Indonesia: un viaggio tra terra e mare, acqua e fuoco

Alla scoperta di Bali, delle selvagge Flores, Rinca e Komodo, e degli spettacolari ambienti naturali di Giava
Scritto da: francoarcturus
indonesia: un viaggio tra terra e mare, acqua e fuoco
Partenza il: 04/10/2016
Ritorno il: 22/10/2016
Viaggiatori: 10
Spesa: 3000 €
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Il Diario di Marisa – Indonesia: dal 4 al 22 ottobre 2016

È un paese situato nella parte meridionale del Sud-Est asiatico, costituito da 17.500 isole, che formano il più grande arcipelago del mondo. Così tante isole assicurano un ricco e vario patrimonio culturale; grazie alla sua importanza geopolitica il paese è stato influenzato da diverse nazioni vicine, che hanno segnato la sua storia e la sua architettura. L’Indonesia è posta sul bordo d’importanti faglie tettoniche che la rendono molto soggetta a fenomeni quali vulcanismo e terremoti; possiede almeno centocinquanta vulcani attivi. Millecinquecento anni fa e sotto l’influenza indiana, in queste isole fiorirono i regni indù e buddisti; secoli dopo, i musulmani hanno portato la religione islamica. La produzione di spezie favorì gli scambi commerciali con la Cina, che le potenze europee, più tardi, tentarono di controllare. Colonia olandese dall’inizio del XVII secolo, fu occupata dai giapponesi nel periodo della seconda guerra mondiale e, subito dopo, ha ottenuto l’indipendenza.

Un viaggio tra terra e mare, fra acqua e fuoco, alla scoperta delle Isole di Bali, Flores visitando Rinca e Komodo e, infine, Giava attraversando spettacolari ambienti naturali, sovrastati da imponenti vulcani. Su queste isole vivono popolazioni diverse per etnia, lingua, usanze e religione. Non solo ogni isola ha le sue caratteristiche, ma qui si capisce fino in fondo il significato della parola “isola”: solo l’isolamento ha salvato dall’estinzione i terrificanti varani giganti e questo incontro ci riporterà alla “preistoria”. Viaggiare per le isole dell’Indonesia è come spostarsi da un continente all’altro. I territori, i popoli e le loro culture sono così diversi che è impossibile annoiarsi e non trovare qualcosa che affascina.

Sono tornata da un mese da quest’arcipelago e ho ancora dentro i colori, i profumi di questa terra, il sorriso e la gentilezza dei suoi stupendi abitanti che ci hanno fatto star bene. Vi posso dire che non è stato difficile amare questi luoghi, ma devo anche ammettere che le nostre guide hanno contribuito a rafforzare sentimenti di ammirazione e benevolenza nei confronti di questo popolo: Sem, la guida balinese, Victor il giovane di Flores e Luna con il figlio Madi che ci hanno guidato a Giava. Trasmettono ai turisti, con un sorriso, tutte le loro conoscenze sui luoghi, sulle usanze e sui riti, sempre in modo leggero con gentilezza, disponibilità, pacatezza, rivelando l’orgoglio di essere nati proprio lì e, particolare molto importante per me, si esprimono in un italiano comprensibilissimo! Rispondono a ogni domanda, a ogni curiosità, non stancandosi mai, ma aggiungendo sempre qualcosa in più, qualcosa che non ci si aspetta.

4 ottobre: Volo da Mi-Singapore – Singapore- Bali

5 ottobre: Arrivo all’isola di Bali

All’aeroporto di Bali, la nostra guida, in costume tradizionale, è in attesa di Franco, uno dei due soci fondatori della Coritour che, in quest’occasione, conta dieci adesioni: Franco e Tino, i due fondatori, Betta e Cecilia, Maria Rosa e Maria Luisa, Dodi ed io e le mie “nipotine” Michela e Lisa, le due giovani nuove partecipanti al tour.

Bali è una sorta d’isola delle meraviglie. La spiritualità che tutto pervade, si esprime qui in una fittissima rete di templi, altari, statue e in centinaia di riti, feste, offerte e preghiere. Nonostante il boom turistico degli ultimi anni, Bali mantiene la sua autenticità e il suo fascino. E’ un’isola piccola, molto verde con caratteristiche colline terrazzate e folte foreste tropicali. La città più importante e più viva è Denpasar, dove si trova anche l’aeroporto internazionale. Ubud è situata, invece, all’interno dell’isola ed è il più grande centro artistico e culturale. E’ anche per la sua arte che l’isola è famosa in tutto il mondo. Scultura nella pietra e intaglio del legno sono le attività artistiche più sviluppate. Non abbiamo lasciato l’isola senza aver acquistato una maschera e un meraviglioso batik. Dirigendoci verso la cittadina di Ubud, tra foreste e verdeggianti terrazze di riso, percorriamo una lunga strada fiancheggiata da case e laboratori di sculture su legno e pietra che diverranno decorazioni per tempietti familiari.

L’isola di Bali conta una moltitudine di templi le cui dimensioni variano in base al loro tipo: templi familiari, di quartiere o nazionali. Riti, cerimonie e preghiere scandiscono la vita quotidiana della popolazione; in ogni abitazione, tempio o lungo le strade è facile imbattersi in piccoli altari recanti offerte agli dei: incensi profumati, fiori coloratissimi e ciotole di riso. Anche il significato dei colori assume, nelle diverse occasioni, un’importanza rilevante: il bianco è il colore della luce e della purezza; il rosso dell’energia e della passione; il giallo della terra e il nero dell’oscurità. Teli di questi quattro colori avvolgono alberi sacri, statue e simboli religiosi.

La foresta è ricca di enormi alberi di noce moscata, di bambù, di banani e di palme. Le vie delle città e i parchi dei templi sono decorati da una vasta gamma di fiori come l’ibisco, la buganvillea, l’oleandro, il gelsomino, i fiori di Loto, le orchidee e infinite piante fiorite come le Plumerie o frangipane che seminano ovunque splendidi e profumatissimi fiori dai colori vivaci. La popolazione locale ne intreccia ghirlande per decorare statue e altarini e, spesso, le donne li usano per ornare i capelli. Michela e Lisa le hanno imitate con piacere e divertimento! Nella zona dei laghi formatasi dai crateri vulcanici, il clima fresco dato dall’altitudine, consente la coltivazione di piante da frutta e spezie. Sono presenti anche piantagioni di caffè e di te. Noi abbiamo visitato un giardino botanico, dove crescono gli alberi del caffè, del cacao, della vaniglia, dei chiodi di garofano e dello zenzero. All’interno del giardino, una grande tettoia attrezzata, accoglie i turisti ai quali è offerta la degustazione di otto tipi di caffè. Quello più pregiato al mondo è prodotto proprio qui in Indonesia; la particolarità del Kopi Luwak, risiede nel fatto che si tratta di chicchi di caffè mangiati e digeriti dalla Mangusta, raccolti a mano e tostati normalmente. Tre di questi animali sono allevati all’interno di gabbie, durante il giorno sonnecchiano appallottolati dentro un rifugio circolare perché animali notturni.

6 ottobre

La nostra guida ci accompagna in un importante luogo di culto per l’induismo, il Pura Dalem Agung. Tra altissimi e secolari ficus religiosa dalle radici aeree che avvolgono ogni cosa, spadroneggiano indisturbati simpatici macachi equilibristi “posti” a guardia delle pagode e dei padiglioni che risalirebbero alla metà del XIV secolo. Ovviamente abbiamo sprecato tanti scatti per questi indisciplinati e un po’ sfrontati macachi troppo abituati a pretendere pezzetti di meloni, banane, arachidi, mais… dai turisti. Dobbiamo fare attenzione agli zaini perché sono capaci di aprire la zip e rubare il contenuto. Michela è stata vittima di un “borseggiatore” e, nel momento in cui ha cercato di mettersi in salvo, la scimmia, vendicativa e indispettita, l’ha morsicata sull’avambraccio lasciandole l’impronta della dentatura! Poco distante dalla città di Ubud, sorge Goa Gajah, un sito archeologico indù, conosciuto anche come la “Grotta dell’elefante”. E’ una caverna misteriosa che risale all’undicesimo secolo. Gli archeologi che l’hanno scoperta crederono di vedere una testa di elefante e da qui il suo nome. Una bocca demoniaca, raffigurante il dio indù Bhoma, è l’accesso alla grotta, quasi a simboleggiare il passaggio in un mondo sotterraneo, stretto e buio, con una piccola nicchia, sulla sinistra, in cui è racchiusa una statua di Ganesh, la divinità a forma di elefante. Oltre alle impressionanti grotte scavate a mano, il complesso include templi, statue, padiglioni e tre piscine per i bagni.

