Jazz nel Sud Italia in Vespa
Sarà una lunga notte. Lunga, lunga, lunga. Lunga perché domani, nel primo pomeriggio, inizieremo il nostro nuovo lento viaggio (che coincide con la tanto agognata vacanza)!
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Maglie, mutande, costumi e pantaloncini sono già nei sacchetti sigillati che Giulia mi ha insegnato ad usare in questi anni. Indubbiamente sono comodi. Tutto bello stirato, ordinato e profumato. Ma tanto fra poche ore, so già cosa succederà: diventerà tutto una palla informe e dall’inconfondibile odore di Vespa! Che meraviglia!
Qualche novità per il viaggio: un casco nuovo dal colore spumeggiante per me (il vecchio, purtroppo, non ce la faceva proprio più) e una catenella per legarlo, assieme a quello di Giulia, per avere un po’ più di tranquillità. Ultimi, ma non ultimi, gli occhiali: una recente visita ha mostrato un leggero calo e così ho colto l’occasione di montare delle nuove lenti polarizzate sui miei Echo Frames. Cosa sono? Sono gli occhiali intelligenti di Amazon con Alexa a bordo: potrò così avere le indicazioni, qualora mi servissero, senza neanche tirare fuori il cellulare… Oppure ascoltare musica, quando Giulia non sarà in vena di fare quattro chiacchiere… L’importante è rimanere concentrati e non distrarsi, mai!
Insomma… Sto scrivendo queste cose perché non sto più nella pelle e non so quando e se mi addormenterò! Finalmente si parte, finalmente aria, sole, mare e libertà!
A domani!
Brum brum
20 agosto 2021
Giorno 1 – Partenza da Genova
Siamo a Genova, in attesa dell’imbarco che avverrà (dovrebbe avvenire) a breve. Sono eccitato al punto che ho costretto Giulia a partire intorno alle 14.30, pur avendo l’imbarco alle 19.30. Insomma 5 ore per arrivare a Genova, comprare la focaccia e arrivare al porto non saranno mica tante, no?!
Vespa, con 71.582 km alla partenza, scorrevole e, pur lenta, pronta anche sul passo dei Giovi, affrontato senza alcun problema. Che poi non capisco mai perché per venire a Genova faccio sempre strade diverse. Sempre. Questa città e i suoi dintorni sono un labirinto. E forse per questo adoro Genova, perché ti sorprende sempre, fra panni stesi, grifoni, bandiere doriane e focaccia ovunque.
A proposito di focaccia (che fa rima con Genova), a poco più delle 16 eravamo a Genova (mi sono dovuto scusare per la mia super ansia!) ma, purtroppo, la nostra focacceria preferita era chiusa per ferie. Così, essendo molto in anticipo, iniziamo a girare e ora abbiamo una borsa enorme di focaccia, presa un po’ qui e un po’ là. Fra l’altro una gentile commessa del negozio Le Fornarine, con cui ho chiacchierato delle vacanze, mi ha regalato un bel pezzo di focaccia con le melanzane. “Questa ve la regalo, così quando siete sulla nave mi pensate!”, mi ha detto sorridendo. Come dico spesso, il mondo è molto più bello di quello a cui spesso pensiamo. E per aprire le porte, spesso, basta davvero solo un sorriso.
Speriamo che sia di buon auspicio per il nostro viaggio e, perché no, per la nostra vita. Me la gusterò, alla salute vostra e nostra!
Brum brum
21 agosto 2021
Giorno 2 – Arrivo a Palermo
La nave è finalmente arrivata in quel di Palermo alle ore 18 come previsto. Dico fortunatamente, perché nella cabina l’aria condizionata è rimasta accesa tutta notte e, oltre ad aver sognato Pingu e i suoi amici, ho preso così tanto freddo che durante il giorno siamo stati sul ponte e mi sono ustionato tutto. Pace, sarebbe successo prima o poi… Così ho già la fantastica abbronzatura da vespista, ancora prima di essere sulla strada. Viaggio da record, insomma. Sbarchiamo, carichiamo e facciamo la “tappa” più breve: visto che odio viaggiare col buio (l’impianto elettrico della Vespa non è noto per la sua potenza), avevamo cercato un posto vicinissimo al porto, anche perché conoscevamo già fin troppo bene il traffico, se così vogliamo chiamarlo, di Palermo. Solamente a Casablanca, di cui conservo gelosamente alcuni video che magari un giorno pubblicherò, ho guidato con più difficoltà. Una melma di lamiere, clacson e gas di scarico davvero poco piacevole.
Anni fa, nel nostro tour della Sicilia, proprio qui a Palermo avevamo rischiato la vita almeno 2-3 volte, ma siamo ancora qui a raccontarlo, per cui per ora è ok. In ogni caso, per fare questi 5 km, ci impieghiamo quasi un’ora, fra traffico, svolte mancate, arancini volanti e profumi di panini con la milza.
Dopo, però, è un trionfo di cibo: pane, panelle e crocchè, granita al porto e due bei cannoli per acclimatarsi. Perché qui in Sicilia non mangiare è una bestemmia e stare leggeri un sacrilegio. Quindi ho la pancia che sembro incinto al settimo mese ma va bene così!
Domani ci aspetta, di contro, una delle tappe più lunghe: ma di questo vi racconterò domani!
Brum brum
PS: La foto, fatta nella Vucciria di Palermo, la dedico a tutti quelli che hanno commentato che vorrebbero fare un viaggio in Vespa ma non l’hanno ancora fatto… Avanti! Basta vivere in bianco e nero! Come dicono i Persiana Jones, sognare non costa niente e fa vivere di più!
22 agosto 2021
Giorno 3 – Finally Calabria
Che la giornata sarebbe stata storta, l’abbiamo capito quando stamattina, a colazione, la cameriera aveva le palle girate, con tutti i clienti, compresi noi. Ci leviamo quando Palermo dorme ancora, in quella che è una tranquilla domenica d’agosto. Puntiamo ad est, oggi la super tappa prevista ci deve portare in Calabria, appena oltre lo stretto, a Villa San Giovanni.
Ma la cattive vibrazioni che aveva Giulia su questa tappa, lunga e di domenica appunto, si avverano. A poco più di 100 km da Palermo, la Vespa inizia ad ondeggiare e… abbiamo bucato! In piena salita, nel mezzo del (quasi) nulla, ma fortunatamente in una zona abbastanza comoda per poter sostituire il tutto.
I dadi sono incollati, un po’ per il caldo, un po’ per la ruggine. La chiave del 13 fa fatica e il sole, a picco sulla mia testa, mi fa vedere tutti i santi, oltre a quei che ho invocato in mio soccorso. Dopo litrate di wd40 e sudore, sfilo eroico la ruota e la sostituisco. Ricordo che sull’ET3 la ruota posteriore si sostituisce smontando un pezzo della marmitta. Pace, ormai dobbiamo ballare e si balla.
Tempo prezioso se ne va e la paura che succeda ancora con la ruota di scorta (come mi capitò a Stonehenge tanti anni fa) mi spinge a cercare un modo per sostituire la camera d’aria dallo pneumatico sgonfia. Tutto chiuso, benzinai, autoricambi, cinesi. Niente di niente. Passiamo di fianco ad un campeggio dove sostammo nel nostro giro della Sicilia e… buchiamo. Abbiamo avuto la fortuna di trovare un compressore e un energumeno con un’anguria al posto della pancia che con pietra e martello (giuro, la pietra l’ha usata) mi ha aiutato ad aprire il cerchione e sostituire la camera. Il compressore funzionava maluccio, ma la gomma ci ha portato fino a destinazione.
Viaggiare in Vespa, però, non è da deboli di cuore e a circa 30 km da Messina entriamo in riserva. E da lì, quando la Vespa iniziava già a tossire l’ultima goccia del prezioso intruglio e dopo aver percorso almeno 20 km senza alcun benzinaio all’orizzonte, ecco, finalmente, l’oasi che ha ristorato la Vespa (e salvato la mia serata dagli improperi che mi avrebbe lanciato Giulia).
In tutto questi km di religiosissimo silenzio, quasi a voler tenere la Vespa più leggera per tenere bassi i consumi, ho avuto il “piacere” di rimanere in coda ad un camper che trasportava una PX 150 E di colore azzurrino, con frecce e una scarpetta del cavalletto consumato (tutti questa dettagli a indicare per quanto tempo sono rimasto dietro). Sorpassato per la disperazione un paio di volte ma poi, quando ci siamo fermati, eccolo ancora davanti a noi. Bene, arrivati a Messina, ora di imbarcare sul Caronte, eccoli, ancora. Davanti a noi. Imperterriti. Ebbene, tiro il gas, sorpasso la fila, Giulia porge il biglietto appena fatto al controllore e, ve lo giuro, ci fanno imbarcare come ultimi, lasciando il camper giù e accendendo di fuoco il nostro entusiasmo (che oggi, onestamente, è stato un po’ sotto tono).
E ora, Calabria, a noi!
Brum brum
PS: la Vespa è sul Caronte che ci sta portando in Calabria. Il selfie mostra la nostra gioia (e parzialmente le lacrime di Giulia). La foto alla pompa di benzina, invece, il disprezzo di Giulia nei miei confronti, arrivati all’oasi, per via della mia idiozia e del mio vivere sempre “al pelo”.
23 agosto 2021
Giorno 4 – Aspromonte in piega
I nostri primi 500 km si fermano a Focà di Caulonia, dopo aver da poco superato il Parco Nazionale dell’Aspromonte. Un posto amletico, dove ogni curva, a volte all’ombra da gelare, a volte al sole da bruciare, sembra portarti più distante da dove devi andare.
