Le bellezze di Amsterdam
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PRIMO GIORNO – SI PARTE
Le previsioni del tempo sono pessime: disegnini con nuvole scure grondanti di pioggia, lampi e tuoni, temporali. Staremo quattro giorni nei caffè e nei musei, penso, mentre, con mio marito Antonio, andiamo in taxi in aeroporto. Dalla radio accesa, come un regalo inaspettato, si propagano le note di Cara di Lucio Dalla. Tra me sorrido: non può andare male una vacanza che inizia con quella che considero la più bella canzone di Dalla. All’aeroporto di Schiphol una pioggia scrosciante, che tamburella rumorosa su aerei e pensiline. Ma, sorpresa, splende il sole quando arriviamo alla bellissima Centraal Station, che ci accoglie con i suoi mattoni rossi, imponente e leggera nello stesso tempo, come una nave pronta a salpare.
Usciamo storditi sul piazzale e siamo già incantati dalla luce, l’acqua dei canali, la chiesa neobarocca di San Nicola. Così incantati che facciamo fatica a trovare l’autobus giusto, a capire dove fare i biglietti, che poi si fanno a bordo, per fortuna, e via verso Piazza Dam, Rembrandtplein, con la statua dell’artista, l’albergo sull’Amstel, di fronte al moderno Teatro dell’Opera. La camera non dà sui canali, purtroppo, ma sulla casa di fronte, una casa austera e plumbea, non come ne vedremo tante, piene di finestre, decorazioni e ghirigori. Pazienza, mi dico, non si può avere tutto e mi consolo con i due tulipani giganti sopra la testata del letto.
La nostra prima destinazione non può che essere Piazza Dam, la più famosa piazza di Amsterdam, con il Palazzo Reale, il monumento ai caduti della seconda guerra mondiale, la Nieuwe Kerk. Trovo che non sia una delle piazze più belle d’Europa, ma ne avverto l’importanza strategica, il cuore pulsante, la funzione di crocevia, un luogo dove la gente si incontra per decidere cosa fare la sera “ci vediamo in piazza Dam”. Dopo il giro della piazza, la passeggiata sul Denmark e lungo i canali, torniamo verso Rembrandtplein e notiamo uno strano movimento, un assembramento attorno alla statua di Rembrandt. Andiamo a verificare e scopriamo che tutti si fanno fotografare con i personaggi in bronzo che raffigurano la Ronda di notte. E anche noi, certo, non siamo da meno. La situazione è suggestiva, sembra un set cinematografico, specialmente ora che sta scendendo la sera e le statue scure si stagliano contro il cielo arrossato.
Secondo giorno
Mentre ci incamminiamo verso il Bloemenmarkt, il mercato dei fiori galleggiante, mi torna in mente Bangkok, con le barche sul fiume cariche di frutta. Qua invece ampi barconi ben piantati nel canale, stracolmi di oggetti e tulipani. Il paradiso del turista; potrei perdere la mattina a scegliere la tazza giusta da portare a casa. Compro delle lattine con dentro i bulbi di tulipani. I tulipani nelle lattine: ditemi se questa non è attitudine al commercio. Attitudine che riscontriamo anche nei prezzi: 12 euro per una colazione con cappuccino, caffè e due briosche farcite con burro e marmellata. Eh, già, la città non è economica. “Parigi o cara”, ma anche Amsterdam non scherza. Proseguiamo lungo il canale Singel per raggiungere la seconda destinazione del nostro planning odierno, che ci delude un po’: il Begijnhof, il quartiere dove vivevano le beghine, donne che facevano vita monastica senza aver pronunciato i voti. Il luogo è silenzioso e riposante, in mezzo al verde, come enfatizzano le guide. La cosa ci lascia piuttosto indifferenti, non essendo questa una città stressante e torniamo volentieri verso il movimento e la via dello shopping, a pochi passi. È una bella giornata di sole e pranziamo in Piazza Dam, vicino alla gotica Niewe Kerk, la Chiesa Nuova, dove non entriamo ma sbirciamo all’ingresso le belle vetrate. Qua le chiese sono quasi tutte a pagamento. È un peccato.
