Grazie Indonesia! di Terimakasih nusa indah

Terimakasih nusa indah significa letteralmente "Grazie bell`isola!" in indonesiano e non ci sono parole per descrivere la bellezza delle isole indonesiane, in special modo Bali e le isole Gili, piccoli gioielli contornati da barriera corallina. L’Indonesia offre sistemazioni e soluzioni di viaggio per ogni tipo di tasca; noi abbiamo optato per...
Scritto da: Silvia Avo
grazie indonesia! di terimakasih nusa indah
Partenza il: 15/07/2011
Ritorno il: 29/07/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €
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KUTA (Bali)

15 Luglio – Giorno 1

Partenza per Bali con volo AirAsia da Perth (Australia) la notte del 15.07 (Euro 475 / 2 pp., solo andata). Purtroppo a causa di lavori in corso all’aeroporto di Denpasar a Bali, il nostro volo parte con tre ore di ritardo e al posto delle 6 del mattino, arriviamo alle 9 all’aeroporto di Denpasar vicino a Kuta. Dopo aver pagato il visto turistico (USD 25) e aver passato i controlli del passaporto usciamo all’aperto, sorpresi dall’aria calda che si respira. Incomincia subito una lotta contro l’insistenza dei taxisti che ci prendono di mira a causa dei grossi bagagli. Cerchiamo ovunque l’autista dell’alloggio che avevamo prenotato da Perth (My Villa Purnama, 23 euro/double, compreso internet, motorino gratis, colazione) ma non lo avvistiamo e non possiamo chiamare l’hotel perché il nostro numero australiano non funziona. Indecisi ci fidiamo di un taxista che si offre di chiamare con il suo cellulare l’albergo e poi ci informa che la nostra stanza è già stata occupata da altre persone (imprevisto già sperimentato da altri turisti che avevano scritto una recensione su “My Villa Purnama”). Delusi chiediamo al taxista di portarci a Kuta centro e scegliere per noi un alloggio molto economico. Detto, fatto. Un quarto d’ora di macchina nel caos totale, motorini che sorpassano a destra e a sinistra, carri trainati da cavalli o da uomini che intralciano la strada, persone che si buttano in mezzo alla strada sperando di arrivare al marciapiede opposto.

Arriviamo al Bunut Garden (J1. Kartika Plaza Gang Puspa Ayu, che si trova in un vicolo perpendicolare alla via principale di Kuta). Ancora inesperti riguardo a contrattazioni e prezzi accettiamo il primo prezzo in dollari australiani che ci propone il taxista (AUD 20!!) che è assolutamente uno sproposito in Indonesia per pochi chilometri. Sistemiamo i bagagli nella stanza doppia con ventilatore che costa meno, con colazione inclusa ma senza internet (IDR 200.000 /notte) e decidiamo di starci due notti. Prima di pagare andiamo a fare un giro per cambiare i dollari australiani; meglio pagare sempre con moneta locale ossia la rupia indonesiana (IDR). Appena mettiamo piede fuori dall’hotel veniamo approcciati da ogni tipo di commerciante, taxista, ristoratore, agente di viaggio… Ci informiamo sui prezzi di cambio ad ogni banchetto col cartello “Money Exchange” e diffidenti, decidiamo di entrare in una banca e farci cambiare AUD 200 in IDR 1.815.000, un buon cambio senza pagare spese extra. Kuta è veramente incasinata, bisogna fare attenzione a dove si mettono i piedi perché i marciapiedi e la strada sono pieni di buche e si rischia di venir travolti da macchine e motorini. Al ritorno verso il nostro hotel ci fermiamo in un piccolo ristorante che si trova nella stessa via, un posto senza pretese ma i camerieri-cuochi sono molto alla mano e subito dopo aver preso l’ordine si informano sui nostri programmi. A Bali chiunque conosce qualche “driver” ossia autista privato che per un prezzo assai ridotto ti accompagna nei luoghi turistici. Così ci accordiamo di farci venire a prendere da suo fratello l’indomani per le h 10.30 di fronte al suo ristorante e soprattutto contrattiamo il prezzo per telefono; raggiungiamo le 350.000 rupie (euro 28) per vedere Nusa Dua, Uluwatu e Tanah Lot. Dopodiché ci godiamo il Chap Cay (verdure cotte con riso) e il Mie Goreng ( noodles con verdure) per IDR 38.000 (euro 3). Squisiti! Nel pomeriggio percorriamo la via per il mare e compriamo due asciugamani, contrattando il prezzo ovviamente, e una scheda telefonica indonesiana (IDR 5.000), assolutamente utile per contattare hotel e autisti. Per raggiungere la spiaggia di Kuta si passa attraverso un mercatino tutto colorato, pieno di dipinti e oggetti d’artigianato. Siamo già tentati di fare i primi acquisti ma ci tratteniamo per non portarci dietro chili di troppo in valigia durante gli spostamenti futuri; inoltre i prezzi son molto più alti qui che in altre parti dell’isola. La spiaggia di Kuta è una lunga distesa di sabbia e le onde del mare non sono eccessivamente alte. Ci sistemiamo nella parte occidentale, meno frequentata e vicino ad un giardino dove stanno celebrando il matrimonio di due australiani.