Nell’Aspromonte, che trovo molto più verde di ciò che immaginavo (a parte, purtroppo, le zone bruciate dagli incendi), ti ci perdi, o almeno, io mi ci perdo, non sapendo più se sto andando a nord, a sud, a ovest o a est. Giulia direbbe che il mio senso dell’orientamento fa schifo, e avrebbe pure ragione, ma qui è una curva dietro l’altra, tanto che ne esci ubriaco. Se non fossimo carichi come dei muli, con tutta probabilità sarebbe anche molto divertente.
Eppure, dopo essere partiti un po’ in ritardo per via dell’intervento del gommista (a cui ho fatto controllare pressione delle gomme, compresa quella di scorta), curva dopo curva, tornante dopo tornante e salita dopo salita (dimenticavo, Nell’Aspromonte non si scende mai, anche se sei in discesa) arriviamo a Gambarie, nel bel mezzo dell’Aspromonte, per fare benzina (avevo il terrore, dopo le scene di ieri, di rimanere a secco ed essere divorato dalla numerosa fauna locale). A Gambarie abbiamo l’impressione di essere in un paese di montagna, con tanto di banchetti di prodotti tipici, giostre per bambini e aree Pic nic. Chi pensa che la Calabria sia solo mare, qui rimane a bocca aperta. E io ci sono rimasto. Le curve ci portano poi nel bellissimo borgo di Gerace, dove un pasto “leggero” fa da preludio ad una bella rotolata nel centro. Scopriamo un negozietto dove ci viene offerto un fantastico vino passito che sa di bergamotto (incredibile!) pur non contenendone neanche un po’ e una crema alla liquirizia e cacao. Basta fare passare l’uva vendemmiata nelle ceste con cui raccolgono i bergamotti per conferire quel profumo e aroma particolarissimo. Per i curiosi, Cantina Jelasi Antonio, greco di bianco. Consigliato 100%. La gente, qui, è molto ospitale ed è molto bello sia così. Il borgo ha una magnifica vista su Locri e tutta la costa Jonica in cui ci tufferrmo di lì a poco prima di raggiungere il nostro b&b.
Questo ultimo pezzo di strada, ahimè, non era il massimo (video nei commenti), ma il posto è davvero molto ma molto bello. E poi, stasera, abbiamo prenotato un posto che a piedi dista 3 minuti e che promette cucina tipica calabrese. Se il buongiorno si vede dalla nduja di oggi a pranzo, ne mangeremo delle belle!
Brum brum
Foto: la Vespa nei boschi dell’Aspromonte, la vista dal castello normanno di Gerace e la pasta con la nduja e la stracciatella, patrimonio dell’umanità.
24 agosto 2021
Giorno 5 – Le bollenti spiagge calabresi
Ieri sera, a Focà, il ristorante in cui abbiamo mangiato ci ha fatto letteralmente rotolare: un piatto di antipasti calabresi, comprensivo di “melanzani mbuttunati” (mi perdonino i calabresi DOC per la scrittura sicuramente errata) ci ha portato in paradiso per poi farci accompagnare direttamente da San Pietro con una grigliata di carne da leccarsi i baffi. Il piccante, in Calabria, non è solo peperoncino: è un modo di essere. Qui è tutto piccante, dalla salsiccia alla salsa rosa (provata), dall’insalata (provata, con cipolle crude e peperoncini sbriciolati) all’amaro (stanno pubblicizzando una versione speciale dell’amaro del capo piccante, ma non l’abbiamo ancora provato).
Il nostro spirito libero, nel rientrare al nostro alloggio dopo cena, ci ha spinto a raccogliere alcuni fichi per colazione che ci siamo pappati freschi al risveglio, spalmati – visto il loro stato di maturazione perfetta – sulle fette biscottate. Un caffè, un tè e siamo in sella per una giornata di mare. A dire il vero ho bevuto anche del Ginger frizzante (in casa non c’era un succo) per finire di digerire la cena, ma questo è un dettaglio che penso avreste evitato volentieri.
Maciniamo un totale di 100-110 km in scioltezza, fermandoci in un paio di spiagge che ci avevano incuriosito cercando online: la spiaggia di Badolato Marina e quella di Caminia, poco dopo Soverato (che fa rima con peperoncino).
La spiaggia di Badolato, il cui nome richiama alla mia memoria il concerto dei Black Sausizza a cui partecipo Pino dei Palazzi (interpretato a Zelig da Giancarlo Kalabrugovic – Pino dei Palazzi), è molto carina, poco affollata e con un mare cristallino. Questa Calabria la conoscono ancora in pochi, secondo me, e seppur magari manchi qualche servizio in alcuni stabilimenti rispetto a tante altre località decisamente più conosciute, si sta davvero da re.
Il sole ci schiaffeggia duro, qui non si scherza affatto e mi spalmo la crema solo dove sono già abbronzato per cercare di fare andare via i segni da vespista. Non ci riuscirò mai.
Intorno all’ora di pranzo arriviamo alla carinissima Caminia, tuffo nell’acqua trasparente, un po’ di snorkeling con la maschera (c’è stata pure quella nei bagagli!) e pranzo, rigorosamente light per cercare di sistemare la coscienza per via della cena pantagruelica di ieri. Impossibile stare al sole, a meno che tu non sia uno del posto: qui appena esci, senti dei cazzotti che ti spaccano in due.
Puntiamo verso la nostra destinazione, Capo Rizzuto, fermandoci a Le Castella (non riuscirò mai a ricordare il nome esatto, perché lo sbaglio sempre con “Il castello”, “Le Castelle”, “La Castella” e ogni possibile altra variante, infatti l’ho sbagliato anche qui e ho dovuto correggere!). Qui c’è una spiaggia che è incastonata in un golfo panoramico con un castello aragonese a fare da scenografia pazzesca. Siamo esausti dal caldo per cui ci accontentiamo di qualche foto e di metter i piedi, che sembrano ormai salsicce al finocchietto, a bagno.
La doccia in camera ci ha levato di dosso il sale dello Jonio che è il primo dei tre mari in cui dovremmo immergerci in questo tour. Il mare è fantastico, perché oltre a permettermi di orientarmi facilmente e a curarmi le ferite (in particolare quelle che mi sono procurato sulla mano cambiando la ruota l’altro ieri), cura anche l’anima.
E oggi, mentre galleggiavo a pancia in su, con Giulia affianco che cercava i pesci e la Vespa che ci guardava dal lungomare, ho pensato che non mi servisse altro, niente di più, niente di meno. E ho sorriso, da dentro il cuore.
Brum brum
25 agosto 2021
Giorno 6 – Amarelli e amarcord
Per far stare tutto nei programmi, oggi avevamo pianificato una super tappa da circa 200 km per arrivare fino al confine fra Calabria e Basilicata. La sveglia è suonata presto e ha messo fine ad una notte difficile: la casa in cui soggiornavamo non aveva aria condizionata ma solo un ventilatore che faceva un casino enorme, tanto da spingermi a pensare di essere ancora sulla Vespa e, visto il luogo, sulla Salerno – Reggio Calabria. Non c’erano ne tapparelle, né persiane e neppure tende spesse. Alle 5 di mattina c’era già il sole che cercava, con parziale successo, di tirarci giù dal letto. Se a questo, infine, aggiungiamo che provenivamo da una cena sontuosa di pesce innaffiata da vino e amari, beh, l’insonnia è servita. Fra l’altro, nota a margine, ho mangiato i gamberoni più buoni della mia vita.
Ci leviamo comunque presto ma non prestissimo, facendo colazione con ciò che il padrone di casa ci aveva lasciato a disposizione: due fette biscottate, due monodosi di marmellata e due di Nutella. In questi ultimi abbiamo sversato un pacchetto di cracker che avevamo ancora dal viaggio in nave e che nel frattempo era praticamente diventato una poltiglia informe. Siamo un po’ più leggeri (forse).
Puntiamo secchi a nord, fendendo con difficoltà l’aria che ci rendeva ancora più lenti e goffi, per raggiungere Cirò Marina, la città del vino, dove degustiamo – intorno alle 11 – cinque buoni bicchieri di vino a stomaco vuoto, gentilmente offerti dalla Tenuta Iuzzolini. I vini non sono affatto male, ma ci aprono una voragine che plachiamo frettolosamente in un alimentari: un panino con capocollo e scamorza (per me), due focaccette con la sardella (una pasta di pesciolini e/o sarde piccante, davvero deliziosa, per Giulia) e un pezzo di schiacciata salata a 5 euro. Fantastico.
Da lì, dopo aver spinto tutto giù con un caffè, continuiamo verso Rossano, dove visitiamo il negozio della Amarelli Fabbrica di Liquirizia. Purtroppo, pur avendo chiesto mesi fa, per ragioni di orario non siamo riusciti a visitare il museo, ma compriamo un po’ di liquirizia che ci mangiamo come due bambini proprio lì fuori.
Pieno di benzina (2,5 litri) e si riparte verso Sibari e i suoi laghi, dove quasi 20 anni fa lavorai come animatore. Momento amarcord con magone. È stato commovente per tanti versi, perché fu una esperienza decisiva nella mia vita, perché conobbi tante persone con cui sono in contatto ancora oggi e anche perché, se è vero che sono ancora giovane, è pur vero che 20 anni fa lo ero di più. Ma matto, direi, che lo sono rimasto uguale.
Tempo di fare asciugare le lacrime che l’anima aveva versato, per ripartire e affrontare gli ultimi 50 km. Penso che ormai sia fatta ma la Calabria, da cui domani prenderemo un po’ di pausa, non smette di stupirci: a 10 km dall’arrivo una interruzione ci obbliga a fare un giro nel Parco Nazionale del Pollino, arrivando fino a quasi 1000 metri di altitudine con durissime salite (alcune impossibili se non in prima), passando per Nocara e Canna, fino a tuonare alla nostra destinazione, il bellissimo borgo di Rocca Imperiale, a poco più di 200 metri.