È interessante nei viaggi poter entrare nelle chiese per sedersi un attimo, riprendere le energie, stare in silenzio, riflettere. Certo non lo fai, se tutte le volte devi pagare. La sera la dedichiamo al famoso quartiere a luci rosse, con le ragazze in vetrina. Le ragazze mi mettono malinconia, nelle loro piccole stanze, in viuzze strette, con di fronte dei muri ciechi. Antonio si ricorda che una volta, molto tempo fa, in effetti, le ragazze erano sistemate meglio, avevano delle stanze che guardavano il canale, c’era maggiore spazio, luce.
Come per tutti gli altri lavoratori, anche la loro condizione è peggiorata nel tempo. Il capitalismo non risparmia nessuno. Il mio umore si rialza quando ci troviamo davanti al “Bulldog“, quello che è stato il primo coffee shop di Amsterdam, dall’atmosfera rilassata ed edonista. Un’occhiata alla bella chiesa gotica di Oude Kerk, la Chiesa Vecchia, e, chiacchierando tra i canali e schivando biciclette, ce ne torniamo in albergo.
Terzo giorno
Il nostro albergo dà proprio sul canale. Usciamo la mattina e vediamo l’Amstel. Uscire di casa e incontrare l’acqua rende la vita più leggera e carica di promesse. Da qui si intravede il Magere Brug, il ponte levatoio in legno, e più lontano, il Nemo, il Museo della Scienza nell’edificio progettato da Renzo Piano. Oltre il Teatro dell’Opera ecco Waterlooplein, con il grande mercato delle pulci, e la sinagoga portoghese del quartiere ebraico, un edificio molto interessante ispirato al tempio di Salomone a Gerusalemme. Rinuncio a entrare, anche se provo una grande curiosità, perché oggi il nostro scheduling prevede il Rijksmuseum, che sappiamo impegnativo. La visita si rivela poi più leggera del previsto; niente fila, il museo, che possiede la più grande collezione di opere dell’arte fiamminga, si gira bene nei vari piani e si arriva alla Ronda di notte senza essere stremati. Nel tragitto ammiriamo mobili raffinati, ceramiche di Delft e la sfiziosa casa delle bambole di Petronella Oortmann. La lattaia di Veermer non c’è, purtroppo, è in trasferta al Louvre.
All’uscita andiamo come tutti a farci un selfie alla scritta bianca e rossa I Amsterdam. È così simpatica questa scritta, così carica di energia positiva che la mando a mezzo mondo, via Whatsapp. Quando usciamo il pomeriggio tardi sbagliamo direzione e ci troviamo in Leidseplein. Ecco uno di quei momenti che capitano nei viaggi, quando giri l’angolo e ti ritrovi in un luogo che dà un senso di appagamento e pienezza e ti fa dire “Sì, ho fatto proprio bene a venire qua”. Il mio giro d’angolo ad Amsterdam è stato Leidseplein, con l’Hotel Americano art déco, i cinema e i teatri, la piazza piena di gente che mangia ai tavolini all’aperto, l’Hard Rock cafè. Fuori dai teatri un parcheggio enorme di biciclette, una distesa, “fin dove l’occhio poteva guardare”, direbbe Guccini. Ma quante sono? Probabilmente solo nella Cina di Mao si saranno viste tante biciclette. Alla fine ci troviamo all’entrata del Vondel Park, il famoso parco degli hippie degli anni settanta, che ormai non ha niente di sovversivo, è un tranquillo giardino borghese con boschi e laghetti, almeno il tratto che facciamo noi, mentre scende la sera. Per cenare scegliamo un ristorante italiano, due penne all’arrabbiata piccanti al punto giusto. Ormai ai ristoranti ci siamo assestati sui trenta euro, scegliendo il piatto che costa meno, due birre e due caffè.
