Iran? Niente paura

Riflessioni dopo due viaggi in Iran
Scritto da: dabi
iran? niente paura

Perché due viaggi in Iran in tre anni?

S. e io non siamo impazziti, tantomeno in cerca di guai.

Molto più realisticamente in Iran abbiamo trovato tutto ciò, e molto di più, che un viaggiatore desidera quando decide di visitare un Paese.

Non è mia intenzione scrivere un diario vero e proprio e neppure una sorta di manuale di viaggio. Non ho la pretesa di descrivere dettagliatamente stili architettonici, periodi storici e le molteplici sfaccettature che compongono il mosaico “Antica Persia”.

Tuttavia, dopo aver udito l’ennesima fastidiosa considerazione…

  • l’Iran non è pericoloso?
  • non sono tutti un po’ talebani?
  • ma che ci andate a fare?
  • cosa ci sarà mai da vedere?

Mi sento in dovere di demolire tanti luoghi comuni, frutto di una pericolosa commistione tra ignoranza, superficialità, pregiudizio, che non rende onore, anzi arreca danno, a un popolo gentile e a un Paese meraviglioso.

Nonostante il regime politico religioso, gli iraniani di indole non sono cupi, repressi o incattiviti. Tutt’altro!

L’impressione che se ne ricava è quella di un popolo molto socievole.

Giardini, parchi, piazze, cortili e spazi all’aperto sono luoghi prediletti dalle famiglie, da gruppi di donne o uomini, da giovani e anziani, per consumare un picnic o più semplicemente per il solo piacere di stare insieme.

Il turista straniero è spesso oggetto di interesse…

  • where are you from?
  • perché hai scelto di visitare l’Iran? cosa ti piace del nostro Paese?
  • Welcome in Iran!
  • possiamo fare una foto insieme?
  • posso offrirti un dolce, un frutto, un tè?
  • posso ospitarti nella mia casa?

Gentilezza, dolcezza, nonché sorrisi sinceri, accompagnano qualsiasi invito.

Nei bazar si gira tranquillamente. Senza l’assillo di venditori insistenti con lo scopo di “accalappiare” il turista.

Il gesto più comune è una mano posata sul cuore, la parola più diffusa è “welcome!”.

Come dicevo, gli iraniani, in generale, nelle grandi città così come nei villaggi più sperduti, sono molto cordiali e ospitali.

Persino le relazioni con i venditori di tappeti, tra l’altro molto pregiati e di ottima fattura, hanno toni rilassati.

È ovvio che il loro scopo è quello di vendere e, lo riconosco, ci sanno fare. Ti offrono il tè mentre srotolano un tappeto più bello dell’altro, descrivendone materiali, tipo di lavorazione, pregi e caratteristiche.

Anche se non ti serve un tappeto, verrebbe voglia di acquistarne più d’uno, ma la ragione prevale sull’istinto e quando è evidente che non ci saranno acquirenti nessuno insiste, non ti senti trattenuto in ostaggio o in imbarazzo e infastidito. Il venditore ti accompagna alla porta, ti ringrazia per aver visitato il suo “show-room” e ti augura buon proseguimento di viaggio.

Oltre che gentile, l’iraniano è molto colto. La poesia è un culto radicato in ognuno. In famiglia si leggono poesie. Si consultano raccolte di poesie per risolvere dubbi o per trovare conforto in un momento critico.

Mi è capitato di vedere uccellini colorati, ammaestrati, che – per pochi spiccioli – pescano bigliettini. I cartoncini però non riportano illusorie promesse di fortuna, bensì versi di poesie. A parte un po’ di tristezza per la sorte dei piccoli volatili, mi è sembrata una cosa romantica, quasi d’altri tempi.

E poi che dire della devozione, delle vere lacrime versate ancor oggi sulla tomba del poeta Hafez a Shiraz?

L’Iran è inoltre un concentrato di arte raffinata: moschee, colonne, specchietti, cornici, stucchi, volte, cupole dorate, d’oro, azzurre e arabescate, minareti, padiglioni, piastrelline finemente dipinte, vetri colorati, giardini incantevoli, fontane zampillanti, vasche grandi come piscine dove si specchiano le facciate di antichi palazzi, di case fiabesche, ponti pedonali con innumerevoli arcate, villaggi, fortezze e cittadelle in Adobe (fango e paglia) cui si aggiungono un’infinità di importanti siti e i più modesti, comunque non privi di fascino, caravanserragli.

