Nel Sud-Est asiatico tra vulcani, templi e risaie

Viaggio fai da te alla scoperta dei vulcani di Giava, delle tradizioni culturali di Bali, del mare cristallino di Gili Trawangan e dell’ipertecnologia di Singapore
Scritto da: Oli79
nel sud-est asiatico tra vulcani, templi e risaie
Partenza il: 01/08/2013
Ritorno il: 22/08/2013
Viaggiatori: 3
Spesa: 3000 €
Dopo due viaggi consecutivi in America del Sud decidiamo di trascorrere le vacanze estive nel Sud-Est asiatico e di gestirle in totale autonomia. A settembre incominciamo a leggere blog e diari di viaggio relativi all’Indonesia. A poco a poco il nostro viaggio prende forma e scopriamo che questa terra è un arcipelago costituito da tantissime isole e isolette e che è uno dei paesi più popolosi del mondo. La preparazione della vacanza è lunga e laboriosa, perché tutto si deve incastrare alla perfezione per non avere tempi morti: forse siamo un po’ troppo programmati ma vogliamo sfruttare al meglio le tre settimane di vacanza che abbiamo. Per motivi di lavoro possiamo partire solo in agosto, proprio quando i prezzi lievitano, e per questo motivo dobbiamo giocare in anticipo con le prenotazioni. Abbiamo riservato tutti i voli, gli alberghi e i trasferimenti via Internet e i risultati sono stati eccellenti, grazie soprattutto ai consigli di tanti “turisti per caso”.

1 e 2 Agosto 2013 – Milano/Yogyakarta

Alle ore 15.20 partiamo da Milano Malpensa con volo Emirates (acquistato in gennaio) per Giacarta via Dubai. Il volo è tranquillo, l’aereo è confortevole e le ore passano velocemente tra parole crociate, spuntini e dormitine. In perfetto orario atterriamo a Dubai nel nuovo terminal, a nostro avviso un po’ sottotono rispetto al vecchio (si fa per dire…) e, ancora una volta, ci meravigliamo della quantità di gente (sembra che il mondo si sia dato appuntamento in questo angolo di deserto). Abbiamo un’attesa di cinque interminabili ore prima di riprendere l’aereo per Giacarta. Le otto ore e mezza di volo per la capitale indonesiana sono altrettanto interminabili, anche se veniamo coccolati con cena, colazione, film e musica.

Arrivati a Giacarta, in pochissimo tempo riusciamo a sbrigare le formalità doganali e burocratiche per entrare nel paese e a ritirare i bagagli. Abbiamo altre quattro ore di tempo prima di imbarcarci sul volo Garuda che ci porterà a Yogyakarta (avevamo letto di possibili inghippi e code chilometriche, per cui ci siamo presi un bel po’ di tempo, a posteriori troppo!). Non è possibile acquistare i voli della Garuda direttamente dal sito della compagnia aerea, in quanto le nostre carte di credito non sono accettate. Per questo motivo abbiamo seguito le indicazioni date da altri TPC e ci siamo avvalsi del sito http://ticketindonesia.info/, che si è rivelato serio e affidabile. Gironzoliamo per l’aeroporto, mettiamo il naso all’esterno e ci rendiamo conto che, malgrado siano solo le sei di sera, è già tutto buio (l’equatore è vicino e il giorno e la notte hanno la stessa durata). Sfortunatamente l’aereo ha un ritardo di quasi due ore per un volo di cinquanta minuti (mica male come rapporto!). Arrivati a Yogyakarta non troviamo il transfert che avevamo prenotato attraverso il nostro hotel. Non ci perdiamo d’animo: ci sono tantissimi taxi sia autorizzati che non (per sicurezza acquistiamo la corsa all’interno dell’aeroporto e spendiamo meno di quanto concordato con l’hotel). Il nostro albergo, Phoenix Hotel Yogyakarta – Mgallery Collection, è una meraviglia: una grande villa coloniale perfettamente restaurata e trasformata in hotel a cinque stelle (ottimo il rapporto qualità/prezzo). La nostra camera è accogliente, ben arredata e dotata di un bel terrazzo che dà sulla piscina. Troviamo un gadget di benvenuto e un vassoio colmo di buonissimi dolci e di frutta esotica fresca, proprio quello che ci vuole dopo un viaggio a dir poco estenuante.

3 Agosto 2013 – Yogyakarta

Al mattino incontriamo gli amici che si sono uniti al nostro viaggio e che hanno fatto una capatina a Kuala Lumpur. Iniziamo la nuova avventura in Indonesia con una colazione ricca di prelibatezze locali, europee e americane: una vera gioia per gli occhi e… soprattutto per il palato.

A piedi ci dirigiamo verso il cuore della città vecchia in mezzo a un traffico a dir poco caotico. Le strade sono letteralmente invase dai motorini e ogni attraversamento è rischioso. È incredibile quante persone riescano a stare su un motorino (intere famiglie con i bambini, sempre rigorosamente senza casco) e quante masserizie vengano trasportate (persino i materassi!).

Yogyakarta è stata la capitale dell’Indonesia, è considerata il centro culturale del paese ed è governata da un Sultanato (anche ai nostri giorni gode, infatti, dello Statuto di Territorio Speciale). Iniziamo la visita con il Palazzo del Sultano (Kraton), un complesso di edifici in stile giavanese, racchiuso da mura: all’interno ci sono scuole, moschee, negozi, botteghe artigianali (non ci lasciamo scappare il primo acquisto della vacanza, una marionetta in legno intagliato) e case dove vivono ancora migliaia di persone. Nei giardini si tengono spettacoli di danza e di musica e il sabato mattina di marionette, i tradizionali wayang orang (siamo in pieno Ramadan e queste rappresentazioni non sono in calendario). Rimaniamo affascinati dal Taman Sari, Castello sull’Acqua, fatto costruire a metà del settecento da un sultano per il suo harem e costituito da giardini, piccole costruzioni con altane, gallerie sotterranee e piscine. Si dice che il progettista sia stato ucciso alla fine dei lavori, perché era a conoscenza di troppi segreti (forse il sultano ha preferito “saldare” in questo modo non proprio ortodosso una parcella troppo cara!).

Utilizziamo un andong (risciò trainato da un cavallo) per tornare in albergo, dopo aver faticosamente concordato il costo per via della lingua (fortuna ci sono le mani per indicare i possibili prezzi). Gli andong e i becak (risciò a tre ruote con pedali) sono i mezzi di locomozione tradizionali più usati sia dai turisti sia dai cittadini di Yogyakarta.

Nel primo pomeriggio incontriamo la rappresentante dell’Adventure Trans, l’agenzia con cui abbiamo organizzato tutti i trasferimenti e le visite del nostro soggiorno a Giava (www.adventuretrans.net). Paghiamo la cifra pattuita, conosciamo il nostro driver e “prendiamo possesso” del pulmino superaccessoriato e nuovo di zecca che ci accompagnerà nei prossimi giorni. Giocu (il nome si pronuncia così, la grafia non la conosciamo) è un signore apparentemente di mezza età molto gentile, sempre disponibile e professionale.

La prima visita è ai templi di Prambanan (17 km a nordest di Yogyakarta), costruiti tra il VII e il X secolo e dichiarati Patrimonio dell’Unesco. Si tratta di un complesso religioso dedicato alle più importanti divinità induiste: Brahama, Vishnu e Shiva. Le pareti dei templi hanno bassorilievi raffiguranti immagini simboliche e scene della vita di tutti i giorni (ricordano i templi indiani di Khajuraho, anche se le decorazioni sono meno dettagliate nei particolari) e all’interno degli stessi sono poste le statue degli dei ai quali sono dedicati. Quando il sole tramonta, il cielo diventa di mille colori (è un susseguirsi di rossi, arancio e blu) e il sito si trasfigura, dando il meglio di sé. Ceniamo prestissimo in un ristorante self-service niente male e poi assistiamo allo spettacolo Ramayana Ballet presso il teatro all’aperto che ha come scenario i templi stessi. Il Ramayana è uno dei più importanti poemi epici della mitologia induista e rappresenta un testo sacro di questa religione. Narra le vicende di Rama, un uomo integro, la cui vita è un vero e proprio codice di comportamento morale, religioso, politico e sociale. Lo spettacolo è molto interessante: si tratta di una sorta di “musical” con balli, canti e musica realizzata con gong e tamburi che hanno la funzione di allontanare gli spiriti maligni. Due ore di spettacolo sono tante e, malgrado la bravura dei musicisti e dei ballerini e il fasto dei costumi, alcuni spettatori cedono al sonno.

