L’anima di Bisanzio: tra sacro e profano

Alla scoperta dei monasteri medioevali del Monte Athos, di Salonicco e delle vestigia dell'antica Macedonia di Alessandro Magno.
Scritto da: giubren
l'anima di bisanzio: tra sacro e profano
Partenza il: 16/11/2019
Ritorno il: 25/11/2019
Viaggiatori: 2
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Luoghi misteriosi, città nel cielo, monasteri: “tra sacro e profano”

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Il Monte Athos è uno dei luoghi più misteriosi e meno accessibili d’Europa. Con oltre 2000 metri d’altezza, il Sacro Monte (Aghion Oros) è situato nell’estremità della penisola più orientale della Calcidica, attraversata da una dorsale ricoperta da fitte foreste che s’inoltra nel blu dell’Egeo per circa 56 chilometri. La penisola fa parte della Grecia ma costituisce una repubblica monastica autonoma sotto la giurisdizione del Patriarca di Costantinopoli ed amministrata dalla IeraEpistasìa, assemblea degli abati dei 20 monasteri regnanti. Il mito vuole che la montagna sia stata originata da un enorme masso scagliato dal gigante Athos nel tentativo di uccidere Poseidone durante la guerra tra gli dei dell’Olimpo ed i titani. Dal nono secolo si tramanda che la Vergine, in viaggio con l’evangelista Giovanni, approdasse a seguito di una tempesta lungo i lidi della penisola, rimanendo affascinata dalla bellezza del luogo. Da allora, la zona del monte Athos è nota come il “giardino della Vergine” ed è ritenuta la più sacra agli ortodossi dopo la città di Gerusalemme. Da sempre meta di eremitaggio ed ascetismo, nel 963 d.C. venne fondato sulle pendici orientali del Monte il primo monastero (la Grande Lavra) da Sant’Atanasio, grazie ai finanziamenti dell’imperatore bizantino Niceforo Fokas. Atanasio morì 6 anni dopo per il crollo della cupola della chiesa che stava aiutando a costruire con i suoi confratelli, tuttavia l’edificazione di nuovi centri monastici continuò negli anni a venire creando una complessa rete di rapporti regolati dai typicon, insieme di regole che sono state riviste per l’ultima volta nel corso del ’700 e che, sostanzialmente invariate, vengono applicate fino ai giorni nostri. Tra queste regole rientra quella che vieta l’accesso nella penisola alle donne e a tutti gli animali di sesso femminile (tranne i gatti e gli uccelli): tale interdizione risale al 1045 e sarebbe motivata dal fatto che la Vergine sia l’unica a potervi risiedere, ma più prosaicamente si ammette che la presenza del gentil sesso possa distogliere i monaci dalla preghiera e dalle occupazioni quotidiane. In previsione del crollo di Bisanzio gli abati riuscirono ad accordarsi con i turchi, accettando il loro dominio formale fino al 1912, quando cioè il territorio del Monte Athos venne incorporato nel regno di Grecia. Nel corso della seconda guerra mondiale Hitler accettò di farsi nominare dagli abati come loro protettore e questo risparmiò i monasteri da possibili distruzioni durante l’occupazione nazista; così quel mondo arcano, ricco di tesori e tradizioni secolari è giunto pressoché inalterato all’alba del secondo millennio dal cuore del medioevo. La penisola del Monte Athos si raggiunge agevolmente da Salonicco da cui dista circa 2 ore. Meno agevole invece è l’organizzazione del viaggio, che presuppone l’ottenimento di uno speciale permesso – il diamonitirion– da richiedersi con largo anticipo all’ufficio dei pellegrini del Sacro Monte e che viene rilasciato ogni giorno per non più di 10 visitatori non ortodossi (a patto di essere di sesso maschile, ovviamente), a cui deve seguire l’accettazione della richiesta d’ospitalità presso i monasteri in cui si intenda alloggiare.