35 km di salite, monti e viste mozzafiato. Non si direbbe che siamo in Calabria. Peccato solo che mentalmente non fossimo pronti e, almeno personalmente, il sedere cominciava a fare davvero male. Video nei commenti.
Ora siamo qui, con una vista pazzesca sul mare e sui monti, siamo a pezzi, un po’ come la liquirizia, e ci prepariamo per la cena, che si preannuncia di sicuro non light. Che cosa chiedere di più, quindi, alla Calabria? Per ora, niente. Ma il nostro di domani non è un addio, ma soltanto un arrivederci: a Palermo, per tornare a casa, in qualche modo dovremo pur tornare, no?
Brum brum
Foto: la Vespa davanti al castello di Rocca Imperiale, nelle vigne di Cirò Marina, Giulia che addenta la sardella e noi davanti alla fabbrica Amarelli
26 agosto 2021
Giorno 7 – Vespa bagnata, vespa fortunata
L’ingresso in Rocca Imperiale, ieri nel tardo pomeriggio, ha avuto un che di rocambolesco: arrivati nel borgo, infatti, mi sono infrattato, con Giulia che mi seguiva a piedi, nei viottoli lastricati, avendo il terrore di ribaltarmi a ogni discesa. “Pensa quando piove – mi dice Giulia – Qui gli anziani non possono viverci!”. Effettivamente le strade del borgo, che è veramente molto molto bello, sono davvero ripide e lisce, facendo correre il rischio di cadere a ogni passo.
Detto questo, stamattina ci alziamo e troviamo il paese completamente lavato: nella notte, infatti, aveva piovuto e… Le previsioni non davano grande miglioramenti. Cogliamo l’occasione per rimanere fermi e andare a visitare il castello, con una vista ancora più mozzafiato sul mar Jonio. Peccato solo per la foschia, perché dicevano che avremmo visto il golfo di Taranto. La visita guidata prevedeva anche un giro per il borgo che però è stato annullato per via della pioggia, perché considerato troppo rischioso.
Conclusa la visita, prima di partire e caricare, sposto la Vespa, infrattandomi ancora nei vicoletti super scivolosi per la pioggia. Ma da scarichi si va meglio e, poco dopo, con zaini caricati e abbigliamento cerato anti pioggia, partiamo in direzione Matera.
La strada statale jonica diventa percorribile solo dai 150 cc in su (noi ci muoviamo con un 125), ma dopo aver cercato percorsi alternativi senza successo, con l’ansia di trovare pioggia lungo il percorso, tiriamo dritti e veloci, sperando che tutto andasse bene. Così è stato, per nostra fortuna, e intorno alle 14 siamo a Matera, dopo poco più di 80km di marcia serratissima, con un sole splendido e pronti per girare con tutta la calma del caso.
La città è veramente un gioiello ed è, a mio avviso, da visitare almeno una volta nella vita. Pensare che qui, non più tardi di 70 anni fa, si viveva nei famosi “sassi” composti da due stanze, di cui una un “open space” con cucina, camera da letto e “bagno” e l’altra la stalla per gli animali, fa veramente strabuzzare gli occhi. Eppure la gente ci ha vissuto e, forse, per certi aspetti erano anche più contenti di noi, che abbiamo tutto e forse anche troppo.
E se la bellezza fosse veramente solo nella semplicità? Se il lusso fosse quello di accontentarsi di ciò si ha, senza bramare di possedere sempre di più? Io le risposte a queste domande non le ho e non so se le avrò mai, ma guardando i sassi dai belvedere di Matera sono convinto che qualcosa ci sfugga, perché siamo troppo concentrati a guardare in un punto distante nel tempo, ignorando completamente cosa abbiamo sotto gli occhi.
E allora, direttamente dai sassi, buona visione di Matera a tutti.
Brum brum
PS: ora sta diluviando, noi siamo all’asciutto ma la Vespa no. Spero di andarla a spostare appena si placherà un po’ questo meteo infame.
Foto: i sassi di Matera, la casa museo che mostra la camera tipica dell’epoca e la colazione umida in Rocca Imperiale, sulla nostra bellissima balconata.
27 agosto 2021
Giorno 8 – La felicità è un pezzo di pane
La serata a Matera è iniziata col piede giusto. Il posto dove abbiamo soggiornato, in pieno centro, era di proprietà dei gestori di un american bar, MoMAng , il cui barman ci ha offerto un cocktail di benvenuto speciale, uno spritz al rosmarino per me e uno alla violetta per Giulia. Non avrei mai potuto fermarmi così, appassionato così come sono di Negroni: ne ho quindi ordinato uno, al timo, davvero speciale che però ha fatto arrivare me e Giulia in modalità “Torre di Pisa” al ristorante.
Fra l’altro il diluvio che si è abbattuto su Matera ci ha costretto ad andare vestiti con la tuta cerata ed il sottoscritto con il casco in testa, perché non avevamo ombrelli e la mia giacca non aveva cappuccio… Insomma, facevo ridere, ma i fumi dell’alcool hanno completamente abbattuto la mia soglia del pudore.
Questa mattina, invece, splendeva il sole e abbiamo avuto il piacere di conoscere Gabriele, un nostro follower, che da materano DOC ha voluto offrirci a tutti i costi un caffè e una spremuta e… non solo! Si è presentato al punto di incontro con una pagnotta tipica materana, già affettata e pronta per essere farcita con qualunque cosa (o mangiata così, perché no!). Quattro chiacchiere amabilissime, del più e del meno, dei viaggi e delle Vespe e, dopo poco, siamo in marcia verso la Puglia.
Nel tragitto ho pensato tanto al gesto di Gabriele e al suo pane, un prodotto semplice ma che implica affetto, ospitalità e casa. Il gesto mi ha colpito al cuore perché semplice, diretto e potente al tempo stesso. Devo ricordarmene più spesso, perché la felicità è anche in un semplice pezzo di pane, meglio se condiviso, anche con sconosciuti perché no.
In poco tempo il paesaggio cambia forma e tutto intorno a noi iniziano a intravedersi i tipici muretti a secco e gli uliveti della Puglia. Al primo complesso di trulli, Giulia urla felice come una bambina. È la sua prima volta ed è obbligatorio fermarsi per una foto. Che bella la libertà dei movimenti con la Vespa! Lenti, dove puoi assaporare tutto (e una pausa fa sempre bene al sedere dolorante).
Un pranzo rapido su una scalinata con una tipica focaccia barese coi pomodorini e la bianca Ostuni ci accoglie, col sole a renderla quasi abbagliante.
Stasera e domani soggiorneremo qui, andando a scoprire un po’ delle bellezze locali e, possibilmente, andando a pucciarci nel mare Adriatico, il secondo del nostro pazzo tour del Sud Italia. Siamo a 1100 km e il nostro cuore è leggero, anzi leggerissimo.
Brum brum
28 agosto 2021
Giorno 9 – Verde, bianco e blu
Se è vero che nella vita non ci sono certezze, è pur vero che ci sono tante opportunità e, a volte, basta decidere di concedersene una ogni tanto. Il resto, poi, lo farà il destino. Un po’ come ieri sera, in una Ostuni invasa dalla gente, dove Giulia ed io abbiamo fatto un colpo grosso: dovete sapere che Giulia desiderava andare in un posto, qui ad Ostuni, super frequentato, instagrammato, turistico. Una meta ambitissima da tutti i turisti, una location pazzesca nel pieno centro, con vista sul mare e sul sole che ci si tuffa dentro, dove la prenotazione non è ammessa ed esiste solo una lista con tempi di attesa di ore per potersi sedere.
Ci presentiamo fiduciosi attorno alle 19.30 e, ovviamente, è già stracolmo di gente: mi metto in lista col nome Marco e mi preannunciano che l’attesa sarà di circa un’ora e mezza. Giulia vacilla. Ingaggio una discussione dicendole che le occasioni non bisogna mai lasciarle sfuggire e che siamo qui e ora e dobbiamo solo aver pazienza e aspettare, il nostro turno arriverà. Giulia, invece, vorrebbe spostarsi altrove, forse anche per non causare problemi alla mia pancia che, purtroppo, si lamenta spesso. Insomma, in una ventina di minuti di battibecco in cui entrambi abbiamo vacillato parecchio, riesco a convincerla che, se era davvero un suo desiderio, attendere ancora un’ora non sarebbe stato un grosso problema, ma che avrei voluto rimanere nei pressi per evitare di perdere la priorità acquisita, come ci ricordava la voce Telecom qualche anno fa.
Ritorniamo e, udite udite, sentiamo “Marco, per 2!”. Sono incredulo, è impossibile che sia già il nostro turno. Scatto felino e: “Sono io!”. Il buttafuori mi guarda un po’ stranito perché deve aver visto il mio occhio pazzo e consulta lentamente il suo taccuino. Nel mentre la vita mi scorre davanti: già mi immaginavo l’altro Marco, magari sudato e trafelato, che si era perso nei vicoli di Ostuni, con la fidanzata urlante e incazzata al seguito, che avrebbe dovuto convincere il buttafuori e soprattutto me, che fosse il loro turno anziché il nostro. Fase di tensione acuta con apparente calma malcelata per non destare ulteriori sospetti e il buttafuori dice “Sì, siete voi, non ho altri Marco in coda”. Incredibile, seppur sia ancora sicuro che non fosse il nostro turno. In poco meno di mezz’ora siamo seduti con il nostro tagliere pugliese e il nostro calice di vino a brindare alla vita, ai desideri e alle occasioni che passano e non tornano più. L’altro Marco, comunque, non l’ho visto. Magari si è pure lasciato con la fidanzata dopo questa storia. Calici in alto anche per te, amico omonimo!
