Il nostro Myanmar
5 agosto 2005 Finalmente il giorno della partenza è arrivato, ci muoviamo all’alba, arriviamo a Venezia prendendo il treno delle ore 06,55. L’aereo Thai per Bangkok via Francoforte è previsto alle ore 10,55. Il viaggio è comodo, all’arrivo la Thai ci regala delle orchidee. Quasi subito prendiamo l’aereo per Yangon, sempre della Thai, e in poco meno di un’ora arriviamo nella capitale del Myanmar. L’aeroporto è modesto, si respira fin da subito un’aria diversa di quella della occidentale Thailandia. Vengo colpita dalla gran quantità di uomini in loungyi, ancora poco e non ci farò più caso. Ci viene a prendere una signora dell’agenzia (fiore non così aristocratico come un’orchidea, ma comunque ci regala una rosa). Le formalità sono molto semplici, ci preoccupavamo che il visto andasse bene, che ci permettessero di far passare il telefono cellulare, e invece non succede nulla, un paio di timbri nella più assoluta tranquillità ed ecco, siamo ufficialmente entrati in Myanmar. Il nostro autista sarà disponibile solo da domani, per cui l’agenzia ci manda a prendere in taxi, comunque il tassista, Sole U, parla inglese. Riceviamo in regalo delle borsette Shan che si dimostreranno utilissime e andiamo subito in albergo, il Nikko Royal Lake Hotel, dove paghiamo quanto concordato alla signora dell’agenzia che insieme all’autista ci ha accompagnato fin lì. Ci scontriamo subito con una realtà che si ripeterà ovunque. Parte dei dollari che abbiamo portato con noi ha dei timbri (dovrebbe trattarsi di quelli antifurto impressi dalla banca), e la signora non li vuole, dice che in banca non glieli cambierebbero più. Non male scoprirlo lì, sapendo di poter contare solo sui soldi in contanti che abbiamo portato con noi. Quindi lezione importante, niente scritte, di nessun tipo, sul denaro. Conclusa l’operazione di pagamento, la signora ci lascia il suo recapito telefonico per qualsiasi esigenza dovessimo avere. Dopo un paio d’ore di riposo, a mezzogiorno abbiamo appuntamento con Sole U e gli chiediamo subito di accompagnarci alla meraviglia di Yangon, la Shwedagon Pagoda. Le scarpe le lasciamo in auto e cominciamo l’avventura di camminare scalzi. La cosa un po’ mi preoccupava, devo dire, e invece tutto sommato si cammina nel pulito, anche se ho le salviette umide a portata di mano e in albergo la sera userò l’Amuchina. Per i turisti l’ingresso alla Pagoda costa 5 USD a persona (altra costante la singolarità del pagamento in dollari dei biglietti di ingresso). I turisti non sono molti e veniamo subito avvicinati da una guida, Nino, che si propone per farci visitare la Pagoda alla tariffa di 5 USD. Sono cinque dollari ben investiti, senza di lui ci saremmo limitati a guardare la Pagoda solo con occhi occidentali. Grazie a Nino scopriamo che nel buddismo c’è una particolare venerazione del giorno di nascita e dell’animale che lo rappresenta. I nostri sono il porcellino d’India e la tigre, rispettivamente venerdì e lunedì, per cui ci divertiamo a fare la nostra offerta di acqua purificatrice ai nostri animali tutelari. Durante la giornata a momenti di sole si alternano improvvisi scrosci d’acqua che durano pochi minuti e da cui comunque riusciamo a ripararci nei vari tempietti. Meno male che abbiamo visto la pagoda con il sole, che ne esalta lo stupa dorato. Il pavimento invece è reso scivoloso dalla pioggia ed è seriamente pericoloso, anche se sicuramente fonte di divertimento, camminarci sopra scalzi. Abbiamo la necessità di cambiare i dollari con il denaro locale, i kiat, e chiediamo aiuto all’autista. Sta cominciando a piovere seriamente e riparati nel taxi ci rendiamo conto ben presto che siamo in una zona della città in cui l’acqua ha invaso la strada. Sembra che non ci siano sfoghi all’acqua e il livello è già piuttosto alto. Procediamo come in un guado e arriviamo finalmente al negozio dove cambiare il denaro. Veniamo fatti accomodare, le porte del negozio vengono chiuse e al riparo da occhi indiscreti cambiamo ben trecento dollari. Il cambio è di 1000 kiat per ogni dollaro, molto probabilmente lo stesso che avremmo ottenuto in albergo. Ma non contrattiamo, dato l’importo la differenza non sarebbe così fondamentale. Nel frattempo ha completamente smesso di piovere. Chiediamo a Sole U di portarci a mangiare, sceglie forse il ristorante più kitsch di Yangon, il Karaweik Palace, una specie di pagoda sul lago Kandawgyi. Il ristorante sinceramente non è granché, ma il posto è incantevole. Visto l’ora tarda a mangiare non c’è nessuno, vado in bagno a lavarmi le mani e dopo che mi sono insaponata scopro che non c’è acqua corrente. Una signora si offre di farmi utilizzare quella che è raccolta in una vasca di plastica. L’idea sinceramente non mi attira – sono in Myanmar da troppo poco tempo – il colore non è certo invitante e quindi torno sul tavolo a prendere l’acqua che ho ordinato per bere. Prendiamo un’insalata di pollo, che invece di dimostra essere un’insalata di cipolla con qualche pezzettino di pollo. Inutile dirlo, non mi piace la cipolla, per cui… buonissimi i crackers che ho in auto. Riprendiamo a gironzolare per la città e Sole U ci porta a vedere Chaukhtatgyi (Budda reclinato), Kaba Aye Paya, Sule Paya, tutto con un cielo grigio e a tratti una pioggerellina. Francamente troppe pagode, potevamo limitarci alla Shwedagon e a Chaukhtatgyi. La sera con Sole U facciamo un veloce giretto a China Town e l’impatto, soprattutto olfattivo è piuttosto forte, molte bancarelle vendono un frutto che si chiama durian e che è decisamente maleodorante. Andiamo poi a cena tutti insieme al Royal Garden Restaurant, ristorante cinese vicino all’albergo, dove in tre spendiamo 14000 kiat. E’ giunta l’ora di salutare Sole U, gli diamo 4000 Kiat di mancia e lo ringraziamo della disponibilità e della cortesia che ci ha dimostrato. 7 agosto Oggi facciamo conoscenza con l’autista che ci accompagnerà nei prossimi giorni. E’ un giovane e dolcissimo studente di filosofia, si chiama Win, ma non è solo, nella macchina con lui c’è un altro signore. Lungo la strada scopriremo che è un autista destinato a un altro gruppo di Adventure Myanmar, dopo Bago Win ci dice che faremo cinque minuti di sosta per permettere all’autista di unirsi al gruppo a cui è destinato. I cinque minuti diventano un’ora, il gruppo di italiani in attesa di autista è proprio scontento dell’organizzazione che hanno avuto dalla Adventure Myanmar, il pulmino che utilizzano è vecchio e con l’aria condizionata rotta, anche se il problema principale è rappresentato dall’autista che parla solo birmano, per cui la gestione della vacanza sta diventando difficile. Ci chiedono di invertire il loro autista con il nostro e ci spiace, ma neghiamo loro il favore, altrimenti il loro problema sarebbe diventato il nostro. Troviamo un compromesso, Win va con una signora del gruppo a cercare un telefono e a telefonare all’agenzia. Ricevuta l’assicurazione di un nuovo cambio