Ouranoupolis, la città del cielo, è la porta d’accesso al Monte Athos e da qui partono le tradizionali crociere che permettono a tutti di ammirare – ma a non meno di 500 metri dalla costa – gli spettacolari monasteri medioevali del litorale occidentale. Nella cittadina, vivace centro balneare estivo, ha sede il minuscolo ufficio che si occupa del rilascio dei permessi aperto sin dalle 7 del mattino. Poco più a sud di Ouranoupolis la penisola è attraversata dalla “frontiera”, un basso muro di pietre a secco invalicabile per chiunque, tranne che per i pompieri in caso di improvvisi incendi. Il Monte Athos è essenzialmente un luogo di pellegrinaggio e, anche per chi non è ortodosso, offre l’opportunità unica di partecipare alla vita quotidiana dei monaci scandita dalla preghiera e da antiche regole rimaste immutate nel corso del tempo. Nei pressi della torre bizantina, partono i traghetti diretti verso il porto di Dafni, collocato nel centro della penisola; quello più lento si ferma anche presso i vari monasteri lungo la costa, la maggioranza dei quali dispone di arsanas, cioè di piccoli moli con torri medievali e ricoveri per le barche. Si raggiunge così Monì

Xenophontos, la tappa iniziale. Il monastero sorge in prossimità della spiaggia ed ha una tipica struttura atonita, caratterizzata da alte mura merlate perimetrali con terrazze di legno affacciate sul mare. L’aspetto esterno è imponente ed è evidente la funzione difensiva necessaria per respingere nel passato gli assalti dei predoni. Varcato il cancello d’ingresso si accede in un’altra dimensione, dove le lancette degli orologi seguono l’orario giuliano come nell’antica Bisanzio, quando il tramonto coincideva con la mezzanotte. Al centro di ogni monastero si trova il katholicon, cioè la chiesa principale e più antica. A Xenophontos ne è stata costruita anche una seconda utilizzata per i vespri oltre che per le funzioni notturne che iniziano alle 2:00 e terminano verso le 5:00 del mattino del nostro orario. Nella foresteria, i monaci accolgono i pellegrini in modo piuttosto informale, offrendo caffè greco e loukoumi e ciascuno procede direttamente a scrivere i propri dati sul registro prima dell’assegnazione delle stanze. Fratello Georgios accoglie gli stranieri con un buon inglese ed indica una camera nel piano superiore, quello deputato ad ospitare le persone di altre confessioni. Spiega gli orari dei pasti e delle funzioni e, inizialmente, si è un po’ spaesati anche perché gli animi secolarizzati e poco inclini alla pratica religiosa rimangono piuttosto perplessi all’idea di dover partecipare, per di più nel cuore della notte, a così tante ore di preghiera ed in una lingua incomprensibile (il greco bizantino)… in realtà si scopre ben presto che il coinvolgimento nelle elaborate liturgie orientali fa parte integrante di un viaggio così particolare come quello sul Monte Athos.

C’è tempo da dedicare alla visita del vicino Monì Dochiariou che si raggiunge a piedi in 20 minuti con un agevole sentiero lungo la costa. Dochiariou ha un’architettura elaborata ed i vari edifici – spesso con tetti multicolori – lo fanno assomigliare ad un castello fiabesco. Il katholicon, che normalmente è accessibile soltanto a coloro che pernottano nel monastero e che ne seguono le funzioni, fortunatamente è aperto. Si tratta dell’edificio religioso più grande della repubblica monastica, ricchissimo di icone ed affreschi che ricoprono interamente le alti pareti interne. Al vasto nartece – l’ambiente situato all’ingresso– segue la chiesa vera e propria in un tripudio di icone, candelabri e lampadari dorati. Percorrere i sentieri e le antiche mulattiere della penisola rientra tra le attività più piacevoli. Spesso si incrociano piccoli eremi e cappelle affacciate a picco sul mare. Si ritorna a Xenophontos in tempo per i vespri. I monaci, con le lunghe tonache nere, raggiungono con calma ed in ordine sparso la chiesa principale girando in senso orario attorno a quattro pilastri dove omaggiano e baciano più volte le icone, seguiti dai pellegrini. Poi lentamente tutti prendono posto sulle sedie di legno dalle alte spalliere addossate alle pareti della chiesa. Terminati i vespri, ci si trasferisce nel refettorio alle 17:00 dove la cena si consuma in rigoroso silenzio, mentre uno dei monaci legge le Sacre Scritture per circa 15 minuti. Quando la preghiera termina, i monaci vanno via e tutti i commensali, anche se non sono riusciti a terminare il pasto, sono tenuti ad alzarsi e ad uscire a loro volta. L’abate, a cui i monaci devono cieca obbedienza e che siede in un tavolo speciale in fondo alla sala affrescata, benedice all’uscita del refettorio i fedeli che non mancano di omaggiarlo e di baciarne la mano od un lembo delle vesti. Al tramonto si chiudono le porte del monastero e nessuno è più autorizzato ad uscire od entrare fino al mattino seguente. Lentamente cala la sera e la foresteria rimane l’ambiente più animato e poi, quando tutti si sono ormai assopiti, alle 2 di notte un monaco gira nel piazzale percuotendo una tavola di legno e richiamando i confratelli ed i pellegrini alla preghiera. Le campane svegliano anche i più riottosi… poi ciascuno è libero di alzarsi e di raggiungere il consesso dei monaci… la curiosità ha il sopravvento e nel silenzio del cielo stellato si raggiunge la chiesa. Sono uno dei primi ad entrare; invero molti arrivano con calma e non è necessario essere puntuali per presenziare tutta la funzione. Non c’è la luce elettrica, le icone e gli ottoni rifulgono tra bagliori delle candele e delle lampade ad olio. I salmi sussurrati, i fruscii delle vesti dei monaci che si raggirano come ombre tra le candele e le volute d’incenso, elaborati rituali ed i tre segni della croce ripetuti dinnanzi alle icone, i volti ieratici dalle lunghe barbe bianche…. immagini che si affastellano mentre seduti nella penombra si alternano fasi di dormiveglia e stato cosciente… e poi ci si ritira nuovamente nella stanza della foresteria, addormentandosi nell’attesa di un nuovo giorno. Le preghiere del mattino durano circa un’ora nella chiesa più piccola ed antica e dall’atmosfera raccolta, poi il pranzo alle 9:00 nel refettorio a cui si accede attraversando un’ambiente affrescato. Verso le 11.30 ecco affacciarsi il traghetto sul molo che raggiunge Dafni. Prendendo il pullman allo sbarco, si arriva a Karyes, il capoluogo della penisola dove ha sede la Iera Epistasìa. Si tratta di una graziosa cittadina dall’aspetto ottocentesco, dove è possibile trovare negozi e qualche locanda. Da qui partono i minibus per i vari monasteri della Sacra Montagna.