4 Agosto 2013 – Yogyakarta

Vista la giornata festiva (è domenica), a fatica riusciamo a cambiare gli euro in rupie (in albergo hanno pochissimo contante e qui ogni cosa, dopo una delle tante svalutazioni, costa migliaia di rupie).

Giocu ci accompagna a visitare il tempio buddista di Borobudur, situato a circa un’ora e mezza da Yogya (con questo nomignolo affettuoso i giavanesi sono soliti indicare Yogyakarta). Il tempio è stato costruito tra il 750 e l’850 e rappresenta con le sue dieci terrazze la cosmologia buddista: il basamento kamadhata indica la dimensione umana, la cima lo stadio del nirvana. La struttura del tempio (visto dall’alto) ricorda un mandala, ci sono stupa dove sono racchiuse statue di Buddha in diverse posizioni e i bassorilievi sulle pareti raffigurano scene tratte dalla sua vita. Un colpo d’occhio davvero spettacolare! Il tempio ha subito parecchi danni durante il terremoto del 2006 (l’Indonesia con tutti i suoi vulcani è una terra ballerina e i terremoti sono all’ordine del giorno): è stato sistemato in tempi brevi, anche se non sempre i restauri sono perfetti. Per entrare nel tempio (questo succederà ovunque) è necessario indossare il sarong, una sorta di pareo in cotone, messo a disposizione dei turisti all’ingresso. A pochi chilometri da Borobudur si trovano i siti di Candi Pawon e di Mendut. Qui visitiamo il piccolo tempio con una struttura a gradoni che conserva, all’interno, una statua di Buddha seduto all’occidentale, cioè con i piedi per terra. Diamo un’occhiata al monastero buddista, posto proprio di fronte al tempio, dove si respira una grande serenità. Ci sono pochi turisti e veniamo letteralmente “assaliti” dai proprietari dei negozietti che vendono, tra le altre cose, marionette tridimensionali riccamente vestite (ne compriamo una coppia, uomo/donna, dopo estenuanti trattative e ci auto-convinciamo di aver fatto un affare d’oro).

Nel primo pomeriggio Giocu ci lascia nel centro di Yogya, al Pesar Beringharjo: è un mercato dove c’è di tutto, dal cibo tradizionale alla frutta tropicale, alle spezie, all’abbigliamento. Regnano sovrani i tessuti batik, con cui gli indonesiani realizzano abiti, sarong, camicie, cappelli, tovaglie e ogni tipo possibile di rivestimento (i disegni sono belli, ma troppo pesanti per il nostro gusto). Una sezione del mercato è destinata agli abiti e alle acconciature per i matrimoni, un vero tripudio di “cofane” e di vestiti coloratissimi, tutti pizzi, lustrini e falpalà. Ritorniamo in albergo a piedi percorrendo la via principale, la JI Malioboro, in mezzo al solito traffico indescrivibile (ci sono più persone o motorini in Indonesia?) e a un caldo e un’umidità considerevoli. Il vero problema, tuttavia, è l’aria condizionata, sparata al massimo ovunque: per evitare spiacevoli dolori cervicali o colpi della strega è necessario avere sempre sottomano golf e foulard.

Alla sera il nostro albergo con tutte le luci accese è fantastico: ceniamo nel patio in mezzo agli zampilli delle fontane e abbiamo il primo approccio, del tutto positivo, con la cucina indonesiana. La nostra scelta cade su mie goreng (noodles saltati con carne, gamberi e verdure) e nasi goreng (riso saltato con pesce, carne e verdure), aromatizzati con le spezie locali ma non eccessivamente piccanti e presentati su piatti rettangolari in modo a dir poco scenografico.

5 Agosto 2013 – Yogyakarta/Wonotoro

Alle 7 del mattino partiamo per l’escursione di tre giorni che ci porterà al Monte Bromo e a Ijen: il trasferimento dura tutta la giornata, le strade sono quelle che sono, strette e trafficate e in più c’è la fine del Ramadan che per tradizione riporta gli indonesiani a casa (una sorta di Natale, dove tutte le famiglie si riuniscono per stare insieme e per banchettare).

A stento si raggiungono i 30 chilometri all’ora e gli attraversamenti dei centri cittadini sono interminabili. L’inquinamento è alle stelle. Durante il trasferimento le soste sono ridotte al minimo e ci accontentiamo di ammirare il paesaggio dal finestrino: risaie e campi coltivati a perdita d’occhio con i contadini che lavorano. Il panorama diventa più vario quando si sale verso le montagne, ma l’imbrunire fa diventare in un attimo tutto buio pesto (non ci sono lampioni e l’unica luce è quella dei fari delle auto). La temperatura scende, anche se il freddo è sopportabile: è più che sufficiente indossare un pile o un maglione. Per gli indonesiani è gelo totale e si intabarrano con piumini, cuffie, guanti e sciarpe (alcuni fanno business affittando i piumini ai turisti).

Arriviamo verso le otto al Java Banana Bromo, la struttura migliore della zona, immersa in un giardino splendido e perfettamente integrata nella natura circostante (ce ne renderemo conto solo il giorno seguente di ritorno dall’escursione al Monte Bromo). Ceniamo in modo molto semplice in una sala piuttosto triste e cerchiamo di dormire le poche ore che ci spettano.

6 Agosto 2013 – Wonotoro/Banyuwangi

Sveglia alle 3: in realtà non serve il cellulare perché siamo già svegli da un pezzo per l’emozione della giornata che dobbiamo affrontare e per il viavai di jeep già in pista per accompagnare i turisti sulla cima del Gunung Penanjakan. È ancora buio e solo la luna e le stelle rischiarano il cielo. La strada che percorriamo, quasi a passo d’uomo, è tutta una curva ed è letteralmente intasata dai fuoristrada. La nostra jeep si ferma dove trova posto, noi proseguiamo a piedi e seguiamo il flusso umano fino ad arrivare a una piattaforma, una sorta di balconata, che dà sul Monte Bromo (la strada è in salita e, per di più, asfaltata, quindi la fatica è doppia!). I turisti continuano ad arrivare e la piattaforma non riesce quasi a contenerli: ognuno cerca il suo angolino e quasi trattiene il respiro per farsi più piccolo. Nel frattempo il buio si attenua e lascia spazio alla prima luce lattiginosa del mattino, che diventa sempre più intensa e colorata fino a che la palla di fuoco del sole si staglia nel cielo. Siamo fortunati perché alcune ragazze giapponesi, vinte dal freddo e dai continui messaggi telefonici che ricevono (un sms vale più di un’alba sul Bromo!), ci cedono la loro posizione privilegiata. I vulcani appaiono prima immersi nelle nuvole e poi sempre più nitidi con le fumarole delle eruzioni: uno spettacolo, quasi irreale per la sua bellezza, che ci lascia a bocca aperta e che da solo vale il viaggio. I tempi sono pressanti e dobbiamo riprendere la jeep per scendere al Laotian Pasir (Mare di Sabbia), dove ci aspetta un paesaggio lunare e una vera e propria marea di cenere. Camminare in queste condizioni è faticoso, così per poche rupie optiamo per i piccoli cavalli che ci accompagnano proprio fino alla scalinata di 250 gradini che dobbiamo affrontare per arrivare al cratere del vulcano (una barriera di legno molto traballante “protegge” i turisti dalla caduta diretta nel cratere…). Questo vulcano per gli indonesiani è sacro e, in segno di devozione, molti fedeli lanciano nel cratere mazzi di fiori (l’avessimo saputo prima, avremmo comprato anche noi i fiori secchi che alcuni ambulanti vendevano). Scendiamo a piedi e ritorniamo alla jeep che ci riporta, verso le 8.30, in albergo, dove ci buttiamo su una colazione frugale e costosissima (l’equivalente di 15 euro a persona, un vero furto, visto che con la stessa cifra in Indonesia tre persone cenano normalmente!). Il Java Banana Bromo è molto bello da un punto di vista architettonico: ha una pianta articolata e in una galleria sono esposte foto superfantastiche della zona, opera di importanti fotografi internazionali, e sculture di artisti locali. Una doccia calda permette di toglierci di dosso la cenere del vulcano e ci dà la forza per iniziare il secondo lungo trasferimento che, tra un susseguirsi di risaie, campi coltivati e piccoli paesi, ci porta a Banyuwangi, dove arriviamo verso le 16. Il traffico è sempre più caotico e Giocu è seriamente preoccupato per il ritorno a Yogyakarta (rischia di saltare la festa in famiglia, speriamo di no!). Il Ketapang Indah Hotel è in fase di ristrutturazione, ha un giardino tropicale supercurato ed è posto direttamente sul mare. Ne approfittiamo per una breve passeggiata sulla spiaggia di sabbia nera di origine vulcanica. La cena non è il massimo ma la stanchezza è tale che non abbiamo neppure il senso della fame.