Proseguendo verso sinistra si possono vedere tutti i lussuosissimi resort dove si crogiolano accanto alla piscina bambini e adulti. Purtroppo sono convinta che si perda il senso della realtà indonesiana chiudendosi in questi hotel a 5 stelle e concedendosi giusto qualche tour organizzato ai templi più famosi. Ci rinfreschiamo con un bagno e dopo poco ci affiancano delle ragazze col velo vestite tutte uguali con la divisa della loro università. Ci spiegano che vorrebbero fare alcune foto con noi come compito delle vacanze sulle differenze culturali ed esercitarsi a parlare inglese. Solo la meno timida ci approccia e parla con noi, le altre sono molto riservate ma sorridenti e ci continuano a ringraziare incuriosite dalla nostra disponibilità. Vengono da Java e questa è la loro vacanza, pagata dalla scuola con l’obiettivo di abituare i giovani ad approcciare i turisti e comunicare in inglese nei luoghi più turistici. Ci fa molto piacere essere d’aiuto e questa non sarà l’ultima volta. Ci fermiamo in spiaggia fino al tramonto quando si riuniscono qui soprattutto locali per far volare aquiloni, fare il bagno vestiti e godersi la discesa del sole, momento sacro per gli indù. Rientrando in hotel notiamo che molti indonesiani addobbano i piccoli templi indù sparsi per tutta la città ed ogni ristorante, hotel o casa pone sulla strada delle offerte in cestini di foglie di palma con all’interno riso,dolcetti, monetine e quant’altro, come offerta. Inoltre, ogni via esibisce delle specie di pennoni pendenti fatti di bambù e foglie di palma, addobbati con nastri colorati. Scopriremo che in questo periodo gli indù festeggiano una ricorrenza religiosa e che proprio l’indomani molti non lavoreranno in mattinata per pregare e fare offerte. Ceniamo nello stesso ristorante in cui abbiamo pranzato (IDR 64.000 = euro 5) e poi prendiamo un dolce e un caffè da Starbuck’s dove abbiamo la connessione WiFi gratuita per modo di dire (paghiamo più della cena: IDR 91.000 = euro 7,50). Approfittiamo per prenotare online la camera in hotel a Ubud dove andremo fra 2 giorni.