di autista il giorno successivo finalmente siamo liberi di riprendere il nostro viaggio. Siamo diretti a Kyaiktiyo, la roccia d’oro. Speriamo di essere più fortunati del gruppo che abbiamo incontrato per strada, loro sono arrivati fino all’albergo, ma poi non sono riusciti a salire alla roccia, sono stati fermati dalla pioggia. Arriviamo alla stazione dove partono i camion e subito la nostra auto è circondata (assaltata) da piccole bambine che ci regalano dei fiori e che hanno delle banane. Non ci lasciano andare finché non promettiamo loro che il giorno successivo le avremmo comprate. E’ ora di pranzo, ci fermiamo a mangiare in un ristorantino molto semplice, ma pulito e constatiamo quanto facile è ordinare quando Win è con noi. Per ogni evenienza comunque mi faccio scrivere in birmano le istruzioni che saranno un tormentone per tutta la durata della nostra vacanza: no garlic, no onion, no spicy. Nel ristorantino troviamo qualche persona con cui condividere il viaggio in camion per salire a Kyaiktiyo. Il costo del viaggio è di 25 USD, più si è e meno si spende. Io chiedo di salire nella cabina del camion e non nel cassone, ovviamente pagando il doppio degli altri (6000 kiat). Ma è una buona idea, appena partiti comincia a piovere, due ragazzi italiani che sono sul cassone approfittano di una sosta per darci i loro zaini per evitare che si inzuppino. Con preoccupazione stiamo iniziando a comprendere il significato della definizione “stagione delle piogge”. Dopo circa una mezz’ora di viaggio il camion si ferma al piazzale di arrivo dove ci sono altri camion e delle costruzioni di legno dove c’è la possibilità di bere qualcosa o di acquistare qualche souvenir. Da lì ci si incammina verso l’albergo, noi abbiamo scelto il Golden Rock, alla base della montagna, pochi minuti a piedi dal piazzale. Non volevamo alloggiare al Kyaikto Hotel, dalle nostre informazioni è una struttura governativa. Viaggiamo leggeri, con noi solo uno zaino per il cambio, le valigie le abbiamo lasciate in deposito in albergo a Yangon. E comunque non sarebbe stato difficile trovare un portatore, per un bel po’ camminiamo attorniati da bambini che ci indicano la strada e adulti che vorrebbero farci salire sulle portantine o portare il nostro bagaglio. Arriviamo al Golden Rock Hotel e la pioggerellina si trasforma in un acquazzone torrenziale. Proviamo ad aspettare che spiova, ma dopo un’ora decidiamo di avviarci comunque. L’acqua che finora ci siamo risparmiati la prenderemo tutta. Incredibilmente impavidi, vestiti solo di poco, tre bambini sono rimasti fuori ad attenderci per accompagnarci nella salita e nei bivi indicarci la strada. Quasi nei pressi del Golden Rock troviamo il check point dove entriamo a fare i biglietti (6 dollari l’uno, validità un mese), ma vista la giornataccia siamo inaspettati, e il forte odore di marijuana è inequivocabile. Arriviamo al Golden Rock, siamo soli, scalzi, e in mezzo alla nebbia. Per il vento e la pioggia fare foto risulta impossibile. Ma il luogo è suggestivo. Ci avviamo per ritornare in albergo dove scopriremo essere gli unici ospiti. Ceneremo soli, con un sacco di zelanti camerieri intorno e uno in particolare che sta imparando. Spenderemo ben 17000 kiat, la più costosa cena di tutte le vacanze. Ci dotano di pila per la notte, alle 23,00 staccheranno la corrente elettrica. C’è molta umidità, si dorme bene con la coperta. 8 agosto Tutti i nostri vestiti e le scarpe sono bagnati. Ci alziamo presto, verso le 6,30, e incredibilmente i bimbi sono già lì ad aspettarci per scendere con noi. Arriviamo verso le 8 alla stazione dei camion, ma di altri passeggeri non c’è ombra. Aspettiamo mezz’ora, nel frattempo è ricominciato a piovere, non si vede nessuno e decidiamo di scendere da soli. Paghiamo il passaggio 20 USD, ma il camion su cui saliamo non riesce a partire. Sotto la pioggia si susseguono i tentativi di metterlo in moto, addirittura cercando di spingerlo con un altro camion, ma è tutto inutile. Dopo mezz’ora ci spostano su un altro, unitamente alle persone locali che nel frattempo erano salite sul cassone e che ovviamente si sono materializzate solo dopo che noi avevamo contrattato e pagato il passaggio. Prima di partire l’autista prega e tra uno sputo di betel e l’altro finalmente riusciamo a scendere.
All’arrivo c’è Win che ci aspetta ed inizia un’altra giornata. Ci dirigiamo verso Bago. Dopo aver acquistato un biglietto del costo di 10 dollari per la visita a tutti i siti, andiamo a vedere Shwemawdaw Paya, la pagoda grande. Siamo curiosi e dato che per strada non abbiamo mai visto distributori di benzina chiediamo a Win di spiegarci come avviene il rifornimento alle auto. La risposta è che a ciascuna persona ufficialmente è consentito acquistare otto litri di benzina al giorno, mentre ciò che serve in più si può avere al mercato nero. Lo strano è che il mercato nero non è nascosto, è palesemente sotto gli occhi di tutti. E gli uomini dello stato non dicono nulla, il loro silenzio viene sistematicamente comprato, contribuendo ad alimentare e a diffondere la corruzione. La benzina è solo un esempio, il dramma è che questo è regola nel paese.
Per pranzo Win ci porta in un ristorante carinissimo e pulito dove lui è di casa e quindi non paga, noi invece spendiamo 6000 kiat. Dalla terrazza del ristorante notiamo che una ragazza sta tagliando l’erba del prato antistante e lo fa a mano, con delle grosse forbici. E’ uno spunto, un assaggio di ciò che vedremo, in un paese in cui sembra esistere solo il lavoro manuale…Riprendiamo a fare i turisti e visitiamo Shwethalyaung Buddha, il Budda reclinato e poi Kyaik Pun Paya, la pagoda con i quattro Budda seduti schiena contro schiena. Win chiacchiera volentieri e volentieri risponde alle nostre domande, comunque è attento e di politica parla solo al riparo da orecchie indiscrete. Ritornati a Yangon ci concediamo una passeggiata sul lago Inya (con l’ombrello, piove ancora!!!) e poi ci divertiamo un sacco al mercato Theingyi Zei a fare acquisti con Win che ci fa da interprete. Alla fine acquistiamo due loungyi, uno ciascuno, del mio scelgo la stoffa e la confezione viene fatta al momento. Ripresa l’auto ci troviamo davanti a un senso vietato ed è Win che spontaneamente ci dice che la strada non è percorribile, nemmeno a piedi, perché porta all’abitazione di Aung San Su Kyi. Ovviamente la conversazione cade su questo argomento e quindi siamo lieti di farci raccontare la storia del suo paese ascoltando il suo punto di vista. Abbiamo ancora del tempo prima di cena e quindi ci fermiamo allo Strand Hotel, vecchio albergo coloniale, per un aperitivo. Rientriamo in albergo dove ci consegnano i biglietti aerei per l’indomani e per cena preghiamo Win di portarci a mangiare birmano. Ovviamente vogliamo sfoggiare i nostri loungyi e, trattenendoli in mano, scendiamo nella hall dove chiediamo a Win di aiutarci ad indossarli. Lui molto pudicamente non osa