Passata la fortunata serata, stamattina ci alziamo per viaggiare – per una volta scarichi – nei dintorni. Una 70ina di km lenti, passando per Polignano a Mare e Monopoli (anche se Bastioni Gran Sasso non l’ho trovata). Prima però ci fermiamo vicino a Fasano presso l’azienda Extravergine Savoia e, accompagnati da Rosaria e Giorgio, gentilissimi ospiti, abbiamo avuto modo di visitare l’antico frantoio ipogeo e il moderno impianto di produzione. Non solo: l’assaggio degli olii (sì, abbiamo davvero bevuto olio!) ci ha permesso di percepire le enormi differenze non solo tra olii di basso livello da quelli di alto, ma anche tra olii extravergini! Consiglio a tutti, se siete in zona, una visita. Sarà nostra premura ordinare un po’ di olio buono al rientro perché in Vespa ci sta solo giusto quello per la miscela!
Concludendo, se dovessi disegnare una bandiera della Puglia, sarebbe certamente verde, bianca e blu. Il verde perché ricorderebbe il verde degli uliveti e delle olive che, qui, sono una costante e attraversarli in Vespa è una benedizione per lo spirito (video nei commenti). Il bianco di Ostuni e dei suoi intricatissimi vicoli oppure della stracciatella, sapientemente abbinata col polpo che abbiamo gustato a pranzo, invece, sarebbe il giusto intermezzo al profondo blu del mare miscelato con l’azzurro del cielo, un po’ come abbiamo avuto il piacere di gustarci oggi a Polignano.
Insomma: Puglia, sei davvero tanto bella!
Brum brum
Foto: la Vespa nel blu di Polignano, noi nel locale di ieri sera a Ostuni, nel posto di Marco, gli assaggi di olio di oggi, i nostri panini al polpo e tonno a Polignano e un meraviglioso scorcio di Polignano, aggrappata ad una roccia sul mare.
29 agosto 2021
Giorno 10 – Trullallero lalla là
Oggi ci siamo mossi di poco, anche perché ieri sera, a Ostuni, abbiamo incontrato Gianni e la sua fidanzata e abbiamo fatto le ore piccole. Gianni è un ragazzo che ha lavorato nell’agriturismo di famiglia (ora in gestione, Agriturismo Suri) quando aveva appena 17 anni. Ci ha fatto piacere incontrarlo anche perché ha sempre nutrito dubbi sulla mia Vespa e gli avevo promesso che, un giorno, sarei andato a trovarlo.
Oggi una mini tappa da un 60 di km, per ricaricare le pile e prepararsi ai tapponi dei prossimi giorni. Ci siamo fermati a Cisternino, un carinissimo paesino a pochi km da Ostuni, Locorotondo e ad Alberobello, famosa in tutto il mondo per i suoi trulli (di cui, però, è piena zeppa tutta la Valle d’Itria).
A Cisternino ci siamo fermati anche perché è stato l’unico e dico l’unico comune a rispondere alle mie email di richiesta informazioni prima di partire (mesi prima di partire). Purtroppo poi queste inefficienze pubbliche le pagano tutti: albergatori, ristoratori, commercianti. In un periodo come questo, dove molti italiani sono tornati a scoprire l’Italia, ci si auspicherebbe di più da chi dovrebbe promuovere il proprio territorio. Cisternino, all’ingresso, si dichiara “comune slow” e quindi non mi stupisco che abbiano risposto alla nostra richiesta. E meno male! Il paese vale davvero la pena di una visita e sembra esser molto vivo, con tante attività in giro per i vicoli e le vie.
Un caffè leccese (con latte di mandorla e ghiaccio, da provare!) e poco dopo siamo a Locorotondo, centro altrettanto bello, con tanti negozietti dove Giulia si fionda a cercare qualche souvenir con cui decorare casa.
L’ora di pranzo si avvicina e siamo a un tiro di schioppo da Alberobello, che raggiungiamo in pochissimo. Ahimè devo dire che l’esperienza non è stata molto piacevole, non di certo per i bellissimi trulli, quanto per la ressa, perlopiù cafona e maleducata, che ha inondato le piccolissime vie della zona dei trulli monumentali.
Bimbi urlanti devastati dal chiasso, fischietti suonati ininterrottamente, pianti, cani che guaivano e cercavano disperatamente ombra e acqua. La calca che si ammucchiava per la foto più bella, bloccando il flusso e facendo così aumentare rumori, lamentele e pianti. Insomma, un vero inferno! I locali, poi, presi d’assalto e francamente anche poco interessanti per noi che siamo alla ricerca di qualcosa di tipico e non turistico.
Insomma, usciamo dal centro e troviamo una griglieria che ci fa accomodare cucinando al momento (sul fornello, come dicono qui) delle deliziose bombette e un pezzo di zampina (la nostra salsiccia). Non potevamo veramente chiedere niente di meglio alla giornata, anche perché ieri si prevedeva pioggia che invece ci è fortunatamente stata risparmiata.
Eppure, la fortuna ci ha baciato ancora e, all’arrivo presso il posto dove avevamo prenotato la notte (una camera matrimoniale normale) ci viene detto che, purtroppo, erano tutte andate esaurite, ma… come soluzione ci offrivano la loro suite, una fantastica stanza nel trullo!
Avremmo mai potuto rifiutare? Ovviamente no e così, ora, siamo qui in attesa della sera, godendoci questo splendido spazio e assaporando il tempo che scorre lento come i nostri km.
Da domani, però, si torna a fare sul serio. Punteremo ad ovest e lasceremo la Puglia, salutandola definitivamente con un po’ di malinconia.
È quasi ora di invertire la marcia e ripuntare verso Palermo. La Vespa è in ottima forma, io un po’ meno perché i km iniziano a pesare, ma sono sicuro che la cena di stasera mi darà motivazioni più che interessanti per proseguire.
Brum brum
30 agosto 2021
Giorno 11 – La libertà profuma di mortadella e stracciatella
Trascorsa una tranquillissima la notte nel “nostro” trullo, dopo aver fatto cena con un piatto di strascinate alle cime di rapa, cosparse di pangrattato come se piovesse, facciamo colazione e carichiamo la Vespa.
I gentili padroni del B&B in cui abbiamo soggiornato, infatti, ci tenevano ad avere una foto con noi (vespe da viaggio, effettivamente, se ne vedono poche!) e, assieme ad un gruppetto di ospiti, stupiti anche loro dal nostro viaggio, ci interrogano ponendoci le domande più comuni: come fate coi bagagli, come fa Giulia a sopportare tutto questo, quanti km al giorno fate, la Vespa è preparata o originale, ma il sedere non vi fa male… insomma le solite cose che chi non viaggia in questo modo è curioso di conoscere. Finché si arriva a parlare, come sempre, della libertà, di quanto sia bello muoversi così, nell’immaginario degli altri, e di quante cose si possano fare, vedere e respirare…
E allora, mentre macinavamo i nostri 150 km dalla Puglia alla Basilicata con destinazione Potenza, ho pensato tanto alla libertà e al significato che acquisisce, per me, viaggiando in Vespa.
Mi sono venuti in mente i momenti di viaggio più belli, le spiagge, le montagne, i cibi scoperti per caso dietro ad una curva. E poi ho avuto una folgorazione, nella prima sosta di oggi ad Altamura. Giulia ha scovato un forno storico dove abbiamo acquistato il famoso pane e un paio di golosità ripiene. Ecco, mentre addentavo con le mani unte e calde dell’olio una di quelle meraviglie gastronomiche, col sole che ci scaldava, nella piazza centrale con il Duomo davanti a noi, proprio in quel momento ho capito cosa significa libertà nei nostri viaggi.
Libertà anche di cambiare i programmi, fermandosi in un borgo interessante come Gravina, perché è di strada e perché la gente del posto lo consigliano.
Libertà di fare le salite micidiali al 12%, in seconda, per raggiungere e superare le vette che cullano Potenza (qui siamo a quasi 1000 metri, è il secondo capoluogo di provincia più alto d’Italia, dopo Enna!), ridendo come due scemi dell’assurdità della situazione in cui ci troviamo, con le auto che ci sorpassano a volte guardandoci perplessi, a volte divertiti, a volte increduli. Libertà di fermarsi, mettersi la felpa, guardarsi negli occhi, farsi una foto e poi baciarsi, come se fosse la prima volta. E sentire il cuore scoppiare perché in quel momento, nel nulla della campagna della Basilicata, con un mezzo minuscolo e assolutamente non studiato per un giro così e con Giulia sorridente ed infreddolita, ho capito che ho tutto, compresa la libertà di fermarmi e godermi anche quel nulla più assoluto.
E allora la libertà sa della focaccia con mortadella e stracciatella di Altamura e ha i colori gialli e neri dei panorami di questa terra e ha il calore della felpa che metti, dopo l’ennesima estenuante salita che ti porta lassù, nel nulla che diventa il tutto.
Brum brum
31 agosto 2021
Giorno 12 – La Vespa si è fermata (quasi) a Eboli
La serata nella fredda Potenza finisce in fretta: il tempo di gustare una ottima cena in un ristorante che ha scovato Giulia e degustare l’ottimo peperone crusco ed è già ora di ripartire.
La sosta a Potenza era pressoché obbligata dato che dalla Puglia, per arrivare in Campania a Sorrento, dove ci troviamo ora, bisogna scavallare gli Appennini e, la Vespa, non è nota per andare rapida in salita. Sapevamo anche che oggi sarebbe stata una lunga tappa da quasi 200 km per salutare, non definitivamente, la Basilicata e raggiungere la Costiera Amalfitana. Insomma, una di quelle giornate dove bisogna averne davvero tenta di voglia per svegliarsi e partire.
