Le tavole di Sarhua

LE TAVOLE DI SARHUA Di Phyllis Tepperman Traduzione di Gabriele Poli Due anni orsono partecipai ad una manifestazione artigianale nella quale, oltre alle conferenze, furono invitati ad esporre i propri lavori artigiani di diverse località del Perù. Ognuno di questi artigiani era considerato "un maestro" nel suo campo e fu in quell'occasione che...
Scritto da: Gabriele Poli
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LE TAVOLE DI SARHUA Di Phyllis Tepperman Traduzione di Gabriele Poli Due anni orsono partecipai ad una manifestazione artigianale nella quale, oltre alle conferenze, furono invitati ad esporre i propri lavori artigiani di diverse località del Perù. Ognuno di questi artigiani era considerato “un maestro” nel suo campo e fu in quell’occasione che conobbi don Pompeyo Berrocal, artigiano dedito alla confezione delle “tablas de Sarhua”; fu il mio primo contatto con questa tradizione. Da quel momento mi prese la frenesia di conoscere questo villaggio, di conversare con gli artigiani dediti a questo lavoro e di capire perché lo facessero. Come capita spesso, il tempo per un viaggio non è sempre facile trovarlo, come non lo sono le possibilità, però, come accade molte volte, esiste la possibilità di avvicinarsi a questi lavori artigianali a Lima, di conoscere le persone che li realizzano e -per mia fortuna!- esistevano studi sul tema, ai quali ho potuto attingere. “Le tavole di Sarhua fanno parte del costume del mio villaggio San Juan de Sarhua, capoluogo di uno dei distretti della provincia di Victor Fajardo ad Ayacucho. La comunità possiede qualcosa di molto particolare perché è organizzata in due ayllus (particelle familiari allargate d’origine preinca. N.d.T.): Sawqa per gli indigeni che vivono nella puna e vivono in modo rurale e Qullana, per gli stranieri abituati alla vita cittadina. E’ interessante notare come questi ayllus oggi non abbiano una separazione geografica, ma solo simbolica che si nota solo durante le cerimonie religiose o sociali, a seconda del luogo dove si trova la gente, in accordo alla tradizione”, commenta Pompeyo. Le tavole che conosciamo attualmente e che si vendono a Lima, costituiscono la progenie delle tavole che originalmente si fabbricavano a Sarhua, tenendo come fattore comune il ritrarre le manifestazioni del villaggio in vari aspetti, attraverso disegni artistici, in modo tale che si possono considerare come una testimonianza etnografica del popolo, o come afferma Luis Milliones nel suo libro “Amor Brujo” (1989), un lavoro auto-etnografico. Tradizionalmente, queste tavole erano considerate parte della tecnologia per l’edificazione delle case del villaggio perché aiutavano a supportare il tetto della casa in costruzione, una specie di “alza tetto”. Queste tavole avevano due tipi di rappresentazioni: mitico-religiose e scene familiari dove i personaggi erano rappresentati più per i loro compiti e gli oggetti che usavano nel lavoro che per i lineamenti fisici, fatte salve le distinzioni relative al sesso e all’età. Pompeyo Berrocal spiega nella sua casa-officina che “quando si costruiscono nuove case, queste tavole vengono regalate fra compadri. Questi hanno dipinto nelle loro tavole le famiglie di entrambe le parti, dell’uomo e della donna. Vi può essere il suocero o la suocera di qualsivoglia delle due, i fratelli, zii e la presenza di queste persone le compromette a collaborare nella costruzione della casa. Capita che quando vanno in visita esse cerchino la tavola per vedere se sono rappresentate. Se si vedono, si rallegrano e collaborano e portano due bottiglie di chicha che offrono durante una piccola cerimonia. Vi può essere più di una tavola di regalo per la stessa costruzione perché vi possono essere diversi compadri”. In generale, l’uomo andino si valse più dell’immagine che della scrittura come un mezzo di espressione e di comunicazione e questo fu possibile grazie alla memoria collettiva di molte persone. Cercando di risalire alle origini di questa tradizione, Josefa Nolte, nel suo libro QUELLCAY, Arte y vida de Sarhua (Lima, 1991), spiega che si conosce come Qellca “il tratto disegnato sopra qualsiasi superficie, quindi anche le pitture fatte sopra le tavole per registrare i fatti più importanti che accadevano durante il regno di un inka” (pag.28). Furono i qellcacamayoc, gli storiografi del Tawantisuyuo, che registravano graficamente la storia nelle tavole e che narravano a memoria i fatti lì registrati in certe epoche dell’anno. Cercando il precedente più probabile di questa tradizione, sembrerebbe essere stata l’opera di Felipe Guaman Poma de Ayala nel suo “Primer Nueva Crónica y Buen Gobierno”, fra il 1613 e il 1614, opera con intento artistico, ma anche opera che registrò gli avvenimenti del momento, così come era la tradizione qellca inca. Nel caso del libro di Guaman Poma, la parola è al servizio del disegno stesso che registra il fatto e la frase scritta una referenza maggiormente concisa di questo. Oltre a questo, si ritiene che le origini siano nei templi di Poquecancha e Coricancha della città di Cusco, dove si trovarono pannelli dipinti che rappresentavano anche scene della vita quotidiana. Queste immagini apparentemente avevano un’intenzione normativa e mostravano le origini della società. D’altro canto, si sa che vi era l’usanza di rappresentare cerimonie in forma pittorica per assicurasi la collaborazione della nobiltà. In ogni caso, pur in modo speculativo o intuitivo, si potrebbero trovare qui alcune relazioni con le origini delle tavole di Sarhua. Pompeyo, ricordando il suo iter in Lima, dice che “alla fiera artigianale sono giunto