avvicinarsi a me e coinvolge una delle signore dell’accoglienza che con uno splendido sorriso, ma una ferrea determinazione, mi stringe la vita in un laccio emostatico. Il tempo di arrivare al ristorante e il mio loungyi, che è di un tessuto molto scivoloso, si scioglie di nuovo. Esco quindi dall’auto ancora una volta con la gonna in mano e mi faccio aiutare dalla signora che accoglie gli ospiti. Caspita, ma perché non utilizzare bottoni e cerniere? Il ristorante scelto da Win è il Royal Thazin Food House e a dire il vero sembra un’appendice di Adventure Myanmar visto che è convenzionato con loro. Mangiamo molto bene, spendiamo 15000 kiat, ma Win ci tiene a farci notare che dal conto è escluso ciò che ha mangiato lui. 9 agosto Oggi la sveglia è alle 4,30, con il cestino per la colazione ci dirigiamo verso l’aeroporto di Yangon dove alle ore 7 è previsto il volo per Mandalay con Air Mandalay. Ostinatamente piove e con un po’ di malinconia salutiamo Win. Partiamo puntuali e facciamo un buon volo. In aereo ci danno un quotidiano locale in lingua inglese. E’ il primo quotidiano che vedo, ma è così tristemente infarcito di propaganda di regime… Arriviamo a Mandalay alle 8,15 e ad aspettarci c’è Saw, l’autista che ci accompagnerà nei prossimi giorni. E’ giovane, ma si nota subito che ha molta più esperienza di Win e che più di lui è abituato a fare l’accompagnatore. E’ di Bagan ed è laureato in zoologia. Prima di uscire dall’aeroporto paghiamo la tassa di ingresso all’area di Mandalay (10 USD ciascuno). Il tempo è cambiato, dell’umidità di Yangon non c’è traccia, anzi fa molto caldo. Senza prima passare in albergo Saw ci porta subito ad Amarapura a vedere l’U Bein Bridge e una fabbrica di lavorazione della seta e poi, alle 10,30, ad assistere al pranzo dei monaci al monastero Mahagana Yonkyaung. Quello offerto dai turisti è uno spettacolo indegno, è veramente deplorevole vedere le macchine fotografiche abbarbicate ovunque, intente a cogliere ogni attimo e ogni particolare del pasto. Il momento è suggestivo, i monaci in fila sembrano un numero interminabile, ognuno dignitosamente con la sua ciotola in mano, gli adulti vestono in bordeaux, ma ci sono anche dei bimbi in bianco. Chiediamo a Saw cosa significa e lui ci spiega che è per riconoscere i piccoli a cui è consentito avere del cibo solido anche di pomeriggio. Passiamo in Hotel a portare i bagagli (Mandalay Hill) e per pranzo chiediamo a Saw, contro il suo parere, di portarci a mangiare in una Tea House. Spenderemo 1300 kiat in tre, ma pagheremo in altro modo le condizioni igieniche – diciamo così – discutibili – della Tea House. Riprendiamo il nostro viaggio, Saw ci porta a Ava dove con una barca attraversiamo il fiume. Sull’altra riva c’è una discreta quantità di Horse cars, carrozzine trainate da cavalli, ma abbiamo voglia di camminare e quindi ci avviamo sotto un sole impietoso. Abbiamo sottovalutato le distanze e per fortuna un calessino ci soccorre e ci porta in giro per la somma di 2000 kiat (viste le condizioni in cui ci troviamo non ne ha neanche approfittato). Il conducente non parla inglese, ma il giro è stabilito e si ferma ad ogni punto interessante da vedere. Facciamo quindi una sosta al monastero di legno Bagaya Kyaung, molto bello. Vediamo poi la torre di avvistamento, ciò che resta di Nanmyin, il palazzo voluto da Bagyidaw, e infine il Maha Aungmye Bonzan, un monastero in mattoni. Dopo aver riattraversato il fiume con la barca, riprendiamo l’auto e passiamo l’Ava Bridge e arriviamo a Sagaing. Per strada paghiamo 3 dollari ciascuno per la visita alla zona archeologica. Visitiamo subito Sagaing Hill da dove godiamo di una vista stupenda sulla zona sottostante con le sue molte pagode. Incontriamo un vecchio monaco che, sigaretta in bocca, si offre di farci visitare il monastero di Umin Thounzeh. Non parla inglese, e le cose da vedere ce le indica con il dito, però il tutto risulta comunque interessante. Ama farsi fare le foto, ma non capisce la differenza tra macchina fotografica e videocamera e quindi appena ci vede con l’occhio dietro la videocamera si ferma, immobile, in posa. Ci porta poi a vedere un monastero vicino collegato da un sentiero nella collina, e anche da qui godiamo di una veduta meravigliosa su Sagaing. Lasciato il monaco riprendiamo l’auto e andiamo a vedere Soonu U Ponya Shin Paya, una pagoda dalla cui terrazza si gode una bella vista, e dove non paghiamo nulla né per l’ingresso né per foto e video.
Poi andiamo a vedere la bianchissima pagoda Kaunghmudaw Paya, che sembra un grande seno. Concludiamo la giornata all’U Bein Bridge, con la speranza di vedere il tramonto. E’ un momento incredibilmente toccante, sul ponte ci sono parecchi giovani monaci che amano farsi fotografare e che desiderano chiacchierare con gli stranieri. E’ gradevole fare conversazione con loro, ed è anche un modo per noi per meglio conoscere il loro modo di vivere e le loro abitudini.
Il tempo di una doccia in albergo e siamo a cena con Saw. 10 agosto Anche oggi ci aspetta una splendida giornata. Alle otto partiamo per il porto di Mandalay per prendere il battello per Mingun. Il costo del biglietto è di 3000 kiat a persona, il battello parte alle nove da Mandalay e rientra da Mingun alle ore 13,00. Il tempo che si trascorre a Mingun è assolutamente sufficiente per visitare tutto con calma, non valeva proprio la pena di prendere una di quelle barche turistiche che consentono un orario più flessibile ma che costano anche molto di più. Il battello scivola lentamente sull’acqua e il viaggio è estremamente piacevole, anche perché facciamo conoscenza con una famiglia di spagnoli, Neus, Joan, Maria e Pol, e una coppia di francesi e con loro confrontiamo le nostre esperienze e le nostre impressioni sul Myanmar. Arriviamo a Mingun alle 10,45, e subito ci dirigiamo a visitare la pagoda Hsinbyume Paya. Ci si avvicina un ragazzetto che dice di avere 18 anni e che si offre di farci da guida. Vediamo poi la sorprendente Mingun Bell e poi saliamo alla Mingun Paya, pagoda in mattoni rossi rovinata dal terremoto del 1838, di dimensioni enormi. Da sopra si gode una bella vista su Mingun e riusciamo a godercela solo perché i locali ci hanno fornito di foglie su cui appoggiare i piedi. Infatti, pur rovinata, siamo pur sempre in una pagoda, luogo sacro su cui salire scalzi e il sole alto nel cielo ovviamente scotta impietosamente. Una volta scesi andiamo a vedere Settawya Paya, l’impronta del Budda. Riprendiamo la barca alle ore 13,00 e quando sbarchiamo Saw non c’è perché ha approfittato della mezza giornata libera per portare l’auto a riparare e il lavoro non è ancora terminato. Al suo posto l’agenzia ci ha inviato un taxi e ad aspettarci c’è un nuovo autista, Ko Ko Shen. Gli chiediamo di poter acquistare dei kalaga, gli arazzi che ci piacciono tanto e così ci ritroviamo in una fabbrica a vedere come vengono tessuti e possiamo scegliere i nostri acquisti con calma.