Partiamo quindi di buona lena, con una mediocre colazione in un anonimo bar del centro, cercando di tirare dritto il più possibile. In queste strade, dicevo a Giulia, mi ci ero perso col Pede nel mio primo viaggio in Vespa in giro per l’Italia a 21 anni. Uscire da Potenza è come riuscire a scappare dal labirinto del Minotauro, imboccare la strada giusta è praticamente impossibile. Allora avevo solo lo stradario e la lingua di chiedere ai passanti. Oggi, anche col navigatore, ho fatto fatica. In ogni caso, dopo qualche giro, senza aver ben capito quale, siamo usciti e abbiamo imboccato la strada verso Ovest… Peccato che questa salisse veramente tanto e la Vespa abbia davvero faticato non poco, regalandoci attimi di pura tensione ed adrenalina appena varcato il confine con la Campania, a pochi km da Eboli.
Imbocchiamo, infatti, una galleria completamente al buio di oltre 2 km. Una galleria imbarazzante, per l’anno in cui ci troviamo. Buio nero. Il mio cuore inizia a pulsare forte perché odio il buio e gli occhiali con le lenti polarizzate fanno fatica a reagire. Non so più a che velocità stiamo andando, il buio è molto più che pesto e ho il terrore che non ci vedano e, per cui prego che la galleria finisca in fretta quando… buuuum buuum buum bum la Vespa si spegne di colpo. Tiro la frizione e, trovandoci fortunatamente a pochi metri dall’uscita della galleria, faccio saltare Giulia sul marciapiede di sicurezza, spingendo la Vespa esanime verso la luce. Avevo il cuore in gola per diverse ragioni: la prima è perché ci trovavamo nel nulla, la seconda è perché era comunque una situazione pericolosa, la terza perché mi immaginavo già al termine del viaggio, senza aver raggiunto la costiera. Non so cosa sarebbe successo se questo fosse capitato 500 metri prima. Non voglio pensarci.
Una scena analoga capitò a me e Giulia nel nostro pazzo viaggio in Marocco, sempre in Vespa, fra Marrakech e Casablanca. Si dice che le cose ci facciano paura perché non le conosciamo ed effettivamente questa volta, pur essendo la seconda, ero “solo” terrorizzato. Ho tirato la Vespa sul cavalletto, ho aperto il vano lato motore per cercare di farla raffreddare in fretta e ho sperato. Ho sperato tanto, come credo che abbia fatto anche Giulia. Sono stati minuti abbastanza interminabili, finché, un 5 minuti dopo, tiro un colpo alla pedivella e la Vespa riparte, carica, come se nulla fosse stato. Incredulo, esattamente come su quella polverosa strada di Marrakech, ostento sicurezza con Giulia che sa perfettamente che questo è stato solo culo, l’ennesimo colpo di fortuna sfrontata. Ma la fortuna dicono che sia degli audaci, per cui, facendo finta di nulla, in rigoroso silenzio scaramantico, ripartiamo mollemente e poco dopo siamo ad Eboli, dove si fermò Cristo e con lui, noi.
Di sicuro ricorderò per sempre Eboli e la sua benzina a 1.90 € al litro, ma è stato il pieno più spensierato della mia vita. Una pipì lungo la strada, per poi sostare a pranzo a Pontecagnano, ingurgitando frutta come se non ci fosse un domani. Non c’è tempo da perdere.
Superata Salerno, addobbata a festa per la recente promozione della sua squadra in serie A, entriamo finalmente sulla Statale 163, una leggenda per le moto e per i vespisti. Qui si è nel paradiso delle curve a strapiombo sul mare e, anche se Giulia mi maledice, trovo che sia il posto più bello del mondo. Un vero paradiso, tra una curva e l’altra, dal nome di Maiori, Minori, Amalfi, Positano… Posti incredibili che ci fermiamo a gustare appieno, perché da qualche parte abbiamo pure bisogno di riprenderci, no? Me ne ero innamorato col Pede, sempre in quel pazzo giro, e devo dire che il cuore mi batte ancora tanto forte da queste parti.
A Minori, però, un signore un po’ instabile mentalmente mi lancia un malocchio, facendomi le corna. Vista la giornata e visto quel gesto, io e Giulia non ce l’abbiamo fatta e ci siamo regalati un cornetto portafortuna. Ne avevamo bisogno.
Insomma, dopo imprevisti, curve, salite e discese, gallerie buie e cuori pronti all’esplosione, alla fine, a Sorrento, ci siamo arrivati, seppur rallentati dal traffico pesantissimo, ci siamo docciati e abbiamo cenato.
Domani è un altro giorno. Qualcosa dovrà pur succedere, no? Per ora ci godiamo il limoncello e tiriamo un sospiro di sollievo!
Brum brum
1 settembre 2021
Giorno 13 – Nel Cilento vado lento, Giulia spinge e son contento
Non si poteva lasciare Sorrento senza aver gustato un delizioso piatto di gnocchi, alla sorrentina ovviamente, e senza aver fatto una spettacolare colazione con uno squisito caffè (ah che bono o’ cafè, solo a Surrient lo sann fa) accompagnato da sfogliatella e pastiera, entrambe di pasticceria.
Io e Giulia amiamo questa zona, forse anche perché Napoli è stata la prima città che abbiamo visitato assieme (non in Vespa!). A proposito, proprio durante quella vacanza, raggiungemmo Sorrento, in cui ero già stato, e tentai di tutto per affittare un motorino. Come ho già scritto sono stregato da queste strade e volevo che anche Giulia provasse questa esperienza. Non fu possibile per diverse ragioni, ma le promisi che un giorno l’avrei portata. E nel momento in cui le feci quella promessa, le scattai una foto, proprio dove ieri siamo arrivati, in sella e con disegnato in faccia un sorriso, mezzo ghigno, che sapeva di promessa mantenuta.
Ci siamo alzati presto perché Giulia, come suo solito, aveva trovato un caseificio in cui si potevano effettuare visite guidate e assaggi. Purtroppo la strada da Sorrento a Pontecagnano, dove aveva sede l’azienda, era decisamente troppo trafficata e nonostante la sveglia prima del solito e i miei slalom nel traffico “alla campana”, siamo arrivati troppo tardi per vedere la produzione della famigerata mozzarella di bufala campana DOP. Peccato davvero, ma non ci siamo persi il bel tour tenuto dal proprietario dell’azienda, Taverna Penta – Caseificio e Yogurteria , che, fra storie, documenti e visita alle stalle dove le bufale si godevano l’ombra, ci ha raccontato di tutto e di più su questo gustosissimo prodotto. La mozzarella di bufala DOP è prodotta esclusivamente in queste zone e, dalla mungitura alla produzione, passano pochissime ore (meno di 6-7). E questa freschezza la si è sentita tutta, nella ricotta, nella mozzarella, nello yogurt e nel gelato che abbiamo assaporato dopo la visita. Davvero squisiti!
Con la pancia piena, abbiamo proseguito il nostro lento ritorno verso sud, fermandoci per una incandescente visita presso il Parco Archeologico Paestum , davvero molto bello, ampio, ben curato e presentato. E così, fra antiche case, forum, anfiteatri e splendidi templi, siamo rimasti a bocca aperta di fronte a tutto questo lusso culturale, oltre che gastronomico, che abbiamo nel nostro Paese.
Cotti a puntino dal sole a picco sulla antica città, affrontiamo gli ultimi 40 dei 140 km percorsi nella tappa di oggi. Peccato che un bel pezzo di strada sia riservata ai veicoli da 150 cc in su e così, ci arrampichiamo sui monti cilentani. Salite mostruose costringono Giulia a scendere per poter permettere la marcia. Vi giuro che salite così non le ho mai viste. E pensare che il cartello diceva 8% di pendenza. Non ci credo manco morto, sarà stato almeno 15%. Veramente impossibili da affrontare, in due, carichi così. Fatte in prima, senza Giulia a bordo e con la Vespa che urlava pietà e pretendeva che la vendessi. Insomma, questi ultimi km ce li siamo sudati molto e il sudore già da Paestum era finito, per cui siamo arrivati sfiancati ma felici a Casal Velino, nell’Agriturismo Il Pozzo, dove una bellissima piscina ci aspettava per un bagno rigenerante.
E mentre sguazzavo nell’acqua, con un sole incandescente seppur ormai pronto ad andarsene a riposare pure lui, con la pace che questo posto con questi monti è capace di regalare, un leggero senso di malinconia mi ha sfiorato. Perché il nostro viaggio, che si è mostrato, almeno per il momento, molto più avventuroso di ciò che pensassi, sta per finire. E se è vero che partire un po’ è come morire, sono convinto che tornare, però, faccia ancora più incazzare. Ma bisogna anche ricordarsi che le cose belle durano sempre (troppo) poco e che, forse, per star meglio nella quotidianità, basterebbe tenersi addosso gli occhi innamorati con cui si guarda tutto quando si viaggia: la vita, dopotutto, ha sempre qualcosa di bello, anche nella sua normalità.
Brum brum
Foto: la Vespa di fronte al tempo di Atena di Paestum, la nostra colazione speciale a Sorrento, la Vespa fuori dal caseificio, le bufale, il loro fantastico latte diventato mozzarella, l’agriturismo in cui soggiorniamo oggi a Casal Velino
2 settembre 2021
Giorno 14 – Il mare in montagna
L’agriturismo di ieri, per la nostra ultima notte campana, ci ha regalato una cena di cucina casalinga super, con una pizza fritta di antipasto a spiccare nettamente su tutto il resto (che comunque è stato ottimo). Adoro quei posti, dove il tempo si è fermato, dove c’è una bellezza vera, pura, sana. Ma come diavolo si fa ad apprezzare quegli alberghi enormi, in località turistiche iper affollate senza anima? Non lo capirò mai.