7 Agosto 2013 – Ijen/Pemuteran (Bali)

Oggi ci aspetta una nuova alzataccia: alle 4 arriva una jeep 4×4 vecchia e semidistrutta, guidata da un driver, non propriamente degno di questo nome. È ancora buio ma le strade sono già trafficate per la fine del Ramadan, l’inizio della festa nazionale di due giorni, chiamata Idul Fitri (in previsione delle cene luculliane i negozi e i mercati sono già aperti a quest’ora) e per le jeep che si dirigono verso il vulcano. Il nostro driver è molto “prudente” e si fa sorpassare da tutti: il tasso di anidride carbonica che ci fa respirare è indicibile.

Il vulcano Kawah Ijen è situato sopra l’altipiano di Ijen, coperto di foreste fittissime di bambù e di piantagioni di caffè e di spezie. Lasciamo la jeep (è un miracolo se siamo arrivati incolumi!) e incominciamo la salita verso la caldera del vulcano: un’ora e mezza di trekking vero e proprio con pendenze considerevoli su un terreno scivolosissimo. Arrivati in cima, la vista del lago dalle acque sulfuree di colore turchese e del vulcano ripaga la fatica della salita. I vapori di zolfo rendono l’aria poco respirabile e provocano irritazione a occhi e gola. Come sappiamo, oggi è un giorno di festa e per questo motivo i portatori di zolfo non lavorano. Di solito li si vede lungo il sentiero mentre trasportano su dei bilancieri anche 70 kg di zolfo per volta, per un compenso bassissimo. Incontriamo un minatore che per arrotondare i magri introiti vende ai turisti fiori e tartarughe fatte di zolfo (ne acquistiamo in quantità tale che ci accompagna fino in vetta). La discesa verso il lago, ma soprattutto la risalita, è impervia e, con un po’ di rimorso (quando mai ritorneremo qui?), preferiamo soprassedere (nonostante il divieto di scendere, alcuni turisti si avventurano verso il lago).

Di ritorno alla base mangiamo la scarsa colazione che l’hotel ci ha fornito in un “breakfast box” e con un po’ di apprensione riprendiamo la jeep. Verso le ore 13 torniamo sani e salvi in albergo. Giocu è sempre più preoccupato per il suo rientro, noi siamo tristi perché la visita all’isola di Giava è ormai finita. Ci imbarchiamo al porto di Banyuwangi e dopo una traversata di circa mezz’ora ci ritroviamo a Bali. Le due isole, pur essendo a un tiro di schioppo, sono profondamente diverse: a Bali il traffico è più umano, l’aria è profumata dall’intensa essenza degli alberi di frangipane e ovunque (lungo le strade, davanti alle case, …) ci sono altari dedicati ai tantissimi dei dell’Induismo. Gli indonesiani sono musulmani, mentre i balinesi sono induisti, anche se la loro religione ha connotazioni animiste e buddiste. Gli altari e le statue sono ricoperte con un telo a quadri bianchi e neri, chiamato kain poleng (rappresenta l’energia spirituale, l’equilibrio tra il bene e il male) e/o con ombrellini gialli o bianchi (indicano la presenza di un dio).

In poco tempo arriviamo a Pemuteran e raggiungiamo l’Amertha Bali Villas. Qui ci congediamo dal nostro fidato driver Giocu, che riparte immediatamente per Yogyakarta. Con Expedia abbiamo prenotato una camera tripla ma a causa di overbooking siamo “costretti”, allo stesso prezzo, a trasferirci in una vera e propria villa in stile locale, costituta da due camere da letto, due bagni tradizionali con docce all’aperto, zona cucina/pranzo, soggiorno al piano superiore e piscina privata. Una meraviglia! Un’occasione unica nella vita che durerà, purtroppo, solo due giorni. La sera ceniamo nel ristorante dell’albergo, che offre diversi tipi di cucina (balinese, thailandese, italiana, americana,…). Noi scegliamo piatti indonesiani e thailandesi, tutti molto buoni.

8 Agosto 2013 – Pemuteran

Iniziamo la giornata con una buona colazione in riva al mare: succhi di frutta fresca, brioche calde e pancake tra mille inchini e sorrisi.

Alle 9 abbiamo appuntamento con un driver che ci accompagna al molo di attracco della barca per l’escursione di snorkelling a Pulau Menjangan, una piccola isola famosa per i suoi fondali. Abbiamo prenotato l’escursione di mezza giornata attraverso l’albergo, pagando ben Rp. 500.000 a testa. Menjangan è raggiungibile in circa 45 minuti di barca a motore e fa parte del parco nazionale Taman Nasional Bali Barat. La costa è ricca di mangrovie, il mare è cristallino e ha sfumature che vanno dall’azzurro chiaro al turchese e al blu. La guida che ci accompagna nei diversi punti per lo snorkelling è un giovane istruttore tatuatissimo di etnia Papua (anche questa isola fa parte dell’Indonesia): la corrente è abbastanza forte e arranchiamo per stargli dietro. Vediamo alcuni coralli, stelle marine blu, pesci colorati ma la barriera non è paragonabile a quella superlativa del Mar Rosso.

Il costo dell’escursione comprende anche un pranzo al sacco, che consumiamo nella sala da pranzo della “nostra” villa balinese… Dedichiamo il pomeriggio a un meritato relax, tra un bagno in piscina e una splendida passeggiata lungo la spiaggia. La barriera corallina di Pemuteran è stata distrutta negli anni passati dalla dinamite, utilizzata dai locali per pescare in modo dissennato. Attualmente si sta cercando di ricostruirla grazie al progetto “Bio Rocks”: nel reef sono state installate delle gabbie metalliche, collegate con dei cavi elettrici a generatori di corrente a bassa tensione, che stimola la formazione di pietra calcarea sulle gabbie. Questo favorisce la proliferazione di nuovi coralli.

L’hotel ha organizzato una serata di danze e musiche tradizionali durante la cena a buffet. Non perdiamo l’occasione per assistere allo spettacolo! Paghiamo il modesto “biglietto d’ingresso”, ma decidiamo di cenare à la carte. Le movenze delle giovani ballerine sono delicate ed eleganti e i loro abiti di seta sono splendidi. Gli orchestrali suonano con i flauti di bambù la musica ritmata e sincopata gamelan.