Ora via alla scoperta di Kintamani immerso nel verde di una rigogliosa natura. Da una terrazza è possibile ammirare uno dei panorami più belli dell’isola, con un vulcano ancora attivo, il monte Batur e l’immensa caldera con l’omonimo lago. L’ultima recente eruzione sono ancora evidenti i segni lasciati dalle colate di lava che, solidificandosi, hanno creato un fiume di rocce vulcaniche dal colore marrone scuro. Per il pranzo ci fermiamo in un ristorante a buffet la cui posizione è a dir poco invidiabile: la vista è mozzafiato. Non capita tutti i giorni di mangiare con un vulcano sullo sfondo.

A proposito di posti speciali, ripenso a un tempio sacro, il Pura Tirta Empul che è uno tra i più importanti per il potere magico attribuito all’acqua delle sue vasche, proveniente da sorgenti ritenute sacre, dove la gente del luogo si reca per immergersi e purificare la propria anima. La vasca più grande, in cui non ci si può bagnare, racchiude la sorgente sacra che gorgoglia in vari punti del fondo e muove la nera sabbia vulcanica che sembra viva.

Per visitare i luoghi sacri è necessario indossare il sarong, un telo che si lega intorno alla vita e scende fino ai piedi, oltre a tutta una serie di accorgimenti legati alla sacralità del luogo. Ogni pietra di questo luogo millenario è coperta di muschio che aumenta col passare del tempo e con l’umidità. Il tempio è molto affollato, ci sono gruppi di fedeli giunti per fare il bagno in queste acque. Anche noi ci avviciniamo e seguiamo la fila di persone che piano s’immergono e vanno verso le diverse fontanelle da cui sgorga l’acqua sacra, ma non li imitiamo, li guardiamo solo incuriositi.

Su una curatissima collinetta, con vista sul tempio, si erge un’enorme villa, un edificio straordinariamente moderno, dove il Presidente indonesiano ospita personaggi importanti. Verso l’uscita, in un’altra vasca, notano grandi e colorati pesci carpa.

Ora ci dirigiamo a visitare un laboratorio di batik: le famose e coloratissime stoffe balinesi e giavanesi. Il batik è una tecnica usata per colorare i tessuti a riserva, mediante la copertura delle zone che non si vogliono tingere tramite cera che è stesa sulla stoffa con una speciale penna o tramite degli stampi. Poi visitiamo un laboratorio dove lavorano l’argento trasformando il metallo in gioielli.

Bali è famosa anche per le sue danze e per il suo teatro! Ipnotica e, per noi occidentali, anche un po’ misteriosa, la danza balinese conserva un carattere sacro. La nostra guida ci ha offerto l’occasione di assistere alla danza Kecak o delle scimmie, in un anfiteatro nel centro della città. C’è distribuito un foglio, dove è spiegato il significato della rappresentazione. Il nome della danza deriva dal suono “ciak, ciak, ciak…” ripetuto ritmicamente da un coro di numerosi uomini seduti in terra a semicerchio, mentre battono le mani, ondeggiano e agitano le braccia senza nessun accompagnamento musicale. Al centro del cerchio si svolge la danza che narra alcuni passi del poema epico “Ramayana” che simboleggia l’eterna lotta tra il bene e il male. Lo spettacolo termina con la danza del fuoco, durante la quale un danzatore cammina sui carboni ardenti.

Per cena ci immergiamo nella vita notturna di Bali; sembra di essere in una caotica e rumorosa cittadina della costa spagnola con musica assordante e luci colorate. Scegliamo un ristorante caratteristico e il menù accontenta tutti i gusti.

Cosa si mangia in Indonesia? Me lo chiedono in molti da quando sono tornata dal viaggio ed io rispondo che, come negli altri posti del Sud-Est asiatico, dopo un po’ comincio ad avere nostalgia del cibo italiano. La cucina indonesiana è certamente semplice, fatta di pochi essenziali ingredienti: riso, verdura, frutta, carne e pesce unita all’uso sapiente delle spezie che regala ai piatti dei sapori particolari, ma non esistendo pane e derivati e per me è una difficile rinuncia. Un piatto servito al ristorante, costa davvero poco: non supera quasi mai i dieci euro compresa una bibita.

7 ottobre

Lasciamo dopo colazione, il Bliss Hotel di Ubud, alla volta di Bedugul, su un altopiano al centro dell’isola. Lungo la strada presso Mengwi, situato in un ampio giardino bellissimo con una cornice alberata e tanti laghetti, sorge il tempio reale di Taman Ayun, circondato dall’acqua e ornato da una vasca in cui galleggiano i fiori di loto. E’ composto di diversi templi, i meru, della tradizionale architettura balinese, da tre a undici tetti, ricoperti di paglia e protetti da un fossato con l’acqua, in modo che i visitatori non possano accedere al suo interno.

Riprendiamo il viaggio e, durante il percorso, visitiamo un mercato ortofrutticolo tradizionale dove cavoli verza, pomodori, melanzane, fagiolini, patate, carote, peperoncini… sono esposti in grandi ceste. Di solito i mercati sono labirinti di bancarelle che vendono anche cibi pronti: è un’esperienza di vita vera più che un ritrovo per fare spese. Gli odori ti stordiscono da quanto sono intensi e il rumore fa da contorno ai banchi colorati coperti da ogni genere di mercanzia. Sulla maggior parte è esposta la frutta esotica che è eccezionale per sapore, profumo e colore. In questi paesi crescono rigogliosi: il mango, la papaya, il cocco, il salak o frutto serpente, quasi sferico, racchiuso in una corazza a scaglie di un bel colore bruno-rossiccio che ricorda proprio la pelle del serpente. Caschi di piccole e dolci banane, cesti di manghi e babaco simile nella forma ai peperoni, di colore giallo con qualche sfumatura verde, quando raggiungono la piena maturazione. Il Dragon fruit è di un bel colore rosa fucsia, all’interno ha una polpa chiara, trasparente, che assomiglia a un sorbetto, piena di minuscoli semi neri. Tagliato il frutto a metà si mangia con il cucchiaino al naturale oppure condito con zucchero e limone. Il durian o semplicemente puzzone che, per il suo odore veramente abominevole e repellente, non può essere portato sui mezzi pubblici e negli alberghi.

Saliamo oltre mille metri di altitudine, sulle rive del lago Beratan, luogo ideale per gli sport acquatici e dove si erge il Pura Bedugul considerato il più bel tempio di Bali. Quest’ultimo è dedicato alla dea delle acque (Meru a undici tetti) e alla dea del riso (Meru a tre tetti). Situato in posizione particolarmente scenografica nel mezzo del lago, su una piccola isola dove sembra galleggiare. Due sposi, che si lasciano dondolare su una barchetta di legno con decorazioni coloratissime, lunga, molto stretta e piuttosto profonda, con due bilancieri ai lati, indossano ricchissimi vestiti tradizionali e pesanti corone, collane, bracciali e spilloni vari. L’immenso giardino è molto curato. Nelle aiuole crescono fiori spettacolari e, in un recinto, sono custoditi alcuni cervi. Quanti pellegrini! Gli uomini sono vestiti prevalentemente con camicie e turbanti candidi, le donne e le bambine, elegantissime, con camicette bianche, gialle, a volte più colorate, di pizzo trasparente e alte cinture in vita su coloratissimi sarong di cotone o di seta lunghi fino alle caviglie! I devoti hanno tracce di chicchi di riso in fronte e fiori dietro le orecchie. Quante donazioni portate sulla testa! Quanta gente nel prato che, a terra, consuma cibi acquistati dalle decine di bancarelle presenti. Alcuni gruppi sono isolati; la guida ci spiega che si tratta di cerimonie private riservate a “clan”, ossia a intere famiglie, che riuniscono parenti di qualsiasi grado.