Partiamo un po’ in ritardo perché le cose che abbiamo lavato al nostro arrivo non erano ancora asciutte. Già, non vedo l’ora di fare una lavatrice. Ugo, il Jack Russel dei padroni dell’agriturismo, un birbantello di pochi mesi che adorava slacciare a morsi le scarpe a Giulia, ci ha rallentato ancora di più, impedendoci ripetutamente di partire, mettendosi di fronte alla Vespa e abbaiando come se non ci fosse un domani. Siamo andati avanti per alcuni km, con il sottoscritto che cercava di partire e quel cagnetto agilissimo che si metteva di fronte ringhiando e costringendomi a brusche inchiodate per non stirarlo. Voleva che stessimo, forse, o forse gli stavo sulle scatole io, non so. Più facile la seconda. Però, finalmente usciti dallo sterrato, ho potuto finalmente ingranare marce più lunghe, sprigionando tutta la potenza (!) del nostro mezzo, ma vederlo scomparire come un puntino, con la sua lingua penzolone al seguito, mi ha portato un po’ di magone nel cuore. Chissà se ci sta ancora inseguendo…
Sapevo che la strada, oggi, non sarebbe stata troppo liscia, perché per raggiungere Sapri avremmo dovuto fare un po’ di salite. E infatti così è stato, con la Vespa ad arrancare e Giulia che, ancora una volta, ha dovuto abbandonare il mezzo che, anche in prima, stava per spegnersi. La salita di Pisciotta (il cui nome è già tutto un programma), credo che non la dimenticherò mai più.
Fatto sta che dopo una 70km di salite discese, eccoci nuovamente in Basilicata (incredibile, eh? La Basilicata ha anche una parte di costa tirrenica!), con il Cristo Redentore a salutarci dalla cima di Maratea – manco fossimo a Rio – e finalmente eccoci al mare! Un bagnetto nell’acqua cristallina, con l’immancabile maschera (indispensabile, anche se hai poco spazio!) e poi via in sella per altri km.
Salutiamo poco dopo la Basilicata, che ci ha fatto sognare coi suoi panorami e il suo peperone crusco, per mettere piede (o dovrei dire ruota?) nuovamente in Calabria.
Lo si capisce dalle numerose corone di peperoncini che si intravedono qua e là e dal fatto che le cene, come quella di stasera a Diamante, dove soggiorniamo, iniziano con dei sontuosi antipasti.
I km sui cartelli che si indicano la direzione per Reggio Calabria diventano sempre meno. Le temperature si alzano, almeno per ora visto che nel fine settimana è prevista pioggia, e i nostri cuori battono sempre più forte, anche se la sensazione di malinconia che ci accompagna da qualche giorno aumenta, ogni giorno, di più.
Comunque, per chiudere la giornata di mare in montagna (mai fatto tante salite per poter fare qualche bagno al mare!), il posto che abbiamo prenotato per dormire è sui monti, proprio a ridosso di Diamante. Salite impervie, ma Giulia non è scesa a questo giro. Però da quassù c’è un panorama incredibile. E la signora che ci ha accolto, una carinissima nonnina che si è premurata di comunicarci di aver detto a sua figlia che siamo “brave persone” e che “dovremmo fermarci per almeno una settimana”, mi ricorda talmente tanto mia nonna Piera che mi sento davvero a casa. Che bello questo posto. Che bella la semplicità. Adoro i posti con che trasudano di bellezza genuina, l’ho già detto, no?
Brum brum
Foto: la Vespa sui monti di fianco a Diamante, dove soggiorniamo, il panorama dal b&b di Diamante in cui soggiorniamo, il mare di Marina di Maratea, il tramonto a Diamante, i murales di Diamante, il Cristo redentore di Maratea, il nostro sontuoso antipasto misto di stasera
3 settembre 2021
Giorno 15 – Santa subito 18
La SS18, che starebbe per strada statale 18, ma che è stata prontamente rinominata santa subito 18 da Giulia per via dell’assenza assoluta di salite, tira dritto verso sud come se fosse stata tracciata col righello e ci accompagna per tutto il giorno, da Diamante a Tropea, per circa 160 km.
Una linea dritta, rossa, sul nostro stradario che sembrava dura da percorrere, viste le strade degli ultimi giorni, ma che è filata via liscia come l’olio.
Salutiamo nonna Ida e sua figlia Loredana con una foto di rito. “Me la concede una foto, signora?”, le chiedo. “Ma certo!”, risponde con l’occhiolino. La nonna Ida, che da oggi è pure mia nonna perché l’ho scelto io, mi è parsa commossa e lo ero pure io, anche se probabilmente nessuno dei due sapeva il perché. Le persone di cuore le senti a pelle e lei, di cuore, ne aveva sicuro tanto con tutto ciò che le ha riservato il suo viaggio di vita e di cui ci ha raccontato qualche tappa. Nonna Ida, le prometto che tornerò, prima o poi, nel suo fantastico paradiso. Magari non in Vespa, perché le salite per raggiungerla sono state decisamente dure, ma tornerò.
La sottile linea rossa su cui abbiamo rotolato tutto il giorno e che ci ha collegato con nonna Ida, ci ha portato a Paola prima e a Fiumefreddo Bruzio, uno dei borghi più belli d’Italia e, guarda un po’, il paese di nonna Ida, da cui abbiamo goduto di un magnifico panorama.
È ora di pranzo. Scrivo un messaggio al Vespa Club di Amantea, dove saremmo passati poco dopo, perché eravamo di intese che ci saremmo sentiti per scambiare qualche chiacchiera. Antonio, il presidente, mi risponde subito e ci organizza il pranzo presso il locale di un socio del suo Vespa Club. Sono un po’ in imbarazzo, però, perché sin da quando siamo partiti, volevamo assaggiare il pomodoro di Belmonte, un paese che si trova a pochi km da Amantea e famoso appunto per il suo pomodoro che pare sia una vera a propria specialità. Gli rispondo, quindi, ringraziandolo per l’invito, ma che avremmo voluto semplicemente assaggiare il pomodoro, di non preoccuparsi e che ci saremmo visti per due chiacchiere, un caffè ed una foto.
Però qui, al sud, è impossibile non essere ospitati. È quasi un affronto. E così, anche se non so come abbia fatto visto che dal mio messaggio a quando ci siamo seduti per mangiare sarà passata poco più di mezz’ora, al nostro arrivo presso il ristorante Jolly di Amantea ecco le “bistecche”, così le chiamano, di fresco pomodoro di Belmonte, appena condite con un po’ di olio, sale e basilico, e un babà con crema al pistacchio, inzuppato di rhum, prodotto da Walter, nel suo Piccolo Forno a Frasche, sempre ad Amantea. Non potevamo chiedere di più e di meglio, siamo stati trattati come super star. E a tutti loro va il nostro ringraziamento più sincero.
Ripieni di pomodoro, esattamente come avevamo sognato ancora prima di partire, puntiamo ancora verso sud, sulla nostra linea rossa, verso Pizzo, dove sostiamo per gustare nella piazza centrale il famosissimo tartufo, un dolce ipercalorico buonissimo che, probabilmente, smaltiremo fra qualche anno. Un bagno ristoratore nelle acque cristalline e due chiacchiere con un motociclista incuriosito dal nostro mezzo e da alcuni dei nostri racconti di viaggio.
Non so perché, ma su questa linea rossa, oltre alle tante persone speciali incontrate, tanti automobilisti ci hanno suonato, chi col pollice fuori, chi con le dita in segno di vittoria. Era da tantissimo tempo che non mi capitava di sentire tanti clacson così. Alcuni ci guardano increduli, e per certi versi incredulo lo sono pure io, col conta km che ormai è prossimo ai 2200 km di questo viaggio.
Ho provato a chiedere a Giulia perché, secondo lei, la gente ci guarda così. Una risposta non l’abbiamo trovata. Siamo due persone normali, a cui piace godere di cose semplici. Una nonna che sorride, un piatto di pomodori, un bagno nel mare col sole a picco e un bacio di fronte al belvedere di Tropea, pieno zeppo di luci e lucine tutte per noi. Non c’è niente di speciale nell’essere normali. Eppure, a quanto pare, per alcuni siamo dei pazzi sognatori, alla ricerca di qualcosa che si è perso e che forse noi, come tanti altri vespisti, abbiamo annusato, percepito, sentito.
E allora, grazie SS18. Sei davvero santa, come dice Giulia. Grazie per averci portato fino qui e averci permesso di incontrare queste persone speciali. Il mondo, per noi, è ancora più bello di quanto già non fosse, anche grazie a te.
Brum brum
Foto: gruppo con nonna Ida alla partenza da Diamante, Vespa a Paola, il gruppo che ci ha accolto del Vespa Club di Amantea, le bistecche di pomodoro di Belmonte, il babà al rhum, il tartufo di pizzo e la vista dal belvedere di Tropea.
4 settembre 2021
Giorno 16 – La fine del mondo
La serata, a Tropea, si è chiusa felicemente, pur avendo trovato una mezza pizza mangiata nel frigobar della nostra camera e nonostante le previsioni per oggi fossero pessime. Con Giulia che sbuffava, ho provato fino all’ultimo di tenere botta cercando inutilmente di convincerla che le previsioni fossero incerte e che alla fine saremmo stati fortunati (abbiamo pur sempre comprato un cornetto in Campania, no?).
Cena in un ristorante mediocre, ovviamente perché Tropea era presa letteralmente d’assalto da turisti come noi, e poi via a girare nel bellissimo centro, uno dei borghi più belli d’Italia, in cui domina la celeberrima cipolla rossa.
