Maya, il sorriso che fu

Destinazione: Yucatan interno e rivera maya Periodo:30 nov – 8 dic 2004 Partecipanti: due.. Amanti Tour operator: Eurotravel Compagnia aerea: Eurofly Quanto ci ha fatto spendere in tutto e per tutto: a persona 1.900 euro Puntiamo su nove giorni in formula mista, ben consigliati dall’agenzia di viaggio della ns. Città (Il Carroccio...
Scritto da: Luisa F.
maya, il sorriso che fu
Partenza il: 30/11/2004
Ritorno il: 08/12/2004
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
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Destinazione: Yucatan interno e rivera maya Periodo:30 nov – 8 dic 2004 Partecipanti: due.. Amanti Tour operator: Eurotravel Compagnia aerea: Eurofly Quanto ci ha fatto spendere in tutto e per tutto: a persona 1.900 euro Puntiamo su nove giorni in formula mista, ben consigliati dall’agenzia di viaggio della ns. Città (Il Carroccio Viaggi di Siena): tre giorni in tour nell’interno, punti cardinali i principali siti maya della regione, più quattro di soggiorno sulla riviera con possibilità di spostamenti aggiuntivi da decidere sul posto.

Partenza: volo diretto da Roma, atterraggio a Cancun, mezzanotte circa ora locale, dopo 10 ore di viaggio molto confortevole. Tocchiamo terra ancora col maglione di lana legato in vita, e ci assale subito una vampata di caldo. Prima sorpresa: manca un bagaglio sui due spediti. Non arriverà mai, rimasto ‘orfano’ di targhetta-destino all’aeroporto di Fiumicino. Lo ritroveremo lì al ritorno, intatto, al Lost&found. Prima notte e prima colazione all’Hotel Oasis america: la nostra proprietà di linguaggio dello spagnolo deve ancora… carburare, così ordiniamo per sbaglio una camomilla al posto del the. Ci tradisce anche la fretta, ovvero la necessità di farsi trovare nella hall alle 7.00 come indicatoci dal nostro uomo-tour, che ci ha prelevato la notte prima all’aeroporto. In realtà il tizio non arriverà prima delle 8.30: l’attesa ci “vaccina” da subito sul diverso approccio dei messicani verso il tempo: calma, caffè lungo e possibilmente siesta. La nostra guida simboleggia al meglio questo approccio: si chiama Louis, è di Merida, lavora con un van Ford da 9 posti che conduce a velocità costante e sempre pronto a rallentare con grande anticipo in prossimità dei tanti dossi disseminati sulle lunghe, larghe, e spesso deserte carreteras.

La nostra fortuna è che di quei nove posti ben cinque resteranno vuoti; oltre a noi partecipano al tour due ragazze di Milano, 25 e 27 anni tra loro cugine, e la capienza limitata si rivelerà ideale per “disfructar” al meglio gli appassionati e simpatici racconti di Louis. Con quest’equipaggio lasciamo dunque Cancun dopo poche ore: comincia un lungo tragitto fatto di conoscenza tra di noi e di lunghe strade diritte, solo a momenti intercalate da contadini su tricicli-merci, o maggioloni vecchio stile. Due ore e mezzo più tardi arriviamo ad Ek-balam, primo nostro contatto con la civiltà maya. In estrema sintesi, ci appassioniamo per la porta triangolare da valicare per recuperare energia, secondo la credenza di cui ci dà conto Louis; ci stanchiamo, e ci estasiamo per la prima vista dalla sommità di una piramide precolombiana; ci incuriosiamo al pensiero delle tante conoscenze ancora sepolte sotto i cumuli di rovine che, di fianco, restano ancora in larga quantità da riportare alla luce. Poco dopo, puntiamo dritto al cuore dell’antico popolo yucateco: Chichen Itza, preceduta da un buffet nel vicino Hotel Mision, previsto nel pacchetto. Il clima sereno e mite e la presenza non eccessiva di turisti concilia al meglio una visita memorabile al pari delle attese, dove le suggestioni si susseguono: dal suono di Kukulcan, (il serpente piumato, che tutt’oggi campeggia sulla bandiera messicana) riprodotto grazie al battere delle mani di Louis in un preciso punto sotto la piramide principale, al gran cenote nei pressi del quale la guida ci rievoca con grande suggestione i tempi in cui vi si sacrificavano anche i bambini; dal campo di pelota, alle raffigurazioni murali di figure che ricordano indiani e centurioni; fino all’ascensione sulla sommità della piramide principale, vera esperienza-madre per le mie vertigini ma anche per l’osservazione panoramica che se ne consegue.