Megistis Lavras (o Grande Lavra) è il monastero più antico ed isolato. Ci vuole più di un’ora da Karyes per raggiungerlo attraversando una disagevole strada sterrata. Lungo il percorso si incrocia una solitaria torre in rovina: è ciò che resta dell’antico convento degli Amalfitani dove anche i monaci cattolici avevano una loro rappresentanza, venendo in seguito abbandonato. Lavra è tutt’oggi la struttura più grande ed importante del Monte Athos, il primo nella gerarchia tra i 20 monasteri regnanti. Dall’esterno, le torri massicce vegliano sulla costa a strapiombo all’ombra dell’aguzza vetta piramidale della Sacra Montagna, avvolta dalle nubi. Nella foresteria il custode accoglie calorosamente i pellegrini e, dopo la registrazione di rito, mostra il dormitorio comune, simile ad un collegio degli anni ’20. I monasteri dell’Athos sono oggi patrimonio dell’umanità sotto l’egida dell’UNESCO e molti hanno ricevuto copiosi finanziamenti europei per il restauro. La Grande Lavra è immersa in un’atmosfera decadente e romantica, infatti gran parte dei suoi edifici sono stati abbandonati: oggi sono rimasti circa una cinquantina di occupanti rispetto alle migliaia che in passato abitavano dentro le sue mura. Incredibile pensare che la struttura abbia attraversato i secoli indenne da incendi, triste destino invece toccato a molti altri monasteri più volte ricostruiti nel corso del tempo. Il katholicon, avvolto nell’oscurità, è particolarmente affascinante di notte durante le funzioni. Si respira un’aria medioevale, gli stessi religiosi sembrano stati catapultati dal lontano passato. In una cappella laterale è conservata la tomba di Sant’Atanasio, il fondatore del monastero, attorniata da icone e mura mirabilmente affrescate ed annerite dal fumo delle candele. Il refettorio, con i suoi antichi tavoli di marmo bianco, conserva anch’esso una straordinaria atmosfera di altri tempi. Il minibus attende all’alba per riportare i pellegrini verso Karyes. Lungo la strada, un prete ortodosso a bordo fa fermare il mezzo e ci fa raggiungere a piedi la fonte sacra di Sant’Atanasio, dove sgorga dell’acqua santa che i devoti bevono e credono miracolosa. Karyes sorge sulle alture nel mezzo della penisola e spesso è immersa da una fitta nebbia al mattino. Interessante visitare la cattedrale Protàton ed il vicino Monì Koutloumousiou, dove cortesemente un monaco apre le porte del katholiconper i pochi pellegrini rifugiatisi nell’antistante corridoio coperto al riparo da una pioggia scrosciante. Si torna verso la costa occidentale e al Monì Xiropotamou, costruito a 200 metri sul livello del mare. Rigorosi i controlli all’ingresso per verificare sia la validità del diamonitirionche la prenotazione presso la foresteria. La struttura ha una pianta quadrata ed è stata meticolosamente restaurata, in particolare gli alloggi sono molto puliti e moderni, quasi asettici. Nel katholiconè conservata una preziosa reliquia: trattasi del frammento più grande della croce di Cristo, oggetto di grande venerazione nel corso dei vespri… peccato che ai non ortodossi non sia consentito parteciparvi, oltre ad essere interdetto persino l’accesso alla chiesa. Non è nemmeno consentito condividere i pasti con i monaci nel refettorio, all’uopo è stata organizzata una sala separata. Non essendoci molto da fare a Xiropotamou a causa delle rigide regole, c’è il tempo per una rapida visita del monastero russo di Pantaleimonos, a circa 45 minuti di cammino. Trattasi del complesso monastico più imponente della costa occidentale dalle cupole a cipolla tipiche delle basiliche moscovite o di San Pietroburgo. E’ la destinazione preferita dai pellegrini di nazionalità russa, spesso frequentato da ricchi oligarchi oltre che dallo stesso presidente Putin che è stato ospitato più volte in questo luogo. La chiesa è circondata da edifici robusti e piuttosto moderni, visto che i finanziamenti dalla Grande Madre Russia non sono più venuti a mancare dopo il crollo del comunismo. Non c’è molto tempo da poter trascorrere qui, si deve tornare a Xiropotamou prima che i cancelli vengano chiusi alle 17:30 del nostro orario. Nel complesso, la partecipazione alla vita del monastero in questo caso si è rivelata un po’ deludente, ma forse è stata anche l’occasione giusta per un buon sonno ristoratore dopo due notti d’intensa preghiera (…)