Tropea è cipolla, anzi Tropea è LA cipolla, e la si trova ovunque, anche nel gelato (che abbiamo per forza dovuto provare), nella pasta condita con la nduja e in ogni piatto, non a condire ma proprio a ricoprire. A proposito, la mia pasta con cipolle e nduja era talmente piccante che ho dovuto chiedere l’estintore alla cameriera. È rimasta perplessa, non capendo la mia battuta, ma si sa: come ho già scritto, in Calabria il piccante è uno stato dell’anima ed evidentemente il piatto che ho gustato io era piccante normale per lo standard locale.
Acquistiamo qualche souvenir, fra cui l’introvabile Amaro del Capo piccante (bottiglia mignon per contenere lo spazio), e via in camera. Il programma prevedeva una tappa breve, fortunatamente, per cui avevamo deciso di partire un po’ più tardi del solito, cercando di evitare la pioggia che era prevista intensa per la mattina. Nella notte vengo svegliato dalle secchiate d’acqua che venivano giù. Tremo un po’, perché se fosse stata così intensa anche alla mattina, non sarebbe stato possibile guidare, troppo pericoloso.
Al risveglio, come da attese, cielo grigio, solo pioggia, battente, fittissima, quasi in orizzontale. Raggiungiamo, col casco a farmi da ombrello, il bar per fare colazione. Non smette di piovere e così ci arrendiamo: partiamo, qualcosa succederà. Puntare verso il mare è inutile, per cui decidiamo di salire, con la Vespa che arranca ancora di più, scivolando dolcemente sulla strada bagnata, verso Spilinga, città della nduja, per raggiungere il monte Poro e lo stabilimento della Nduja San Donato. Quassù i peperoncini sono di casa, essiccati naturalmente al sole e sapientemente mescolati con carne suina per produrre il goloso prodotto. Ne abbiamo visti anche pezzi che sembravano sacchi da boxe, alti più di un metro e mezzo. Zero conservanti e tutto fatto come una volta: impossibile venire via senza fare un ordine. Ci sarà recapitato a casa nei prossimi giorni e ci servirà sicuramente per consolarci durante i primi giorni di ritorno al lavoro…
Io non so se sia stato il peperoncino, la nduja, la simpatia di Rocco che ci ha guidato nella visita o il cornetto portafortuna, ma uscendo l’alta pressione ha spazzato via le nuvole e ha fatto tornare l’estate. Via subito la tuta impermeabile e sosta immediata per un pranzo a base di salumi e formaggi, entrambi dal colore rosso fosforescente, e una birra con cui brindare alla nduja, alla Calabria e alle salite, qualunque significato abbiano, che poi diventano discese.
La SS18, pur con qualche salita nei dintorni di Palmi (anche se Giulia non ha detto niente a tal proposito), ci porta fino a Scilla e al suo meraviglioso porticciolo. Il sole sta lentamente scendendo, dentro un mare diventato placido, verde acqua trasparente e zuppo di pesci. Di fronte a noi, un pezzetto della Sicilia che è ormai troppo, troppo vicina a ricordarci che stiamo per giungere al temine del nostro viaggio.
Anche Manzoni, nel suo Cinque Maggio, citò Scilla per indicare un estremo della fine del mondo. E qui, con questo panorama magnifico, ci si sente davvero alla fine del mondo. Non solo perché siamo alla fine della nostra incredibile penisola, ma perché qui è tutto talmente bello che se il paradiso fosse simile, non mi stupirei più di tanto. Insomma, qui, è il caso di dirlo, è proprio la fine del mondo.
Brum brum
Foto: Spilinga città della nduja, bagnati appena arrivati a Spilinga, l’azienda nduja San Donato sul monte Poro, i crostini gentilmente offerti, peperoncini ancora da raccogliere e peperoncini ormai essiccati, l’acqua limpida di Scilla.
5 settembre 2021
Giorno 17 – Che male
Scilla e il suo centro storico Chianalea sono bellissime. Ci siamo persi, ieri sera, tra i suoi vicoletti al punto che è venuta ora di cena e non abbiamo trovato un posto dove sederci, se non in un bar di quelli sul lungomare: due panini col pesce spada e un fritto di pesce, tutto innaffiato con del vino bianco scaraffato e un paio di amari, di Scilla e un Jefferson, buonissimi ed entrambi calabresi.
La stanza che avevamo prenotato, in piena Chianalea, con vista totale sul mare e le lucine del porto e della “lontana” Sicilia come tante fiammelle degli ultimi falò estivi, mi ha fatto sognare davvero tanto. Questo posto è veramente magico ed è un peccato goderselo per così poco. “Torneremo”, ci siamo sussurrati.
La colazione ci viene servita in camera ed è uno splendido modo per salutare la Calabria, gustandola sul balconcino con un sole davvero inatteso fino a qualche giorno fa.
Prima di scappare, facciamo ancora qualche giro, fotografando i mille scorci che si aprono di fronte a noi a ogni vicoletto, con le barchette ormeggiate appena fuori casa o dondolanti sul mare placido che più placido non si può. Che posto magnifico!
È tardi, però. Bisogna andare, oggi dobbiamo rientrare verso Palermo. Ci fermeremo a Cefalù, a 70-80 km dal porto da cui partiremo direzione Genova. Dopo pochi km imbarchiamo a Villa San Giovanni sul Caronte che, da buone anime in pena quali siamo in quel momento, ci traghetta via dalla Calabria per portarci a Messina. Ciao Calabria! E grazie per tutto. Il meteo è sereno, ma intorno alle 13 inizia a gocciolare: nuvole nere sono sopra la nostra testa e ci costringono a tirare lunghi, senza sosta, per oltre 140 km. La strada da fare oggi è veramente tanta e faticosa e la pioggia non sarebbe per nulla divertente. La Settentrionale Sicula 113 ci scorre lenta sotto le ruote, fra una curva e l’altra, e ogni cartello segna km viene osservato meticolosamente, facendomi implorare che tutto passi il prima possibile.
Ho un male al fondoschiena tremendo: le tante ore di viaggio, peraltro, su strade già percorse all’andata con il morale alle stelle, mi debilitano parecchio, ma non possiamo davvero fermarci. Il traghetto è domani e dobbiamo avvicinarci il più possibile. Pit stop per far benzina e pipì e, superata Capo d’Orlando, il meteo fortunatamente si stabilizza, il sole esce nuovamente e le curve diventano un po’ più tranquille e morbide.
Ne approfittiamo per fermarci e rifocillarci in un bar, dove con meno di 10€ mangio un arancino, un calzone e una mozzarella in carrozza e Giulia una granita. Spero di riuscire ad arrivare a Cefalù in una unica tirata visto che mancano poco meno di 50 km, ma non ce la facciamo. Ho davvero troppo male e allora altro stop a Santo Stefano di Camastra dove un caffè e un cannolino, gentilmente offerto dal barista, mi danno l’energia per tirare gli ultimi 30 km, maledire il punto in cui abbiamo bucato esattamente due settimane fa, e arrivare a destinazione.
Il viaggio è a circa 2400 km, la Vespa non dà segni di cedimento ma io sì. Giulia sopporta stoicamente, ma guardando con gli occhi a forma di cuore le foto del suo gatto che le ha mandato sua mamma, mi fa intendere che, tutto sommato, tornare non sarà poi così difficile per lei.
A Cefalù le nuvole stanno coprendo il sole che stiamo cercando di catturare per l’ultima volta coricati su una spiaggia del sud Italia. Ogni tanto il sole esce, ogni tanto se ne va. Ma distesi, a pochi km dal porto di Palermo, con le gambe piene di sabbia, per il momento non abbiamo bisogno di altro. Anche se del signore che fa karaoke in maniera imbarazzante proprio dietro di noi, sul lungomare, faremmo molto più che volentieri a meno!
Brum brum
Foto: Chianalea illuminata, su Caronte si torna in Sicilia, i nostri caschi, anche loro stremati, a Santo Stefano di Camastra, Giulia nei vicoli che gettano sto mare a Scilla
6 settembre 2021
Giorno 18 – La felicità è una scelta
L’uomo del karaoke di Cefalù ha deciso di tenerci compagnia tutta la sera per nostra sfortuna. Fortunatamente, per via della distanza, non durante la gustosa cena che abbiamo consumato proprio sul lungomare. Le nuvole, di un colore ignoto visto il buio, sono state sopra di noi a lungo, versando a terra qualche lacrima, forse anche perché era la nostra ultima notte in terra sicula. Qualche pioggia anche stamattina, con ancora poco più di 70 km da percorrere per raggiungere Palermo, imbarcarsi e dichiarare ormai praticamente concluso il nostro viaggio.
Facendo i conti questo è stato il nostro secondo viaggio più lungo, dopo quello in Marocco che sfiorò quasi i 3000 km. Qui arriveremo intorno ai 2500 km, ma la cifra esatta la darò mercoledì, quando rientreremo a casa e tutto sarà come prima e la Vespa potrà riposare per un po’ nel suo garage.
Una ragazzina, mentre tornavamo lentamente verso Palermo, correva spensierata sul lungomare di un paese di cui non ricordo il nome, coi capelli lunghi, umidi di acqua, al vento. Saltellava e sorrideva. Mi sono commosso perché era felice. Ricordo bene la felicità della gioventù perché ho tantissimi bei ricordi. Soprattutto ricordo la spensieratezza e leggerezza. Mi ricordo le estati passate a Sant’Andrea con i cugini, con i canti serali e le passeggiate sotto le stelle, o i bagni a Marina di Carrara con la famiglia e la nonna in una casa in cui si sta stretti in due. Mi ricordo delle vacanze in campeggio con gli amici, senza soldi, ma con tutto quello che ci serviva: una chitarra, la tenda e tanta voglia di conquistare qualche ragazza straniera a cui promettere un amore impossibile. L’unico pensiero, velocemente accantonato in quelle settimane, era la scuola coi suoi compiti e le materie da recuperare. Non c’erano bollette, soldi, grane, fastidi che, ahimè, arrivano per tutti con l’età adulta. Mi sono commosso davvero, con qualche lacrima che mi ha solcato la guancia, asciugata subito dall’aria che, in Vespa, non manca mai anche se si va piano, perché il viaggio della vita è davvero incredibile e stupefacente. E un viaggio come questo, in Vespa, ne è la metafora perfetta.
