“How are you ?” di Come stai ?

Osservando Nairobi al mattino si può notare come le strade principali che conducono in città siano una lunga colonna d’auto, bus e matatu (un piccolo pulmino) carichi di persone che si spostano dalla periferia verso il posto di lavoro. Fin qui nulla di strano rispetto ad una qualunque città italiana, ma accanto a questa colonna, c’è n’è...
Scritto da: Stefano Bonifazi
“how are you ?” di come stai ?
Partenza il: 06/08/2004
Ritorno il: 30/08/2004
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 2000 €
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Osservando Nairobi al mattino si può notare come le strade principali che conducono in città siano una lunga colonna d’auto, bus e matatu (un piccolo pulmino) carichi di persone che si spostano dalla periferia verso il posto di lavoro. Fin qui nulla di strano rispetto ad una qualunque città italiana, ma accanto a questa colonna, c’è n’è una seconda, stavolta composta da migliaia di persone che dalle bidonville si sposta a piedi od in bici, non potendosi permettere il costo del biglietto dei mezzi di trasporto. Si formano così due ali di persone (in taluni casi scalza, la maggioranza con semplici ciabatte) che accompagna silenziosamente lo strombazzare dei veicoli in strada.

In questa immagine si può riassumere il Kenia: una parte avviata lentamente ad adeguarsi alle modernità occidentali, ed un’altra che, complici il degrado socio-sanitario e lo sviluppo incontrollato degli slum, stenta a sollevarsi e rimane ancorata a condizioni di vita dei nostri avi. Così accanto ad auto di lusso e cellulari, donne e uomini lungo le strade si arrabattano in qualche modo a vendere frutta, verdura oppure oggetti recuperati dalla discariche dei ricchi, si improvvisano barbieri sotto le acacie o tassisti con le proprie bici.

Ma laddove la società del benessere si può permettere di essere curata nei migliori ospedali, la gente degli slum si trova a dover combattere contro malattie come la malaria o la tubercolosi; la scarsa competenza degli infermieri dei dispensari ed il costo elevato dei medicinali contribuiscono inoltre a rendere una lieve malattia a rischio morte.

In un libro scritto dopo un viaggio in Africa, Walter Veltroni intervista padre Alex Zanotelli, missionario comboniano che per 12 anni ha vissuto nella bidonville di Korogocho, il quale si interroga: “Forse Dio è malato ? Oppure non può essere che in tanta ingiustizia e povertà, si sia dimenticato dell’Africa ?” Ed è una domanda che viene naturale porsi al ritorno da un viaggio in Kenia.

Ma è nel ricordare i luoghi visitati e la gente conosciuta che troviamo la risposta: alle pendici del Monte Kenia, il secondo monte più alto del continente africano, con 300 euro si può costruire una piccola diga lungo un fiume, creare due canali per irrigare e con uno solo di questi attivo, 400 famiglie di agricoltori coltivano banane, ananas e soprattutto carcadè, e con altre 70 persone che lavorano nella fabbrica, producono le bustine con le foglie del carcade per gli infusi e la marmellata per il mercato europeo.

Oppure le donne di Ebuyango, vicino al lago Vittoria, con abile maestria lavorano le foglie di banano seccate al sole e preparano cesti, sottopentole, e tanti altri oggetti di uso casalingo.

Abbiamo anche incontrato molti volontari laici e religiosi, missionari da paesi europei oppure abitanti del luogo, impegnati nella rieducazione dei ragazzi di strada, che con il teatro, la scuola o l’artigianato cercano di strapparli alla criminalità ed alla droga.

Come dimenticare poi i tanti bambini, che quando ti vedono arrivare ti scrutano con occhi che spiccano dai loro visi neri; indossano magliette impolverate e scolorite, spesso di squadre di calcio europee giunte chissà come in quei luoghi remoti, e accompagnandosi con un gesto della mano salutano il “muzungo”, l’uomo bianco, preoccupandosi di chiederci come stiamo “How are you?”, come se fossimo noi i bisognosi di cure.

Alla fine del viaggio possiamo rincuorarci ed affermare che ha torto padre Zanotelli, che Dio non è malato ne si è dimenticato, ma ha dato all’Africa tanta gente volenterosa cha l’aiuta nel difficile cammino di migliorare condizioni di vita così disastrate, e ci ha fatto capire che forse hanno ragione i bambini, che siamo noi i bisognosi di un po’ di mal d’Africa per guarire dai mali dell’Occidente.



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