9 Agosto 2013 – Pemuteran/Ubud

Alle 9 incontriamo Dewa Alit, il simpatico driver, contattato in inglese via Internet (http://drivingubud.wordpress.com – dewa70alit@gmail.com), che ci accompagnerà a conoscere Bali e che si rivelerà sempre attento, preciso e competente (ogni percorso è stato studiato a tavolino da noi e poi rivisto con Dewa via email). La giornata di oggi prevede il trasferimento all’interno dell’isola nella mitica Ubud, dove ci fermeremo per quattro notti. Julia Roberts nel film “Mangia, prega, ama” ha incontrato Javier Bardem, a noi che cosa porterà il destino?

Durante il transfert abbiamo programmato varie fermate per visitare i luoghi più importanti che incontriamo. A queste si sono aggiunti mille e più stop fotografici non contemplati ma dovuti, vista la bellezza dei paesaggi (la pazienza di Dewa è infinita!). Sulla costa il tempo è bello, mentre all’interno il cielo è nuvoloso e nebbioso. Dewa ci spiega che questa diversità climatica è una costante di Bali, in quanto in poco tempo si passa dal mare alle montagne. Attraversiamo campi di riso terrazzati e piccoli centri rurali dove la vita ha il ritmo dei tempi antichi. Davanti a ogni altare ci sono le offerte votive che i balinesi quotidianamente donano alle divinità (preparare le offerte è un’arte tipicamente femminile, tramandata da madre in figlia).

La prima fermata è a Munduk, un villaggio posto in mezzo a piantagioni di caffè e chiodi di garofano (i contadini fanno seccare queste profumatissime spezie lungo le strade, chissà perché?). Qui raggiungiamo una cascata alta 15 metri: la voglia di una doccia è tanta ma desistiamo dall’idea, in quanto Dewa non gradirebbe ospiti bagnati nella sua auto superordinata. Nella zona ci sono dei laghi che purtroppo non riusciamo a vedere a causa della nebbia fitta. Raggiungiamo il lago Bratan e visitiamo il tempio hindu-buddista Pura Ulun Danu Bratan, dedicato a Dewi Danu, la dea delle acque. Oltre al tempio, che sorge su una piccola isola, ci sono diversi meru, santuari a più tetti coperti di paglia che simboleggiano la montagna, considerata sacra dai balinesi. Pioviggina e c’è nebbia e questo rende il luogo molto affascinante. L’atmosfera è resa ancora più magica dalle cerimonie sacre cui abbiamo la fortuna di assistere: i pellegrini portano alla dea le loro ricche offerte, un vero tripudio di forme e colori! La meta successiva sono le risaie terrazzate di Jatiluwih, protette dall’Unesco (per poter passeggiare tra questi campi è necessario pagare un ticket). Bisogna prestare attenzione (la sottoscritta ne sa qualcosa…) perché è tutto un saliscendi e il terreno è fangoso e scivoloso. Il paesaggio della risaia è di una bellezza incredibile, a parte la presenza di alcuni toponi che scorrazzano tra i campi, totalmente incuranti dei turisti (d’altra parte è casa loro!). A questo punto siamo costretti, per mancanza di tempo (secondo Dewa), a rinunciare alla visita del Pura Luhur Batukau, uno dei templi più sacri di Bali. In effetti, arriviamo a Ubud all’imbrunire…

Il nostro albergo, il KajaNe Mua, è situato in Monkey Forest Road, una delle vie principali della città. Pur essendo in una zona trafficata, l’hotel è molto tranquillo e silenzioso, in quanto si sviluppa verso l’interno fino a raggiungere le verdi risaie che circondano tutto il centro abitato. Ceniamo nel ristorante dell’albergo con mie goreng eccezionali, cordon bleu (un piatto non propriamente asiatico!) e dolci supercioccolatosi. Il cibo è rigorosamente preparato al momento e realizzato con prodotti biologici. Consigliamo questa sistemazione per il buon rapporto qualità/prezzo e per la gentilezza del personale, sempre disponibile e sorridente.

10 Agosto 2013 – Ubud

La colazione al KajaNe Mua è uno dei momenti migliori della giornata: è possibile scegliere tra diversi menù (continentale, americano, asiatico…), ricchi di ogni ben di Dio. È davvero la colazione migliore mai fatta, un attentato alla linea! Ancora adesso, a distanza di più di un anno, la sogniamo mentre tutte le mattine consumiamo le nostre tristi fette biscottate prima di andare al lavoro.

La giornata di oggi è dedicata alla scoperta di Ubud, considerata il centro artistico di Bali. Percorriamo la Monkey Forest Road e nel giro di una decina di minuti arriviamo al Palazzo di Ubud, conosciuto anche come Puri Saren Agung. Finita la visita, ci dirigiamo al vicino Tourist Information (Jalan Raya Ubud, orario 8-20) per acquistare finalmente i biglietti per lo spettacolo di wayang kulit, il teatro delle ombre giavanese (100.000 Rp a persona). Raggiungiamo poi il Pura Taman Saraswati (Palazzo sull’Acqua), dedicato a Dewi Saraswati, la dea della saggezza, delle arti e della letteratura. Il luogo è molto scenografico e di sera diventa il palcoscenico per spettacoli di danze tradizionali (cui, purtroppo, non riusciremo ad assistere). Ovunque troviamo piccoli templi, con i tipici portali in pietra scolpita, e le immancabili offerte votive. Veniamo “catturati” dal Pasar Seni (Mercato dell’arte), dove sono esposti tutti i prodotti artigianali realizzati a Bali, dai semplici tessuti di cotone a quelli preziosi, arricchiti da fili d’oro e d’argento, dai mobili in bambù alle borse e ai cesti in rattan. È un vero trionfo dello shopping e, visti i costi molto contenuti, ne approfittiamo per comprare alcuni oggetti. All’interno del Pasar Seni c’è anche un piccolo mercato ortofrutticolo, che non riusciamo a visitare perché chiude all’ora di pranzo.

Nel primo pomeriggio continuiamo a gironzolare per le strade di Ubud, attirati dai negozi che vendono manufatti di design e abiti molto trendy. Arriviamo al Sacred Monkey Forest Sanctuary, dove seguiamo un percorso tra la vegetazione che porta al Pura Dalem Agung (Tempio dei Morti). Molti sono i turisti, attirati anche dalla presenza di una numerosa colonia di macachi dal pelo grigio e dalla lunga coda. Sarebbe vietato dar loro da mangiare ma la proibizione non è rispettata, anche perché ci sono parecchi ambulanti che, per sbarcare il lunario, vendono banane per le scimmie. Bisogna prestare la massima attenzione perché i macachi possono diventare aggressivi: con la massima disinvoltura “rubano” ai turisti di tutto, dagli occhiali ai berretti alle borse. Assistiamo a una scena buffissima: una piccola scimmia prende una bottiglietta d’acqua dalla tasca dei pantaloni di un turista, la apre, beve e, infine, la getta via.

A differenza dei giorni precedenti e futuri, la giornata trascorre con ritmi rilassati, da vera vacanza. Il nostro hotel ha la piacevole abitudine di offrire agli ospiti il tè pomeridiano con dolcetti balinesi dalle forme strane e dai colori vivaci (belli da vedere ma lontani dai nostri gusti). Alle 19.30, con largo anticipo per avere i posti nelle prime file, arriviamo all’Oka Kartini per assistere allo spettacolo del teatro delle ombre. Tradizionalmente queste rappresentazioni durano molte ore e raccontano storie prese dal poema epico Ramayana. Questo spettacolo, invece, è a uso e consumo dei turisti, infatti dura solo un’oretta (per fortuna!) e il burattinaio/cantastorie (dalang) intercala frasi in inglese al balinese. Scopriamo che il vero spettacolo è vedere come il dalang lavora: muove le marionette con le mani, proiettando le loro ombre su uno schermo bianco, illuminato dalla luce fioca di una torcia infuocata.