NUSA DUA-ULUWATU TEMPLE-TANAH LOT

16 Luglio – Giorno 2

Ci svegliamo con calma, dovendo recuperare le ore di sonno della notte in aereo. Colazione a base di jaffle (due fette di pan tostato sovrapposte ripiene di banana), frutta e tè/caffè balinese. Alle h 10.30 saltiamo sulla macchina del fratello del ristoratore indonesiano conosciuto il giorno prima e si parte. Prima di tutto chiediamo all’autista di accompagnarci all’ufficio turistico di Kuta dove vorremmo prenotare il bus per Ubud per il giorno seguente, ma lui si ferma due metri appena partiti vicino a una bancarella che vende biglietti per trasferimenti all’interno di Bali e dopo aver contrattato il prezzo da IDR 70.000 a IDR 50.000 a persona acquistiamo il biglietto per l’indomani mattina (cercate di controllare bene i prezzi di qualunque cosa prima di acquistare, almeno avrete una base su cui contrattare; qualunque prezzo iniziale vi propongano, non accettate senza prima aver ottenuto la metà o poco più).

Prima destinazione: Nusa Dua. L’autista parla abbastanza bene l’inglese e incominciamo a tempestarlo di domande sulla sua famiglia, la religione indù, i posti da visitare. Lui risponde molto gentilmente e ride in continuazione; gli indonesiani sono proprio persone socievoli e sorridenti. Probabilmente in accordo con gli indonesiani del luogo, l’autista in 45 minuti non ci porta subito a Nusa Dua ma a Tanjung Benoa, una spiaggia veramente bruttina a nord di Nusa Dua, famosa per gli sport d’acqua. Appena mettiamo piede in spiaggia infatti ci propongono subito sci d’acqua, banana boat, etc. e tour per andare a Turtle Island a poco prezzo, ma siamo un po’ infastiditi dalla tappa extra non “programmata” e ci facciamo subito portare via per essere lasciati per circa un’ora e mezza nella spiaggia di Geger Beach (Nusa Dua) di sabbia bianca e con un mare cristallino. Ci sistemiamo nella spiaggia libera e prendiamo un po’ di sole ma siamo incuriositi da alcuni indonesiani che aspettano chissaché seduti sotto un albero. Pranziamo al Fleet Bar & Cafe, l’unico ristorantino nelle vicinanze (IDR 65.000 ossia : acqua, noodle con uova e verdure, frutti di mare). Dopo pranzo in un’ora raggiungiamo il tempio di Uluwatu (entrata IDR 6.000/pp.). All’ingresso alcuni indonesiani ti legano in vita il sarung, la gonna lunga indossata anche dagli uomini, simbolo di rispetto verso gli dei quando si entra in un templio. E’ veramente suggestivo raggiungere Uluwatu attraverso un sentiero e una gradinata che offrono scorci panoramici sul mare e sulla scogliera a picco dove è arroccato il templio. Sulla strada si incrociano diverse scimmiette, tenere a vedersi ma estremamente furbe. Rubano oggetti ai turisti per ricevere in cambio banane da indonesiani che altrettanto furbamente si fanno pagare dai turisti per farsi restituire dalle scimmiette la merce rubata. Oggi è giorno di festa per gli indù, per cui non possiamo entrare nel templio ma abbiamo il privilegio di vedere sfilare diverse persone vestiti di bianco che celebrano la ricorrenza indù. Abbandoniamo questo luogo con rammarico e ci dirigiamo con l’autista verso il Tanah Lot attraverso il traffico di Bali; avvistiamo motorini con almeno 4 persone a bordo, compresi neonati e bambini. Vediamo anche molte risaie, alcune verdi, altre un susseguirsi di specchi d’acqua. Giungiamo in 2 ore al tempio di Tanah Lot (ingresso IDR 12.500/pp.). Vi sono tantissime persone, soprattutto indù, giunti qui per farsi benedire e pregare. Prendiamo uno “young coconut” per IDR 11.500 nel tragitto verso il tempio costellato di bancarelle, pentendocene dopo averlo assaggiato: acqua che sa leggermente di cocco, almeno è rinfrescante. Purtroppo l’acqua del mare si è ritirata a causa della luna piena, per cui il templio raffigurato solitamente su un’isoletta in mezzo al mare è perfettamente raggiungibile a piedi camminando sugli scogli un po’ scivolosi. Peccato perché il bello di questo templio sta proprio nel suo essere in mezzo al mare. Inoltre, c’è veramente troppa gente, quindi le nostre aspettative vengono un po’ deluse ma per lo meno vediamo persone che vengono benedette con acqua e riso sulla fronte, anche turisti che pagano per avere questo trattamento. Ciò che veramente ci incanta è il tramonto sulla scogliera nel punto in cui si forma un arco di pietra che si trova camminando verso destra dal templio se si è rivolti verso il mare. Decidiamo di tornare a Kuta, da qui ci mettiamo un’ora e una volta scesi davanti al nostro hotel paghiamo l’autista (IDR 350.000) e lo ringraziamo per averci fatto anche da cicerone durante il viaggio. Doccia e subito via alla ricerca di un ristorante a prezzi economici. Lo troviamo dopo pochi metri sulla via principale e ordiniamo subito due piatti a prezzi stracciati. Appena ce li portano, capiamo subito perché il prezzo è basso: porzioni veramente ridotte! Per cui ordiniamo un terzo piatto e due porzioni di riso, il tutto per IDR 67.000. Dopo cena ci connettiamo a internet al “The Coffee Leaf”, un facsimile dello “Starbuck’s” dai prezzi e dai prodotti simili. Con IDR 92.000 prendiamo due caffè e un dolce e raccogliamo informazioni sulle nostre prossime tappe. Appena tocchiamo il letto, cadiamo in un sonno profondo.