Basti pensare ai raffinati bassorilievi di Persepoli, alle tombe della necropoli di Nash-e-Rostam, a Pasargade e a Ciro il Grande.

Non sono da meno le bellezze naturali: montagne, laghi salati, deserti, fiumi e cascate di sale, grotte, gli incredibili Kalout (castelli di sabbia), isole, oasi, rocce che sembrano sculture, canyon. L’elenco potrebbe continuare all’infinito.

Dopo un viaggio in Iran, il cuore è colmo di ammirazione e gratitudine per il suo popolo. Mentre negli occhi e nella mente si “archiviano” centinaia di immagini meravigliose.

Innamoramento, questo il maggior “pericolo” che si corre in Iran.

Nel 2019 abbiamo scelto un tour non esattamente classico.

L’itinerario, un mix tra natura e cultura, prevedeva alcuni giorni e notti (in tenda) nel deserto del Lut, le città di Kerman, Mahan, le cittadelle di Rayen e Bam.

Quindi, da Kerman a Teheran, è seguito un lungo viaggio via terra, con soste a Yazd, Na’in, Natanz, Kashan, Qom. Nel mezzo un’altra giornata “off road” nel deserto del Kavir.

Lut desert

Definito il luogo più caldo del pianeta, solo il nome incute timore.

Ma, evitando l’estate e le alte temperature, il deserto è un luogo assai gradevole, con una discreta escursione termica, tanto che nel cuore della notte è un piacere infilarsi nel sacco a pelo.

La morfologia del territorio presenta molte diversità: dune di sabbia, montagne rocciose, persino un fiume rosso e sinuoso, canyon, Kalout.

Spazio infinito da gustare in ogni momento del giorno e della notte: con il vento che soffia forte scuotendo la tenda oppure con il sole cocente e il refrigerio all’ombra di un massiccio roccioso, contemplando i Kalout che si ergono dal suolo in un paesaggio che pare irreale, al tramonto.

Nel deserto i colori cambiano con il passare delle ore.

Il nero integrale notturno, in cielo una moltitudine di stelle, l’alba che – come per incanto – rischiara e riscopre il paesaggio tingendolo di tenui tinte rosate, le dune con il lato in ombra color cioccolato, i caldi colori del tramonto.

A Teheran l’incantesimo finisce, ma abbiamo già gettato le basi per un secondo viaggio.

Infatti, già a fine anno (dicembre 2019) è tutto pronto per un nuovo tour. Abbiamo i biglietti aerei, il codice per ottenere il visto, le assicurazioni, tutte le prenotazioni.

Nel frattempo il gruppo da 4 persone si è allargato a 10. Iran sembra la parolina magica per coinvolgere nuovi partecipanti.

Partenza fissata per aprile 2020.

Non ci resta che iniziare un lungo conto alla rovescia.

La data si avvicina, ma… nessuno avrebbe potuto immaginare… non abbiamo fatto i conti con il Covid.

Dapprima si pensa alla “solita” ondata influenzale, poi… i morti, migliaia di ricoverati in terapia intensiva, il lockdown, il riconoscimento di una pandemia globale, il buio e la paura nelle nostre vite.

Anche il viaggio, come qualsiasi altra cosa, viene cancellato.

Dobbiamo attendere, un’ondata dopo l’altra, il 2022 per fissare una nuova data di partenza.

Burocrazia più complicata, tampone PCR negativo e finalmente il 20 maggio si riparte per l’Iran.

È notte fonda, siamo piuttosto provati dopo le ore di volo e la lunga trafila per il rilascio del visto subordinato all’obbligo di stipulare un’assicurazione sanitaria supplementare, ma Elham ci attende paziente con un mazzo di rose rosse e quando ci abbracciamo mi dico che non sto sognando. Sono davvero qui, in Iran, sono felice e ho davanti a me tre meravigliose settimane.

Anche questo secondo viaggio prevede un itinerario insolito, per nulla convenzionale, fatta eccezione per le città di Shiraz e Isfahan.

Si parte subito, con un lungo volo, per le isole del Golfo Persico.

Qeshm: con la valle delle stelle, la valle delle statue, la grotta di sale, il canyon Chahkooh, le tartarughe che nuotano in mare ed emergono per respirare, i villaggi di pescatori, le torri del vento, i cantieri dove ancora si costruiscono barche tradizionali in legno, la città di Qeshm, porto franco, con grattacieli e centri commercial; incredibile concentrato di modernità e luci in un’isola per il resto desertica e immutata nel tempo.