11 Agosto 2013 – Ubud

Puntuale come un orologio svizzero, Dewa ci viene a prendere alle 8 per accompagnarci a visitare la parte centrale di Bali. La prima fermata è alle risaie terrazzate di Tegallalang, un villaggio famoso anche per gli scultori che intagliano il legno. Le risaie, che sono il frutto del lavoro millenario degli uomini, seguono l’andamento delle colline e formano un paesaggio a dir poco paradisiaco. Anche questa volta camminiamo tra le risaie e vediamo i contadini al lavoro e le donne portare le offerte ai piccoli templi dedicati a Dewi Sri (la dea del riso). Riusciamo a distinguere le fasi della produzione del riso, che corrispondono a diverse sfumature di verde (il riso in crescita è verde brillante, mentre quello pronto per essere raccolto quasi giallo). Dewa ci spiega che a Bali sono coltivati diversi tipi di riso (bianco, nero e rosso) e che grazie alle condizioni climatiche favorevoli ci sono ben tre raccolti all’anno.

Il nostro driver guida con calma serafica e i trasferimenti a volte possono diventare lunghi, non tanto per le distanze da percorrere quanto piuttosto perché le strade sono strette e non sempre in condizioni ottimali. A Tampaksiring visitiamo Gunung Kawi, uno dei siti più antichi di Bali, che è costituto da dieci candi (monumenti funebri) scolpiti nella roccia, ai quali si accede percorrendo una lunga scalinata di pietra che scende al fiume, in mezzo a una vegetazione lussureggiante. Poco lontano da qui è situato il Tirta Empul, ovvero il Tempio della Purificazione: si tratta di un insieme di vasche di diverse dimensioni con acque sorgive sacre, secondo i balinesi dotate di poteri magici (si dice che guariscano da ogni male e donino l’eterna giovinezza!). Essendo domenica, il sito è affollatissimo di fedeli che, incuranti delle lunghe code, si immergono nelle vasche. I sacerdoti celebrano le funzioni religiose e sugli altari sono deposte le offerte votive, delle vere e proprie sculture coloratissime e ricche di fiori e di frutta. I turisti non sono ammessi ai riti e possono vedere solo da lontano questa marea di gente che prega con gioia, sperando in una vita migliore. Come a Giava, anche a Bali per entrare nei templi è necessario che uomini e donne indossino un sarong, che solitamente viene fornito all’ingresso (noi ne abbiamo comprati alcuni nelle bancarelle in giro per l’isola e, per questione d’igiene, preferiamo utilizzare i nostri).

A questo punto Dewa ci propone la visita (che non avevamo previsto e che accettiamo ben volentieri) a una piantagione di frutti tropicali, spezie e caffè. Qui ci fanno assaggiare tè e caffè aromatizzati, tra cui anche il famoso caffè kopi luwak, prodotto con i chicchi ingeriti e poi recuperati dalle deiezioni (sì, avete capito bene!) dello zibetto delle palme. Una tazza di questo caffè qui costa “solo” 5 dollari, mentre in un bar di New York o Tokyo può arrivare a cifre esorbitanti. Superata una certa riluttanza, assaggiamo questa specialità ma non ne rimaniamo entusiasti. Finiamo la visita acquistando tè allo zenzero (utile per il mal di stomaco), tè alla citronella (che allevia il mal di gola), caffè alla vaniglia e al cocco…

Nel primissimo pomeriggio (vista la colazione di Ubud saltiamo il pranzo) arriviamo a Penelokan, un villaggio da cui si può ammirare il vulcano più attivo dell’isola, il Gunung Batur, e il lago posto in fondo al cratere. Fortunatamente il tempo è con noi e, nonostante siamo in montagna, il clima è piacevole e la vista sui vulcani molto bella. Ultima tappa della giornata è a Bedulu per visitare Goa Gajah (Grotta dell’Elefante), un sito dell’XI secolo che deve il suo nome a una grotta il cui ingresso è sormontato dalle vaghissime sembianze di un elefante. Un vecchio monaco ci asperge con acqua benedetta e ci lancia del riso, simbolo di prosperità, fertilità e di ogni cosa positiva. Non siamo riusciti a capire come i balinesi tengano i chicchi di riso sulla fronte senza che questi cadano (noi tentiamo ma finiscono ovunque!).

Torniamo a Ubud che è ormai buio. La giornata è stata molto interessante ma un po’ stancante (non ci siamo fermati un attimo) e, ancora una volta, decidiamo di cenare nel buonissimo ristorante del nostro hotel. Questa sera siamo anche allietati da un’orchestrina locale niente male che suona musica occidentale.

12 Agosto 2013 – Ubud

Si parte alle 7.30 per visitare la parte occidentale e meridionale dell’isola, dopo aver “discusso” il percorso con Dewa che lo ritiene troppo lungo e faticoso (sarà stanco oppure oggi non avrà molta voglia di guidare?). Siamo diretti al Pura Taman Ayun, un tempio circondato da un fossato il cui ingresso non è consentito ai turisti. Ci limitiamo, pertanto, a passeggiare intorno al muro di cinta. Riusciamo comunque a vedere i numerosi meru di altezze diverse che caratterizzano il sito. È ancora presto e questo ci permette di assaporare la tranquillità e la pace che il luogo emana.

Oltrepassiamo Denpasar, il capoluogo di Bali con la sua miriade di centri commerciali e arriviamo al Pura Tanah Lot, uno dei templi marini più importanti e venerati. Questo santuario, costruito su una piccola isola in parte artificiale, è situato nel punto dove la terra (tanah) incontra il mare (lot). Con la bassa marea i balinesi possono accedere all’interno del tempio, noi turisti invece dobbiamo accontentarci di vederlo esternamente. A nostro avviso i templi balinesi, da un punto di vista architettonico, non sono particolarmente significativi, in quanto sono caratterizzati da elementi costruttivi ripetitivi. Ciò che li contraddistingue, e per cui vale la pena vederli, è il contesto naturale in cui sono inseriti.

Riprendiamo il cammino e mentre ci dirigiamo verso sud intravediamo i resort più lussuosi di Bali. Ci fermiamo nella zona sud-occidentale della penisola di Bukit, dove si trova il celebratissimo Pura Luhur Ulu Watu, un tempio dedicato agli spiriti del mare. In questa zona le onde sono alte e lunghissime, perfette per i surfisti (il surf è stato portato a Bali dai tanti turisti australiani che hanno trovato qui le condizioni ideali per praticare questo sport). Il tempio è arroccato su un promontorio da cui si domina l’oceano (assistere al tramonto da qui deve essere molto suggestivo). Passeggiamo lungo la scogliera, cercando di stare attenti alle scimmie locali, che pare siano aggressive. Pare… perché di scimmie non ne vediamo neanche una (forse fa troppo caldo!).

Torniamo “a casa” in tempo per il tè pomeridiano. La giornata non è stata pesante come aveva prospettato Dewa, anche perché non abbiamo trovato traffico (se non in quel di Ubud). In albergo ci aspetta il massaggio con oli profumati, compreso nel prezzo. Stupidamente abbiamo ritardato la prenotazione, rischiando di non poter usufruire di questo benefit (la spa non è aperta tutto il giorno). Il personale dell’hotel è stato molto gentile e si è prodigato in mille modi, facendoci addirittura “allestire” una piccola spa nella nostra camera. Purtroppo questa è la nostra ultima sera a Ubud (ma ci dovremo ritornare perché di Bardem neanche l’ombra!) e incombono i preparativi per la partenza.