UBUD ( Monkey Forest)

17 Luglio – Giorno 3

Alle h 10 circa ci facciamo trovare di fronte alla bancarella che ci ha venduto i biglietti per Ubud e veniamo caricati per primi in un pulmino che incomincia a girare la città per recuperare altre 6 persone, fra le quali scoviamo subito una italiana che chiacchiera con noi per tutte le 3 ore di viaggio. Una volta usciti dal caos cittadino ci godiamo il paesaggio circostante; la vegetazione è verde e rigogliosa e i villaggi son tutti decorati e ognuno ha una piazza con statua indù. Giunti a Ubud veniamo scaricati in un parcheggio e chiediamo indicazioni per raggiungere l’agenzia Perama che raggiungiamo a fatica trainando le nostre valigie su un terreno instabile pieno di buche. Chiamiamo il nostro hotel e ci accordiamo per farci venire a prendere direttamente alla Perama. Questa agenzia di viaggi è molto famosa a Bali e offre prezzi convenienti per le tratte turistiche più battute dell’isola. Dopo aver confrontato i prezzi di molte imbarcazioni veloci (Gili Cat, Gili Gili, Ocean Star…) per raggiungere le isole Gili (intorno alle IDR 1.200.000 andata&ritorno a persona) abbiamo deciso di prenotare la barca veloce di Perama (IDR 600.000 /pp., andata e ritorno partendo da Padangbai). Purtroppo non abbiamo abbastanza soldi, ma il ragazzo incaricato dice che si può prenotare anche con un giorno di anticipo. Meglio così visto che avevamo sentito persone che avevano prenotato con largo anticipo trasporto e sistemazione alle Gili perché gli era stato detto che non avrebbero trovato posto a fine luglio/inizio agosto. Primo mito sfatato! Finalmente arriva l’autista dell’hotel che ci porta all’Abangan Bungalow (bungalow con aria condizionata, colazione e internet: euro 21, prenotato su internet). Affamati usciamo per trovare un ristorante e ci fermiamo dopo pochi passi al “The Paon”, facendoci ingannare dal dolce gratis. Ordiniamo Nasi Goreng e Mie Goreng, i piatti meno costosi (con acqua: IDR 105.000) e ci concediamo un Black Rice Pudding. Tutto molto buono! Intanto avvistiamo dal balcone del ristorante il fiume che scorre al di sotto e una donna che si fa il bidè oltre a qualche cumulo di spazzatura, immancabile, e un terrazzo di fronte che scopriremo essere un ristorantino molto carino e soprattutto economico.