La strada sulla quale il Ford van ci porta verso Merida, all’ora del tramonto, è quanto di più efficace nel farci percepire la distanza oceanica tra casa nostra e quella terra sperduta dai grandi orizzonti, raramente urbanizzata e poco trafficata. Almeno fino alla città: perché Merida ci appare sul far della sera ordinatamente eccitata, pullulante di gente nelle sue strade rigorosamente intersecate ad angolo retto, piena di luci e modernità.Qui trascorriamo due sere ed un pomeriggio, e questo basta per adottarla a simbolo di quel Mexico che dai trascorsi indigeni ha saputo passare alla tecnologica modernità senza per questo avvilire un spirito sostanzialmente semplice e solare. Una sintesi passabile ma, scopriremo, anche superficiale. La esemplifica bene la piazza principale: da una parte il palazzo del Governatore, gradevole stile ispanico, ben esaltato dalle illuminazioni in vista dell’incombente Natale. Il dramma della storia messicana, dietro l’apparente quiete odierna, affiora nel bel ciclo di tele novecentesche esposte all’interno e dedicate alla contrapposizione maya-conquistadores. Ma è sul lato opposto della piazza, nel più antico edificio costruito dai seguaci di Fernando Cortes e tutt’oggi conservato, che ci imbattiamo duramente nella brutale sottomissione – mentale, prima ancora che fisica – cui los hispanicos hanno costretto le popolazioni autoctone dal 1520 in poi, qui rappresentata in forma di guerrieri che schiacciano la testa degli indigeni.

Ciò che vediamo in due giorni a Merida è significativo in tal senso: l’Avenida Monteyo, lunga successione di lussuose residenze stile Beverly hills, ovvero l’attrazione materializzata verso il modello dominante qual è ritenuto quello bianco, statunitense, ancor più che spagnolo. L’alta densità di indios nelle mansioni lavorative di base, ad esempio nel ruolo di commessa nei negozi in cui ci rechiamo a rimpinguare i nostri guardaroba rimasti orfani di una valigia; all’opposto, l’esclusiva presenza di bianchi nelle posizioni di potere (il Governatore dello stato di Merida, alto e bianco) o nei visi che appaiono in tv. La percezione di questa silente contrapposizione cresce col passare del viaggio: si rafforza con stupore dopo aver ammirato i livelli di cultura e civiltà raggiunti dai maya, osservando la sconvolgente bellezza architettonica di un sito come Uxmal, una parte del quale (il convento delle monache) non a caso è definito dai locali come il loro ‘Colosseo’. Quello della popolazione indigene è uno sdegno sottaciuto, che ci coinvolge mano a mano che la nostra guida ci racconta le vicissitudini della sua famiglia “meticcia”: suocere di origine ispanica che ripudiano figlie desiderose di sposare un uomo indio, cognati indio che si professano ispanici fino alla soglia del matrimonio. Accostiamo nella mente le conoscenze storiche sintetizzate sulla lonely planet, e le descrizioni di Louis circa la veemenza dei conquistadores nel distruggere tracce e conoscenze dei malcapitati maya: ne viene fuori un quadro quantomeno imbarazzante per il nostro essere occidentali. Lontani dall’aver trovato “casa” alla contrapposizione bene-male, prendiamo coscienza anche degli aberranti limiti dei messicani di allora – che dire dei sanguinosi sacrifici umani, perpetrati nella tarda era maya in onore degli dei ? – e di adesso, su tutti la corruzione (pessimo elemento accomunante tra noi e loro). Epperò se “noi”, gli europei di allora eravamo i custodi della civiltà (per di più benedetti dalla Chiesa cattolica) è avvilente ciò che abbiamo fatto al cospetto di chi ritenevamo inferiore, 500 anni fa. Detto questo, sfatiamo il dubbio che il nostro soggiorno in Mexico sia diventato gradualmente una deprimente autoflagellazione per gli errori della storia. A Merida abbiamo ben mangiato fajitas e tortillas, a Coba abbiamo goduto della contrapposizione tra residui degli antichi insediamenti umani e sterminata foresta tropicale; a Tulum di quella altrettanto splendida tra il tempio del Dio ascendente e l’oceano sottostante. Nel mentre, abbiamo “disfructato” appieno di un efficiente villaggio turistico (il Copacabana, sotto Playa del Carmen), di spiagge bianche larghe e semideserte (nei pressi di Tulum) e dell’allegra simpatia di tanta gente con cui abbiamo trascorso i giorni residui, a cominciare dal barman Carlito, dalla cordialissima servitù del villaggio. E da Manuela e Valeria, le due ragazze con cui abbiamo condiviso quasi tutto il soggiorno in Mexico. Un viaggio dal sorriso automatico, come quello che abbiamo riscontrato nel 90 per cento delle persone; compresi i bimbi e le madri delle favelas campestri. E compresi i muratori dei cantieri di nuove ville sul mare, in riviera maya, che all’ora del pranzo – e della siesta – si siedono ai margini della spiaggia ad osservar turiste. Negli loro occhi puoi vederci di tutto: dalla fierezza dei guerrieri maya, alle paure dei loro antenati sottomessi, alla memoria indelebile di ciò che è stata. Fossimo noi, sotto quegli occhi metteremmo un ghigno; loro aprono un sorriso. E allora ti chiedi, montando sul volo di ritorno per l’italia: chi ha vinto veramente, dal 1500 in poi?