13 Agosto 2013 – Ubud/Candidasa

Lasciamo Ubud e il nostro hotel (al check-out ci regalano una busta portaoggetti in tessuto batik: carinissimi!) per raggiungere Candidasa. In questo modo ci avviciniamo al porto di Padang Bai, da dove partono le imbarcazioni per le Gili. È il nostro ultimo giorno a Bali e tra tutti noi aleggia già una grande nostalgia per la magia di questa isola e anche per Dewa, che in nostro onore oggi si è vestito con l’abito tradizionale balinese, costituito da sarong, peci (il tipico copricapo a fascia) e giacca in tinta coordinata (superelegante… soprattutto al nostro confronto!). Anche questa volta il trasferimento prevede una serie di soste, la prima delle quali è a Semarapura, anticamente conosciuta con il nome Klungkung, dove visitiamo il Taman Kertha Gosa. Il sito comprende il Kertha Gosa (l’antico palazzo di giustizia) e il Bale Kambang (padiglione galleggiante), interessanti per i pannelli dipinti posti sul soffitto e per le figure che ricordano le marionette del teatro delle ombre. I dipinti del Kertha Gosa rappresentano le punizioni date ai colpevoli in base al reato commesso.

Le campagne e le risaie che attraversiamo ci sembrano più dolci e hanno per noi ancora più valore: facciamo un vero e proprio pieno di “verde” che rimarrà per sempre nei nostri cuori. Passando da un villaggio “scopriamo” che tutti gli abitanti stanno allestendo i preparativi per le celebrazioni funebri che si terranno a breve (per tradizione queste funzioni hanno luogo solo una o due volte all’anno per tutti i defunti della comunità, in quanto sono molto costose). Ci fermiamo per vedere in che cosa consistono: gli uomini stanno costruendo con il bambù dei sarcofagi all’interno dei quali saranno deposti i defunti per la cremazione, mentre le donne sono riunite in un bale (padiglione coperto e aperto ai lati che costituisce l’elemento base dell’architettura balinese) e realizzano con la pasta di riso colorata le decorazioni che orneranno le offerte votive. Ci accolgono con tanti sorrisi e ci trasmettono, anche di fronte al mistero della morte, un po’ della loro serenità.

Arriviamo al Pura Besakih, il complesso templare più importante dell’isola, posto a quasi 1000 metri di altezza sulle pendici della montagna sacra Gunung Agung. Il sito, costituito da ben 23 templi, è ricco e suggestivo ma, a nostro parere, è il meno mistico di Bali, in quanto è nelle mani di “guide” locali che, in modo estremamente arrogante e intimidatorio, chiedono ai turisti denaro non dovuto per accedere alle diverse zone del complesso. Noi stessi, purtroppo, siamo stati vittime di questi personaggi, perché ci siamo rifiutati di pagare la “tangente”… Siamo così entrati in contatto con individui molto lontani dallo spirito gentile e ospitale dei balinesi e questa visita è stata l’unica nota negativa di tutto il viaggio.

Lungo la strada ci imbattiamo in una celebrazione: nei pressi di un piccolo tempio un intero nucleo familiare ringrazia gli dei con un ricco banchetto per qualcosa di positivo che è loro accaduto. Naturalmente ci fermiamo e con il loro permesso scattiamo bellissime foto!

L’ultima sosta è al Taman Tirta Gangga, il palazzo sull’acqua costruito dalla famiglia reale nel 1948 come residenza estiva (del palazzo, distrutto dall’eruzione del Gunung Agung del 1963, è rimasto solo un giardino con laghetti ornamentali). Arriviamo a Candidasa nel pomeriggio, salutiamo Dewa, lo ringraziamo per la sua disponibilità e gli promettiamo che consiglieremo a tanti turisti, per caso e no, il suo aiuto. Candidasa è una località turistica sul mare: oggi la giornata non è delle migliori (fa caldo, c’è umidità, il cielo è bigio e il mare è grigiastro) e sembra di essere al mare in inverno. Inoltre non ci sono turisti in giro (pare che la crisi europea si faccia sentire anche in questo angolo di mondo). Dopo un breve giro di perlustrazione, non trovando nessun ristorante che ci ispiri, decidiamo di cenare con pizza e Coca-Cola nel nostro albergo, The Watergarden, una struttura costituita da una serie di bungalow immersi in un lussureggiante giardino tropicale ricco di piccoli corsi d’acqua. L’atmosfera, soprattutto alla sera, è davvero suggestiva.

Dal 14 al 17 Agosto – Candidasa/Gili Trawangan

Alle 7.30 il pulmino della compagnia Gili Cat (www.gilicat.com), che offre il servizio di trasferimento via mare da/per le Gili, ci recupera a Candidasa e ci porta nel vicino imbarcadero. Abbiamo scelto questa compagnia dopo un’accurata ricerca in Internet e abbiamo avuto ragione, in quanto l’imbarcazione, seppur piccola, è perfettamente accessoriata e sicura. Il molo di Padang Bai dista pochi chilometri da Candidasa ma, inspiegabilmente, dobbiamo pagare il trasferimento (150.000 rupie). Se fossimo stati a Ubud o a Denpasar, località ben più lontane, il passaggio sarebbe stato compreso nel costo del biglietto (valli a capire questi australiani della Gili Cat!!). È importante ricordarsi di riconfermare la prenotazione del trasporto sia all’andata sia al ritorno, con almeno un giorno di anticipo. Al porto le pratiche di imbarco sono molto “casual”: consegniamo i bagagli, sperando di ritrovarli all’arrivo, e aspettiamo il nostro turno per salpare. La barca prima bordeggia lungo la costa verdissima di Bali e poi si lancia in mare aperto verso le Gili, tre granelli di sabbia nell’oceano. Le onde si fanno sentire, fortuna che la traversata non dura molto, altrimenti sarebbero stati guai! Noi per precauzione abbiamo fatto solo una mini colazione, creando angoscia nel personale dell’albergo che pensava non gradissimo il cibo. Dopo 1h e 45’ mettiamo piede sul molo di Gili Trawangan. Altre compagnie fanno sbarcare passeggeri e bagagli direttamente sulla spiaggia con i piedi a mollo (arrivo senza dubbio più esotico ma molto meno comodo). Ha così inizio una vacanza nella vacanza: giornate dedicate al riposo assoluto in un posto meraviglioso, lontano dal mondo ma vicino all’Italia, perché ovunque si sente parlare la nostra lingua. Durante il tour a Giava e a Bali abbiamo incontrato pochissimi turisti italiani, qui invece ci sono quasi esclusivamente italiani!

Gili Trawangan è l’isola più grande e modaiola dell’arcipelago ed è sotto la giurisdizione di Lombok. Qui non ci sono mezzi di trasporto a motore, solo biciclette e cidomo (carretti, tipo quelli siciliani, trainati da cavalli di piccola taglia). Proprio con un cidomo (al costo di 75.000 rupie) raggiungiamo il nostro albergo, il Luce d’Alma, un piccolo paradiso: il resort non è sul mare ma all’interno dell’isola, immerso nella vegetazione (siamo a circa quindici minuti a piedi dalla spiaggia, raggiungibile anche in pochi minuti con le biciclette messe a disposizione dall’hotel). La posizione del Luce d’Alma in un primo momento ci sembra un handicap, in realtà si rivela un quid in più perché dà la possibilità di vedere la vera vita dell’isola e di stare a contatto con la natura, lontano dalla confusione dei locali che si trovano sulla spiaggia. L’ospitalità supera le cinque stelle che hanno attribuito all’albergo: i proprietari, due fratelli italiani, ci fanno sentire a casa e sono disponibili a soddisfare ogni minima richiesta (utilizziamo il loro computer per fare il check-in on line per il volo che ci porterà a Singapore e il giorno della partenza Antonio ci incarta personalmente alcune fette di torta casalinga da portar via come spuntino!). Abbiamo spesso cenato nel ristorante dell’hotel, un perfetto mix di cucina indonesiana e italiana preparata al momento con prodotti freschissimi.