Dopo una lauta colazione, lascio Xiropotamou. Sulla strada principale riesco ad ottenere un passaggio per Karyes e, con un taxi piuttosto costoso, raggiungo nuovamente la costa orientale della penisola ed il Monì Iviron (Monastero dei Georgiani), ultima tappa di questo singolare pellegrinaggio. Iviron è il terzo complesso monastico più antico dell’Athos ed era un tempo abitato da monaci georgiani. Gli antichi greci infatti chiamavano Iberia del Caucaso il territorio corrispondente all’attuale Georgia. Il colpo d’occhio del grande edificio rettangolare è notevole, con le sue alte mura verticali sormontate da piccole cupole, ballatoi e tetti colorati. La torre dell’arsanased altri edifici in prossimità del molo ospitano una segheria, dove viene lavorato ed esportato il legno delle foreste del Sacro Monte. Un sentiero lastricato conduce al monumentale ingresso marmoreo ed al cortile. Sono le 8 del mattino ed è ora di pranzo, perciò vengo invitato a partecipare al pasto prima di essere accolto nella foresteria. Tra quelli visitati, Iviron è il monastero più frequentato e dove ho incontrato maggiori difficoltà per la prenotazione. I pellegrini sono invitati – vista l’alta richiesta – a non soggiornare per più di una notte, regola che viene però applicata anche in tutti gli altri complessi. Saliti due piani di scale di legno, mi viene assegnata una stanza con tre letti ma che occupo singolarmente. La finestra si affaccia sulla grande torre del refettorio. Una piccola cappella custodisce l’icona della Madonna Portaitissa, ritenuta miracolosa. Si narra infatti che tale sacra immagine sia approdata da sola fin qui durante la furia iconoclasta che imperversò nell’impero bizantino nella prima metà dell’ VIII secolo. Nel katholiconè custodita una delle più preziose iconostasi del Sacro Monte. Gli orari delle funzioni del Monì Iviron sono meno proibitivi, iniziando alle 7 di sera fino alle 10:00. La sacra liturgia segue rituali solenni e suggestivi. I celebranti, dagli elaborati paramenti, accendono le candele dei lampadari ed i monaci, suddivisi in due gruppi, compongono due cori dalle voci sublimi. Varie volte nel corso della cerimonia, un religioso fa oscillare un incensiere con un tintinnio dei campanelli che risuona tra gli absidi, girando tra i vari ambienti della chiesa. Al suo passaggio i fedeli si alzano in piedi in rispettoso silenzio. Ed è il rito l’aspetto caratterizzante dell’ortodossia, senza il quale non si ritiene possibile praticare correttamente la fede cristiana e che costituisce forse il motivo più profondo di critica verso il cattolicesimo, ritenuto sempre più secolarizzato e snaturato nella sua identità. Le campane tornano a suonare alle 6 del mattino per richiamare i fedeli alla preghiera, seguita dal pranzo alle 8:00. Vengono fatti entrare prima i pellegrini, poi in processione entrano i monaci cantando, preceduti dall’abate attorniato da due novizi che sorreggono dei candelabri accesi.