Visitiamo poi l’ennesima pagoda, Maha Muni Paya, un’immagine d’oro a cui solo gli uomini possono accedere, e poi Shwenandaw, un bel monastero in legno dipinto d’oro. Mandalay è famosa per la produzione di foglie d’oro e quindi ne visitiamo una fabbrica. Incredibile come un pezzettino d’oro si trasformi in una lamina sottilissima, naturalmente, neanche a dirlo, non c’è niente di meccanico, tutto avviene rigorosamente a mano. Ko Ko Shen ci accompagna poi a vedere Kuthodaw Paya, il libro più grande del mondo, una distesa di tempietti bianchi su ciascuno dei quali c’è una pagina della vita del Budda. A conclusione della giornata andiamo a vedere il tramonto da Mandalay Hill. Il nostro autista non vuole venire a cena con noi, per cui optiamo per andarci subito e lasciarlo poi libero non appena riportati in albergo. 11 agosto Oggi il programma della giornata prevede il trasferimento da Mandalay a Pindaya. Saw ci aveva chiesto di partire presto per cui avevamo già presto accordi per la partenza alle ore 7,00. Dalla sala da pranzo, mentre facciamo colazione, vediamo che è arrivato, come sempre lui è pronto almeno un quarto d’ora prima di ogni appuntamento. L’obiettivo è il Conqueror Hotel. Ci arriveremo alle 16,00. La strada è stretta, molto dissestata, spesso dobbiamo fare delle soste per far passare i veicoli che si incrociano. Saw ci ha chiesto il permesso di comprare del betel, per aiutarlo a restare vigile e attento alla guida. Infatti il regolamento dell’agenzia non permette agli autisti né di fumare, né di masticare betel. Devo dire che Saw mastica (e conseguentemente sputa) il betel in modo molto discreto, praticamente non ce ne accorgiamo. Alle 11,00 facciamo una sosta per prendere un caffè e fare pipi. L’acqua in bagno non c’è, mi sento mortificata, non appena esco c’è una signora che provvede a gettare l’acqua nel bagno che ho appena usato. Ho la nausea, sto male, scoprirò la sera di avere 38’ di febbre (la Tea House insegna…). Sulle montagne, verso le 12,00 piove. Parte della strada è in corso di allargamento e asfaltatura, ci sono decine di persone ovunque che stanno lavorando. Tutto avviene rigorosamente a mano. Dalla montagna vengono scavate delle pietre che costituiranno poi base per l’asfalto e addetti a queste operazioni sono per la gran parte donne e bambini, anche piccoli. Alle 13,00 facciamo una sosta a Kalaw per il pranzo, anche se in realtà io praticamente non mangio. Arrivati in albergo siamo tutti stanchi, Saw per la impegnativa giornata passata alla guida, noi perché non stiamo bene. La corrente elettrica ancora non c’è, ci facciamo una doccia e per cena prendiamo un tè al bar e mangiamo dei biscotti che ci siamo portati da casa. Crolliamo a letto per una lunga e corroborante notte di sonno.
12 agosto La sveglia è alle ore 7,00, la febbre è passata, sto meglio anche se sono piuttosto fiacca. Andiamo alle ore 8,30 verso la Pindaya Cave, più di 6000 immagini di Budda, molte frutto di donazioni (ingresso 3 dollari ciascuno). Ci fermiamo poi a visitare una fabbrica di ombrelli di carta, dove, naturalmente a mano, cellulosa e petali di fiori diventano ombrellini ed altri oggetti. L’acquisto è immancabile, ma in auto Saw ci “sgrida” perché ci dice che non abbiamo contrattato, che abbiamo pagato quello che ci hanno chiesto senza discussioni. Ma ci avevano chiesto così poco, e il lavoro è interamente manuale… Il programma di viaggio prevede il trasferimento al lago Inle. La strada che va da Pindaya a Aungban è soprannominata la svizzera del Myanmar. Risaie e campi coltivati si perdono a vista d’occhio. Il luogo è di una bellezza struggente. Prima di arrivare a Nyaung Shwe ci fermiamo a visitare un monastero in legno abitato da monaci, Shwe Yaunghwe Kyaung, davanti al quale ci sono parecchie bancarelle di venditori di souvenir. Sosta per il pranzo e finalmente giunti a Nyaung Shwe visitiamo il Museum of San Chiefs, in una residenza in teak e mattoni. Il contenuto è piuttosto povero, l’edificio è invece molto bello. Ci dirigiamo all’angolo di porto, se così si vuole chiamare, riservato ad Adventure Myanmar, dove ad attenderci c’è una piccola imbarcazione che ci porta al Paramount Inle Resort, dei cottages su palafitte in mezzo al lago, molto gradevoli. Saw non ci segue, lo rivedremo a Nyaung Shwe fra un paio di giorni. E così sperimentiamo anche cosa significa avere per guida una persona con cui non si riesce a comunicare se non a gesti. Sarà davvero dura.
Durante il tragitto in barca comincia una pioggerellina sottile e ci viene spontaneo ripensare a Neus e a Joan che sul lago Inle c’erano stati qualche giorno prima di noi e che mostravano gli evidenti segni di una scottatura da sole.
Il cottage è proprio carino, il posto dove siamo è magnifico. Per la prima volta da quando siamo in Myanmar dormiremo per scrupolo con la zanzariera. Ci sistemiamo in camera e poi in terrazza a sorseggiare una tazza di tè, mentre la pioggia diventa sempre più insistente.
13 agosto I morsi della fame ci hanno svegliato prima dell’orario prenotato per la colazione (ore 9,30). Alle 8,00 siamo a tavola, in realtà le barche al lago Inle hanno già iniziato a girare alle 4,30. Il tempo è brutto e salvo qualche sporadico momento pioverà per tutto il giorno. Cominciamo la nostra visita con la pagoda Phaung Daw oo Paya. Poi, con pigra lentezza, la barca si intrufola negli stretti canali di un villaggio tradizionale; il rumore del motore attira i bambini alle finestre e trascorriamo la mezz’ora successiva a salutare e ad essere salutati. Sarà uno dei momenti più incredibili del viaggio, ricevere così tanti saluti senza nessun secondo fine. La tappa seguente ci salva da uno scroscio di pioggia più intenso degli altri, ci fermiamo infatti a Inn Paw Khon, una fabbrica della seta che vediamo filare con telai di legno azionati con mani e piedi. Troviamo così il modo di fare il primo acquisto della giornata. La tappa successiva è dedicata alla visita di un laboratorio per la forgiatura di strumenti dove acquistiamo un tagliasigari molto particolare che vogliamo regalare. A pranzo cerchiamo di fare conversazione con il ragazzo che ci accompagna con la barca utilizzando quelle poche parole di birmano che abbiamo imparato e con il piccolo dizionario linguistico in fondo alla guida. Che peccato non riuscire a comunicare… Riprendiamo a fare i turisti e andiamo a visitare al villaggio Nain Pan un laboratorio per il confezionamento dei sigari. Usciti dal laboratorio un simpatico episodio movimenta la nostra giornata dato che non succede tutti i giorni di rischiare di cadere in acqua per la rottura di un’asse di legno del pontile su cui stavamo camminando. La nostra guida silenziosa ci accompagna poi a vedere un laboratorio all’aperto dedicato alla lavorazione delle barche, dopodiché ci dedichiamo alla navigazione molto lenta fra gli orti galleggianti. E’ stupefacente vedere come l’ingegno dell’uomo lo porti a strappare ulteriori risorse alla natura… Fra uno scroscio di pioggia e l’altro arrivano le 15,00, orario in cui normalmente i bimbi escono da scuola, e anche oggi assistiamo a questo rito quotidiano. E’ sorprendente, decine di barche l’una vicina all’altra che attendono i bimbi vocianti in divisa, e spesso alla guida delle barche fratelli solo di poco maggiori… L’ultima visita della giornata è dedicata al monastero dei gatti saltanti Nga Phe Kyaung. Non so dire se ci piace, i gatti sono incredibili nelle loro evoluzioni, ma trovarli all’interno di una pagoda, con il loro inequivocabile odore, non so, ci lascia un po’ perplessi. Rientriamo presto in albergo, verso le 16,00, e ci concediamo subito una doccia bollente per smaltire l’umidità della giornata. Riusciamo anche a vedere il primo telegiornale italiano da che siamo in Myanmar, su Rai International. Per cena decidiamo di prendere dei noodle che non incontrano molto il nostro favore e poi a nanna.