Hormuz: chiamata “isola arcobaleno”. Un piccolo gioiello dove il suolo è giallo per effetto dello zolfo, bianco per il sale e rosso per il ferro.

Le montagne sono bianche, verdi, rosse, gialle. Non c’è angolo di Hormuz che non susciti esclamazioni di meraviglia. Anche vista dal mare l’isola è uno spettacolo. Il tratto d’acqua di colore rosso (per effetto dei minerali di ferro) sembra irreale.

In mezzo a tanta natura trova spazio un complesso di residenze da Archistar, si tratta delle colorate cupole di Majara resort. Un progetto di bioedilizia molto apprezzato anche fuori dall’Iran.

Hengan: isola di pescatori. Qui le donne indossano leggeri abiti e veli colorati oltre a tradizionali maschere con inserti e frange dorate.

Un pranzo in una casa privata a base di pesce freschissimo è un’esperienza da non perdere.

In traghetto, lasciate le isole, si raggiunge la terraferma. Dalla città di Bandar Abbas si vola a Shiraz.

Prima di raggiungere la città ci fermiamo a scattare una raffica di foto a un lago salato dal bel colore rosa. Davvero stupendo e non è tutto. Per caso, in cima a una montagna di sale, troviamo un gruppo di musicisti: donne e uomini, che indossano preziosi costumi, stanno suonando e cantando, probabilmente brani della tradizione nomade.

Nella straordinaria cornice dei monti e del lago rosa lo spettacolo ci emoziona tanto da avere gli occhi lucidi.

Alloggiamo in un hotel nelle vicinanze di un santuario.

Attratti dai suoni e dal viavai di persone, dopo cena, usciamo per osservare ciò che avviene nei giardini e nell’area antistante i cancelli di ingresso.

Le persone affollano aiuole e ogni spazio disponibile. C’è chi si appresta a dormire e chi a mangiare.

Una lunga processione si avvia recitando preghiere (immaginiamo si tratti di versetti del Corano).

Ci avviciniamo esitanti al cancello solo per chiedere il permesso di scattare alcune foto all’edificio. Ci invitano invece ad entrare. Uomini da una parte, donne dall’altra.

Unica donna, a piedi nudi e coperta da un chador fiorato, si prendono cura di me ben tre signore, di nero vestite, che mi guidano nelle varie sale con pareti e soffitti rivestiti di specchietti. Le tre premurose guide mi parlano contemporaneamente di cosa rappresenta questo o quel particolare. Riconosco un solo enorme Corano, ma fingo di capire tutto. Sono piuttosto a disagio perché devo lottare con il lungo e scomodo indumento che mi copre dalla testa ai piedi, inoltre mi sento troppo al centro dell’attenzione, ma apprezzo la speciale missione di cui si sentono investite le tre donne.

Terminata la visita, mi libero molto volentieri del “sudario” e a malincuore saluto i miei “angeli custodi”. Una mano sul cuore e mersi, grazie in persiano. Unica parola che conosco.

Persepoli, Pasargade: per me solo nomi mitici, sentiti tante volte, ora assumono spessore, forma, colore. Storia e arte nei due famosi siti abbondano, ma non voglio dilungarmi in descrizioni che si trovano facilmente nei libri, nelle guide e in Internet.

Lascio a voi anche l’arduo compito di collocare nel giusto spazio temporale Achemenidi, Sassanidi, Savafidi, etc. e di giostrarvi tra le diverse Dinastie.

Il viaggio prosegue sino a Isfahan. Altro pezzo importante che mancava nella nostra mappa dell’Iran.

Siamo molto fortunati poiché, ricorrendo l’anniversario della morte di Khomeini, al fine settimana si sommano due giorni di festività. Vale a dire che, aperta la diga, il letto del fiume normalmente asciutto ora riceve acqua. Possiamo così ammirare i caratteristici ponti ad arcate che vi si riflettono.

La folla si assiepa lungo gli argini, nei giardini e parchi, sotto le arcate, persino nel fiume.

Sull’acqua galleggiano colorati pedalò le cui fattezze ricordano giganteschi cigni, un po’ Kitsch per la verità, ma, trattandosi ormai di evento raro, il fiume – quando c’è – viene vissuto in ogni suo aspetto.

Tanta folla, in Iran, equivale a numerosi saluti, inviti, conversazioni, sorrisi, foto e anche offerte di cibo e bevande.

