Namibia – Un paese giovane
Windhoek La Namibia, posta nel sud del continente africano, è un paese giovane che solo dal 1992 ha ottenuto l’indipendenza. Nella metà del XVII secolo i coloni olandesi che sbarcarono sulle sue coste portarono, insieme alle usanze europee di quel tempo, anche un particolare idioma di stampo germanico, affine all’olandese del tempo. Questa lingua, col passare degli anni, venne influenzata da quella di altri coloni tedeschi. Il risultato fu la nascita di un nuovo linguaggio, ulteriormente modificato negli anni: l’afrikaans, che nel 1914 divenne la lingua ufficiale usata nelle scuole.
Alle 12 locali (le 13 in Italia) del 9 agosto, con gli altri miei compagni di viaggio atterriamo all’aeroporto di Windhoek, la capitale. Visto dall’aereo il paesaggio che circonda l’aeroporto si presenta come un’enorme savana desertica, con rare piante spinose interrotta soltanto in lontananza da qualche piccolo rilievo montuoso.
Subito abbiamo le prime sorprese: a Jonny non arrivano i bagagli e due compagni di viaggio sono rimasti a Joannesburg perché l’aereo era al completo; arriveranno, speriamo, alle 20,30. Andiamo a ritirare i tre fuoristrada prenotati, ma non saranno disponibili sino a sabato 11. Dopo molte discussioni, forse riusciremo ad averli domani; pertanto non ci rimane che raggiungere la città con i taxi.
Situata a un’altitudine di 1660 metri, Windhoek è una tranquilla cittadina ordinata, elegante e atipica se comparata alle altre capitali africane. Con circa 160.000 abitanti appartenenti a diverse etnie, Windhoek è la città più popolosa della Namibia. La sensazione gradevole che rimane, anche dopo una breve visita, è quella del suo cielo terso, dei viali ordinati e dei giardini con l’erba perfettamente tagliata; nuovi e rari grattacieli circondano le case dall’architettura tipicamente germanica. In realtà non c’è molto da vedere ma Windhoek è un ottimo campo base per preparare e fare progetti per il viaggio e, immancabilmente, un piacevole punto di ritorno.
Waterberg Plateau I fuoristrada non ci sono; non potendo rimandare la partenza riusciamo ad ottenere un pulmino con autista che ci porterà alla nostra prima meta: il Waterberg Plateau nel nord del paese. I 4×4 ci saranno recapitati il giorno dopo. Finalmente, alle 14 del 10 agosto, riusciamo a partire; la prima parte della strada è piuttosto monotona, asfaltata e sempre diritta nel mezzo di un’enorme pianura. Quando si devia dalla strada principale e si imbocca una sterrata, il paesaggio diventa più interessante; in lontananza la catena del Waterberg appare in tutta la sua vitalità e si incontrano i primi animali, tra cui diversi facoceri ed un ghepardo sdraiato nel mezzo della pista; al nostro arrivo, pigramente si alza e si allontana.
Il Waterberg Plateau è un altopiano con due lati che sfiorano i 50 Km di lunghezza e due più stretti e irregolari, tra gli 8 e i 20 Km; risulta ben visibile dalla pianura circostante nonostante l’altezza, 150 metri circa, non sia considerevole. La bellezza del luogo è data dalle pareti a strapiombo che si gettano verso il basso per tutto il perimetro della formazione. La regione, abitata fin da tempi remoti, fu teatro di duri scontri, durante le spedizioni dell’esercito coloniale tedesco, con le popolazioni indigene. I primi bianchi ad insediarsi nella zona furono i missionari tedeschi, ma la diffidenza degli indigeni fecero desistere i religiosi che dovettero rinunciare.
Il mattino successivo al nostro arrivo effettuiamo un’escursione sulla cima del Plateau per ammirare il sorgere del sole. Dopo qualche incertezza di orientamento iniziale, dovuta al buio, finalmente troviamo il sentiero giusto e alle 6,15 arriviamo sulla cima del Plateau. L’alba si presenta bellissima: le rocce si colorano gradatamente di un rosso mattone intenso e lo sguardo spazia sulla pianura sottostante sino all’orizzonte.