Percorriamo strade secondarie attraverso paesini e centri abitati per risalire l’altopiano e arrivare a Jatiluwih. Siamo nel cuore delle risaie circondate da montagne e foreste tropicali; è il luogo ideale per assaporare l’atmosfera da villaggio osservando i contadini che lavorano chini, spesso a piedi nudi nell’acqua, con grandi cappelli di paglia a forma di cono che abbiamo già visto indossare in Indocina. I terreni sono a terrazzamenti decrescenti e divisi in vasche poco profonde delimitate da piccoli argini di terra per mantenere perfetto il livello dell’acqua che scorre dall’alto della collina. Da un punto panoramico, volgo lo guardo e scorgo coltivazioni di riso di un colore verde brillante in tutte le tonalità con tocchi di rosso. E’ proprio una delle meraviglie del mondo. Infatti, e non a caso, il nome di Jatiluwih deriva da due parole balinesi che significano “davvero bello”.

Il riso, oltre ad essere il più semplice ingrediente base della cucina indonesiana, è anche parte integrante della cultura di questo popolo. Il rito del ciclo continuo di semina, piantagione, mantenimento, irrigazione e raccolta, avviene tre volte l’anno. Nel mezzo delle risaie, spesso, si trovano piccoli santuari, dove i contadini offrono fiori e frutti per propiziarsi gli dei della terra e dei raccolti.

Proseguiamo il viaggio verso la costa sud-ovest dell’isola per vedere il tempio Luhur Uluwatu. Isolato e arroccato sulla scogliera all’estremità di una falesia scoscesa che sovrasta l’oceano, sorge questo tempio dedicato alle divinità del mare. Anche se oggi il cielo è grigio e nuvoloso, il panorama sugli scogli e sulla bianca distesa di sabbia, dove le onde vengono a frangersi rumorosamente, è di grande fascino. La spiaggia è meta di surfisti che sfidano le alte onde; l’unico rimasto ancora in mare, decide di uscire e, con la tavola sotto il braccio, cammina sulla sabbia lasciando nitide impronte dietro di se. Raggiungiamo il Tanah Lot con la bassa marea, quando il suo profilo spicca nell’ultima luce del tramonto. Alcuni di noi decidono di andare a ricevere l’acqua sacra e tornano con i chicchi di riso sulla fronte. Il tutto comincia con il rito dell’acqua che, versata nella coppa dei palmi delle mani, serve a lavare il viso. Poi il riso è appoggiato sulla fronte umida quindi alcuni chicchi restano attaccati mentre l’orecchio è ornato con un profumato fiore di frangipane. È un momento intenso che regala benessere e, se serve a farci sentire bene, allora ben venga! Due boa, uno nella grotta di fronte e uno nei giardini, ricordano la credenza secondo cui i serpenti marini che vivono ai piedi della roccia, sono considerati i guardiani del tempio, proteggendolo così da demoni, intrusi e vari spiriti maligni.

8 ottobre

Questa mattina voliamo da Bali a Ende, sull’isola di Flores, che è la tappa successiva del nostro viaggio. Le isole della Sonda, con Rinca e Komodo, sono davvero incontaminate: appena sbarcati, sembra quasi di essere stati catapultati in un altro paese. Flores è sicuramente meno turistica, dal fascino selvaggio e, a parer mio, una vera meraviglia e così varia nel suo genere. Mi piace! Conosciamo Victor, la nostra nuova guida. La strada che stiamo percorrendo attraverso la zona di Detusoko è meravigliosa, costeggia palmeti, paesaggi mozzafiato, piccoli villaggi pieni di bambini in divisa che escono da scuola, piantagioni di caffè, di cacao, di tabacco e il verde intenso delle risaie. Giungiamo a Moni ai piedi del Kelimutu; inizia la salita che apre davanti ai nostri occhi uno scenario di splendide vallate e montagne, vediamo il mare apparire e scomparire in lontananza.

Io mi sono fermata al centro di accoglienza presso il parcheggio e ho lasciato agli altri il piacere di salire verso i tre crateri con i laghi di differente colore. “ Vedrò” attraverso le loro emozioni e le loro fotografie! La cima è coperta da una bruma molto fitta, pioviggina e i laghi sono quasi invisibili ma, con il trascorrere del tempo, il cielo si libera dalle nuvole e spunta il sole che rende ancora più spettacolare il fenomeno. Ogni lago ha i propri colori e un nome locale, ma tutti sono ritenuti il luogo di riposo delle anime dei defunti. Un’antica leggenda, infatti, narra che la variazione cromatica dipende dall’animo inquieto degli spiriti. Il primo dei tre laghi, assume uno splendido colore blu intenso, dove andrebbero a riposare gli spiriti degli anziani che hanno condotto una vita retta. Gli altri due che condividono una stessa parete del vulcano, sono uno, tipicamente verde e l’altro, il lago ‘incantato’ varia dal rosso scuro al nero. S’ipotizza che le diversità di colore siano dovute alla presenza di fumarole subacquee.

Riprendiamo il viaggio sul nostro pulmino. Lungo la strada visitiamo il villaggio etnico Liu per cercare di comprendere la gente del posto, la loro vita quotidiana o semplicemente per guardare da vicino il lavoro e le architetture delle case che sono costruite con legno, bambù e paglia.

Attraversiamo fitte foreste e, mentre si avvicina la notte, si scatena un forte acquazzone. Un po’ di apprensione mi assale perché stiamo percorrendo una strada stretta a tortuosa; mi rincuora l’incontro con alcuni motorini perché mi fanno pensare che stiamo attraversando una zona abitata. In un pianoro alcune fioche luci ci mostrano delle capanne completamente circondate dall’acqua. Gli occupanti non sembrano preoccuparsi molto, ma si limitano ad allontanare l’acqua con una scopa.

Si arriva a Riung nella serata. La pioggia sembra darci un attimo di tregua, giusto il tempo per scendere dal pulmino, scaricare le valigie e poi ricomincia a cadere con veemenza. Noi siamo sistemate in una camera a piano terra del Lodge fondato da missionari polacchi, molto semplice e spartano. La costruzione sorge intorno a un giardino curato, con piante verdi e fiori; i passaggi tra le aiuole sono ricoperti da pietre di colore verde azzurro che provengono dalla famosa Penggajawa Beach.

9 ottobre

Questa mattina, con la luce del sole, ci rendiamo conto che ci troviamo a breve distanza dal porto da dove partiamo per le nostre esplorazioni. Ci dirigiamo tutti verso il pontile con pinne, maschera e boccaglio per salpare verso le piccole Isole della Sonda, uno dei più affascinanti e interessanti angoli del paese. Sono un sogno anche per noi, che cerchiamo il paradiso tropicale perfetto: caldo, isole sperdute in mezzo all’oceano con soffici spiagge bianche, palme altissime, mari incontaminati che cambiano colore dal verde al profondo blu e una vita sottomarina incredibile.