Quarto giorno
Oggi è il giorno del Museo Van Gogh. Al risveglio sento i miei occhi che sfrigolano dal piacere, stanno pregustando la bellezza che vedranno. Anche qui niente stress, niente fila, si parte dagli autoritratti del primo piano, su fino al terzo, con le opere magnifiche e il racconto della vita difficile con la tragica fine, ma anche il rapporto con il fratello Theo, la corrispondenza tra i due. Al ristorante il cameriere, che parla italiano perché ha fatto l’Erasmus a Roma, ci consiglia di prendere l’autobus per andare alla Casa di Anna Frank. Ma noi non demordiamo, niente mezzi, questa è una città da girare a piedi o tutt’al più in battello. Prima di arrivare alla casa incrociamo la Westerkerk, chiesa occidentale, con l’alto campanile sormontato dalla corona rossa, bianca e blu dell’imperatore Massimiliano I, i cui rintocchi sono citati nel diario. Durante la fila che dura circa un’ora, mi concentro sul manifesto di benvenuto nelle varie lingue: bienvenido mundo, welcome world, Wilkommen Welt e così via. Grazie Amsterdam, siamo contenti di essere qui e consapevoli di quello che andiamo a visitare. La casa è alta e stretta, con la libreria a fare da sentinella al nascondiglio. Sulla parete della stanza di Anna i ritagli di giornale e le foto dei divi del cinema. Quando vedo il testo originale del diario, conservato in una bacheca, provo una grande tenerezza per questa ragazzina seduta a scrivere, con gli occhi scuri vivaci, sprizzanti intelligenza. E anche se è già un’adolescente e non più una bambina, mi tornano in mente le parole di Simona Vinci, ne La prima verità: “Bambini, bambini, bambini. Decine, centinaia, migliaia di infanzie strappate”.
Tornando verso l’albergo ci prendiamo due waffel con fragole e panna in un bar lezioso e colorato. Quando vado a pagare rimango senza parole. Sedici euro. Spero per un attimo che si fermi al six, e invece no, dice proprio sixteen. Non ci posso credere, sono esterrefatta. Che posso fare? Pago e sorrido pure. La sera due tranci di pizza in uno di quei locali, non particolarmente attraenti, che abbiamo già visto girando per la città: New York pizza. New York, non Pizza Napoli, non Pizza Vesuvio. Stiamo diventando marginali anche nella pizza? Dopo questa cena spartana rimaniamo seduti a lungo nella bella Rembrandtplein, dall’aspetto mediterraneo, circondata da caffè e ristoranti su tutti i lati. Posizionati davanti al coffee shop “Smokey” guardiamo entrare e uscire i fumatori di marijuana. Dall’alto del suo piedistallo, Rembrandt ci osserva tutti, meditabondo.
Ultimo giorno
Ed è proprio la casa di Rembrandt che andiamo a visitare nell’ultima mattina ad Amsterdam. La casa è elegante e solida, con i letti dentro gli armadi, cosa molto curiosa. Visitiamo le varie stanze, lo studio e le diverse postazioni dove gli allievi si esercitavano. Assistiamo ad una lezione sui colori: preparazione, utilizzo e tossicità. Il metodo era da catena di montaggio: un giorno si faceva il verde e si adoperava il verde su tutti i quadri nella stanza e così via.
Pranzo al Bloemenmarkt con un ultimo giro di souvenir. E poi di nuovo verso la Centraal Station, con un’occhiata di rimpianto per la chiesa di San Nicola, che non abbiamo visitato. Mi colpisce ancora la bellezza della stazione, con la facciata neorinascimentale e l’ex sala d’attesa in stile liberty. Mi sono informata nel frattempo: l’architetto è Petrus Cuyper, autore anche del Rijksmuseum. Ringrazio Petrus Cuyper per questi capolavori. Ringrazio soprattutto il tizio che ha sbagliato tutte le previsioni del tempo. Bravo, continua così, caro. All’aeroporto sento già nostalgia per questa città luminosa, piena di orizzonti e di grazia e fantastico su un possibile ritorno. Qualche giorno dopo a Bologna, vado a visitare la mostra interattiva e multimediale, quasi un’esperienza mistica, “Van Gogh Alive. The Experience”. E l’avventura continua.