Etosha National Park Alle 10 si riparte col pulmino, abbiamo appuntamento a Otjiwarongo per il ritiro dei tre fuoristrada; finalmente alle 12 ne entriamo in possesso! Il viaggio prosegue alla volta dell’Etosha National Park, e precisamente all’ingresso di Namutoni dove giungiamo alle 17. Qui ci aspetta una sorpresa: sono arrivati i bagagli di Jonny. Piazzato il campo, al calare del sole, abbiamo il primo dei molti indescrivibili e affascinanti incontri con gli animali che il parco sa regalare ai visitatori: un gruppo di giraffe giunge, per l’abbeverata serale, alla pozza d’acqua (“water hole”) situata nelle vicinanze del campo. All’imbrunire la figura della giraffa in primo piano con la rossa ed infuocata palla del sole che sta tramontando, formano un paesaggio che sembra irreale, soltanto in qualche documentario naturalistico mi è capitato di vedere uno spettacolo simile.
L’Etosha National Park si trova immerso in un territorio che sicuramente assomiglia molto a com’era l’Africa prima dell’arrivo dell’uomo: savane, radure, laghi salati, ma soprattutto migliaia di animali, che vivono nella meravigliosa e crudele armonia che la natura impone. Ogni giorno si ripete il ciclo della vita, fatto da lotte per la supremazia e per gli accoppiamenti, da migrazioni, da mesi di siccità alternati a periodi piovosi. Questo ciclo si interrompe solamente intorno alle tante pozze d’acqua per i pochi minuti in cui ogni animale si disseta, nel rispetto reciproco, ma con la consapevolezza che tale momento è breve e, subito dopo, il ciclo riprenderà, e con esso la vita, la lotta per il cibo e per il territorio che le migliaia di animali affrontano di continuo tutti i giorni, ora, come all’alba dei tempi, nelle savane desertiche dell’Etosha.
La mia impressione personale è che le tre notti e i due giorni passati all’interno del parco, valgano da soli il viaggio in Namibia. Il campo di Namutoni, dove abbiamo trascorso la prima notte, è il campo storico del parco: ricavato all’interno del forte costruito all’inizio del XX secolo dalle truppe coloniali tedesche e aperto al pubblico nel 1958, dopo essere stato utilizzato per anni come posto di polizia.
Il secondo giorno di permanenza nel parco ci trasferiamo al campo di Halali, non direttamente ma scorrazzando per le varie piste e visitando le molte pozze dove si abbeverano gli animali. Il campo fu inaugurato nel 1967, nella zona centrale del parco. La struttura è meno suggestiva di quella di Namutoni ma si trova in una zona particolare del parco, dove il solito orizzonte piatto è mosso da alcune colline. Durante il tragitto, specialmente in prossimità dei luoghi di abbeverata, è possibile ammirare decine di giraffe, zebre, gnu, elefanti, diverse specie di antilopi nonché numerosissime varietà di uccelli che nidificano sui rami degli alberi. La pozza più suggestiva è certamente quella di Goas, situata ad una ventina di Km dal campo di Halali, in una piana circondata da rada vegetazione. Tutta la zona è disseminata di sassi e grosse pietre appuntite, ma questo non impedisce a centinaia di animali di avvicinarsi alla pozza. Etosha Pan Cuore del parco è la distesa dell’Etosha Pan che visitiamo nella giornata. L’Etosha Pan è una immensa superficie pianeggiante di circa 4700 Km2, completamente ricoperta di sale, che si estende a nord della pista principale. Moltissime sono le pozze d’acqua che si sono formate negli anni lungo il suo lato sud.
Il bacino, un tempo gigantesco lago dalle acque basse alimentato dal fiume Kunene, fu successivamente oggetto di sconvolgimenti tettonici e climatici che hanno variato la sua posizione rispetto alle falde acquifere, rendendolo così come è oggi. Viene stagionalmente interessato da un afflusso irregolare di acqua, ma il fenomeno di evaporazione particolarmente incisivo lo rende totalmente asciutto per molti mesi dell’anno. Durante i periodi più secchi, in seguito all’evaporazione dell’acqua, si forma una crosta bianca di sale che, ricoprendo la superficie asciutta del bacino, crea un’atmosfera irreale nel cuore della savana.
Partenza alle 9 per l’ultimo campo del parco: quello di Okaukuejo. È il più vecchio campo all’interno del parco, essendo stato inaugurato nel 1957, ed è sede del centro amministrativo dell’Etosha National Park. Il fiore all’occhiello di questo campo è l’incantevole pozza d’acqua situata proprio ai suoi margini, separata da una muraglia dalla quale, comodamente seduti, si possono ammirare gli animali abbeverarsi. I riflettori accesi di notte illuminano tutta la zona e non sembrano disturbare gli animali che in continuazione si recano a bere: elefanti, iene, rinoceronti si alternano a non più di 10 metri di distanza dai punti di osservazione.
