo di acquistare tutti gli extra che ci propongono (39 dollari per una fotografia!!). Il panorama di Manhattan dalla terrazza (all’aperto) del’86° piano è stupendo, l’unico neo è che un grattacielo copre quasi tutto Central Park. Fine mattina e pomeriggio tra Soho, Tribeca e il Greenwich Village, con qualche acquisto di rito. Cena, al ristorante indiano vegetariano Pongal, su Lexington Avenue (tra la 27ma e la 28ma), ottimo anche avendo scelto a caso uno dei menù completi.
L’ultimo giorno, optiamo per qualche altro acquisto, uno sguardo a Chelsea e al lungofiume, e ci rendiamo conto che non abbiamo visto neanche un museo: li avevamo lasciati casomai avesse di nuovo piovuto, ma meglio così.
Riprendiamo la linea A verso Howard Beach, e riusciamo a malapena a salire per l’enorme affollamento fino a tutta Brooklyn, comunque arriviamo in tempo, partiamo alle 20,50 e arriviamo a Pisa addirittura con un’ora di anticipo e con tanta nostalgia.