Misterioso e magico Uzbekistan
Di mattina la città ci conferma la sua bellezza. Restiamo colpiti dall’ordine e dalla pulizia delle strade. Quasi non sembra di essere in un Paese dell’Asia centrale! La visita comincia dal bazar coperto Chorsu. Le merci sono esposte per tipologia su lunghi banconi di marmo. Ci colpiscono, soprattutto, i banchi dove si vende il tipico e buonissimo pane rotondo schiacciato al centro, i banchi degli spaghetti venduti cotti nei sacchi che usiamo per la spazzatura ed i banchi delle spezie. Il mercato è pieno di odori, di contadine – che sorridono mostrando i loro denti d’oro ( segno di ricchezza) e con le sopracciglia unite con un tratto di matita- di dialetti e suoni che sembrano provenire da un mondo arcaico. Abbiamo da subito la percezione delle diverse razze che convivono pacificamente in questo Paese: uzbeki, tagiki, turcomanni, turkestani, mongoli, russi, iraniani, afgani, coreani. Iniziamo, quindi, la visita della madrasa di Barak Khan e della moschea Tillya Sheikh dove si tiene la preghiera del venerdì. Alla moschea è annesso un museo dove si conserva il più antico Corano esistente, intriso del sangue del califfo Osman, assassinato nel 655. Questo Corano fu portato dal Tamerlano a Samarcanda e, dopo varie vicissitudini, giunse a Tashkent nel 1989. Nel pomeriggio visitiamo la piazza dell’Indipendenza ed il sacrario del milite ignoto. Una corsa in aeroporto e, dopo un’ora di volo, raggiungiamo Urgench per proseguire in autobus per Khiva dove pernottiamo nell’omonimo albergo, della catena Asia, le cui finestre si affacciano direttamente sulle mura della città vecchia. Secondo la leggenda, Khiva fu fondata da Sem, figlio di Noè, il quale, scavato un pozzo e trovata l’acqua, esclamò Khi-va (=evviva). Ogni cittadino di Khiva, all’interno del cui giardino c’è un pozzo, assicura che è quello scavato da Sem. In effetti di venerato c’è ne è uno dal quale attingono l’acqua benedetta pellegrini provenienti da tutta l’Asia centrale. Khiva, nel passato, era una fortezza-oasi ubicata lungo la via della seta, ove le carovaniere si fermavano per riposare. Era famosa per il suo mercato di schiavi, il più grande dell’Asia e per la crudeltà dei suoi abitanti e dei suoi capricciosi Khan, discendenti del grande Gengis. Osservando i visi miti delle persone che incontro, non mi sembra possibile immaginare la ferocia dei loro nonni. Sino alla fine dell’ottocento, i pochi coraggiosi che si avventuravano in queste terre, rischiavano la schiavitù o l’impalazione. I bambini si divertivano ad estrarre, con lunghi pali appuntiti, gli occhi dalle orbite degli impalati mentre i loro genitori torturavano i prigionieri rinchiudendoli in sacchi insieme a gatti selvatici o mettendo un topo, sulla pancia nuda del malcapitato di turno, dopo averlo imprigionato, nella parte superiore, con un coperchio di rame. Ovviamente il topo cercava, scavando lì dove era più morbido, una via di salvezza….. Sulle mura che cingono la città vecchia notiamo subito delle strane costruzioni. Apprendiamo che trattasi delle tombe dei maggiorenti della città i quali, stante il divieto di sepoltura entro la cinta delle mura, si facevano inumare il più vicino possibile alla città, da loro considerata santa. All’interno della cinta si apre un vero e proprio museo all’aperto. Visitiamo la fortezza, all’interno della quale i Khan hanno governato per secoli la città e varie madrase. Notevole il minareto Kalta Minor di 26 metri rivestito con piastrelle smaltate. Doveva essere il minareto più grande dell’Asia, con un’altezza di 70 metri, ma rimase incompiuto per la morte prematura di Mukhammad Amin, il Khan che lo aveva commissionato. La visita ad un caravanserraglio riaccende la mia fantasia: mi sembra di sentire voci e suoni di un tempo antico. Non solo luogo di riposo, per i viaggiatori ed i cammelli, i caravanserragli erano un luogo di scambio di merci e di informazioni. Un luogo vivo, dove le merci dell’Oriente venivano barattate con quelle dell’Occidente; dove lo scambio di informazioni sui passi innevati o sulle gole presidiate dai predoni, poteva significare la vita o la morte per chi ci si avventurava; dove gli usi, le invenzioni, i credi religiosi veicolavano da oriente ad occidente e viceversa. Mi riporta alla realtà la visita del mausoleo dedicato a Pakhlavan Makhmud, lottatore professionista, poeta e filosofo considerato un santo per la sua saggezza e per avere liberato, lottando e con uno stratagemma, dalla schiavitù, migliaia di suoi concittadini. Una scalata alle mura di fango che cingono la città, completa la nostra visita.