Villaggi Himba Oggi lasciamo il parco e ci dirigiamo verso nord, a Opuwo, capitale del Kaokoveld dove giungiamo alle 17. Opuwo si trova all’inizio del territorio abitato dagli Himba e non offre niente di particolarmente attraente, utile solamente come tappa per il tempo sufficiente a organizzarsi per spingersi oltre, all’interno dei territori Himba. Molti Himba vivono comunque in città, assieme alla popolazione di etnia Herero, ma hanno perso gran parte delle loro tradizioni. Il turismo, anche se è arrivato solo in piccole dosi, ha già frantumato l’atmosfera che Opuwo doveva possedere fino a qualche anno fa. Fortunatamente siamo ancora lontani da quello a cui si pensa quando si parla di turismo di massa; poco distante, appena oltre la periferia della città, nel mezzo del territorio Himba, esiste l’Africa vera, lontana dalla “civiltà” e dal consumismo.
Qui comincia la vera visita alla regione del Kaokoveld, quando ci si allontana da Opuwo, quando si percorrono le piste polverose e incredibilmente sconnesse che portano ancora più a nord, verso il fiume Kunene e le Epupa Falls. Lì, lungo le piste, appaiono dal nulla gruppi di Himba. Le donne e i bambini, principalmente per proteggersi la pelle dal sole, si spalmano sul corpo e sui capelli un’argilla rossa che rende la loro carnagione rossiccia, il loro aspetto è così del tutto diverso dalle altre etnie africane. È possibile fermarsi e, in cambio di qualche piccolo dono, fare foto senza offendere la dignità di questo popolo che ha incredibilmente saputo mantenere le proprie antichissime tradizioni fino ai giorni nostri.
Epupa Falls La regione sicuramente più suggestiva e selvaggia del Kaokoveld è quella striscia di terra che costituisce l’ultimo lembo di Namibia, proprio al confine con l’Angola: la zona del fiume Kunene e delle sue cascate, l’Epupa Falls. Presso le cascate montiamo il nostro campo. L’Epupa Falls, che in dialetto herero significa “acque che cadono”, hanno una lunghezza di circa 2 Km e scendono di oltre 65 metri, provocando salti di diverse altezze, il più alto dei quali è di 38 metri. I tranquilli specchi d’acqua che si trovano sopra le cascate, invitano il visitatore ad un bagno ristoratore, anche perché la temperatura è sempre elevata; bisogna comunque prestare attenzione alla corrente che, allontanandosi dalla riva, risulta sempre molto forte.
Dedichiamo il pomeriggio all’esplorazione del fiume seguendo un sentiero che lo costeggia in discesa. Al termine delle cascate il fiume forma delle anse con bellissime spiagge formate da una sabbia particolarmente fine; sulla sponda opposta si vede un susseguirsi ininterrotto di colline: è l’Angola.
Twyfelfontein Dopo aver ammirato il sorgere del sole sulle cascate, verso le 10 si parte per andare verso sud. Un pernottamento a Opuwo per poi dirigersi alla volta di Twyfelfontein, nel Damaraland. La tappa presenta magnifici panorami; dopo aver attraversato pianure dagli spazi immensi, in prossimità di Twyfelfontein, si intravede all’orizzonte il massiccio del Brandberg che, con i suoi 2606 metri di altezza, è la cima più alta della Namibia.
Twyfelfontein risulta la località più interessante della regione dal punto di vista archeologico; qui siamo in presenza di incisioni rupestri, risalenti a 5000-6000 anni fa. Tali incisioni si sono mantenute perfettamente distinguibili malgrado i millenni trascorsi. Esse raffigurano scene di vita quotidiana e di caccia; sono rappresentate anche figure di animali che oggi si trovano solo nelle savane, come elefanti, leoni e giraffe, chiara testimonianza della loro presenza nella zona in epoche remote.
Visitiamo il sito delle incisioni rupestri nel tardo pomeriggio, con il sole già basso sull’orizzonte. Percorrere i sentieri presenti all’interno della zona archeologica e ammirare le incisione e le rocce che si tingono di rosso al calare del sole, infonde nei visitatori un’emozione profonda per l’incanto e la pace che sprigionano questi luoghi.
Il mattino seguente, 18 agosto, prima di partire per la Skeleton Coast, visitiamo la foresta pietrificata, “Versteende Woud”, che si trova nelle vicinanze di Twyfelfontein ed è segnalata da un cartello. Nella zona si trovano una distesa di tronchi d’albero pietrificati risalenti a 250 milioni di anni fa, probabilmente trasportati in questo sito da un fiume in piena. Sono ben visibili una sessantina di fusti, alcuni con una lunghezza di oltre 25 metri.