14 agosto Anche oggi sveglia con le barche che passano scoppiettando rumorosamente già fin dalle 5,00; alle 7,00 siamo a fare colazione e sebbene l’appuntamento con il driver sia alle 10,00 partiamo alle 8,50. La prima parte della giornata è dedicata alla visita di Indein, paese carinissimo dove c’è una serie di stupa abbastanza rovinati alla fine di un lungo colonnato. La strada per andarci via barca è splendida, c’è un lungo canale sulle cui rive c’è vegetazione bassa. A Indein è giorno di mercato. Per quanto turistico di sarebbe piaciuto vedere un mercato galleggiante, ma essendo a rotazione fra i vari giorni della settimana non è possibile. A Indein vediamo le donne giraffa a cui non scattiamo nessuna foto per principio perché vogliono farsi pagare 1000 kiat per ogni scatto. E poi ci scateniamo negli acquisti, al mercato sono in vendita degli articoli davvero di buon gusto e di buona fattura.
Non abbiamo nient’altro di programmato oggi, per il resto della giornata ci affidiamo al nostro boat driver. Dopo pranzo scendiamo in un villaggio a passeggiare e siamo attirati dal vociare che proviene da una scuola. Con molta circospezione entriamo e ci ritroviamo in uno stanzone enorme, con delle paratie in legno che non arrivano a soffitto e che servono a delimitare una classe dall’altra. Per evitare di disturbare troppo ci fermiamo all’inizio della stanza, i bambini con cui stiamo hanno otto anni e stanno ripetendo ad alta voce delle frasi in inglese scritte alla lavagna. E in inglese ci rivolgiamo alla maestra e le chiediamo il permesso di poterci fermare. La maestra non ci capisce. Ma come? Insegna inglese e non lo parla? Ci raggiunge subito una maestra più giovane con cui riusciamo a dialogare e che ci accorda il permesso di poterci fermare. Mi siedo in un banco con un bimbo e sfoglio il suo quaderno e subito la maestra che se n’è accorta mi fa avere i quaderni ordinatissimi di due bimbe meno pasticcione. Ci dispiace un sacco aver lasciato in albergo le penne, le gomme e le matite che avevamo portato da regalare… Comunque i bimbi sono entusiasti della nostra intrusione e noi più di loro. Letteralmente impazziscono per vedersi nella videocamera. Dopo un po’ ce ne andiamo, sicuramente più ricchi di quando eravamo entrati.
Il boat driver ci sta aspettando seduto sotto una tettoia dove un omino sta decorando delle statue di Budda e per un po’ al ritorno ci sediamo con lui a guardare quel lavoro fatto con infinita pazienza e precisione. Riprendiamo la barca e facciamo una sosta in mezzo al lago, finalmente blu come l’avevamo visto nei cataloghi, per guardare un pescatore all’opera. E’ equilibrismo allo stato puro. Le barche sembrano dei gusci di noce sottilissimi con le estremità piatte, dove ci stanno appena i piedi del pescatore. Il nostro si regge a dire il vero solo con un piede mentre usa l’altro per affondare la cesta che usa per pescare e nel contempo ha le mani impegnate a manovrare un lungo bastone. E’ così elegante e sicuro nei movimenti però davvero non riusciamo a capacitarci di come riesca a non cadere in acqua.
Il nostro accompagnatore ci porta poi a vedere un laboratorio per la lavorazione dell’argento, dove riusciamo ad uscire senza comprare nulla, e poi a uno dove lavorano la carta e il bamboo, in cui acquistiamo un cappello a pagoda, uguale a quello che tutti usano lì al lago Inle, utile in caso di sole e di pioggia, ma estremamente scomodo con il vento visto che il laccio che lo tiene fermo al collo si trasforma in una sorta di cappio.
Oggi con il tempo abbiamo avuto maggior fortuna, è stata una bellissima giornata di sole, ma non appena poggiamo il piede sul pontile comincia una pioggerellina sottile ma che per fortuna non dura molto. Il resort dove dormiamo è quasi una piccola famiglia, gli ospiti non sono molti e si utilizzano i minuti comuni a disposizione per confrontare le esperienze di viaggio. Inoltre il personale è cortesissimo e non manca di essere al pontile per salutarci quando usciamo e per accoglierci quando torniamo. Appoggiati i molti acquisti di oggi, ovviamente solo dopo che la signora alla reception ha curiosato in tutte le nostre borsette, saliamo alla torre di avvistamento per scattare qualche fotografia dall’alto. Alla torre c’è un gruppo di spagnoli di Barcellona che sono appena arrivati e quindi ci tratteniamo con loro fino a ora di cena. 15 agosto Questa mattina la sveglia e la colazione sono prestissimo, alle sei abbiamo appuntamento con il nostro boat driver che puntuale ci aspetta. Partiamo subito, dalla barca guardo i pescatori che stanno iniziando la loro giornata (mentre c’è chi si è addormentato…). Non fa propriamente caldo. Un po’ dispiace lasciare il lago Inle, il luogo è magico, e siamo comunque contenti di avere fatto le cose con calma e di esserci ritagliati più del tempo strettamente necessario alle visite normalmente previste. Alle 6,45 arriviamo a Nyaung Shwe, e Saw ci sta aspettando. Partiamo subito in auto per trasferirci a Bagan, la strada per circa cinque ore è la stessa che abbiamo percorso due giorni prima e questo ci fa rimpiangere di non aver programmato un trasferimento aereo usufruendo del vicino aeroporto di Heho. Comunque in auto conversiamo amabilmente con Saw. Ci racconta della sua famiglia, del padre che lavora in banca, ma in una succursale lontana, nella zona del triangolo d’oro e torna a casa una volta ogni due mesi, con un viaggio di due giorni molto pericoloso date le zone da attraversare. Sembra incredibile, ma Saw ha visto il mare solo una volta, e solo perché ha accompagnato un cliente a Ngpali Beach. La sua ambizione è ottenere il permesso di guida turistica perché questo gli permetterebbe di guadagnare di più che non come semplice autista e magari potrebbe rimanere a Bagan vicino alla sua famiglia. Il suo sogno è comunque avere un passaporto (in realtà molto più sottilmente avere il denaro per poter ottenere un passaporto, visto che attualmente i documenti hanno un costo inarrivabile). Sulle montagne il nostro viaggio in auto viene improvvisamente interrotto da un blocco stradale. Da lì a poco faranno saltare un pezzo di montagna con la dinamite. Il fragore è immenso, la distanza del blocco stradale dal luogo della detonazione non è sufficiente e pezzi di roccia volano sopra la nostra auto parcheggiata. Saw ne è spaventato e allo stesso tempo eccitato, ripreso il viaggio ne parlerà per un bel po’ con noi e poi ancora con i guidatori delle auto che incrociamo e che provvederà a fermare.