La mattina successiva partenza per Bùhkara: previste sette ore di viaggio. L’itinerario porta ad attraversare il fiume Amu-Darya ed il deserto Rosso. Un viaggio da dimenticare! Grosse voragini, in quella che dovrebbe essere una strada, costringono il nostro bravo autista a continue gimkane. Ci sono solo due posti di ristoro, con i servizi igienici inagibili e dove avremmo dovuto consumare una colazione a sacco. Nugoli di mosche ci assalgono. Per evitare di mangiare pane e mosche ci rifugiamo sull’autobus che è nuovo e fornito di un ottimo impianto di condizionamento. Il viaggio dura, effettivamente, 12 ore. Apprendiamo, poi, che con l’aereo avremmo pagato meno di € 60 e recuperata una giornata. Giungiamo, stanchi, all’hotel Asia Bùhkara, situato al centro della città. Il tempo di un tuffo in piscina e, subito dopo cena, ci immergiamo nella “movida” (si fa per dire) della città. Finalmente siamo nella città che Avicenna, che qui ebbe i suoi natali, definiva “santa”. Santa per la miriade di scuole coraniche dalle quali uscivano uomini pii e timorati di Dio; santa per le centinaia di minareti dai quali i muezzin invitavano i fedeli alle preghiere rituali; santa per le moschee decorate di piastrelle color turchese e scritte kufiche in lode del Misericordioso. Nel contempo città di cittadini ed emiri spietati, depravati, crudeli e pedofili. Emiri i quali, con giochi erotici estremi, portavano alla morte bambini venduti loro, per un tozzo di pane, da genitori affamati. Emiri che non esitavano ad imprigionare stranieri nel pozzo degli scarafaggi e degli scorpioni per poi farli decapitare fra le urla di gioia della popolazione. Ammirando la soave architettura della città, mi chiedo come può convivere, nell’animo umano, la ferocia più spietata con la ricerca della bellezza più raffinata e con l’osservanza dei precetti religiosi islamici che impongono amore per il prossimo e solidarietà. Come ogni città dell’Asia centrale, Bùhkara ha subito invasioni e distruzioni. Anche Gengis Khan, nel 1220, rase al suolo la città . Risparmiò solo il minareto Kalyan, davanti al quale si inginocchiò abbagliato dalla sua perfezione. Il minareto, con fondamenta di 12 metri ed antisismico, alto 47 metri, si erge fra la moschea Kalyan e la madrasa di Mir-i-Arab. E’ il simbolo nonché il luogo più affascinante di Bùhkara. La folla variopinta, che sciama nella piazzetta antistante la moschea, fa dimenticare le migliaia di condannati a morte che venivano precipitati dal minareto. Poco lontano, le mura di fango e paglia dell’Ark –che fu centro amministrativo della città- ci appaiono sberciate a causa delle piogge invernali. Notevole la moschea del venerdì, la madrasa di Ulug Bek e la dirimpettaia madrasa di Abdulaziz- Khan. La sera ceniamo, con spettacolo folcloristico e sfilata di moda, nella madrasa di Nodir Divan Beghi. Questa scuola coranica si differenzia dalle altre in quanto progettata come caravanserraglio e diventata madrasa per compiacere l’emiro il quale ne aveva frainteso la destinazione. Sulla piazza antistante la madrasa troneggia la statua di Nasdreddin in groppa ad un asino. Questo personaggio, secondo la tradizione, distribuiva pillole di saggezza popolare e barzellette. Il giorno successivo, 6 giugno, visitiamo prima il leggiadro Chor Minor: una madrasa ornata da quattro fotogenici minareti con le cupolette azzurre e, poi, il mausoleo dello sceicco Bakha ad Din Nakshbandi, santo protettore della città. La santità dello sceicco è attestata da una coda di cavallo sventolante sulla sua