L’arcipelago è composto di isole vulcaniche, circondate da una barriera corallina, ancora quasi del tutto incontaminata e da uno splendido mare cristallino. L’ambiente è davvero spettacolare quando l’acqua riflette tutte le tonalità del cielo. Nelle baie riparate facciamo il bagno e pratichiamo lo snorkeling con il massimo piacere. Questa è la mia prima volta. L’acqua è calda e accogliente e i fondali sono un’esplosione di colori da togliere il fiato. Ogni tuffo dalla barca è uno spettacolo di colori ed emozioni. A soli pochi metri dalla spiaggia ci immergiamo per ammirare un meraviglioso fondale, con un tappeto multicolore di coralli duri e morbidi, che offre l’habitat a diverse specie di animali. Che esperienza fantastica! Sembra di essere immersi in un acquario sconfinato, circondati da un’infinità di pesci tropicali che si rincorrono e guizzano veloci. C’è anche un pesce, più temerario oppure spaventato, che ci attacca a piccoli morsi. La manta scivola leggera ed elegante, sembra danzare per la flessuosità dei movimenti delle pinne pettorali e la lunga coda che termina con l’aculeo mentre fugge a mimetizzarsi nella sabbia dei fondali. Poi pesci palla, stelle marine coloratissime, ricci di grandi dimensioni, conchiglie bivalve, spugne, anemoni e… tantissimi Nemo, i pesci pagliaccio! Ricordate il film “Alla ricerca di Nemo”? Il nome scientifico di questo pesce è Amphiprion percula, il soprannome di “pagliaccio” deriva dal fatto che è caratterizzato da colori molto vivaci e particolari: un arancione brillante con delle striature nere e bianche. Vive nella barriera corallina in simbiosi con gli anemoni di mare, difendendosi dalle punture urticanti grazie al muco che ricopre il suo corpo. L’anemone, ospitando il pesce pagliaccio, si libera dei parassiti mentre il pesce si ripara dai predatori rifugiandosi fra i tentacoli urticanti dell’anemone. Questo sodalizio dura tutta la vita e si potrebbe definire un reciproco scambio di favori. Solitamente è una coppia di pesci che vive nell’anemone, ma possono trovarvi rifugio piccole famiglie e comunità costituite da più esemplari.

All’improvviso la sicurezza della barriera corallina scompare, precipita nel profondo blu, nel buio e m’incute un po’ di timore. E’ forse la percezione dell’ignoto e quindi ritorno alla sicurezza dei fondali a vista.

Approdiamo su una bianca spiaggia mentre il nostro equipaggio è occupato a preparare il pranzo. Il pesce sfrigola sulla griglia mentre un profumo appetitoso si diffonde intorno. Consumiamo un gustoso pranzetto all’ombra di alcune palme.

La giornata continua ancora in mare per esplorare le meraviglie che racchiude.

Nel pomeriggio si riparte, ma con nostra grande sorpresa la tappa successiva è un’isoletta che si distingue per una vasta colonia di pipistrelli della frutta che vive attaccata ai rami di alcune mangrovie. Ogni sera, al tramonto, migrano, per andare nelle isole circostanti a caccia di cibo e per fare ritorno a “casa” all’alba. La volpe volante è nota, rispetto agli altri pipistrelli, per le sue grandi dimensioni! Il nome deriva dalle orecchie molto lunghe e appuntite e dal colore rossastro che può caratterizzare il suo manto.

Al tramonto facciamo ritorno al molo e poi in albergo. Dopo una doccia ristoratrice andiamo a cena in un ristorantino vicino alla spiaggia. Un forte acquazzone si abbatte su di noi ma, siamo all’asciutto sotto una tettoia.

10 ottobre

La mattina è ancora dedicata allo snorkeling e poi grigliata sulla spiaggia corallina di una delle isole; questa che ci ospita è piccola e disabitata. Nel primo pomeriggio ritorno al porto e partenza per Bajawa.

La vegetazione di Flores è veramente spettacolare e avvolge tutta l’isola, lasciando liberi solo i coni dei vulcani che dominano laghi e villaggi. La nostra guida ci propone un bagno nelle terme di Soa immerse in un ambiente naturale fantastico, tra alberi e rocce. Ci dirigiamo agli spogliatoi per indossare il costume e … finiamo piacevolmente la giornata in ammollo! La vasca termale è alimentata da acqua calda di origine vulcanica e da un flusso di acqua fredda di montagna. Le acque si mescolano creando la temperatura perfetta. Una volta trovato il punto giusto è difficile uscire!

E’ già buio quando giungiamo all’Hotel Happy Happy di Bajawa. Usciamo per la cena. La cittadina è scarsamente illuminata e bisogna fare molta attenzione alle buche che sono costantemente in “agguato” sui marciapiedi. Il primo della carovana funge da vedetta e lancia l’allarme che rimbalza di bocca in bocca: Bucaaa!

11 ottobre

Partenza per Ruteng dopo la colazione in hotel. Attraversiamo paesaggi talmente belli da non sembrar veri, foreste di bambù di dimensioni mai viste, felci arboree enormi che sviluppano le loro fronde in cima a un “tronco” alto anche due o tre metri. All’apice si formano continuamente nuove foglie che, all’inizio, hanno la forma di un punto interrogativo, man mano che crescono, si stendono e, poi invecchiando, cadono. Coni vulcanici spuntano un po’ ovunque e anche risaie terrazzate.

Ci fermiamo per visitare un villaggio megalitico Nama Kampung Bena abitato dal popolo che vive alle pendici del Vulcano Inerie. Un anziano ci accoglie e si sbraccia tra gesti e sorrisi, mentre ci mostra, le stuoie stese sul terreno con vegetali e frutti a essiccare al sole.

Le case di legno, con alti tetti di paglia, sono costruite tutt’attorno ai monumenti degli avi e alle tombe su cui, molto spesso, è posto un vecchio piatto. Sul porticato di alcune case sono esposte le corna di bufalo, simbolo di prosperità; più la famiglia è ricca e importante, più sono i bufali sacrificati durante le cerimonie. Al centro del villaggio alcune capanne coniche dai tetti di paglia e altre simili a casette, simboleggiavano i loro spiriti antichi maschio (Ngadhu) e femmina (Bhaga). Tra essi sono stesi grandi teli con chicchi di caffè e chiodi di garofano a essiccare. Io ero convinta che queste spezie fossero prodotte da piccoli arbusti, invece scopro che i chiodi di garofano crescono su alti alberi; ne vediamo alcuni cui sono appoggiate, per la raccolta, le scale di bambù costruite con un solo tronco forato a distanza regolare dove sono inseriti dei rami più piccoli che fungono da pioli per salire. Certo che i raccoglitori, oltre a essere molto pazienti, sono dei veri e propri equilibristi! In questo periodo non ci sono molti turisti, le donne stanno sedute nel portico davanti all’ingresso a tessere gli ikat, stoffe colorate con essenze naturali e confezionate al telaio. Alcuni scalini portano a un piccolo belvedere che si affaccia sul panorama dominato dal vulcano e sul villaggio. Qui un anziano cieco suona per noi, con un flauto, anche musiche italiane.

Le sciarpe in bella mostra sono vivaci e colorate ideali per un ricordo. Perché no? Ognuno fa acquisti da portare a casa o per un regalo. I sorrisi grati degli abitanti mettono in mostra labbra e denti macchiati di rosso: evidente segno che masticano la noce di betel.

Si riparte per andare al villaggio di Aimere dove si produce l’arak. Sotto una tettoia bolle, in alambicchi di terra e cannule di bambù, il succo di palma. Il distillato che si ottiene è trasparente e simile alla grappa: non possiamo rinunciare a un assaggio.

Giungiamo in città e ci sistemiamo nell’Hotel Sinda. Cena nel ristorante dell’hotel.

12 ottobre

Dopo la colazione visitiamo la piccola cittadina di Ruteng che è una delle più popolate dell’isola e situata a un’altitudine di 1100 metri, ai piedi del vulcano Ranaka. Particolare è la vecchia cattedrale cattolica che presenta un’architettura differente dalle nostre chiese e per questo curiosa. I colori chiari degli infissi le donano un’aria “tropicale”. Qualche centinaio di metri più a monte sorge la nuova chiesa che non è del tutto completata. Le due torri campanarie necessitano ancora del rivestimento e dell’intonaco, mentre il corpo centrale e l’interno sono stati terminati. Entriamo e ci accorgiamo che ai piedi dell’altare si stanno facendo le prove per un matrimonio. Silenziosi e in ascolto, ci sediamo sulle panche mentre guardiamo intorno. La struttura è moderna, essenziale, luminosa e ampia. Sull’altare maggiore campeggia un affresco dell’ultima cena a colori vivaci.