Skeleton Coast Dopo qualche vicissitudine dovuta allo smarrimento di una vettura e del suo equipaggio, alle 11, si parte per la Skeleton Coast e Henties Bay . Varcato il cancello di ingresso alla Skeleton Coast, che dista qualche decina di chilometri dall’oceano, il paesaggio cambia radicalmente: da savana si trasforma in deserto sabbioso con dune che arrivano fino al mare. Arrivati sulla costa si rimane affascinati dalla vista dell’oceano, sempre tumultuoso, con enormi onde, sotto un cielo cupo e permanentemente battuto da un vento molto freddo.
Il nome del parco e della costa deriva dalla quantità di relitti di navi che negli anni sono stati ritrovati nella zona. Le coste sabbiose, sempre coperte dalla nebbia che sale dall’oceano, sono state per decenni l’incubo dei marinai che vedevano le loro navi arenarsi nei bassi fondali senza possibilità di scampo. Ancora oggi sono visibili molti di questi relitti, arrugginiti e invasi dalla sabbia.
Percorrendo la strada che costeggia l’oceano ci fermiamo a visitare la colonia di otarie presente a Cape Cross, interessante dal punto di vista naturalistico e storico. In questa colonia ci sono migliaia di otarie che passano gran parte della giornata in acqua, cacciando pesci e riuscendo a resistere alle basse temperature dell’oceano grazie alla pelliccia isolante che si trova sotto il primo strato di pelo; questa pelliccia, oltre ad essere impermeabile, trattiene l’aria e mantiene la temperatura corporea sopra i 36°.
Le migliaia di foche distese ad asciugarsi al sole, con le madri che accudiscono i piccoli, altre ininterrottamente a caccia di pesci tra le onde dell’oceano, offrono uno spettacolo impagabile e unico.
Ma Cape Cross non è solo interessante dal punto di vista naturalistico ma anche da quello storico: qui sbarcò nel 1486 Diogo Cao, navigatore portoghese che, alla ricerca della via per le indie, raggiunse latitudini mai toccate da un bianco prima di allora. Cao pose, a ricordo dell’evento e a testimonianza del possesso portoghese del sito, un “padrao” (pietra miliare scolpita) e una croce di pietra recante iscrizioni, come erano soliti lasciare i portoghesi quando scoprivano nuovi territori.
Spitzkoppe Oggi, 19 agosto, ci trasferiamo ai piedi dello Spitzkoppe: enorme complesso granitico di origini vulcaniche con un nome di chiara derivazione tedesca. Questa grande montagna, con i suoi 1729 metri di altezza è visibile da molti chilometri di distanza e si erge dalla piatta e desolata pianura. Il complesso montuoso, formato da una moltitudine di curiose formazioni rocciose, diventa molto affascinante man mano che ci si avvicina ed acquista una particolare vivacità di colori. Sotto ad una di queste formazioni montiamo le nostre tende: risulterà l’unico campo fatto in una zona totalmente solitaria e libera dalle strutture dei campeggi custoditi. Leggiamo sulla guida che nelle vicinanze si trova un sentiero che conduce verso un piano rialzato naturale, il cosiddetto “Paradiso dei boscimani”. Non possiamo perdere l’occasione di andarlo a visitare! Così ci troviamo a seguire un sentiero che diventa sempre più impervio sino a sparire del tutto. Quando ci rendiamo conto che forse non abbiamo imboccato la pista giusta, non ci perdiamo d’animo e decidiamo di raggiungere ugualmente la cima del cocuzzolo che ci sovrasta. I nostri sforzi sono ampiamente ripagati dalla bellezza del luogo raggiunto e dalla vastità del panorama: dalla cima lo sguardo può spaziare in lontananza sulla pianura e perdersi all’orizzonte, mentre la cima dello Spitzkoppe sembra ergersi a sentinella. Ridiscesi, quasi per caso, troviamo il sentiero giusto segnalato da un cartello. Non ci resta che risalire. Il sentiero è ben segnato ed è, in certi tratti più pericolosi, facilmente percorribile grazie a cavi metallici che permettono di aiutarsi nella salita. Giunti sulla cima ci si trova a camminare su roccia granitica dalla superficie ruvida, erosa dagli elementi. Dopo la salita, oltretutto neanche molto faticosa, ci si può rilassare, sdraiati al sole sulle calde rocce granitiche. Il posto è piacevole, anche il panorama non è male ma, a mio parere, siamo stati fortunati a sbagliare il sentiero, perché la bellezza della cima raggiunta prima ed il suo panorama superavano di gran lunga quello offerto dal “Paradiso dei Boscimani”. Alla sera, nel buio interrotto solo dalla luce di qualche candela e dalle nostre lampade frontali, rendiamo merito alla bellezza selvaggia del luogo con un’ottima grigliata di carne cotta su fuoco di legna.