tomba. Un albero abbattuto, che si dice piantato dallo sceicco santo, è meta di pellegrinaggio in quanto le schegge di legno dello stesso avrebbero proprietà magiche e terapeutiche. Proviamo anche noi ma l’albero è liscio e pietrificato. Passiamo, quindi, al Sitorai Mokhi Kossa, la residenza estiva degli emiri, con la piscina ove le concubine dell’emiro stesso nuotavano nude. Alcune costruzioni moderne rendono pacchiano il complesso. Il giorno successivo partiamo di buon’ora per raggiungere nel pomeriggio Yangigazgan nei cui pressi alloggeremo in un campo di yurte. Lungo la strada ci fermiamo ad ammirare il minareto di Vabkent, alto 43 metri, costruito con mattoni e sormontato da un’ elegante costruzione ad archi. Ulteriore fermata ad un caravanserraglio con pozzo. Qui incontriamo una famiglia i cui componenti Insistono per fotografarci e farsi fotografare. Quando il capofamiglia viene a conoscenza che ha la mia stessa età, diviene affettuosissimo ed insiste per ulteriori fotografie con noi due abbracciati. Mi viene da pensare che suo nonno, probabilmente, mi avrebbe tagliato la gola. Fermata d’obbligo a Nurata per salire sui pochi resti della fortezza fatta costruire da Alessandro Magno e, successivamente, proseguimento, con un fuoristrada, per il campo di yurte dove ci accingiamo ad aspettare la notte dopo un giro a dorso di cammelli. Dopo cena, spettacolo canoro attorno al fuoco. Saliamo, quindi, su una duna per osservare il cielo stellato e qui ci capita di assistere ad un fenomeno inspiegabile. Una piccola pallina luminosa, apparsa all’orizzonte, si allarga improvvisamente per tutto il cielo formando una nube luminosissima che ci supera fino a raggiungere l’orizzonte alle nostre spalle. Pensiamo ad un atto di guerra nel vicino Afghanistan. I gestori del campo, increduli anche loro, ci dicono, però, che l’Afghanistan è nella direzione opposta a quella in cui si è formata la luminosità. Pensiamo a…un incontro ravvicinato di terzo tipo. Dopo la colazione, il giorno successivo puntiamo sul lago Aydarkul dove in tre facciamo il bagno. Dopo un veloce pranzo sotto una tenda, decidiamo di ripartire subito per Samarcanda, dove arriviamo nel pomeriggio. Dopo una rapida sistemazione all’hotel Asia Samarcanda, usciamo a piedi per visitare il Registan le cui cupole si vedono dall’albergo. La piazza ci appare in tutto il suo fulgore ed arriviamo giusto in tempo per assistere allo spettacolo, veramente deludente, di luci e suoni. La piazza, comunque, mi comunica, da subito, la stessa potenza fisica e la stessa forza mistica che ho sentito la prima volta che ho visto il Colosseo, le Piramidi e Tikal. La mattina successiva riprendiamo la visita guidata proprio da questa piazza, simbolo di Samarcanda, voluta da Ulug Beg, l’illuminato nipote di tamerlano. La piazza è circondata da tre madrase precedute da grandissimi iwan. La prima fu costruita da Ulug Beg e fiancheggiata da due minareti colorati e decorati, come l’iwan, da motivi geometrici, da disegni e stelle. Di fronte la madrasa di Sher Dor con disegnati (caso unico nell’Islam che vieta la rappresentazione di uomini ed animali) due leoni sopra l’arco dell’iwan. Terza ma non ultima la madrasa di Tillya- Kari. Da una stampa in vendita in una bottega, capisco l’utilizzo della piazza nel passato: luogo di incontro fra mercanti provenienti dall’oriente e dall’occidente, di artigiani e contadini venuti con i loro asinelli per vendere le mercanzie, di giocolieri e luogo di pubbliche esecuzioni. Passiamo a visitare, quindi, il complesso