Lungo il percorso ci fermiamo a Lembor-Cancar per salire su una collinetta che domina le risaie a ragnatela, una pratica di coltivazione utilizzata solo in questa vallata. E’ incredibile il contrasto di verde che si crea tra un trapezio e l’altro. La coltivazione dei campi è affidata a diverse famiglie e ogni gruppo della comunità ha il diritto di lavorare un certo pezzo di terra.

Ci dirigiamo ora verso Labuan Bajo, punto occidentale dell’isola. La cittadina di mare si sta aprendo pian piano ai viaggiatori stranieri: molti edifici sono in costruzione e le strade sono ancora in parte sterrate. Al porto saliamo su un peschereccio per raggiungere le isole di Rinca, Komodo e altre isolette coralline minori, veri paradisi tropicali delizia di bagni e snorkeling.

Cena e pernottamento in barca che è completamente a nostra disposizione: oltre a noi dieci coritouristi, ci sono soltanto il capitano, un suo aiutante e il cuoco. Sistemazione spartana, ma eravamo preparati.

La prima notte a bordo sarebbe stata perfetta: pace, mare piatto e un leggero sciabordio come sottofondo, ma per chi è sistemato nelle cabine ricavate nella cambusa, il sonno, per l’eccessivo caldo e l’alta umidità nonostante il condizionatore, tarda ad arrivare o non giunge per niente. Michela e Lisa si sono trasferite in coperta e sono finalmente riuscite ad addormentarsi sulle panche intorno al tavolo da pranzo.

13 ottobre

Dopo la colazione sulla barca, con un’imbarcazione più piccola, approdiamo alle isole di Rinca e Komodo per visitare il Parco Nazionale che è stato creato per proteggere il varano gigante, o drago di Komodo, il più grande rettile ancora esistente e una delle più antiche specie viventi, perché discendente dai dinosauri ed endemico di questa zona. Ci attendono alcuni ranger e ci avviamo a piedi, attraverso la foresta tipica secca, per esplorare l’isola e ricercare i grandi varani. Giungiamo al centro di accoglienza dove “Balotelli” e altri due compagni ci danno il benvenuto. I lucertoloni sembrano sonnolenti e sornioni ma, il ranger ci mette in guardia spiegandoci che il soprannome “Balotelli” è stato affibbiato a uno di essi per la sua improvvisa irascibilità e velocità. Questo lucertolone lungo anche tre metri, che nel primo anno di vita abita sugli alberi, è un carnivoro dalla straordinaria voracità e può essere pericoloso per il morso perché i batteri contenuti nella sua saliva sono micidiali. Fu scoperto soltanto nel 1912 da una spedizione scientifica, incuriosita dalle narrazioni di marinai che parlavano di un mostro mangiatore di uomini. Se sono così temibili, come mai tra gli alberi pascolano tranquillamente alcuni cervi? Un movimento improvviso attira la nostra attenzione: due giovani varani lunghi circa un metro e mezzo, attraversano velocemente il sottobosco per mettersi in salvo sugli alberi. Gli adulti, infatti, sono cannibali e ne fanno il loro pasto. C’è da dire che la guida è munita di un bastone di legno lungo e biforcuto sulla punta, ci guida a fare un giretto di circa un’ora durante la quale abbiamo visto i draghi solo intorno alle casette delle guide per cercare cibo senza fare fatica, badano poco a noi turisti. Nascosto tra la vegetazione, ci è indicato il luogo, dove scavano le buche per deporre le uova; lì vicino una grossa femmina, immobile, custodisce la sua futura prole. Tra gli alti alberi di ficus e di palma si nascondono alcuni macachi dalla lunga coda. Franco riceve in regalo da Betta un “Komodino” scolpito nel legno; il dono è veramente gradito!

Ritorniamo alla barca solcando un mare calmo dal verde al blu intenso disseminato di tante isole quasi tutte disabitate e assistiamo a uno dei momenti migliori: un fantastico e indimenticabile tramonto. Il cielo azzurro si tinge di arancione, poi di rosso e una palla infuocata si nasconde lentamente dietro un’isola. L’unico rumore è quello degli scatti fotografici, poi il silenzio.

Dopo cena saliamo in coperta; sopra di noi il cielo stellato, tutto intorno il buio e una pace assoluta.

14 ottobre

Dopo colazione navighiamo verso l’isola di Kanawa. Con la piccola barca al traino ci trasferiamo verso il pontile che permette l’accesso alla spiaggia perché le barche che attraccano al largo non possono avvicinarsi. Il paesaggio è surreale: il bianco della sabbia e le panchine sistemate all’ombra di alcuni alberi, completano questo piccolo eden. L’acqua è talmente trasparente che, percorrendo il pontile di legno, riesco a vedere i pesci che nuotano sotto di noi. La barriera corallina è ad alcune decina di metri di distanza e la zona è perfetta per lo snorkeling. Nell’isola vi è una struttura ricettiva composta da bungalow, ma non è accessibile a noi turisti occasionali che siamo obbligati a rispettare dei limiti territoriali.

A me non importa, posso lo stesso godere di questo piccolo paradiso e mi tuffo immediatamente nell’acqua alla scoperta dei meravigliosi fondali!

Nel pomeriggio, dopo il pranzo, si torna a Labuan Bajo e il peschereccio ci lascia direttamente nel porto.

Diciamo che per questa piccola crociera c’è voluto un po’ di spirito di adattamento ma, per quanto mi riguarda, ne è valsa assolutamente la pena.

Il pulmino ci accompagna all’aeroporto perché ci aspetta il volo per Bempasar a Bali. Qui c’è ancora Sem che ci attende e consegna a Dodi la tela che aveva acquistato nel villaggio di fronte al Monte Batur. Appena giunti in aeroporto scopriamo che un forte temporale che si è abbattuto su Bali ha causato la soppressione del volo Garuda. Tino e Maria Luisa s’informano subito e, con la loro consueta efficienza, risolvono il problema, anzi scoprono che il volo della Kal Star, parte regolarmente, quasi in anticipo, quindi raggiungiamo Bali senza altri intoppi dopo aver sorvolato le isole con i crateri fumanti dei vulcani.

Usciamo tutti insieme per la cena.

15 ottobre

Si riparte alla volta di Gilimanuk Harbor; costeggiamo il mare, attraversiamo distese di risaie e raggiungiamo lo stretto che divide Bali da Giava. Incontro con Luna e il figlio Madi, le nostre nuove guide giavanesi, mentre salutiamo la guida che resta a Bali. Raggiungiamo a piedi il traghetto che ci trasporta attraverso i tre chilometri di mare che dividono le sponde delle due isole.

Giava, che ospita la capitale Giacarta, è l’isola più popolosa al mondo e la tredicesima più estesa. Possiede una forma allungata ed è costellata di vulcani che ne costituiscono l’attrazione turistica principale insieme alla presenza di siti religiosi dall’indubbio fascino. Sono popolari destinazioni la città di Jogyakarta, un enorme monumento a forma piramidale dedicato a Buddha, conosciuto come Borobudur e Prambanan, il maggior tempio indù dell’isola, senza dimenticare i vulcani Ljen e Bromo.