Swakopmund Il 20 agosto si ritorna sull’Atlantico e precisamente a Swakopmund, una cittadina costituita da edifici in puro stile bavarese, attraversata da viali costeggiati da palme, invasa regolarmente dalle nebbie e circondata da uno dei deserti più aspri del mondo: il Namib.
Swakopmund fu fondata dai coloni tedeschi nel 1892 per sopperire al fatto che gli inglesi avevano annesso al Sud Africa il vicino porto di Walvis Bay, cercando quindi di sostituire quello che fino ad allora era stato l’unico porto della costa namibiana. La passeggiata fatta lungo i suoi viali ordinati, su cui si affacciano gli edifici del periodo coloniale tedesco, si è rivelata un’esperienza interessante e divertente dal momento che la cittadina offre un’atmosfera fuori dal tempo, con i suoi palazzi dalle facciate gotiche e le finestre abbellite dai molti vasi di fiori.
Nel pomeriggio, con partenza alle 13, effettuiamo un’escursione con i fuoristrada lungo la Welwitschia route: un itinerario di circa 100 Km. Che da Swakopmund raggiunge la zona dove vivono delle straordinarie piante dotate di un tronco tozzo e basso, con 2 sole foglie che possono raggiungere la lunghezza di diversi metri che in modo inusuale si arricciano poi attorno al loro stesso fusto. Queste piante, le Welwitschia, che hanno dato il nome all’itinerario, crescono molto lentamente e le più grandi hanno addirittura 2000 anni. Un punto di interesse del tragitto sono i campi di licheni che traggono ciò di cui necessitano per vivere dalle gocce di umidità che la nebbia lascia al mattino. A questi licheni, secondo la guida, basta una goccia d’acqua per fiorire istantaneamente: devo però dire che nonostante i nostri molteplici tentativi non siamo riusciti a vederne il fiore. Altro punto di attrattiva che si incontra durante questa escursione è il “Moon Landscape“, il paesaggio lunare. Mai nome è stato più appropriato: il paesaggio che si può ammirare appare veramente lunare, a causa delle formazioni rocciose erose dall’azione del fiume Swakop.
Al ritorno dall’escursione sostiamo sulla spiaggia attendendo il tramonto del sole. Le nebbie, che nella zona sono normalmente presenti oggi, per nostra fortuna, non ci sono; abbiamo così potuto ammirare uno dei più bei tramonti che si possano vedere sul mare. Il sole che lentamente si tuffa nell’Atlantico, il silenzio e la tranquillità che regnano sulla spiaggia, attraggono lo sguardo e non ci fanno percepire il freddo che lentamente, col calare della sera, si fa sempre più intenso.
Namib Naukluft Park Circa 50 Km. A sud di Swakopmund inizia il Namib Naukluft Park all’interno del quale si estende il deserto del Namib, le cui dune arrivando sino all’oceano disegnano la linea della costa; sovente tutto il paesaggio è avvolto dalle nebbie che salgono ogni notte dall’oceano. La desertica costa atlantica si estende verso sud per centinaia di chilometri presentando caratteristiche uniche al mondo: è priva di qualsiasi strada e completamente disabitata; vi è solo una traccia di pista percorribile esclusivamente da fuoristrada 4×4. Il giorno seguente al nostro arrivo, a Swakopmund, effettuiamo un’escursione coi fuoristrada lungo questa costa. Si parte dalla bella insenatura di Walvis Bay dove si possono ammirare centinaia di fenicotteri rosa a pochi metri dalla riva, mentre gruppi di pellicani decollando dalla spiaggia compiono acrobatiche evoluzioni. Mediante una pista sabbiosa si raggiunge Sandwich Harbour, altra riserva ornitologica dove si possono vedere migliaia di cormorani perfettamente allineati sulla battigia in attesa di tuffarsi in mare per procurarsi il cibo. Non manca neppure qualche foca che si scorge mentre fa capolino tra le onde dell’oceano e non è raro incontrare sciacalli che seguono la costa sperando di catturare qualche uccello. Addentrandosi alcune decine di metri nell’interno si possono scalare piccole dune, dalla cui cima si contempla l’Atlantico in tutta la sua immensità.