La Monkey Forest si trova proprio all’interno di Ubud, bisogna camminare un bel po’ dall’Abangan Bungalow ma ci si gode il clima di festa e di tranquillità della cittadina dopo la confusionaria Kuta. Vi sono innumerevoli negozi di artigianato e ristoranti per tutte le tasche e i gusti, i quali si alternano ai piccoli templi. Arrivati alla Monkey Forest paghiamo l’ingresso (IDR 20.000/pp.) e ci immergiamo nella foresta tropicale accolti da una schiera di scimmie che non vede l’ora di assaltare gli immancabili turisti con le banane. Seguendo il sentiero arriviamo ad un tempio con molte statue ricoperte di muschio e ci sediamo di fianco a una scimmia che allatta il suo piccolo, come sono simili a noi questi curiosi animali! Con calma ci dirigiamo verso la scalinata accanto all’ingresso principale e incominciamo la discesa verso un altro templio. Per raggiungerlo bisogna attraversare un ponte circondato da piante e liane dove si annidano le scimmiette pronte a far dispetti ai turisti. Fa piuttosto caldo a causa dell’umidità ma è un clima tutto sommato molto sopportabile. Al ritorno in hotel ci fermiamo a parlare con un autista che ci propone i suoi servizi e ci accordiamo per farci venire a prendere l’indomani alle h 10 e per farci portare a Padangbai a fine giornata per IDR 350.000. Affare fatto! Nel tragitto ci addentriamo nel mercato locale super colorato e pieno zeppo di gioielli, quadri, coperte, dipinti… Siamo tentati di acquistare un porta candela a forma di animale in ferro battuto ma continuamente il peso dei nostri bagagli ci ammonisce. Appena ci chiudiamo in stanza incomincia il diluvio, siamo salvi. Prenotiamo la stanza per il giorno successivo a Padangbai, ricercando la solita colazione e internet inclusi nel prezzo, essenziali. Alla sera usciamo prima delle h 20 per andare a cambiare i soldi, ma il Money Changer ha chiuso in anticipo di mezzora. Per cui ci dirigiamo al ristorante sul fiume chiamato “River View” di fianco al “The Paon”; basta attraversare un ponte e lo si raggiunge. Ceniamo con vista fiume sotto un tetto di paglia per IDR 70.000, tutto molto gustoso.

TEGENUNGAN WATERFALL-GUNUNG KAWI-GOA GAJAH-PADANGBAI

18 Luglio – Giorno 4

Ci alziamo presto, ci godiamo la colazione sul tavolo fuori dal nostro bungalow a base di pancakes, frutta e tè/caffè, come sempre non abbondante (spesso le porzioni anche in ristoranti non del tutto economici sono ridotte, menomale che come contorno c’è sempre il riso). Mi attende un colloquio tramite skype con un’agenzia indonesiana che mi vuole offrire una internship come insegnante di inglese a Java. Il lavoro sembra molto interessante, soprattutto da un punto di vista personale più che professionale, ma dopo alcuni giorni mi decido a rinunciare a causa delle numerose spese associate e di offerte migliori che ci attendono in Europa. Eccoci dunque pronti per saltare a bordo di una swift con baule occupato da due casse gigantesche e al di sopra incastrati televisione, spumante e bicchieri. Ci facciamo stare a fatica i nostri bagagli. L’autista è il nipote dell’indonesiano con cui abbiamo contrattato il trasferimento il giorno prima, un ragazzo molto simpatico di nome Dewa Thino (lo zio si chiama Dewa Made). Ci facciamo portare inizialmente alla Perama per prenotare il trasporto da Padangbai alle Gili. Risaliti in macchina Dewa ci accompagna nel suo villaggio, Tegenungan, dove cambiamo macchina, alleluia! Ne approfitta inoltre per portarci alle cascate del suo villaggio, ovviamente poco conosciute e frequentate (ingresso IDR 5.000/pp.). inseguiti fino al punto panoramico da due bambine che cercano di venderci ventagli, ci godiamo lo spettacolo di questa cascata, purtroppo non raggiungibile, incorniciata dalla lussureggiante vegetazione del luogo. Osserviamo nel frattempo donne, anche anziane, che portano sulla testa pietre enormi, percorrendo la salita dal fiume al piccolo laboratorio-capanna lì affianco dove un indonesiano lavora le pietre. Dewa ci dice che vengono pagate circa 300 USD al mese a seconda di quante pietre riescono a portare a destinazione, agli occhi nostri una miseria per lo sforzo fisico compiuto e le condizioni in cui lavorano. Ma questo fa parte della realtà quotidiana dell’Indonesia; molte persone, anche donne, lavorano duramente nei campi di riso, instancabili, per pochi soldi, mentre altre attendono sotto le loro capanne interminabili ore, nella speranza che qualche turista compri la loro merce, hanno sicuramente una percezione del tempo molto diversa dalla nostra.

