My green Erin – prima parte di Cork, Blarney e Cobh

E' il 2 aprile: è mattino presto. Ho appena imbarcato una valigia così grande, che mi ci sarei potuta chiudere dentro io, e mi dirigo verso il controllo documenti. All'improvviso tutto ciò a cui riesco a pensare è "ma che cavolo sto facendo?". Ho 22 anni, mi sono appena laureata e sto per partire per l'Irlanda per quattro mesi...convinta di...
Scritto da: *nini*
my green erin - prima parte di cork, blarney e cobh
Viaggiatori: da solo
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E’ il 2 aprile: è mattino presto. Ho appena imbarcato una valigia così grande, che mi ci sarei potuta chiudere dentro io, e mi dirigo verso il controllo documenti. All’improvviso tutto ciò a cui riesco a pensare è “ma che cavolo sto facendo?”. Ho 22 anni, mi sono appena laureata e sto per partire per l’Irlanda per quattro mesi…convinta di gettare la spugna prima ancora di partire, non immagino che rimarrò per otto. Da qui in poi, i miei saranno “viaggi nel viaggio”: con base la cittadina di Cork, la mia nuova casa, dove mi aspetta un lavoro come aupair, me ne andrò in esplorazione, armata da una guida: a volte sarò sola, a volte no! La prima meta della lista è proprio Cork: una cittadina piccola, a misura d’uomo, nonostante sia la seconda per importanza di tutta l’Irlanda (ovviamente a detta dei suoi abitanti!). Il centro storico, che corrisponde al primo nucleo vichingo, è una sorta di isola, circondata dal fiume Lee; da subito, mentre attraversiamo il ponte che porta a Saint Patrick Street ( la via principale), Mary, la mia host mum, mi informa che non è consigliabile rimanere nel lato nord…perchè quella è la bad part della città (noi infatti abitiamo a sud). Scatta il divieto categorico di attraversare il ponte dopo le 9…un po’ eccessivo! Sono affascinata da Cork: certo i musei e le attrazioni culturali (nonostante una buona Opera House e le mostre temporanee della Crawford Gallery) non sono granchè, ma si respira proprio quella classica aria rilassata che ci si immagina pervadere la verde Erin. La temperatura è abbastanza calda per la stagione ( me ne accorgerò in qualche giorno, quando l’aria umidiccia tornerà a far da padrona); c’è un bel sole e le strade sono piene di vita: Cork è anche città universitaria, una tra le mete preferite degli Erasmus. Tutte le vetrine sono allestite sul rosso, il colore del Munster: la squadra di calcio locale, che, a detta loro, fa un baffo pure alla nostra nazionale! Ma la vera anima irlandese va riscoperta nei pub, che spesso sono anche ottimi ristoranti in cui mangiare cibo tradizionale, mi dice Mary, mentre spinge il passeggino con le bambine lungo Oliver Plunkett…e in questa via inciampi in un pub ogni due passi! Old Oak, An Brog, Clenyi’s…sono solo alcuni dei più famosi, dove non manca mai la musica dal vivo…e qualche volta anche le lezioni ballo tradizionale! Da qui, passando per un gran cancello, entriamo in una sorta di galleria: è l’English market, un mercato al coperto dove sei sicuro di trovare sempre prodotti freschi; c’è poca luce e una gran confusione: un sacco di gente che parla forte, con quell’adorabile forte accento cantilenante che caratterizza gli abitanti di questa città…e che, per il momento, mi rende impossibile capire anche solo una parola del loro inglese! Mary mi fa notare il “banco delle uova”, con le uova ben ordinate per dimensione e sfumatura. Usciamo e siamo in Gran Parade…prossima ed ultima tappa il birrificio “Beamish and Crowford”: lo possiamo guardare solo da fuori…e francamente ricorda molto un villino svizzero. Ad ogni modo le grandi cisterne con la scritta Beamish, affacciate sul Lee, sono un elemento caratteristico della città. Il mio primo tour del centro è finito. Non ho visto la cosiddetta “zona ugonotta”, con le sue stradine strettissime e affollatissime di locali alla moda, che scoprirò da sola in qualche settimana…e non sono stata alla Chiesa di Shandon, perchè si trova nella “bad part”, ma ci andrò prima di tornare a casa, con una piccola fuga nella parte proibita, con la mia amica Anna e ci divertiremo un sacco a suonare “Don’t cry for me Argentina” con le campane! Un nuovo giorno, una nuova visita…e visto che mi piacciono le “old stuff”, sta volta Mary ha deciso di portarmi poco fuori Cork, al Castello di Blarney. E’ un luogo pervaso da un non so che di magico, che non dipende soltanto dalle varie favole che gli sono state cucite addosso. In un’area del grande parco che lo circonda, infatti, sono state create artificialmente delle cascate che danno vita ad una grande area paludosa, attraversabile su pedane. Qui si confondono varie “testimonianze magiche”: un dolmen, un presunto altare per riti druidi con tanto di cerchio druido affiancato! Ci sono poi la cucina della strega, il bosco delle fate e la scaletta dei desideri che passa sotto una delle cascate (da salire ad occhi chiusi e di schiena affinché la strega della vicina cucina avveri il tuo desiderio). L’attrazione principale del luogo è però la Blarney Stone, ossia la pietra in cima alla torre della rocca,incastonata nella muratura della merlatura. Per raggiungerla bisogna salire tre piani di scala a chiocciola, non molto sicuri. Scopo della missione: baciare la pietra!…Perchè?…Perchè conferisce il dono dell’eloquenza…e visto io sono in Irlanda per imparare a parlar bene l’inglese, non posso astenermi dal farlo! Poco importa se per arrivare a baciare la pietra mi devo calare a testa in giù nel vuoto, attraverso un’apertura larga mezzo metro!E soffro pure di vertigini. Per fortuna, giunta sulla cima della torre, c’è un omone grande e grosso pronto a tenermi per la vita e a salvarmi nel caso in cui dovessi scivolare; e così baciare la pietra di Blarney è scalato dalla lista delle 100 cose da fare prima di morire! Poco distante da Cork c’è un’altra piccola meta che attrae sempre turisti: Cobh, famosa per essere stata l’ultimo porto di sosta del Titanic, prima di prendere il largo nell’oceano. Anche se personalmente trovo in questo villaggio portuale una somiglianza non indifferente con Marghera, devo ammettere che Cobh ha un suo certo non so che, una sorta di alone misterioso ed inquietante. La prima (ed unica) volta che ci sono stata, sono scesa dal treno con la mia amica tedesca Stephany (au pair come me) in una stazione che pareva più quella di una metropolitana, tanto era buia. La nostra meta era il Cobh Heritage Centre: il museo che racconta la storia della cittadina e in particolare delle vicende legate al porto e all’emigrazione. Era una giornata grigissima e fortemente deprimente di inizio maggio, che si è trasformata in bellissima e calda non appena ho rimesso piede a casa: il che ha probabilmente influito non poco sull’opinione che mi sono fatta del luogo. In più era un giorno di Bank holiday, per cui tutti i negozi e la maggior parte delle caffetterie erano chiusi e le strade erano deserte. Dei vivaci colori di cui parlava la mia guida…neanche l’ombra. Tutto era grigiastro ed…estremamente sinistro. Il che mi ha dato la sensazione che, se anche in giro non c”erano molte anime vive, ce ne dovessero essere comunque molte di morte. Inutile dire che, nonappena il treno di ritorno è uscito dalla tetra stazione di Cobh mi sono sentita sollevata, come se fossi scampata ad un pericolo.


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