Sesriem e Sossusvlei Il 22 agosto continuiamo la visita al deserto del Namib spostandoci più a sud e nell’interno, nel campo di Sesriem. Durante il tragitto si attraversano prevalentemente zone desertiche e savana. Prima di giungere a Solitaire, piccola cittadina a circa metà strada tra Swakopmund e Sesriem, si valica il “Kuiseb pass” percorrendo una pista in continuo saliscendi e piena di curve pericolose. Se non ci fosse stato un cartello che lo indicava, il passo passava inosservato: niente a che vedere con i nostri passi alpini. Il campo di Sesriem è posto all’inizio della pista che, in circa 25 Km, conduce ai margini della zona delle dune. A circa 4 Km dal campo si trova l’omonimo canyon, spesso trascurato per la vicinanza delle più rinomate dune, ma che merita una visita per le suggestive visioni che offre. Anche la visita frettolosa fatta il giorno del nostro arrivo, nel tardo pomeriggio, ci ha permesso di ammirare i colori e le ombre delle formazioni rocciose modellate dall’acqua che un tempo attraversava il canyon.
Il mattino dopo visitiamo Sossusvlei, senz’altro il punto di maggior interesse nei pressi di Sesriem. Le dune di Sossusvlei raggiungono un’altezza di trecento metri e si stagliano nette in un orizzonte piatto. Lo spettacolo del sole che sorge, visto dalla cima di una duna, ci ha ampiamente ripagato dalla fatica fatta per risalirla. Il panorama che si gode dalla cima è da mozzafiato: deserto tutto intorno e dune all’infinito. Sotto, alla base delle dune, si ammira il contrasto del bianco delle distese saline formate dall’evaporazione dell’acqua che si deposita nella stagione delle piogge. I colori cambiano con l’avanzare del giorno, dal giallo ocra sbiadito che la sabbia mostra nelle prime ore del mattino si passa a colori più carichi, nelle ore del mezzogiorno, quindi ai caldi colori del pomeriggio che si fanno sempre più intensi, quasi rossi, nell’infuocato tramonto.
Keetmanshoop e Kakerboom Forest Il nostro viaggio prosegue verso il sud della Namibia; il 24 agosto ci trasferiamo a Keetmanshoop per raggiungere, il giorno seguente, il Fish River Canyon. A Keetmanshoop, una cittadina di circa 15000 abitanti, pernottiamo nei bungalow di un campeggio in perfetto stile vecchio west. Non manca neanche un patibolo multiplo, dove proviamo ad inserire la testa nel cappio: fortunatamente non c’è la botola che si apriva sotto i piedi quando venivano eseguite le impiccagioni. Nelle vicinanze di Keetmanshoop si trova la Kokerboom Forest, una “foresta” di strani alberi, i Kokerboom, che crescono molto lentamente e che visitiamo la mattina dopo il nostro arrivo. Adiacente alla foresta è situato il Giant’s Playground (campo da gioco dei giganti): si tratta di singolari formazioni di rocce nere formatesi 170 milioni di anni fa.
Fish River Canyon Nel primo pomeriggio arriviamo al parco del Fish River Canyon, al campo di Hobas, posizionato all’estremità settentrionale del parco. Il Fish River Canyon si trova in prossimità del confine con la Repubblica Sudafricana e probabilmente è una delle attrazioni più significative della Namibia: scavato dal fiume Fish, si sviluppa per 162 Km con una profondità di oltre 500 metri ed una larghezza che, in alcuni punti, raggiunge i 27 Km.
A circa 10 Km dal campo si trovano i due principali “view point” che raggiungiamo dopo aver montato le tende. Da qui apprezziamo la visuale del bellissimo tramonto: 500 metri più in basso il Fish River serpeggia, anche se quasi asciutto, tra ripide pareti di roccia, nel suo letto scavato lentamente in migliaia di anni.
Il mattino seguente al nostro arrivo ci spostiamo, sempre all’interno del parco del Fish River Canyon, al campo di Ai-Ais, all’estremità meridionale del parco, noto per le acque termali che sgorgano nel suo interno.
Purtroppo il nostro itinerario volge al termine: domani, 27 agosto, si inizia il viaggio di ritorno verso Windhoek dove ci attende l’aereo che ci riporterà in Italia.
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