16 ottobre

Sveglia prima dell’alba per “scalare” il famoso vulcano Ljen, cratere attivo di circa un chilometro di diametro. Decido di partecipare anch’io perché Luna mi assicura che sarà possibile salire fino al cratere agevolmente trasportata su una specie di carriola spinta dai portantini. L’ascesa, per me, è certamente agevole, ma che mortificazione: mi sento malissimo nonostante le rassicurazioni che i tre portantini guadagnano in un solo giorno lo stipendio di un mese! Tali affermazioni non hanno certo alleggerito il senso di colpa che mi opprime. L’unico sollievo è stato il percepire l’allegria e la spensieratezza nella voce dei tre giovani che salivano con il mio “carico”, anche se il respiro era ansimante. Loro sono i minatori, i “forzati dello zolfo”, che faticano alle pendici del vulcano in condizioni di lavoro disumane. Partono dal campo base, situato ai piedi del vulcano e, dopo due ore di cammino, arrivano in cima alla montagna e poi ridiscendono le pareti del cratere. Arrivati in fondo, spaccano le lastre di zolfo in condizioni estreme, ad alte temperature e immersi in fumi tossici. I gas sulfurei bruciano i loro polmoni, la pelle, gli occhi. Lavorano senza alcun tipo di protezione, solo un paio di stivali di gomma e una mascherina per i più fortunati. Finita l’estrazione e riempiti di zolfo due cesti uniti da una canna di bambù, i minatori si caricano sulle spalle anche oltre sessanta chili di materiale e risalgono a piedi le pareti scoscese del cratere. Uno sforzo immane che richiede grande forza ed equilibrio. Durante la risalita si fermano diverse volte per cercare di respirare, riprendersi e alleviare il dolore provocato dal carico. Una volta arrivati in cima caricano lo zolfo sulle carriole simili a quella che è servita al mio trasporto e discendono il vulcano, con altre due ore di cammino, fino al campo base, dove avviene la pesa e lì sono pagati per il loro carico. Tutto questo per due volte il giorno e per una cifra equivalente a sei euro. È un lavoro che permette loro di avere un guadagno maggiore rispetto ad altri diffusi in questa zona, come quello di contadino, e di poter dar da vivere alla famiglia. Questi vantaggi però distruggono le loro vite.

Lo zolfo serve per vulcanizzare la gomma, per raffinare lo zucchero, per produrre acido solforico e lo ritroviamo in prodotti di uso comune come medicinali, cosmetici, fiammiferi, fertilizzanti e insetticidi.

Raggiungiamo la quota del cratere. Un vento gelido spazza via la nebbia che ha avvolto il sentiero durante la salita e il cratere, impedendoci di scorgere subito il lago sulfureo di un verde innaturale. Luna consegna a ciascuno di noi una mascherina per proteggerci dai gas. L’atmosfera è surreale ed evoca immagini e suggestioni fantastiche; il paesaggio è più lunare o marziano che terrestre. Sui bordi del lago e sulle pareti del cono vulcanico, le fumarole depongono lo zolfo con flussi spesso visibili e impediscono qualsiasi forma di vita. Percorriamo un lungo sentiero per vedere meglio il paesaggio. Da qui, la vista panoramica mozzafiato del lago è particolarmente magnifica e affascinante, ma solo per noi visitatori!

Al ritorno a valle alcuni locali, con la loro innata gentilezza, ci chiedono di posare in gruppo per una fotografia. Siamo anche qui, come in Iran, guardati con molta curiosità e interesse.

Sulla strada del ritorno, ci fermiamo per inoltrarci in una piantagione di caffè. Scopro, così, che i fiori di questa pianta, oltre a rossi, possono essere anche bianchi. I cespugli a ciclo vegetativo continuo mostrano i fiori, le bacche acerbe verdi e i frutti maturi rossi.

Sosta per il pranzo in un piccolo borgo che si affaccia sulla spiaggia dove le coloratissime barche dei pescatori sono state tirate in secco.

Ripresa del viaggio per raggiungere l’area del Vulcano Bromo. Le strade diventano sempre più tortuose e, in un villaggio, siamo costretti a lasciare il nostro bel pullman per un mezzo più scomodo e veramente malandato. E’ ormai calato il buio che ci avvolge perché manca l’illuminazione pubblica e non riusciamo a renderci conto del panorama che ci circonda.

Giungiamo comunque sani e salvi, anche se anchilosati, all’Hotel Java Banana.

17 ottobre

Anche questa mattina sveglia prima dell’alba per veder il sorgere del sole dal belvedere sulla caldera del Vulcano Bromo. E’ ancora buio quando giungiamo sul posto con le jeep. Le persone infreddolite, s’incamminano verso il buio totale, in salita, seguendo il flusso di altri visitatori, alcuni accettano l’opportunità di un passaggio sulla groppa di un cavallo. Io preferisco attendere presso una delle tante bancarelle lungo la strada e mi sorseggio un caffè fumante seduta su una panca. Lì assisto al fascino dell’alba. Ecco che quando l’attesa sembra non finire più, davanti a me, la luce lentamente si accende, l’orizzonte si schiarisce nitido e il sole comincia a fare capolino tra le montagne in lontananza. Il cielo è un gioco di colori, un susseguirsi di sfumature che vanno dal rosa all’arancione, dal celeste all’azzurro e vi assicuro che anche dal basso lo spettacolo è di quelli che riempie il cuore e gli occhi. S’intravede la sagoma del paese mentre il sole inizia la sua lenta salita. Come d’incanto, dalla penombra emergono in tutto il loro splendore i coni del Bromo, del Batok e del fumante Semeru. Quello che segue è pura magia. Quando la luce mi permette di vedere la strada, mi avvio con più sicurezza da sola e raggiungo il primo belvedere. Il Bromo è lì, imponente e fumante, illuminato da una luce perfetta che esalta tutta la sua bellezza; è una meraviglia, un luogo incantato, di quelli che rubano il cuore e fanno capire che il mondo in cui viviamo è un dono d’inestimabile bellezza! Il resto del gruppetto mi raggiunge e, insieme, scendiamo verso le jeep per tornare in hotel.

Sulla terrazza al sole consumiamo la colazione, esploriamo il giardino intorno e risaliamo sul pullmino per ripercorrere a ritroso la strada della sera precedente ma, questa volta, alla luce di un bel sole. Il paesaggio è stupefacente. I fianchi delle montagne sono verdissimi e coltivati; la tecnica di coltivazione è molto diversa da quella delle colline liguri. I fianchi, considerevolmente scoscesi, non sono stati modificati con i terrazzamenti ma coltivati mantenendo la pendenza naturale. Per impedire il dilavamento del terreno, le acque sono convogliate in una rete di canali a lisca di pesce al contrario.

Dopo aver cambiato nuovamente il mezzo di trasporto, giungiamo alla stazione ferroviaria di Surabaya. Qui attendiamo il treno che ci porterà a Jogyakarta. Le ragazze per impegnare il tempo che ci divide dalla partenza, decidono di curiosare nei negozi dei dintorni e non si limitano solo a guardare…si danno a spese pazze, ma molto carine!

Saliamo sul terno in orario e Luna ci accompagna. Tutto è perfetto: sicurezza, controllo e comodità. Trascorriamo la notte al Gallery Prawirotaman, un hotel quattro stelle che offre comfort e relax, con una meravigliosa vista sul monte Merapi a Nord, sulle altre montagne a Sud o sulle piscine dai balconi privati.

Jogyakarta è una città invasa da un traffico impazzito di motorini e auto; a disposizione dei turisti, ci sono carrozzelle trainate da cavalli e carrozzine spinte da un triciclo guidato da un locale, una specie di risciò. A proposito di motorini, questo è il posto in cui vediamo una vera e propria invasione delle due ruote! Sono coloratissimi e a volte hanno delle targhe personalizzate! E’ il mezzo prevalente per non rimanere imbottigliati nel traffico. Su un unico scooter, spesso viaggia l’intera famiglia di tre o quattro persone. Alcuni lo usano per fare dei veri e propri traslochi! Non tutti portano il casco, anche se è obbligatorio. L’inquinamento è dietro l’angolo, i distributori non sono tanti, molte di più sono le bancarelle e i negozietti che vendono la benzina in bottiglie. Ecco, Jogya non è quella che si può definire una bella città. A ogni angolo delle strade, bancarelle di cibi cotti o crudi, freddi o caldi invadono i marciapiedi e i canti dei muezzin risuonano dall’alba al tramonto correndo di casa in casa, tra i cortili e lungo le vie. Luna ci suggerisce di recarci lungo Malioboro Street, la zona più “elegante” e turistica della città. Una sera Franco, Cecilia, Dodi, Michela e Lisa decidono di avventurarsi in centro per cena. La receptionits dell’Hotel chiama loro un taxi che li accompagna proprio a Malioboro. Ritornano soddisfatti della cena e della serata ma, questa volta come mezzo di trasporto, scelgono la carrozzella trainata da un cavallo.