Mangiare Variegata e soddisfacente l’offerta negli hotel prefissati nel tour (Mision Merida, Mision Cichem Itza, Villaggio Copacabana), così come quella scoperta più o meno per caso nelle due serate libere di Merida, al Peon Contreras (di fianco all’omonimo teatro, edificio molto bello). Al Copacabana ci siamo imbattuti in una serata italiana (poco godibile, come previsto) ed una messicana (molto meglio), con tanto di mariachis e café de olla, preparato alla fiamma in gran calderone. Quanto alle pietanze, apprezzabili soprattutto le fajitas o gli arrancheros (carne), il chili con fagioli, le tortillas di mais da accompagnare con carne od altri ingredienti salati, o a colazione (pan-cakes, specie al mision merida, con uovo e caramello) in versione dolce. Notevole la varietà di frutta, anche sconosciuta: su tutti la guayava. Ancora: sopa dea apio (sedano) Bere L’acqua minerale costa poco, il vino è pressoché assente. Molto più diffusa la birra, in particolare la Dos Equis (2 x), e naturalmente la Corona. E poi naturalmente il Rum, condito in tutte le salse in forma di cocktail e la tequila.

Locali Uno su tutti: il Blue parrot di Playa del Carmen: bordo spiaggia, sabbia come pavimento, sopra la quale ci si accomoda grazie a cuscini giganti e tavolini intrecciati; luce di candele, musica interessante e.. Fantasmagoriche esibizioni di acrobati del fuoco. Per il resto, curiosa l’usanza delle altalene (in legno e..Liane; chiaramente tropicali) per accomodarsi attorno ai banconi dei locali; lo abbiamo visto a Playa, ma anche sulla spiaggia vicino Tulum. Shopping Le cose più “indie”, ovvero più autenticamente locali, alla fine le abbiamo trovate nel primo punto di acquisto possibile, dal quale abbiamo inizialmente diffidato perché eravamo all’inizio e ci sembrava che Louis (la nostra guida) ci avesse portato apposta. Si tratta dello spaccio di una cooperativa artigiana di un piccolo pueblo non lontano da Chichen Itza, costituitasi per contrastare – per quanto possibile – lo strapotere delle catene ‘bianche’ di souvenir. Ampia la scelta, con sombreri,oggetti in ceramica,e perfino liquori:come quello all’anice che abbiamo preso per poi, e che in Italia quest’inverno abbiamo usato soprattutto per preparare la cioccolata maya. A parte questo, ampia scelta di tutti i generi a Merida. Sconsigliabile far acquisti in villaggio turistico, mentre a Playa del Carmen qualcosa si può trovare; ad esempio, se si cerca musica mariachi o simili, verso la fine della passeggiata c’è un negozio molto fornito. L’acquisto migliore comunque è casuale: una coperta coloratissima fatta mano e acquistata al primo piano di un palazzo in una via traversa del centro di Merida.

Clima Quello che abbiamo trovato noi: ideale. Essere ai primi di dicembre in Yucatan è stato un po’ come a giugno inoltrato sul mare della nostra toscana. Quanto di meglio ci potessimo portare da casa.



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