per conto mio verso gli anni ’80. Da principio vendevo biglietti della lotteria nelle strade, ma non mi andava molto bene e pensavo “non vengo da lontano per vagare per le strade, so fare tante cose come cantare, dipingere, cucire gonne” e mio zio che già lavorava con le tavole di Sarhua, era maggiormente in contatto con fiere artigianali e in un’occasione mi chiamò per cantare in un gruppo con la chitarra, nel mese di maggio, per un club di madri e lì m’interessai a tutto l’artigianato che vendevano e mi dissi “perché non posso portare artigianato dal mio villaggio e venderlo?”, fino a che, alla fine dell’anno ’90, arriva e m’installai in avenida Petit Thouars”. Con nostalgia Pompeyo spiega che “a Sarhua si sta perdendo la tradizione perché vi sono cambiamenti nella religione o perché il compadre non vive più lì in modo permanente nemmeno quando uno costruisce la sua casa, visto che assieme si deve lavorare. Sono la nuova generazione e la tecnologia che fanno perdere le usanze, però per fortuna qui cerchiamo di mantenere la tradizione”. Afferma che a Lima vi sono differenze nel processo, soprattutto perché si lavora per vendere al turista. Per esempio, il cambio è nel non mettere i nomi dei personaggi che figurano nella tavola e in molti casi non si dipinge nemmeno il santo. A questo proposito, esiste un aneddoto su una turista che voleva comprare una tavola e, poiché non era di religione cattolica, voleva far tagliare l’ultimo frammento della tavola, dove era rappresentata la Vergine Assunta. Quindi, preferiscono rappresentare semine, piante, curanderos e scene tipiche che non trovino identificazione nella gente che le compra. Altro fattore da considerare è pratico. Spiega Pompeyo: “La fiera artigianale dove vendiamo interessa molto gli stranieri, però il problema è il costo e la grandezza. Allora li facciamo più piccoli, perché una tavola tradizionale ci prende fino ad una settimana di lavoro e questo fa lievitare il prezzo”. Circa il processo di elaborazione delle tavole, anteriormente si facevano con tronco di pati, ontano o molle (albero autoctono. N.d.T.). Si sceglievano tronchi di circonferenza differente, però di solito di 2.30m di lunghezza. Con un utensile speciale, si piallava uno dei lati e si schiariva con una pittura a base di gesso e poi si dipingeva sopra a questa, Si dividevano in spazi equivalenti, generalmente sette, e le rappresentazioni grafiche avevano un ordine stabilito: la parte superiore portava il Sole e l’ultimo riquadro la Vergine dell’Assunzione, vergine prediletta del villaggio di Sarhua per la quantità di miracoli che concede. Nel mezzo si rappresentavano i distinti membri della famiglia con le loro rispettive attività. Si consegnava il giorno in cui si arrivava a costruire il tetto della casa e si celebrava fra i partecipanti dell’ayni, o lavoro collettivo. Una caratteristica è che i disegni solevano essere fatti sempre sopra un fondo bianco, dettaglio che oggi è cambiato, poiché ora si adorna con nubi e monti. I colori si ottenevano con terre naturali della zona, le figure si delineavano con carbone di chilca (albero dalle proprietà balsamiche. N.d.T.) e poi si bruciacchiava con l’ichu (erba dell’altipiano). Il disegno si faceva sempre con piume o bacchettine di ginestra e quest’usanza si conserva ancora oggi. Alla fine si applicava un fissatore naturale che si otteneva dalla copparosa. Oggi, gli emigranti di Sarhua a Lima hanno trovato nell’elaborazione delle tavole una risorsa economica importante, elaborandole per venderle ai turisti; tuttavia, fanno questo lavoro anche per la necessità di ricreare la propria cultura e mantenere contatti emozionali e affettivi con il proprio villaggio. Vi sono alcune differenze, come quelli che fanno le tavole in compensato e più piccole perché i turisti possano trasportarle con facilità; d’altro lato, per ragioni pratiche si tende ad usare pitture Tekno con colori forti e più compatti (a volte combinano entrambi i tipi di coloranti). Anche se anteriormente si rappresentavano scene familiari o momenti del ciclo vitale (sempre accompagnati da un testo che commentava le scene), attualmente si continua con quest’usanza, ma ciò che si rappresenta sono immagini maggiormente stereotipate e molti grafici, ad esempio di scene agricole, fiori e feste. L’importante è che continuino a funzionare come registro del villaggio dal quale presero origine e, nostalgicamente, possono essere considerate come “le cronache contemporanee di Sarhua”. Come dato Esiste a Lima una comunità sarhuina molto ben organizzata che comprende, dal 1982, l’Associazione di Artisti Popolari di Sarhua (ADAPS) che riunisce i pittori artigiani. Le prime qellcas fatte a Lima furono per un’esposizione che si tenne in agosto del 1975, denominata “Le tavole dipinte di Sarhua”; in quell’occasione furono presentate solo due tavole tradizionali e nove moderne di differente misura. Il successo che ottennero fra i visitatori motivò gli artigiani a continuare con la tradizione e a cercare di mantenere le caratteristiche più importanti di questo lavoro. All’inizio si tenevano due linee di lavoro, una per le esposizioni e un’altra per la vendita, realizzate in modo diverso, secondo la grandezza, più che altro, e forse al tempo che si dedicava ad ognuna delle tavole. La famiglia Berrocal è stata una delle prime a dedicarsi a questo lavoro artigianale. Inoltre, poiché continua come lavoro di gruppo, enfatizza la solidarietà collettiva, caratteristica che è essenziale per proseguire con le relazioni sociali dei villaggi andini. Phyllis Tepperman “phyllis@peru.it


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