La famosa, enorme, stupenda, Naqsh-e Jahan Square è meta ideale per il picnic. Intere famiglie, stese le coperte a terra, si cibano, chiacchierano e trascorrono ore in totale serenità mentre i bambini giocano, ridono e si divertono a far volare gli aquiloni.

Esaurito il programma di visite, ci concediamo una lunga pausa sulla fresca terrazza di una caffetteria. Ci spostiamo poi nella piazza. Un muretto è la nostra poltrona in platea per assistere allo spettacolo di un’umanità pacifica, rilassata e in festa.

Passeggiamo sotto i portici del bazar che occupa tutto il perimetro della immensa piazza.

Ammiriamo moschee, palazzi e monumenti che si riflettono nella grande vasca centrale.

Isfahan – la metà del mondo – è imperdibile. Città ricca di parchi, giardini, viali alberati, cortili, monumenti, vetrine alla moda, gioiellerie, caffetterie, etc.

Un simpatico aneddoto, ulteriore testimonianza del buon carattere degli iraniani, è la piega inaspettata che ha preso la visita di un interessante museo: notevole e ricca raccolta di strumenti musicali tradizionali, dai più antichi a quelli più recenti.

Alla visita fa seguito un concerto, eseguito da quattro giovani artisti e organizzato esclusivamente per noi.

Il singolare evento sembra terminare con i nostri applausi e complimenti.

Ci stiamo già avviando verso l’uscita dell’auditorium quando uno dei giovani musicisti intona “Bella Ciao”… non possiamo credere alle nostre orecchie, così come non possiamo sottrarci dal cantare la nostra più famosa canzone partigiana.

I ruoli si invertono: da spettatori siamo ora protagonisti. Riceviamo applausi, complimenti, ringraziamenti e abbiamo il sospetto che il video della nostra performance avrà una discreta diffusione.

Speriamo non troppo e soprattutto, se proprio deve circolare, che avvenga negli ambienti giusti. Il regime iraniano non è solo un “pour parler”. Ci vediamo già in carcere, in attesa di lapidazione, per istigazione alla rivoluzione. Ovviamente scherziamo. Siamo soddisfatti di questo inaspettato “scambio culturale”.

Lasciata la città, si viaggia verso est per diverse centinaia di chilometri.

Motivo della deviazione? Visitare un’altra porzione di deserto e alcuni minuscoli villaggi. Verdi oasi che beneficiano di acqua e di rigogliosi palmeti.

Nel deserto, in una sinuosa vallata, scorre un fiume di sale mentre, più in là, dune di sabbia si susseguono all’infinito.  Non ci sono parole per descriverne la bellezza, soprattutto al tramonto.

La cena sulle dune e il cielo che si riempie di stelle sono ricordi struggenti.

Una stella cadente, un desiderio espresso, completano la magia di una serata trascorsa nel deserto.

Ripresa la strada che a tappe ci riporterà a Teheran, facciamo un’altra deviazione per visitare il villaggio di Abyaneh. Grazioso, con le antiche case in argilla rossa e paglia addossate alla montagna e le donne che indossano foulard bianchi a motivi floreali, rose in particolare.

Da qui in avanti è tutto già visto, ma poco importa.

Ci fermiamo un paio di giorni a Kashan, città delle rose, famosa anche per le splendide case tradizionali dei ricchi mercanti. In una di queste, Manouchehri house, trasformata in hotel, soggiorniamo. Sistemazione principesca, con cortili e vasche, alberi di melograno e fiori e, all’interno, vetri colorati, nicchie, volte e archi. Davvero molto bella e particolare.

Siamo in ritardo per la raccolta delle rose, ma ovunque si trovano roselline essiccate, profumi, oli e acqua di rose, frutto della recente distillazione dei petali.

Infine, ultima tappa, Qom. Seconda città santa dell’Iran. La visitiamo una prima volta di notte. Dal nostro hotel basta solo attraversare la strada. Qom, illuminata come un “luna park” è un po’ pacchiana a mio parere. I fili di luci colorate tesi tra un minareto e l’altro penalizzano quel clima di spiritualità che la contraddistingue. Di giorno la città è decisamente più mistica.

L’immensa piazza antistante il santuario è percorsa da un’umanità variegata.

Le donne, nere figure che indossano il chador, si muovono in gruppi anche numerosi. Mi affascinano i tessuti leggeri che fluttuano con un solo soffio d’aria.