Prossima tappa: Goa Gajah, ossia la grotta dell’elefante (ingresso IDR 20.000/pp.). Ci vengono forniti come al solito dei “sarung” e via alla scoperta di questo complesso di templi. Scendendo le scale si ha la visuale sulla grotta dell’elefante e sulle adiacenti piscine, adornate di statue e gonnelle di tessuto ormai coperte di muschio ed un tutt’uno con le statue stesse. Ci addentriamo nella grotta, buia, manca il respiro poiché all’interno sono state accesi diversi incensi. Alcuni indonesiani si offrono di accompagnarci agli altri templi, ma rifiutiamo, convinti di trovarli da soli. Per cui scendiamo una seconda gradinata di scale fiancheggiata da fiori che ci porta ad una deviazione. Seguendo il sentiero sulla sinistra si è costretti ad entrare in un templio in cui troviamo una minuta vecchietta che in cambio di qualche soldo esegue un rito piuttosto breve, donando agli dei un cestino con un incenso acceso al suo interno. Fatto ciò, ci dice di proseguire per il sentiero verso un altro templio. Un sentiero sconsigliato con le infradito in quanto abbastanza fangoso, ma fattibile. Al suo inizio un indonesiano ci chiede una donazione per proseguire. Ci impieghiamo una buon quarto d’ora, attraverso la foresta pluviale e passando al di sotto di rami e liane, per raggiungere nuovamente un bivio. Chiedendo ad altri turisti scoprendo che a destra si raggiunge una cascata, neanche troppo caratteristica, mentre il sentiero sinistro è ancora inesplorato. Lo percorriamo; porta al centro di un minuscolo villaggio dove avvistiamo bambini giocare con gli aquiloni e panni stesi alla vecchia maniera, oltre a capanne fatte di quattro mura e una stanza dove vivono i locali. Dopo aver attraversato il villaggio decidiamo che siamo giunti troppo in là per i nostri gusti, per cui torniamo indietro senza avvistare alcun templio. Salendo l’ultima scalinata verso l’uscita una guida ci fa notare due grossi ragni appollaiati proprio sopra le nostre teste come dei guardiani. Appena saliamo in macchina ricomincia l’interrogatorio al nostro autista e in particolare ci interessa sapere che significato ha il simbolo della “svastica” per gli indù poiché Dewa ha un pendente con questo simbolo appeso allo specchietto retrovisore. Come supponevamo la svastica per le culture orientali è un simbolo sacro, di buon auspicio. Chiediamo a Dewa di fermarsi in un ristorante durante il tragitto e lui sceglie per noi “Surya Rumah Makan” a Tampaksiring (Gianyar) dove con IDR 122.000 assaggiamo il Pork Satay e il Lemon Chicken accompagnati dall’immancabile riso. La posizione di questo ristorante è molto suggestiva; in sottofondo si può sentire la cascata in fondo alla vallata e al piano terra vi sono aquile e falchi (purtroppo incatenati) che osservano i turisti con curiosità.