Questi giorni trascorrono lenti e cadenzati al mattino dalla spiaggia e dallo snorkelling (reso un po’ difficoltoso dalla corrente) e al pomeriggio dalle nuotate in piscina (il resort ha una vasca lunga ben 80 metri, con accesso diretto dalle camere) e dalle passeggiate alla scoperta dell’isola (in circa due ore si riesce a fare il giro completo). Lo snorkelling è piuttosto deludente, in quanto il reef, almeno quello vicino alla spiaggia, non è molto popolato (solo durante la nostra prima nuotata abbiamo visto una tartaruga ma la macchina fotografica si è inceppata e quindi non siamo riusciti a immortalarla). Non sappiamo se sulle altre isole la barriera corallina sia in condizioni migliori…

Il tramonto rappresenta un momento magico e ogni sera lo ammiriamo da un punto diverso, riuscendo persino a scorgere l’isola di Bali e il maestoso Gunung Agung. Il tramonto è un tripudio di colori e la macchina fotografica fatica a stare dietro a questo miracolo della natura: il cielo si trasforma in mille colori fino a diventare nero come la pece con le stelle che sembrano così vicine da poterle toccare.

L’isola è un po’ fricchettona, un po’ stile “figli dei fiori” mai cresciuti: lungo il mare è tutto un susseguirsi di bar, ristorantini e negozi di souvenir (stranamente non troviamo nulla da comprare!). La musica è ovunque: siamo nel sud-est asiatico ma l’anima è caraibica!! Alla sera la luce elettrica è scarsa (del tutto assente nell’interno dell’isola), per cui è indispensabile avere con sé una torcia. In alcuni ristoranti è consuetudine acquistare il pesce a peso e poi farselo cucinare alla griglia. Consigliamo di stare molto attenti alla bilancia… Noi al ristorante Vila Ombak abbiamo speso 525.000 rupie (poco meno di 40 euro) per otto gamberoni (si fa per dire!) e un piccolo trancio di salmone: un vero sproposito!

Avremmo voluto visitare le altre due isole (Gili Meno e Gili Air), a quanto pare ancora più belle di Gili Trawangan, ma la pigrizia ha prevalso sulla nostra curiosità. D’altra parte eravamo già in paradiso: mare cristallino con tutte le sfumature di azzurro, spiagge bianchissime e cielo blu… Meglio così: abbiamo un motivo in più per ritornare!

18 Agosto 2013 – Gili Trawangan/Singapore

I tre giorni alle Gili volano e inesorabilmente arriva il cidomo per accompagnarci all’imbarcadero. Secondo una leggenda un anello magico circonda queste isole e impedisce ai visitatori di andarsene. Purtroppo, per noi la leggenda non si è avverata!

Anche se la traversata è un po’ ballerina, arriviamo a Padang Bai dopo un’ora e mezza in perfetto orario. Al momento della prenotazione con la Gili Cat abbiamo richiesto il trasferimento in aeroporto (questa volta è incluso nel prezzo). Il personale della compagnia ci stipa come sardine su un minibus (addirittura vorrebbe che mettessimo le valigie in grembo!) e via verso Denpasar. L’aeroporto dista pochi chilometri da Kuta. Visto che abbiamo ben quattro ore di attesa, lasciamo i bagagli presso il deposito dell’aeroporto e con un taxi andiamo a Kuta, una sorta di Rimini balinese, piena di alberghi, ristoranti, negozi (in cui è impossibile entrare a causa dell’aria condizionata a dir poco gelida) e discoteche. Gironzoliamo senza meta per le strade e raggiungiamo la mitica spiaggia, che lambisce il golfo e che è famosa per le onde lunghe che attirano surfisti da tutto il mondo. Kuta non ci colpisce in modo particolare, in quanto è troppo turistica e lontana dall’essenza di Bali.

L’ultima parte del nostro viaggio ci porta a Singapore. Il volo della KLM è tranquillo e dopo due ore e mezza arriviamo a destinazione. Sbrighiamo velocemente le formalità burocratiche per entrare nella città-stato, recuperiamo in un attimo le valigie e prendiamo un taxi per raggiungere il nostro albergo, il Carlton Hotel, situato in un’ottima posizione per visitare i principali quartieri a piedi o in metropolitana (la fermata City Hall si trova nelle vicinanze). Nonostante il clima non sia dei migliori (c’è afa e l’umidità è alle stelle), rimaniamo estasiati dalle mille luci della città…

19 Agosto 2013 – Singapore

Strano ma vero: abbiamo seguito per mesi la temperatura e il clima di Singapore (dava sempre pioggia), invece oggi il cielo è azzurro e splende il sole!

Dopo la colazione da Starbucks (nei pressi dell’albergo), raggiungiamo a piedi la nuova zona di Marina Bay. Attraversare la strada non è semplicissimo perché il verde dei semafori dura veramente poco e il traffico è alle stelle, anche a causa dei lavori in corso per il prossimo Gran Premio automobilistico. Ovunque c’è una pulizia incredibile: non c’è nessun pezzo di carta per terra, nessuno beve, mangia o fuma per strada (anche perché è severamente proibito dalle leggi locali!). Facciamo una breve sosta a Theatres on The Bay, la cui copertura sembra il durian (tipico frutto tropicale dall’odore sgradevole ma, pare, dalla polpa buonissima). Rimaniamo incantati dallo skyline della città, caratterizzato dal Marina Bay Sands, un edificio unico al mondo che ricorda la tolda di un’enorme nave. Si tratta di tre grattacieli uguali, all’interno dei quali si trovano ristoranti di ogni tipo, un centro commerciale, un albergo e un casinò, sovrastati da una piattaforma lunga 340 metri (Sands SkyPark Observation Deck), famosa come punto di osservazione dall’alto di Singapore e per l’Infinity Pool, una piscina che dà sul nulla (riservata, purtroppo, solo agli ospiti dell’albergo). Scattiamo le prime di mille e più foto al Marina Bay Sands, all’ArtScience Museum (dalla forma a fiore di loto) e all’Helix Bridge, poi saliamo sulla Singapore Flyer, la ruota panoramica più alta del mondo. Il giro completo dura circa mezz’ora e consente di avere una panoramica a 360° della città. Imperdibile!

Per ottimizzare il tempo, compriamo i biglietti per accedere allo Sands SkyPark Observation Deck (saliremo al tramonto) e poi trascorriamo il pomeriggio ai Gardens by the Bay, i futuristici giardini botanici dotati di due enormi serre (Flower Dome e Cloud Forest) che ospitano piante e fiori provenienti dagli ambienti naturali di tutto il mondo. Mentre noi fotografiamo orchidee e fiori tropicali, gli asiatici “impazziscono” per rose e gerani! In questi giardini c’è anche una “foresta di alberi artificiali”, collegati tra loro da una passerella pedonale e costituiti da una struttura in cemento e acciaio (alcuni arrivano a 50 metri di altezza). Oggi la passerella è chiusa per manutenzione e quindi decidiamo di tornare il giorno successivo.

Come stabilito, saliamo sullo SkyPark Observation Deck per ammirare il sole che tramonta sul mare e le mille luci della città che si accendono. La baia illuminata ci fa perdere la cognizione del tempo… In un attimo arrivano le otto, per cui decidiamo di vedere da lì (per quello che è possibile) lo spettacolo di laser, suoni e giochi d’acqua che si tiene tutti i giorni alle 20 e alle 21.30 di fronte all’entrata del centro commerciale “Shoppes at Marina Bay Sands”.

Ceniamo al Rasapura Masters, all’interno del suddetto centro commerciale, dove ci sono chioschi che vendono cibi provenienti da tutto il mondo a un prezzo contenuto (noi optiamo per la cucina giapponese). Sempre a piedi torniamo in albergo, dove, esausti, ci addormentiamo all’istante.