Meta di religiosi, pellegrini non solo iraniani e pochi turisti è il santuario, con le cupole e i soffitti a volta ricoperti d’oro. Lo sfarzo di intere pareti rivestite di specchi, i minareti che si protendono verso il cielo e le vasche che riflettono tanto splendore.

Non possiamo entrare nelle varie sale di preghiera, ma è sufficiente quel che vediamo esternamente a lasciarci esterrefatti dalla meraviglia.

I religiosi con I turbanti neri, diretti discendenti dei 12 Imam, e quelli con i turbanti bianchi, religiosi senza alcuna importante parentela ma che hanno completato gli studi, si aggirano numerosi nei diversi cortili.

Un mondo, quello Musulmano Sciita, di cui non facciamo parte, che osservo con rispetto, nonostante l’antipatia per il chador.

Mi domando come è possibile che le iraniane lo indossino con tanta naturalezza e eleganza. Le invidio, mentre cerco di sistemare foulard e chador, strappandomi i capelli.

Ultimo, ma non ultimo, un tributo alle donne iraniane…

Intelligenti, colte, belle, eleganti, profumate, foulard colorato, spesso griffato, che scivola sulle spalle scoprendo per qualche istante capelli lunghi, lucidi, sempre impeccabili.

Le labbra disegnate dal rossetto e i profili con il nasino rifatto. Il naso persiano è in effetti piuttosto marcato.

Il ricorso alla chirurgia plastica sembra essere una sorta di “rivoluzione” al femminile e riguarda non solo donne giovani o di un determinato ceto sociale.

Anche le donne più austere e religiose, cioè quelle che indossano il chador nero e non lasciano scoperta una sola ciocca di capelli, sono bellissime.

Ai polsi sfoggiano giri di bracciali d’oro e possiedono borse talvolta molto lussuose.

Gli occhi neri con le sopracciglia scure ben disegnate sono affascinanti. Gli sguardi diretti, dolci, curiosi. Le labbra che si aprono in meravigliosi sorrisi e scoprono file di denti bianchi

Il velo è un’imposizione, molte donne iraniane ne fanno uso malvolentieri. In ogni caso tutte lo portano con disinvoltura e anche un po’ di civetteria.

Immagino che nel guardaroba di ognuna ci siano decine di foulard, uno per ogni occasione e di colori diversi da abbinare ai differenti abiti.

Gli occhiali da sole tra i capelli e poi il foulard. Tutto sta al posto giusto e quando il velo scivola sulle spalle, con un gesto deciso, una mano lo rimette a posto senza spostare un solo capello. Quanto darei per riuscire a fare la stessa cosa! I miei capelli, sebbene lisci, sotto il velo sono sempre arruffati, sembrano “infeltriti”.

Il viaggio termina a Teheran, capitale trafficatissima.

Attraversare la strada è un’esperienza forte, adrenalinica, ma osservando gli iraniani si impara a fare anche quello… beh, quasi!

Con questa seconda volta a Teheran ho aggiunto altre due torri e un ponte alla mia stramba collezione. Adoro i ponti, meglio se vertiginosi, stesso discorso vale per le torri.

Quindi:

  • Torre Azadi (della libertà). Simbolo di Teheran. Una sorta di “Y” rovesciata che rappresenta un giusto compromesso tra modernità e tradizione. Visitabile anche all’interno
  • Torre Milad, altezza oltre 400 metri, con ristorante girevole e una vista strepitosa sulla città
  • Ponte della Natura. Ponte pedonale a più livelli che, scavalcando una trafficatissima arteria stradale, collega due bei parchi.

Infine, confesso che abbiamo lasciato l’Iran e la nostra amica, nonché guida straordinaria, Elham con la promessa di rivederci per percorrere insieme un terzo itinerario, ovviamente in aree ancora più remote e affascinanti.

Non esagero quando affermo che il pericolo maggiore che si può correre in Iran è l’innamoramento, il colpo di fulmine.

Poco importa se l’obbligo di indossare il foulard è una penitenza e il chador di tessuto sintetico è una tortura, soprattutto con il caldo.

In buona sostanza, non si abbia alcun timore: l’Iran e gli iraniani non sono il “terribile mostro” che a torto si è portati ad immaginare.

Concludo con una nota romantica… per ben due volte (a Teheran e a Shiraz) siamo stati accolti e salutati con mazzi di rose rosse.

Uno dei tanti gesti nobili degli iraniani nei confronti di un turista straniero.

Come possiamo non amarli?

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