18 ottobre

Questa mattina attraversiamo il traffico della città per raggiungere il tempio di Borobudur. All’ingresso indossiamo l’immancabile sarong e ci avviamo attraverso gli ampi viali alberati del vasto parco che circonda l’edificio. Il tempio è stato costruito dalla dinastia Sailendra, tra il 750 e l’842 d.C. nell’arco di settantacinque anni. Abbandonato nel XIV secolo durante la conversione all’Islam, è stato riscoperto nel 1814 da Sir Thomas Raffles, governatore inglese di Giava, che iniziò alcuni lavori di restauro che durano ancora oggi. Il tempio di Borobudur è situato in una zona, dove un tempo vi era un lago, che è stato naturalmente disseccato dalle eruzioni vulcaniche.

Borobudur è stato costruito seguendo lo schema di un mandala gigante, che rappresenta la cosmologia buddhista. Il tempio è un’enorme struttura a piramide costruita su un’altura con blocchi giganti di pietra vulcanica e circondato da valli e colline. Si compone di nove piattaforme divise in tre sezioni: le superiori sono circolari e quelle inferiori sono quadrate. L’impianto architettonico conduce il visitatore attraverso un sistema di scale e corridoi fino in cima alla struttura. La sua bellezza è costituita dai bassorilievi che rappresentano la storia di Buddha, le sue varie incarnazioni e il percorso che i fedeli devono seguire per raggiungere il Nirvana. Gli ultimi tre livelli sono caratterizzati da stupa a forma di campana: certi contengono statue di Buddha, alcuni hanno aperture a forma di diamante e altri a forma quadrata. Nel parco, all’ombra di un frondoso albero sacro, un gruppo di monaci vestiti con la classica tunica color amaranto, sono raccolti in preghiera. Dopo aver visto questo che è il più grande monumento buddista al mondo, non è difficile capire perché sia il sito archeologico più frequentato. Visitiamo inoltre il più piccolo tempio di Mendut che accoglie in una sola stanza, la grandiosa statua del Buddha alta tre metri con le dita ad anello. E’ questo uno dei gesti simbolici mudra più utilizzati e diffusi: il Buddha è raffigurato con le mani al petto con pollici e indici che si toccano sulla punta, andando a disegnare un cerchio. Questi gesti furono incorporati nelle prime rappresentazioni scultoree, diffondendosi sempre più nell’uso e andando gradualmente a costituire un vero e proprio vocabolario simbolico assai ricco.

Dopo un breve trasferimento con il pullman scendiamo nella piazza davanti al palazzo reale. All’ombra, sotto gli alberi, una numerosa scolaresca islamica, sta pranzando. I ragazzi seduti a terra, in cerchio, con gambe incrociate e il cestino di cartone che contiene il loro pranzo, mangiano, chiacchierano e sorridono tra loro.

All’ingresso del palazzo Reale del XVI secolo, chiamato semplicemente kraton, un anziano armato di un lungo pugnale, monta la guardia. Sul muro alle sue spalle, ad altezza d’uomo, una grossa maschera intarsiata, ci accoglie con il suo ghigno. Il gigantesco palazzo del Sultano è il cuore della città fortificata e il miglior esempio di architettura giavanese moderna. Non tutto il palazzo è aperto ai visitatori, è accessibile solo il vasto cortile su cui si affacciano porticati e grandi tettoie. Sotto un padiglione aperto, impressionante per la sua grandezza, costruito in legno con colonne dipinte di blu decorate in oro, sono raccolti molti strumenti musicali tradizionali in lucidissimo ottone che sono usati per eseguire musica “gamelan” tipica della tradizione di Giava, prevalentemente basata su percussione. I pavimenti sono in maiolica decorata e i lampadari di vetro di Murano. E’ il luogo dove un tempo, il sultano incontrava gli ufficiali o passava in rivista le guardie reali. Qui, inservienti volontari che indossano abiti tradizionali javanesi, si prendono cura del palazzo e della sua sicurezza.

Al ristorante del palazzo reale ci fermiamo per pranzare allietati dalla danza di una ballerina che appare distaccata, con pose e movimenti rallentati. Luna afferma che sotto quel costume e quel trucco in realtà si nasconde un uomo!

Il Taman Sari, o Palazzo dell’Acqua, è un parco meraviglioso con palazzi, piscine e canali che un tempo era usato dai sultani, dalle loro mogli e dalla corte per svagarsi. È un posto molto piacevole in cui passeggiare, un’oasi di pace rispetto al caos della città. Fu costruito nella metà del XVIII secolo dal sultano che desiderava un posto dove poteva trascorrere qualche ora di riposo dopo i tanti anni di guerre che aveva appena vissuto. Il complesso si componeva di molti edifici, tra cui una moschea, piscine, giardini acquatici e padiglioni circondati da laghi artificiali. Purtroppo cadde in disuso a seguito di un terremoto che distrusse diversi edifici e danneggiato le opere idrauliche. Quello che visitiamo oggi è solo una piccolissima parte dell’originale.

Ultima sosta al mercato degli animali che si estende lungo l’ansa del fiume. Centinaia di gabbie con volatili colorati anche artificialmente, popolano i vicoli tra le costruzioni. Nelle gabbie in realtà non ci sono solo uccelli, ma anche enormi pipistrelli a testa in giù, scimmie, camaleonti, iguane, serpenti, cuccioli di cane e di gatto, vermi e anche una morbida e affettuosissima lontra. In una piccola stanza una bimba, con evidenti problemi intellettivi, insieme ai suoi genitori, cerca di “comunicare” con un cagnolino. Gli approcci sono impacciati, ma la bimba è sorridente e sembra felice. Chissà, forse tra questi due esseri potrebbe nascere un’intesa che gioverà a entrambi.

19 ottobre

Partenza in direzione di Solo, verso le montagne. Si procede lungo una strada panoramica che offre spettacolari scorci sulle coltivazioni. La flora tropicale è rigogliosa come sempre e i pendii delle fresche regioni collinari sono ricoperti da estese piantagioni di tè.

Le coltivazioni del tè sono quasi ovunque avvolte da una leggera nebbia e in versanti poco esposti al sole. Davanti a noi si apre uno scenario tipico durante la stagione del raccolto in cui le donne sono le protagoniste. Chine sui cespugli, con cappelli di bambù e cesti alle spalle, con movimenti rapidi e sicuri, usando una specie di zappetta affilata a forma di mezzaluna con un piccolo manico che stringono nella mano, tagliano le tre foglie all’apice del ramo, ne fanno un mazzetto e lo gettano nelle ceste o nei teli appesi alle spalle. Anche qui la paga è proporzionale al peso delle foglie di tè raccolte. Con gentilezza e disponibilità, caratteristiche di questo popolo, si mostrano sorridenti all’obiettivo, mentre continuano a lavorare.

Riprendiamo il viaggio per raggiungere i piccoli templi di Candi Cetho e di Candi Sukuh, posti lungo le pendici di un vulcano; risalgono al XV secolo e sono dedicati al culto della fertilità. Costruiti prima della diffusione dell’Islam, sono ritenuti i templi induisti più antichi di Java.

Giunti ai piedi di Candi Cetho indossiamo un sarong a scacchi bianchi e neri e ci avviamo verso il tempio il cui ingresso è custodito da una statua scolpita in un unico blocco di pietra che rappresenta un uomo barbuto e inginocchiato. Il sito è disposto su più livelli e la struttura più in alto ricorda le piramidi Maya. Le porte ai lati delle scalinate sono aperte verso il cielo in tipico stile architettonico indù: sono due parti speculari di un’alta scultura geometrica che ricorda una piramide a gradoni. Figure falliche, grandi altari sacrificali a forma di tartarughe con carapace piatto e numerosi bassorilievi esterni, decorano le pareti. Nella parte più alta, tra alberi di banano e palme, sgorga la fonte sacra con acqua freschissima per le abluzioni di viso, braccia e piedi.