Arriviamo all’albergo prenotato, il Bagan Hotel in Old Bagan, verso le 16,00. Fa un caldo incredibile, più che non a Mandalay, e non c’è traccia di umidità. Ci concediamo un po’ di riposo e poi andiamo a cena. 16 agosto Oggi iniziamo la giornata visitando il mercato nel paese di Nyaung OO, ovviamente in compagnia di Saw. Passeggiamo fra le bancarelle sia della cosiddetta parte turistica, sia nel vero mercato locale, dove sono in vendita prevalentemente generi alimentari e abbigliamento. Gli odori sono forti, ma siamo in Myanmar già da qualche giorno e l’impatto emotivo è decisamente inferiore a quello del mercato di Yangon. E poi via, si comincia il tour di Bagan, che Saw conosce molto bene dato che si tratta della sua città natale. Bagan è un luogo magnifico, le pagode rosse che svettano fra la bassa vegetazione costituiscono un insieme che sa di magia, ed è sorprendente pensare che sono le stesse che esistevano ai tempi di Marco Polo e Gengis Kan. Iniziamo a vedere Shwe Si Gon Paya, la più famosa e poi Htilo Min Lo Temple, considerata il più bello. E poi Saw ci porta a vedere un fantastico panorama dal tempio Kay Min Ga. La vista riempie gli occhi e il cuore, tutto intorno c’è solo pace e silenzio. Interrompiamo momentaneamente il nostro gironzolare per andare a visitare una fabbrica di lacche, il prodotto più famoso di Bagan. E poi ancora a visitare Ananda Temple, bianco ed elegante, That Byin Nyu temple, il più alto, DhamayanGyi Temple, il più grande e fatto a piramide, e poi ancora Sulamuni temple, splendidamente affrescato alle pareti e in cui vediamo tre uomini intenti ad attaccare le foglie d’oro a una statua del Budda. Tra una pagoda e l’altra troviamo il tempo di andare all’agenzia di Bagan di Adventure Myanmar per riconfermare il volo aereo per Yangon. Ma l’agenzia ci richiede la copia dei nostri passaporti per effettuare l’operazione. Cosa c’è di più semplice che fare una fotocopia? Se solo la fotocopiatrice ci fosse…Naturalmente è un bene di lusso che Adventure Myanmar non ha e quindi non ci resta che andare a Nyaung OO e ritornare ancora una volta all’agenzia. Ce l’abbiamo fatta, i voli saranno riconfermati. Concludiamo la giornata a vedere il tramonto dall’alto di Shwe San Daw Stupa e lì… che sorpresa! Ritroviamo Neus, Joan, Maria e Pol. Il tramonto non ci sarà, non siamo fortunati, ma festeggiamo il nostro incontro cenando tutti insieme. Il nostro Saw non finisce mai di stupirci per cosa riesce a scovarci, ebbene ceniamo a base di pizza al ristorante San Kabar a Bagan Nyaung OO. Lo so, non si fa, all’estero non si ricercano cibi italiani, ma la pizza che abbiamo mangiato era cotta in forno a legna e buona davvero. Ed è stata per tutti una gran leccornia.
17 agosto I nostri nuovi amici spagnoli hanno in programma di alzarsi prestissimo per vedere l’alba, noi invece abbiamo comunicato a Saw la nostra intenzione di noleggiare delle biciclette per visitare le pagode. Saw non ci abbandona, mai, e quindi oggi si presenta alle sette in punto con la sua bicicletta che è passato a prendere a casa. Fa tenerezza, sono incredibili la sua disponibilità e la sua dedizione, teoricamente lui è il nostro autista e invece si comporta come una mamma attenta e scrupolosa…Gironzolare in bici per le pagode è bello, facciamo a gara a chi arriva prima e sembriamo tre adolescenti, ma alle nove siamo costretti a rinunciare perché il caldo ci sta sfigurando. Ripresa l’auto la prima sosta è per goderci il panorama da Mee Nyein Kone, poi andiamo a visitare la pagoda Gu Byauk Gyi In Myin al villaggio di Kabar, magnificamente affrescata e normalmente chiusa ma che Saw ci fa aprire dal custode per ammirarla. La pagoda è completamente buia per non danneggiare le pareti, il custode ha con sé una torcia per illuminarne delle porzioni. Gli affreschi sono stupefacenti. La tappa successiva è una pagoda sulla riva del fiume Ayeyarwady. Il luogo è molto vivace, qualche bancarella e molte persone. Ci sediamo poco più in là a guardare la vita che scorre sul fiume. Che pace… Saw ci strappa da questa suggestiva atmosfera per portarci a vedere Ma Nu Ha Paya dove si trova un enorme Budda reclinato, che non è male, ma si trova in una struttura piuttosto spartana e molto angusta. Proseguiamo poi a vedere Kyat Kan Cave e il relativo monastero. Siamo completamente soli, è davvero un luogo di meditazione. Proseguiamo poi verso Pnaya Thone Zu Paya, tre pagode una vicina all’altra, uno dei luoghi che più ci è piaciuto a old Bagan. Le pagode sono bellissime, affrescate, anche se in una gli affreschi non sono mai stati ultimati. Ancora una sosta per cogliere il panorama, forse il migliore su Bagan, da Ta Yoke Pyay Paya. Saw ci accompagna al villaggio Min Nan Thll, ma lui non entra con noi, ci lascia all’ingresso e ci dà appuntamento a più tardi. La prima cosa che ci colpisce nel villaggio sono i bambini, ci circondano sorridenti, non ci chiedono nulla, ci studiano. E allegramente ci corrono vicino, si allontanano e poi si avvicinano, ci cantano delle canzoncine…Il villaggio è semplice, le case sono in realtà delle capanne, la strada è in terra battuta. A dire il vero è molto diverso dalla struttura dei paesi che abbiamo visto finora in Myanmar, questo somiglia molto ai villaggi che abbiamo visto in Sudafrica. Ci sono dei buoi bianchi magrissimi che lentamente camminano incitati da una signora molto anziana. Ci dice qualcosa, non riusciamo a capirla, sta fumando un enorme sigaro. Proseguiamo nel villaggio, agli usci delle capanne si affacciano delle donne giovani, ci salutano e ci sorridono. Una mamma con un bimbo piccolo in braccio ci invita a pranzo da lei. Se non fosse che siamo già stati male una volta ci fermeremmo volentieri, a malincuore le diciamo di no. Ricambiamo i saluti e ce ne andiamo all’appuntamento con Saw. Si è fatta ora di pranzo, Saw ci accompagna a mangiare in uno splendido ristorante vicino al fiume Ayeyarwady, ma non sta molto bene, preferisce non venire a tavola con noi e restare in auto a riposare. Il pomeriggio prosegue, il programma prevede la visita a Mahabaudi Paya, una pagoda del 1215 di stile copiato dai templi indiani, a Shwe Gu Gyi Paya, piccola ed elegante, e poi il tramonto dall’alto di Pya That Gyi Paya. Al contrario di ieri che era più affollato, questo desiderio di tramonto lo vediamo praticamente soli. Desiderio, perché anche oggi il tramonto non ci sarà.
Per cena abbiamo appuntamento con i nostri amici spagnoli al solito ristorante San Kabar a Nyaung OO e a noi si unisce anche la coppia di francesi che avevamo conosciuto sulla barca per Mingun. La serata è piacevole, riusciamo anche a vincere la strenua resistenza di Saw e a fargli prendere la pizza. Ne è piacevolmente folgorato, credo che se in futuro con altri clienti gli capiterà l’occasione di mangiarne ancora ne approfitterà volentieri. 18 agosto La giornata inizia con la visita al complesso monastico Hsin Phyushin, non più in uso. Ci sono delle stanzette per la meditazione, una sala più grande, sempre per la meditazione e all’esterno una enorme vasca in mattoni rossi per la raccolta dell’acqua. Ci spostiamo poi a vedere la pagoda Dhamma ya zi ka paya e poi Mingala Zedi. Chiediamo a Saw di tornare al mercato di Nyaung OO perché desideriamo fare un ultimo acquisto e nel frattempo lui si reca dal medico.
