Uzbekistan e Turkmenistan, un viaggio di riflessione tra le ex Repubbliche Sovietiche
Una certa ironia è stata la reazione comune una volta comunicata la destinazione delle nostre vacanze; reazione immancabilmente seguita da: “E di preciso che ci andate a fare?” Bella domanda questa. Che ci si va a fare in due dei cinque stati dello “Stan’s club“, ex domini della vecchia madre Russia?
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Noi ci siamo lasciate ammaliare dal mito di Samarcanda, della Via della Seta, delle notti d’oriente e dei bazar; ci siamo fatte suggestionare dalle storie di mercanti e carovane, di cammelli e caravanserragli ;incantare da miti, leggende e misteri e conquistare da Khan, Sultani e condottieri. Per dircela tutta, eravamo anche un po’ curiose di sapere che cosa succede al tramontare del sole da queste parti, visto che sono secoli che non si fa altro che parlare di queste famigerate mille e una notte.
Per non parlare poi di ‘sto benedetto Turkmenistan di cui si sa poco o niente. Quindi ci siamo sentite in dovere di andare a prendere visione. Che siamo curiose l’ho già detto vero? Tutto questo carico di aspettative però ha anche un rovescio della medaglia: il pericolo della disillusione! E onestamente, anche il solo pensiero di varcare la soglia che divide l’immaginario dalla realtà ci incuteva un certo timore: e se il mito non ci fosse più? E se la Via della Seta non fosse così ammaliante come siamo abituati a figurarcela? E se i casermoni russi avessero soppiantato antichi palazzi rivestiti di maioliche?
Effettivamente parte di questi timori si sono rivelati più che fondati, ma se non fossimo andate non l’avremmo certo saputo; se durante il viaggio ci fossimo focalizzate su ciò che non abbiamo trovato piuttosto che su quello che stavamo vivendo, chissà con quante idee sbagliate e con quanta meno soddisfazione saremmo tornate. Forse, qui più che altre volte, ci siamo accorte che non sono – solo – i monumenti imponenti e le attrazioni rinomate a riempire gli occhi ed il cuore di meraviglia, ma è la semplice esperienza che ti sbalordisce e che ti fa tornare a casa diverso da come eri partito, “cresciuto”. Perché, mai come stavolta, la bellezza del viaggio l’abbiamo trovata nel viaggio stesso, in tutto ciò che succedeva minuto dopo minuto, chilometro dopo chilometro.
Le città da visitare in Uzbekistan e Turkmenistan
Tashkent
Tashkent ti accoglie con la sue strade immense, le tracce di un passato vissuto all’ombra dei grandi imperi ma con la voglia di aprirsi al resto del mondo, a costo però di perdere la sua genuinità.
Samarcanda
I palazzi di Samarcanda ti tolgono il fiato, il blu delle piastrelle dei rivestimenti fa a gara con quello del cielo, i mausolei sono talmente raffinati sensazionali da farti dimenticare che alla fine siamo pur sempre in un cimitero; il Registan di giorno ti fa impazzire di gioia e di notte ammutolire dall’emozione.
Bukhara
Bukhara, culla delle religioni, gioca a confonderti le idee con le sue cupole azzurre e lucenti, che a seconda di quale via percorri sembrano giocare a nascondino, cambiare di posto e mischiarsi l’una con l’altra.
Khiva
Khiva è magnifica! Cos’altro aggiungere? Bella da intontirti, ma soprattutto ancora ricca del suo fascino originario; aggirarsi per quelle strade strette, inciampare in qualche ciottolo sconnesso, svoltare un angolo e trovarsi di fronte alla cinta muraria, ti fa rivivere l’atmosfera del caravanserraglio, ti porta a guardarti intorno in cerca di mercanti, e ti dà, finalmente, l’idea di quelle che potevano essere le famose notti d’oriente.
Ashgabat
E che viaggio sarebbe stato senza Ashgabat? Una capitale che sembra uscita da un film surrealista, dove regnano marmi, led, luci e statue d’oro, dove l’acqua guizza tra le mille fontane e le aiuole verdissime ti fanno dimenticare di essere nel bel mezzo del deserto. Una città dove anche alle due di notte ti imbatti in gruppi di persone intente a lucidare le strisce pedonali con tanto di autobotte al seguito! Per non parlare poi del fatto che solo auto bianche possono circolare per le sue strade e che quelle nere appartengono solamente agli altissimi funzionari governativi.
Ma questa, è stata solamente la parte materiale, “povera”, del nostro girovagare, quella “ricca” è stata, senza la minima ombra di dubbio, quella umana.
Sensazioni di viaggio
Il Viaggio sono state le persone incontrate lungo la via: i bambini che, dopo averti osservato guardinghi da dietro un vecchio camion sconnesso, timidamente si avvicinano timorosi, ma al tempo stesso eccitatissimi dall’idea di farsi una foto con te; le risate delle signore anziane quando gli mostri la loro immagine in fotografia; la bambina che dipinge i quadri e ti parla in un inglese perfetto, gonfia d’orgoglio per il fatto che tu lo noti e le faccia i complimenti per questo; chi ti saluta lungo il ciglio della strada rivolgendoti un sorriso timido ma genuino; gli sposi che ti chiedono di fare una foto insieme o persino ti invitano alla festa di nozze, quasi “obbligandoti” a fare un discorso di fronte alle telecamere ed a ballare con loro le tipiche danze turkmene (ok, ammettiamolo, loro ballavano tentando di insegnarci i passi, noi in realtà facevamo il giro tondo).
Il Viaggio sono state tutte quelle persone che per strada ti fermavano, chiedendoti chi fossi, da dove venissi ed ovviamente dove andassi; forse non sapevano o non capivano fino in fondo da quale parte di mondo provenissimo, a sentir dire Firenze facevano Ohhhh, ma con tutta probabilità non sapevano minimamente se stessimo parlando di roba da mangiare o altro, però una cosa è certa: erano tutti interessati a te. E tutti, dal primo all’ultimo, donna o uomo, bambino o anziano che fossero, ci hanno rivolto sempre e solo sorrisi.
Il viaggio è stato alloggiare in una yurta alle pendici di una vecchia fortezza in rovina che imperterrita resiste a fatica al vento che sferza la collina, mentre dromedari e cammelli sonnecchiano tutto intorno all’accampamento; il viaggio è stato avere per letto un materassino in una tenda di 2 metri per 2 e per bagno delle donne “la duna a destra”, con lo scarabeo stercorario che amorevolmente rotola la sua pallina costruita a fatica; il viaggio è stato camminare in una notte di luna piena tra le dune di sabbia dorata del Karakum per raggiungere la Porta dell’inferno ed affacciarsi quel tanto che basta per cercare di vedere il diavolo.
Il Viaggio è stato il ragazzo che hai incontrato in un piccolo paese pochi giorni prima e che ti saluta in città perchè ti ha riconosciuta; il passare la notte in una casetta di una famiglia locale in un villaggino sperduto tra le montagne al confine con l’Iran e condividere con i compagni di avventura storie e piatti tradizionali, seduti per terra sotto ad una pergola; guadagnarti la fiducia di alcuni bambini curiosi ma restii a farsi avvicinare per poi finire a stare insieme comunicando in una delle poche lingue universali: il gioco ed i balli (per la confusione abbiamo attirato l’attenzione di tutto il vicinato, svegliando anche un paio di neonati).
Il Viaggio è stato anche affrontare quelle piccole difficoltà che ogni tanto sorgevano e superarle, tutti insieme, sdrammatizzando con delle sonore risate, qualche spiedino ed un sorso di vodka!