di Bibi- Khanim. Per costruire questo complesso tamerlano utilizzò artigiani ed architetti deportati dai Paesi da lui conquistati. Voleva costruire il complesso più bello del mondo a somiglianza del Paradiso. Per sollevare i pesi furono utilizzati anche elefanti portati dall’India. Questa ricerca del bello e dell’armonia da parte del Tamerlano mette in luce la sua doppia personalità. Pio, devoto ed amante dell’arte da una parte e spietato massacratore di innocenti dall’altra. Il complesso porta il nome della favorita mongola del Tamerlano. L’arco del portale è fiancheggiato da minareti alti 50 metri. Nel cortile della moschea c’è un grande leggio il quale, secondo la leggenda, rende feconde le donne sterili che vi strisciano sotto. Su questo leggio era appoggiato il corano di Osman che ora si trova a Tashkent. Il mausoleo di Gur-Emir che visitiamo subito dopo, contiene i resti mortali del Tamerlano, dei suoi due figli e di due suoi nipoti fra cui prediletto Ulug Beg. La tomba, molto semplice e spoglia, è ricavata da un blocco di giada verde. Subito fuori la città visitiamo l’osservatorio astronomico di Ulug Beg, grande matematico ed astronomo. Il suo osservatorio, costruito sotto terra, consentiva di osservare il cielo stellato, anche di giorno, per l’effetto “pozzo”. Con studi matematici ed utilizzando l’astrolabio, Ulug Beg calcolò i mesi e l’anno solare con un errore di appena 9 minuti e catalogò ben 1018 stelle. L’amore della scienza fu la causa della sua morte in quanto il figlio, aizzato dai religiosi che ritenevano gli studi del cosmo un’ offesa a Dio, lo fece decapitare. Ultima visita della giornata al cimitero di Shakhi Zinda, ove è sepolto Kusam, il cugino del profeta Maometto ed i parenti del Tamerlano.
Il giorno Successivo, 10 giugno, ci rechiamo a Shakhrisabz, a sud di Samarcanda, la città natale del Tamerlano. Lungo la strada incontriamo dei vecchietti, vestiti con abiti tradizionali ed in groppa a minuscoli asinelli. Ci dicono che vanno ad un matrimonio e si lasciano fotografare. Giunti in città ci rechiamo al palazzo d’estate del Tamerlano di cui non resta nulla eccetto la maestosa porta di ingresso , alta 40 metri ed ornata da mosaici bianchi, d’oro e Blu. L’ingresso originario, secondo alcuni era di 50 metri, secondo altri arrivava addirittura a 120 metri. Dopo avere visitato la moschea di Kok- Gumbaz e le tombe degli antenati di Tamerlano, rientriamo a Samarcanda. La mattina successiva visitiamo il bazar della città, molto simile a quello di Tashkent nella parte alimentare, e deludente nelle merci ormai globalizzate. Deludente il museo Afrosiab, non per gli splendidi affreschi che riusciamo a vedere ma per la mancanza di energia elettrica che ci impedisce di godere appieno dei tesori che custodisce. Ultima visita dedicata al mausoleo del profeta Daniele. Il sarcofago, che contiene i resti del profeta, è lungo 18 metri in quanto, secondo la leggenda, il corpo continua a crescere di un centimetro l’anno. Quando cesserà di crescere, finirà la storia di Samarcanda e del mondo. Dopo pranzo partenza per Tashkent dove arriviamo 5 ore dopo. Breve riposo con cena al Tashkent Palace dove in tre ci lasciamo tentare dai cibi con maionese, dolci con crema e verdura non cotta. Tutti cibi evitati, per motivi igienici, durante il viaggio. Ripartiamo dopo 4 ore per l’Italia. La maledizione di Montezuma, inesorabile, ci colpisce tutti e tre. L’imprudenza farà sentire i suoi effetti per tutto il viaggio di ritorno. Giuriamo solennemente che non ci faremo più tentare!