Il diamonitirionè ormai scaduto ed è tempo di rientrare nel mondo profano

Tornato al porto di Dafni, il traghetto veloce arriva rapidamente a Ouranoupolis in coincidenza con il pullman per Salonicco. Il capoluogo della Macedonia (che i greci chiamano Tessalonikì) è la seconda città ellenica per dimensioni ed abitanti. Sede di un’importante università, ha una vita notturna molto vivace, visto l’alto numero di giovani studenti. La città era anche il centro più importante dell’impero d’Oriente dopo Costantinopoli. Resti delle massicce mura bizantine sopravvivono nella città alta (eptapirgos) da dove si ammira un bel panorama. In prossimità delle mura, il piccolo Monastero di Vladaton è tra le principali attrazioni per i suoi pregevoli affreschi assieme alla chiesetta di Osios David e la Basilica di San Demetrio.

Salonicco era una città elegante e cosmopolita, abitata da una ricca comunità ebrea sefardita e dignitari ottomani, che vi avevano costruito eleganti residenze in stile francese. Un furioso incendio nel 1917 devastò gran parte del centro storico ed i progetti di ricostruzione affidati ad un architetto francese furono realizzati soltanto in parte. Negli anni ’20 fu creato il boulevard e la piazza Aristotelou, fiancheggiati da eleganti edifici deco’ di ispirazione moresca; purtroppo la restante parte della città ha gravemente risentito della speculazione edilizia nel secondo dopoguerra. Gli scavi hanno riportato alla luce l’antica agorà ed i resti del palazzo di Galerio, imperatore romano a cui fu dedicato il noto arco di trionfo marmoreo e la cosiddetta “rotonda” che avrebbe dovuto ospitarne il mausoleo. La rotonda è oggi un museo con i resti dei mosaici che adornano la cupola e mostre temporanee. Il vicino minareto ricostruito ricorda ai visitatori della sua trasformazione in moschea durante la dominazione ottomana, analogo destino toccato alla bizantina Aya Sophia, per certi versi simile nell’architettura a quella di Istanbul e riconvertita in chiesa dopo la liberazione della città da parte dei greci. Sul lungomare, campeggia la Torre Bianca, simbolo della città e sede al suo interno di una mostra fotografica. In prossimità della Torre, vale la pena di visitare anche il Museo Archeologico e quello Bizantino.

Ad un’ora da Salonicco è possibile raggiungere le rovine di Pella, l’antica capitale della Macedonia di Filippo II e Alessandro il Grande. L’area archeologica è molto estesa, per quanto i resti dell’agorà e delle splendide domus siano ormai piuttosto modesti. Il vicino museo archeologico di Pella conserva i meravigliosi mosaici delle ville, al riparo dalle intemperie e manufatti appartenuti a matrone e soldati macedoni. Straordinario il museo delle tombe reali dell’antica Vergìna, dove sotto un vasto tumulo di terra sono state riscoperte le tombe di Filippo II e del figlio di Alessandro il Grande intatte nei loro corredi funerari. All’interno del tumulo sono mirabilmente esposte nella penombra i ricchi reperti d’oro tra cui urne, armi, diademi e una straordinaria collezione di vasellame d’argento. Si conclude così questo viaggio, dove senz’altro il Monte Athos ha rappresentato la meta più affascinante per i risvolti spirituali oltre che per uno stile di vita dedicato alla preghiera e al silenzio, che segue ritmi antichi e spesso inconcepibili. Un viaggio nell’anima di Bisanzio, ancora viva in questa estremità della Calcidica, dove la storia sembra aver interrotto il suo inesorabile corso.

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monì Iviron - Monte Athos

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