Pranzo in un bel ristorante che si affaccia su altre coltivazioni di tè.

Visita al Tempio di Candi Sukuh, uno dei più misteriosi di Giava, anche questo dedicato al culto della fertilità. I bassorilievi e le sculture erotiche sono davvero espliciti, lingam e yoni (organo maschile e femminile) sono un po’ dappertutto ed erano utilizzati dagli abitanti del villaggio per stabilire se una moglie era fedele al marito o se una ragazza in procinto di sposarsi era ancora vergine. Per sottoporsi alla prova la donna doveva indossare un sarong e sedersi cavalcioni del lingam: se il sarong si lacerava, la sua colpa era certa!

20 ottobre

Situati lungo la strada che porta a Solo, i templi di Prambanan formano il più grande complesso religioso di tutta l’isola.

Questo vastissimo complesso si estende su un’area di cui una parte è ancora chiusa alle visite turistiche. E’ un affascinante sito del IX secolo protetto dall’UNESCO e immerso in un ampio parco. E’ costituito da diversi templi e da molti andati perduti, pare circa duecento, di cui otto i principali. Tre sono quelli dedicati a Brahma, divinità creatrice dell’universo, Vishnu della conservazione e Shiva della distruzione. Il Tempio di Shiva presenta quattro stanze, contenenti altrettante statue: una grande statua di Shiva con quattro braccia, una statua di Ganesh, il figlio di Shiva, con la testa da elefante, la statua di Durga, la moglie di Shiva e la statua di Agastya, un grande maestro. Qui abbiamo incontrato numerose scolaresche mussulmane che hanno letteralmente circondato Lisa e Tino per intervistarli e fare qualche fotografia, segno evidente che gli europei, come ho già accennato, suscitano vera curiosità. Presumibilmente a causa di gravi terremoti del sedicesimo secolo il tempio crollò totalmente, ma i residenti locali tramandano le loro conoscenze creando fiabe per spiegare l’origine dell’esistenza di questi templi. Negli ultimi decenni un altro forte terremoto ha danneggiato parte del complesso.

Questo sito ha attirato l’attenzione di tutto il mondo dopo l’occupazione della Gran Bretagna su Java. Il saccheggio era già iniziato perché molte statue e bassorilievi d’inestimabile valore erano stati depredati e utilizzati come ornamenti da giardino e materiale da costruzione come spesso accadde in ogni parte del mondo. Fu nel 1930 che il restauro, con un metodo più sistematico secondo le regole dell’archeologia, è iniziato e continua ancora oggi perché ci sono cantieri in corso per cercare di ricostruire fedelmente le parti danneggiate usando i materiali originali. E’ un’impresa molto ardua, bisogna, infatti, numerare e capire dove ricollocare ogni pezzo tra migliaia di cumuli di pietre, come abbiamo visto fare nel piccolo tempio di Kalasan dove ogni blocco è numerato.

Il viaggio di ritorno è stato più agevole perché abbiamo usufruito del trenino che fa servizio nel parco.

Ora siamo diretti al tempio di Plaosan Lor a pochi chilometri dai Templi di Prambanan. Il recinto di Plaosan Lor è in buone condizioni, formato da due templi principali simili, recentemente restaurati, circondati stupa massicci e da alcuni tempi minori di cui si conservano ormai solo i resti. Degni di nota i bassorilievi e le statue nelle stanze interne del tempio maggiore.

All’esterno del recinto dove sorgono i templi, abbiamo trovato in attesa i nostri nuovi mezzi di trasporto: tre carri trainati da due buoi che ci trasportano, tra la curiosità dei locali e attraverso risaie e paesini, al ristorante che si sviluppa su terrazze degradanti verso il fiume circondato da una fitta vegetazione con giochi d’acqua. Qui, al fresco, consumiamo il pranzo. Percorriamo a piedi un breve tratto di strada che passa accanto ad una scuola materna. I bimbi, chiassosi e curiosi, tutti in divisa coloratissima, si avvicinano alla recinzione per salutarci e farsi fotografare. Prima di uscire dal locale curiosiamo nel negozietto accanto. Lisa e Michela acquistano due maschere di legno pitturato caratteristiche di questi luoghi. Ora ci accompagnano a un’esposizione di quadri batik. Le opere sono veramente belle realizzate con colori vivacissimi e armoniosi: anche qui spese pazze! Rientriamo in hotel abbastanza presto perciò ognuno organizza il tempo libero a suo piacimento. Betta sceglie la zona spa per un rilassante massaggio, Franco, Cecilia, Dodi, Lisa, Michela ed io, in piscina per un piacevole bagno. Per la cena, attraverso un vicolo abbastanza buio, perpendicolare alla via principale, raggiungiamo il ristorante Poka Ribs.

21 ottobre

La nostra magnifica vacanza sta per finire. Raggiungiamo l’aeroporto di Jogjakarta e, dopo aver espletato tutte le formalità, ci imbarchiamo alla volta di Singapore. Atterriamo alle tredici e cinquantacinque, depositiamo i bagagli e ci dirigiamo nella zona ristorante per il pranzo. E’ stato scelto il volo della notte per Milano, così abbiamo a disposizione alcune ore che ci permettono di compiere un giro a Singapore.

Singapore è una città-Stato, situata sull’estrema punta meridionale della penisola malese. Si sviluppa su un arcipelago formato da oltre sessanta isole, la più grande e principale delle quali è l’isola di Singapore che ospita la metropoli. Vi vivono più di cinque milioni di abitanti, ma non è caotica e non c’è tutto quel traffico che ti aspetteresti. Siccome è così densamente popolata, per limitare il numero di auto private in circolazione, è stato stabilito in una volta e mezzo il valore di mercato del veicolo, tanto che è diventato quasi impossibile possederne una. Singapore vanta un sistema giudiziario fra i più efficienti al mondo ed è caratterizzato da severi regolamenti soprattutto nell’ambito dell’educazione e della pulizia in particolare nei luoghi pubblici e nelle strade. E’, infatti, vietato masticare gomme, fumare, o bere alcolici nei luoghi pubblici e per la strada. Il mancato rispetto di queste norme è punibile con multe molto alte.

La nostra meta è l’area di Marina Bay, la faccia più famosa e sfarzosa di Singapore per ammirare il Gardens by the Bay con i suoi meravigliosi alberi che la sera s’illuminano. È un luogo strabiliante, un giardino enorme sorretto da strutture architettonicamente all’avanguardia. Sullo sfondo una costruzione a forma di barca, arroccata in cima a tre enormi grattacieli, ospita la piscina panoramica più alta del mondo: è lo Skypark che lascia davvero a bocca aperta. Un albergo di per sé pazzesco, riuscite a immaginare l’impatto? Con la fantasia salgo su e sempre più su finché non sbuco sulla cima, a bordo della gigantesca nave che ospita la piscina, guardo giù a picco sulla città è stupefacente: luci, musica, grattacieli. Purtroppo tutto questo è riservato agli ospiti dell’hotel. Una pazzia per una notte la farei, se questo è il premio!

22 Ottobre

Ritorniamo in aeroporto. Ora ci attendono le ore più difficili perché la partenza è prevista per le due e cinque minuti. Ci dirigiamo al terminal tre che per fortuna è deserto. Occupiamo le sedie, ci sdraiamo e cerchiamo almeno di riposare.

Si parte puntuali e dopo un’ora di volo, ecco il primo spuntino. Altre lunghe ore trascorse a sonnecchiare, leggere e seguire i film sul monitor davanti a noi. Siccome la rotta è verso ovest, andiamo incontro al giorno. Sotto di noi le Alpi innevate.

Prima dell’atterraggio arriva la colazione. Alle otto e quarantacinque ora locale, aggiorniamo l’orario spostando la lancetta dell’orologio indietro di sei ore rispetto a Singapore e scendiamo sul suolo italiano! Sono curiosa di scoprire dove mi porterà il 2017. Un primo assaggio sarà l’Islanda con l’aurora boreale.

Terima kasih e un saluto a tutti!



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