Saw ci ha avvisato che nel primo pomeriggio di oggi a Nyaung OO è in programma un festival religioso e quindi non vogliamo perdere l’occasione di partecipare. Tutto il paese è presente, tutti sono vestiti a festa, le bambine anche piccolissime sono truccate e quando ci passano vicino fanno in modo da attirare la nostra attenzione per farsi guardare. Degli enormi animali tutelari realizzati in cartapesta mossi da persone al loro interno sfilano nella via principale del paese seguiti ciascuno da un gruppo di ragazzi (probabilmente tutti nati lo stesso giorno rappresentato dall’animale) che fanno rumore percuotendo dei bastoni di bamboo. La gara è a chi attira maggiormente l’attenzione facendo rumore e avvicinandosi e allontanandosi dalla folla che fa ali alla sfilata. L’arrivo è costituito da una piazza in terra battuta in cui sono state costruite due gradinate e anche li prosegue il gioco di avvicinarsi e allontanarsi alla folla. Tutto qui. Nonostante la semplicità dell’evento sono tutti entusiasti. Non molto distante dalla piazza è stato allestito un angolo ristoro, con tavolini e sgabelli di plastica e dei pentoloni che qua e là bollono e rimandano il pensiero a magiche alchimie. C’è anche un fabbricante di zucchero filato che aziona la sua macchinina a manovella e una giostra per bambini dove vari oggetti, tra cui un triciclo e una barca di latta, ruotano sospesi intorno ad un palo. Alla festa siamo con Neus, la sua famiglia invece ha preferito concedersi un po’ di riposo nella piscina dell’albergo, e insieme godiamo dell’atmosfera generale di euforia. Nel camminare a piedi in mezzo al paese oggi vediamo tutto con occhi diversi. Abbiamo cambiato prospettiva nel guardare e ora assaporiamo la dignità che sta nelle piccole cose, la povertà ci appare meno povera. Con un altro punto di vista apprezziamo i piccoli dettagli che stanno in ciò che ci circonda, il tentativo di impreziosire i negozi, e in generale il proprio ambiente, con particolari insignificanti, ma che dimostrano la ricerca di emergere dalla trascuratezza. Purtroppo il tempo trascorre inesorabile e alle 16,45 è previsto il volo Bagan-Yangon. Salutiamo Neus con la promessa che ci rivedremo e con Saw ci dirigiamo all’aeroporto. Lo salutiamo e lo ringraziamo di tutto ciò che ha fatto per aiutarci a impreziosire il nostro viaggio. I saluti sono sempre difficili e con un po’ di malinconia guardiamo per un’ultima volta dal finestrino dell’aereo le meravigliose pagode di Bagan. All’arrivo all’aeroporto di Yangon viene a prenderci la stessa signora dell’agenzia che avevamo visto al nostro arrivo e in auto nel tragitto verso l’albergo, il Nikko Royal Hotel, lo stesso dell’andata, ci chiede di raccontarle la nostra esperienza. Nel congedarci ci regala le foto che ci aveva scattato all’arrivo, e un paio di T-shirt.
19 agosto Oggi lasciamo il Myanmar. Che tristezza, il cielo piange con noi, e dopo molti giorni di sole ritroviamo la pioggia. Richiediamo all’albergo il servizio trasporto all’aeroporto e saliamo per la prima volta su un’auto con volante a sinistra, normale per noi, un lusso incredibile in Myanmar dove già solo i più fortunati si possono permettere di acquistare le auto usate dismesse dal Giappone. La fortuna è che, Yangon a parte, il traffico è molto limitato e quindi diventano superabili i problemi che si creano nel circolare a destra con tutto il parco auto dotato di volante a destra.
All’aeroporto incontriamo Win che è venuto ad prendere dei nuovi clienti. Ci fa una festa incredibile. Che bello poterlo salutare ancora una volta, siamo stati bene con lui… Il volo è tranquillo, in un’oretta ci troviamo all’aeroporto di Bangkok per trasferirci con un altro volo interno della compagnia Bangkok Airways a Koh Samui, dove abbiamo prenotato per la notte di transito l’albergo Samui Natien Resort situato nella spiaggia di Chaweng. Ancora non riusciamo a capacitarci che sia sufficiente un’ora di aereo o poco più per ritrovarsi catapultati dal medioevo all’era moderna con i suoi assordanti frastuoni. In un’ora abbiamo perso la pace, la tranquillità e il silenzio che avevano permeato ogni momento delle nostre ultime due settimane. Siamo atterrati in una Rimini che di Rimini ha il mare, ma con una spiaggia stretta come quelle che si trovano da noi in Liguria. Chi viene qua a Chaweng certamente non viene per il mare. Che delusione, fortuna che per noi è solo un transito e domani partiremo per Koh Nang Yuan. 20 agosto Abbiamo dovuto trascorrere la notte a Koh Samui perché sono solo due gli orari in cui il piroscafo effettua il servizio trasferimento per Koh Nang Yuan, uno alle 9,00 e poi ancora alle 13,00. Abbiamo incaricato la reception di prenotare per noi l’auto che passa ai vari alberghi per il trasporto collettivo al porto, e siamo ad attenderla parecchi minuti in anticipo rispetto all’appuntamento. I minuti trascorrono inesorabili e non si vede nessuno e alla fine nessuno arriva, così cerchiamo disperatamente di arrivare al porto in taxi. Ovviamente il piroscafo è appena partito e non ci resta che attendere il successivo. Abbiamo davanti a noi quattro ore di attesa (che diventeranno poi quasi cinque) che trascorriamo in compagnia di una coppia di spagnoli di Madrid che arrivano di lì a poco. Il trasferimento è tranquillo e dopo circa due ore e mezza sbarchiamo in un vero paradiso. Koh Nang Yuan è un gruppo di 3 isolette, in una ci sono il ristorante e le spiagge, due hanno invece le sistemazioni immerse nel verde, che sono poche e praticamente invisibili.