20 Agosto 2013 – Singapore

Singapore non è solo una città moderna: in essa convivono tante città diverse, caratterizzate dalle tradizioni che hanno lasciato le persone che vi hanno abitato. Oggi andiamo alla ricerca di questo passato… Prendiamo per la prima volta la metropolitana, capillare, rapidissima, efficientissima. Un ragazzo (qui tutti parlano inglese) ci spiega come utilizzare il distributore automatico di biglietti. Una volta imparato, non avremo più problemi e ci muoveremo con scioltezza. Prendiamo la linea viola e scendiamo a Chinatown, un vero angolo di Cina con i mille negozietti di souvenir di Temple Street e Pagoda Street. Seguiamo il percorso consigliato dalla Lonely Planet, visitando i templi di diverse religioni che qui convivono pacificamente. Dall’esterno vediamo la Masjid Jamae, una delle moschee più antiche di Singapore, costruita dai musulmani Tamil. Nelle immediate vicinanze si trova il Sri Mariamman Temple, il più antico tempio hindu della città caratterizzato dal gopuram (portone d’ingresso tipico dell’architettura dell’India del Sud) e da statue coloratissime, al limite del kitsch. Come in tutti i templi hindu, entriamo senza scarpe e per questo consigliamo di portare con sé un paio di calzini. Visitiamo poi il Buddha Tooth Relic Temple & Museum, un tempio buddista di ben cinque piani, consacrato nel 2008, che conserva un dente di Buddha in uno stupa d’oro esposto in una sala al quarto piano. La reliquia, per noi, è poco significativa, mentre troviamo interessanti il tempio in sé e gli oggetti esposti (per lo più statue di Buddha). Da vedere anche il Roof Garden, una sorta di giardino pensile che ospita un’enorme ruota della preghiera (bisogna far fare alla ruota tre giri ed esprimere un desiderio).

In Ann Siang Road Chinatown cambia la sua connotazione urbanistica-architettonica: è una via alla moda, caratterizzata da case a schiera in stile art déco dai colori pastello che ricordano quelle delle città coloniali del Sud America. Queste case, nate con la connotazione di abitazione al primo piano e di bottega al piano terra, sono state trasformate in negozi e ristoranti di lusso. Passeggiando in questa zona raggiungiamo Telok Ayer Street, dove si trova il Thian Hock Keng Temple, il tempio hokkien (gruppo etnico cinese) più antico e importante di Singapore.

Sempre in metropolitana ci spostiamo nel quartiere di Little India (fermata omonima della linea viola), un angolo di India in stile Singapore (e, quindi, pulito!), dove si respirano gli odori e le atmosfere tipiche di quel paese. Troviamo bancarelle che vendono verdure e frutti locali e corone di fiori di gelsomino, utilizzate dai devoti come offerte votive. In Buffalo Road ci imbattiamo nella Tan House, uno degli edifici più colorati della città. Davvero particolare! Nelle vicinanze raggiungiamo lo Sri Veeramakaliamman Temple, un tempio hindu dedicato alla dea Kalì che presenta la stessa struttura architettonica di quello visitato a Chinatown. Lo troviamo suggestivo e spirituale, forse perché è pieno di fedeli che pregano e in più abbiamo la fortuna di assistere a una cerimonia religiosa. Percorrendo la lunghissima (e priva di particolari attrattive) Serangoon Road, arriviamo al Sri Srinivasa Perumal Temple. Riusciamo a visitarlo malgrado le impalcature, in quanto l’interno è in fase di ristrutturazione.

A piedi (ma quanti chilometri avremo fatto?), attraversando strade un po’ anonime, giungiamo a Kampong Glam, il quartiere musulmano. Arab Street, una strada piena di negozi, e la Sultan Mosque ne rappresentano l’anima (la moschea chiude alle 16 e, quindi, non possiamo entrare). Anche in questa zona troviamo numerose shophouse dai colori accattivanti, perfettamente restaurate.

Nel tardo pomeriggio, in piena ora di punta, riprendiamo la metropolitana con destinazione il centro commerciale di Marina Bay (fermata Bayfront della linea gialla). Come la sera precedente ceniamo al Rasapura Masters. Perdiamo tempo a scegliere che cosa mangiare e anche a ordinare il cibo (c’è parecchia gente e relative code). Ne pagheremo più tardi le conseguenze, infatti vorremmo salire sulla passerella aerea che si snoda tra i “super alberi” di Gardens by the Bay ma arriviamo cinque minuti dopo la chiusura della biglietteria (ore 20). Rimaniamo delusi e ci accontentiamo di vederli illuminati dal basso. A un certo punto, inaspettatamente, gli alberi “prendono vita” con giochi di luci e musica…

Ritorniamo poi al centro commerciale per assistere al “Wonderful Full Light and Water Show”. Abbiamo un’ottima posizione, per cui riusciamo a vedere i giochi d’acqua e le immagini oleografiche proiettate. È sicuramente uno spettacolo da non perdere e un suggerimento per Expo 2015 di Milano.

Siamo talmente stanchi (ormai siamo in giro da più di 12 ore) che ci regaliamo il “lusso” di un taxi per tornare in hotel!

21 Agosto 2013 – Singapore/Milano

Ultimo giorno di vacanza: prepariamo le valigie, facciamo colazione nel bar dell’hotel e il check-out, lasciando i bagagli nel deposito. Il nostro volo parte all’1.40 di notte, quindi abbiamo tutta la giornata a nostra disposizione. Visitiamo il Colonial District e in particolare vediamo dall’esterno St Andrew’s Cathedral, la City Hall, la Supreme Court e l’Old Parliament House (alcuni di questi edifici sono in ristrutturazione). Arriviamo al Merlion Park, dove si trova il “Merlion”, la fontana-statua con il corpo di una sirena e la testa di un leone, diventato il simbolo di Singapore. Qui prenotiamo il classico giro in barca sul fiume che da Marina Bay risale lungo i Quays, le antiche banchine del porto (durata 40 minuti). Nonostante i biglietti acquistati, facciamo fatica a imbarcarci, in quanto i gestori della Singapore River Cruise inspiegabilmente si ostinano a dare la precedenza a gruppi di turisti asiatici. Dopo una sorta di querelle diplomatica tra Asia ed Europa, riusciamo nel nostro intento e possiamo ammirare il fascino di questa città dall’acqua.

Dopo una breve sosta mangereccia, riprendiamo il cammino e in metro raggiungiamo Orchard Road (fermata Orchard della linea rossa), la via per eccellenza dello shopping. Non ci lasciamo scappare i lussuosi centri commerciali, con molte vetrine di case di moda italiane, e ci addentriamo in Emerald Hill Road, una via fiancheggiata da alcune tra le più belle shophouse di Singapore.

Per l’ultima cena della nostra vacanza torniamo nei Quays, e più precisamente in Clarke Quay, che brulica di locali e ristoranti. Consigliamo di venire di sera, perché le luci rendono la zona particolarmente vivace e suggestiva.

Ormai i tempi stringono e dobbiamo tornare in albergo, non prima però di aver dato uno sguardo al famoso e opulento Raffles Hotel. Ripresi i bagagli, una giovane taxista ci accompagna in aeroporto per il lungo viaggio che ci riporterà a Milano.

Tre settimane indimenticabili, un viaggio che ci ha portato a contatto con una natura incontaminata e bellissima, con una popolazione allegra e disponibile, con un mondo fatto di colori, odori, profumi e sapori che rimarranno sempre dentro di noi. Ormai è passato più di un anno dalla fine di questo viaggio e riviverlo attraverso la scrittura ci ha dato la consapevolezza che, prima o poi, ritorneremo… È stata davvero una “tak terlupakan liburan” (cioè una vacanza indimenticabile)!

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Un sorriso nella nebbia (Giava)



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