Parti leggero, col morale a mille, tutto scorre liscio, il motore è brillante e fischietti la tua canzone preferita, poi ci sono i km che iniziano a diventare tanti, le salite, le prime scottature del sole. Gli imprevisti, le forature. A volte le cose si risolvono, altre volte ci devi mettere una pezza, una fascetta o usare un po’ di nastro americano o fil di ferro. Cerchi di far stare tutto assieme. Superi le paure, le salite e le discese. E poi arrivi al momento in cui tiri la Vespa sul cavalletto, hai male ovunque, ti fermi, guardi indietro e la malinconia si impossessa di te. Troppo bello tutto, compresi gli imprevisti, perché in tutta quella strada hai vissuto, hai vissuto davvero, a fondo, e ogni km che è passato sotto di te ti ha visto diventare una persona diversa.
Oggi, a Palermo, dopo aver fatto colazione con due cannoli strepitosi e una cassata, aver pranzato come dei maialini e aver avuto il piacere, ma che dico piacere STRApiacere di ritrovare il nostro amico (che è anche cliente) Cosimo (che guai a non essere suoi ospiti a casa sua!) per un gelato delizioso, mentre camminavamo, ho notato un cartello che mi ha parlato. Recitava: la felicità non è un processo, ma una scelta. Mi ha colpito dritto, perché mi ha dato una risposta a ciò che l’ultimo giorno di vacanza, di una vacanza così, ti fa provare.
Ciò che importa non sono i km. Non è la velocità, le curve, la distanza. Quelle cose non ti renderanno necessariamente felice. Certo, ti daranno momenti di godimento, è vero, che sono quelli che abbiamo passato assieme, Giulia ed io, in queste due settimane. Ciò che importa è essere felici perché si sceglie di esserlo, sempre, anche quando la giornata è storta (hai bucato), o quando tutto è un po’ più difficile (piove) o tutto va come deve andare.
Essere felici, dunque. Forse il segreto è proprio questo. Proprio come quando eravamo giovani, con la tenda, il fornelletto e la chitarra. Proprio come quella ragazzina di oggi, che si godeva l’ultimo sole e l’ultimo bagno prima di ritornare a scuola e alla vita di tutti i giorni.
Brum brum
PS: dal porto di Palermo, la nave sta per salpare. Arriveremo domani sera e sosteremo a Genova perché non vogliamo viaggiare mai col buio. Rientreremo, per gli ultimi km, mercoledì.
8 settembre 2021
Giorno 19 – 2571 km
La serata nella “mia” Genova è partita alla grandissima, ben prima di arrivarci, quando ci accingiamo a sbarcare dal porto di Palermo con oltre tre ore di ritardo. Avverto del potenziale ritardo all’arrivo, esclusivamente per scrupolo, l’affittacamere di Genova in cui avremmo dormito la notte successiva, visto che la nave sarebbe arrivata comunque troppo tardi per permetterci di tornare a casa con la luce. La famigerata ospitalità ligure si fa sentire anche in mezzo al mare quando, passando vicino all’isola d’Elba e riuscendo il cellulare a connettersi, leggo la risposta dell’albergatore. In sintesi il messaggio diceva che se il traghetto era in ritardo non era colpa sua, che il check-in al massimo era da fare entro le 19.30, che loro non avevano obblighi di ricevere nessuno oltre quell’orario, che le prenotazioni di chi arriva a Genova con quel traghetto le rifiuta tutte e che avrebbe fatto uno strappo alla regola dicendo che ci avrebbe aspettato massimo fino alle 20.30 e che, oltre quell’orario, ASSOLUTAMENTE non avremmo trovato nessuno e quindi avremmo dovuto cercarci un’altra sistemazione.
Sono tranquillo, in qualche modo faremo e poi Genova è terra amica. Giulia un po’ meno e ha una notte agitata. Dice che ho russato come non mai, sulla nave. Di sicuro l’adrenalina del viaggio stava scendendo e ho dormito come un sasso, nonostante le navi siano veramente fatiscenti.
Arriviamo a Genova con un’ora di ritardo (intorno alle 19 anziché alle 18) e metto il turbo. Grazie alle lezioni di guida che ho fatto fra Palermo e Sorrento durante questo viaggio, faccio slalom fra le macchine con Giulia un po’ innervosita dalla mia guida e alle 19.20, così come indicato sull’orologio della scrivania della reception, stiamo passando i nostri documenti e ricevendo le chiavi della nostra stanza, in pieno centro. Niente è impossibile con una Vespa (e un po’ di fortuna).
Ceniamo amabilmente con Nicola, uno degli insegnanti di danza di Giulia, in una osteria – Cavour 21 – in zona porto antico, mangiando un pesto da record. Talmente buono che ci siamo tornati anche oggi per pranzo. E ce ne siamo comprati qualche vasetto che, assieme al quintale di focaccia acquistata nella nostra focacceria preferita (che quando siamo partiti era chiusa per ferie), ha reso i nostri ultimi 85 km circa ancora più pesanti e goffi.
Un ultimo tuffo nella spiaggetta di Boccadasse che, come recitano i versi di Edoardo Firpo incisi su una targa proprio all’ingresso, fa ricordare la culla o l’abbraccio di una madre, e con una ultima pedicellata siamo già sul passo dei Giovi. Il rientro è silenzioso perché sia Giulia che io ci stiamo godendo questi ultimi momenti. Tengo la Vespa un po’ più lenta, un po’ per darle respiro, un po’ perché così dura di più questo momento sospeso. Ripenso alle cose belle, anzi bellissime, che abbiamo avuto la fortuna di poter vedere, sentire, toccare e gustare. Ripenso al sole che ci ha bruciato e alla pioggia che ci ha bagnato. Al fresco degli alberi e al vento che, a volte, ci sballottata qua e là ricordandoci che, noi, su questo trabiccolo rosso con un cuore enorme, siamo soltanto ospiti. Alle facce stupite degli automobilisti e ai pollici in su ricevuti per la strada.
È stato un viaggio pazzesco. Faticoso come sempre (o forse un po’ di più per certi versi), ma incredibile per la quantità di bellezze viste e provate. 2571 km di emozioni, vissute in tre, percorsi con una media che calcolerò più precisamente nei prossimi giorni ma che stimo non aver superato i 40 km/h. Abbiamo gli occhi gonfi, sfatti, sfiniti ma ricolmi dello splendore che le terre che abbiamo lentamente attraversato ci hanno offerto. E siamo felici, o perlomeno io lo sono. Giulia, che se fosse un animale domestico sarebbe certamente una gatta, dice poco, ma i suoi occhi parlano chiaro.
Ringrazio Giulia, quindi. Una compagna di viaggio, oltre che di vita (che poi è un viaggio lunghissimo), perfetta, almeno per me. Ci siamo dati il cinque, appena arrivati, con il nostro sorriso complice perché se è vero che guido sempre io, è vero anche che a fare il passeggero su un mezzo piccolo così ci va tanta forza, voglia e spirito di adattamento. Anche se sostieni che farei questi viaggi anche se tu non ci fossi, devo dirti grazie. Grazie perché senza di te, come ti dico spesso, questi viaggi sarebbero viaggi, ma non Viaggi, con la v maiuscola. E solo i Viaggi, con la maiuscola, sono quelli che rimangono dentro al cuore e nel profondo dell’anima. Quindi grazie perché sei il sale che rende un piatto normale, un piatto delizioso.
Non posso poi non dire grazie alla Vespa (a cui ho riservato in privato un discorso strappalacrime e un affettuoso bacio al manubrio), per aver sopportato, per un altro anno, le mie / nostre pazzie. Instancabile, lenta ma implacabile. Hai superato salite pazzesche e discese da brivido. Ti ho fatto infrattare nei vicoli di Rocca Imperiale, in quelli di Chianalea di Scilla e ti ho fatto arrivare, anzi CI hai fatto arrivare, fino a Canna e Nocara, due paesi che non credo dimenticheremo mai. E forse neanche tu. E non hai (quasi) mai detto nulla.
Da domani si torna alla vita di tutti i giorni e, a tenerci compagnia, sul nostro forno sono comparse tre calamite nuove, di alcuni posti che abbiamo toccato in questo jazz nel sud Italia. “2571 km fatti e ciò che vi rimane sono queste tre stupide calamite!”, potrebbe affermare qualcuno, in modo affrettato.
No, caro mio: quelle tre calamite ci ricordano che noi, da oggi, siamo diversi rispetto a 2571 km fa. Perché noi abbiamo vissuto forte e a pieni polmoni. E per vivere così, non servono calamite, non servono gadget, non serve nulla di materiale. Serve solo una cosa: tanto, tanto, tantissimo cuore.
Brum brum
PS: nei prossimi giorni, come di consueto dopo i nostri viaggi, classifiche e resoconti su km, consumi e spese di carburante.
FOTO: contakm all’arrivo e all’inizio del viaggio, le nostre tre nuove calamite, dettaglio della calamita “piccanti di Calabria” in cui due peperoncini vanno in Vespa. Impossibile non prenderla! Infine le trofie al pesto (rigorosamente con patate e fagiolini, come da tradizione)