Obiettivamente tre sono i nei del complesso: le strutture sono piuttosto spartane, l’acqua e l’energia elettrica il pomeriggio non ci sono e quindi è come essere dei pendolari al mare, si scende in spiaggia il mattino e si risale la sera. Noi abbiamo prenotato il bungalow K9 con mountain view, e quindi dall’alto abbiamo una vista spettacolare e dominiamo la baia, ma… Abbiamo anche 170 gradini da salire e scendere ogni volta che ci muoviamo. E noi siamo anche fortunati, via internet nel prenotare avevamo specificato di volere dormire nell’isola che rimane sempre collegata a quella principale, l’altra infatti per effetto dell’alta marea la sera è isolata e per andare a mangiare è necessaria una piccola barchetta che però fa servizio solo fino alle ventuno. La terza e forse la più antipatica pecca del posto è che il luogo è preso d’assalto da turisti giornalieri, ci sono barche che si fermano e che vomitano miriadi di passeggeri che si mettono dovunque e che dopo due ore se ne vanno per essere sostituiti da altri… Ma fino alle 10 del mattino e poi a partire dalle 17 il luogo è di una bellezza suggestiva, siamo turisti solitari in un mare da sogno… 24 agosto Dopo qualche giorno di riposo eccoci valigie in mano, destinazione Bangkok. Invidiamo Francesco e Daniela di Roma con cui abbiamo condiviso alcuni momenti delle nostre giornate a Koh Nang Yuan perché come noi sono in partenza ma sono diretti a casa, noi invece abbiamo ancora un paio di notti da trascorrere a Bangkok. Ma dopo il relax del mare chi ha voglia di rimettersi a fare i turisti? Non ne sentiamo il desiderio, a questo punto vorremmo solo rientrare a casa. La barca ci porta a Koh Samui dove raggiungiamo l’aeroporto e con il solito volo Bangkok Airways arriviamo a Bangkok. Più che una città è un delirio, il traffico è paralizzato e per percorrere i 26 km di distanza che intercorrono tra l’aeroporto e l’albergo che abbiamo prenotato, il Tara Imperial Hotel, impieghiamo due ore in una strada per gran parte a quattro corsie per ogni senso di marcia. In albergo ci concediamo un massaggio, e poi usciamo alla ricerca di un ristorante. 25 agosto Abbiamo solo un giorno per vedere qualcosa di Bangkok e cerchiamo di sfruttare al meglio il tempo a disposizione, tenendo conto delle condizioni climatiche non proprio favorevoli visto che fa molto caldo. Dall’albergo ci facciamo portare in taxi a Wat Phra Kaeo, il palazzo reale che è preso d’assalto da turisti di tutte le nazionalità. In un rispettoso silenzio forse avrebbe fatto un altro effetto, già così è comunque un luogo splendido. Indossiamo dei pantaloni che ci lasciano scoperte le caviglie, all’ingresso veniamo fermati e quindi prima di entrare siamo costretti a passare al servizio guardaroba. Alla visita dedichiamo alcune ore e per la prima volta da quando siamo in vacanza andiamo alla ricerca di acqua per bere. Qui fa molto più caldo che non in Myanmar… In città ci si sposta usando il tuk-tuk, le ape-car trasformate per essere adibite a trasporto passeggeri. Viaggiare con un simile mezzo di trasporto è economico e veloce, ma in questo modo lo smog non si respira, si mangia. Il primo guidatore di tuk-tuk ci avvicina appena fuori dal palazzo reale, ha un prezzo competitivo, ma questo ci insospettisce molto, infatti scopriremo presto che ottiene benzina gratis dai negozianti se tra un luogo turistico e l’altro accompagna i turisti nei negozi per fare acquisti. Non abbiamo né voglia né tempo di dedicarci allo shopping e non ci piace essere presi in giro per cui abbandoniamo il nostro guidatore di tuk-tuk per un altro che resterà con noi tutto il giorno e che al contrario del primo si dimostrerà affidabile (oltre a conoscere l’inglese, il che non guasta…). Visitiamo dapprima una pagoda e poi veniamo accompagnati al Golden Mount, un monastero leggermente elevato e da cui si riesce ad avere un sguardo d’insieme sulla città che ci appare in tutta la sua enormità. La tappa successiva è il palazzo Vimanmek, un bell’edificio in teak, residenza estiva dei re di Thailandia che vediamo partecipando a una visita guidata. I canali di Bangkok sono navigabili e quindi desideriamo rimirare la città da un’altra prospettiva. Chiediamo al nostro autista e con il suo aiuto noleggiamo una barca per vedere la città dall’acqua. L’ultima meta è il tempio Wat Po, il Budda sdraiato (l’ennesimo, ma è l’ultimo della nostra collezione e a questo mi aveva chiesto di andare la mia amica Lucia). L’ultima parte del giorno la dedichiamo al relax, l’autista del tuk-tuk ci accompagna ad un centro massaggi e lì ci viene a riprendere dopo un paio d’ore per riportarci in albergo. Dopo la doccia usciamo per la cena, abbiamo adocchiato un ristorante di pesce non troppo lontano dal nostro albergo. Siamo un po’ perplessi, ai tavoli sono sedute solo coppie miste, in cui le lei sono giovani e carine, i lui sono occidentali, brutti e anziani e dalle loro conversazioni (si ascolta anche se non si vuole quando i tavoli sono vicini…) si intuisce che non si conoscono. Ce ne accorgeremo anche in aereo, al ritorno, la maggior parte dei viaggiatori sono formati da coppie miste, spesso con figli, uomini che all’estero hanno comprato l’amore che a casa non riuscivano ad avere. Ecco l’altra faccia della Thailandia… Paghiamo il visto di uscita dalla Thailandia 500 bath a persona (in valuta locale) ed eccoci in volo verso casa…
Qualche giudizio/consiglio di ordine pratico.
Gli alberghi in cui abbiamo soggiornato hanno tutti standard elevato, forse solo il Golden Rock a Kyaiktiyo è un po’ più spartano degli altri, e in tutti è stato possibile avere il servizio lavanderia. Gli autisti teoricamente erano pagati per restare con noi fino alle 21,00, ma mai nessuno ci ha fatto pesare l’orario. La loro giornata era tarata alla nostra e restavano con noi fino a che non decidevamo di andare a letto. Si sono dimostrati un sicuro punto di riferimento, sempre disponibili e attenti a cercare in ogni occasione il meglio che potessero offrirci.
Relativamente all’aspetto salute non abbiamo voluto fare l’antimalarica e la nostra scelta si è dimostrata indovinata, in quanto sarebbe stato un trattamento assolutamente inutile per le condizioni climatiche e ambientali che abbiamo trovato. Per quanto riguarda aspetti più pratici abbiamo constatato che è stato utile avere con noi dollari, gli euro vengono accettati malvolentieri dalla popolazione. Il bancomat è sconosciuto, le carte di credito sono pressoché inutili, solo qualche albergo le accetta facendo però pagare una commissione per l’utilizzo.
Per telefonare a casa abbiamo usato gli alberghi, al costo di circa 10 dollari al minuto, ma dalle città di Bagan, Mandalay e Yangon è possibile risparmiare qualche soldino telefonando da punti appositi.
Da un’analisi fatta a posteriori forse avremmo cambiato qualcosa al programma. La cosa che forse più di altre ci ha deluso, ovviamente il giudizio è strettamente personale, è la grotta di Pindaya. Ma è pur vero che non avremmo mai rinunciato al trasferimento in auto da Mandalay a Pindaya che ci ha permesso di gettare uno sguardo sul Myanmar agreste, sui campi arati dai buoi e lavorati a mano, sulle verdissime distese di risaie, sugli immensi campi di cavolfiori. Avrebbe forse potuto avere una logica più stringente evitare di rifare per gran parte la stessa strada al ritorno dal lago Inle per trasferirci a Bagan e programmare invece un volo aereo tra l’aeroporto di Heho e Bagan. Ma questo avrebbe significato perdere Saw e quindi, visto che per noi le vacanze non devono essere solo programma ed efficienza, ma anche rapporti umani, forse è stato meglio così. Abbiamo indovinato a lasciare Bagan come ultima cosa da visitare, è infatti una città magnifica e giusta conclusione ad un viaggio. I luoghi sono di una bellezza mozzafiato e valeva la vacanza solo poter passare del tempo seduti su una pagoda a guardare il paesaggio sottostante, l’orizzonte infinito di pagode, ascoltando il frinire delle cicale nella calura estiva. Un consuntivo del nostro viaggio? Un aggettivo su tutti: straordinario. Straordinario davvero, per ciò che abbiamo visto e per ciò che abbiamo ricevuto. Certo, siamo consapevoli che Myanmar è sinonimo di guerriglia, corruzione e tortura. Che la libertà è utopia e la povertà è ovunque. Ma ci è stata data la possibilità di cogliere il lato, diciamo così migliore, del Myanmar, il lato fatto di ospitalità, cortesia e calore e mai, in nessun momento abbiamo avuto la sensazione di essere ospiti indesiderati di un paese governato da una dittatura. Il nostro pensiero va ai saluti che abbiamo ricevuto ovunque, ai molti sorrisi, al vociare allegro dei bambini, al loro stupore nel vedersi ripresi dalla videocamera, alla pacifica serenità dei monaci con cui abbiamo conversato, alla dolcezza di Win, alla premurosa efficienza di Saw, alla fiera dignità e alla serenità del popolo tutto. E’ stato un viaggio toccante, vissuto intensamente e che sicuramente ci ha arricchito. Chiudendo gli occhi la prima immagine che ci appare è quella dei molti volti che abbiamo visto, e ogni volto è accompagnato da un sorriso…