Tappa successiva: Gunung Kawi (ingresso IDR 15.000). Dewa ci accompagna fino all’ingresso, proteggendoci dai commercianti che tentano in ogni modo di avvicinarci. Indossato il sarung, incominciamo la discesa verso il complesso di templi. In assoluto Gunung Kawi è il luogo che ci è piaciuto di più, sarà stata l’atmosfera tranquilla dovuta al fatto che c’erano pochissimi turisti. Ai fianchi della scalinata vi sono terrazze di riso, coltivate metodicamente da indonesiani scalzi immersi nel fango fino alle ginocchia. Ci salutano. La prima parte del complesso si trova alla fine della discesa sulla sinistra. Essa consiste in 4 “candi”, o templi scavati nella roccia ed è questo che rende Gunung Kawi speciale poichè l’architettura di questi “candi” è unica al mondo. Attraversiamo il ponte e ci spostiamo ad ammirare i 5 “candi“ dalla parta opposta del fiume, i quali hanno di fronte alcune fonti sacre. Dal tempio che affianca i “candi” si può entrare in un ulteriore complesso composto di stanze scavate nella roccia, dedicate in tempi antichi alla meditazione. Ritornati alla macchina Dewa ci porta alle piantagioni di caffè, cioccolato, frutta secca, spezie, e chi più ne ha più ne metta. Vi sono numerose piantagioni lungo la strada per Bukit Jambul, tutte offrono assaggi di caffè e tè aromatizzati al ginseng o al ginger e c’è la possibilità di acquistare i prodotti delle piantagioni. Percorrendo un viale fiancheggiato da alberi da frutta giungiamo in una piazzola dove si trovano due enormi pipistrelli appollaiati ad un ramo e alcuni luwak (in Italiano “civetta delle palme” nonostante sia un mammifero simile ad un furetto) chiusi in una gabbia. Questi ultimi sono i famosi animaletti che si cibano dei frutti della pianta di caffè e, non riuscendo a digerirli, li espellono. Gli escrementi vengono raccolti e tostati per ottenere uno dei caffè più costosi al mondo poiché il processo digestivo del luwak priva del gusto amaro i chicchi di caffè. Vi sono dei tavoli coperti che hanno una meravigliosa vista sulle piantagioni e lì ci sediamo con Dewa che chiede di farci provare tutti i tipi di caffè e tè che hanno. Buonissimi! Mai assaggiati di migliori, così speziati da impiegare una buona mezzora per finirli tutti. Nel negozio accanto acquistiamo 10 bustine di caffè al ginseng per IDR 100.000, probabilmente uno sproposito visto che, assaggiandolo in Italia, questo caffè non aveva quel gusto forte di cui ci siamo innamorati durante gli assaggi. Eccoci alla nostra ultima tappa: le terrazze di riso di Bukit Jambul. Molto belle ma piccole e ormai verdi, senza specchi d’acqua. tuttavia, dall’alto riusciamo a vedere la costa di Bali e il verde sconfinato delle colline. Dopo un po’ di foto partiamo alla volta di Padangbai, dove abbiamo prenotato il giorno precedente una stanza doppia allo “Zenn Inn” (IDR 200.000/notte, colazione e internet inclusi). Ringraziando il nostro autista e pagandolo (IDR 350.000) ci sistemiamo in camera e ci informiamo su una spiaggia da visitare il mattino successivo. Nel tardo pomeriggio facciamo un giro a Padangbai, una cittadina costruita intorno al business del suo porto, da cui partono imbarcazioni di ogni tipo dirette alle isole Lebongan e alle Gili. Liberandoci gentilmente di qualunque indonesiano che ci approccia per venderci biglietti per le Gili, giungiamo alla Perama e raccogliamo informazioni per i nostri spostamenti futuri post Gili. Ceniamo al ristorante “Alola”, seduti su cuscini. I prezzi sono bassi e le portate sono abbondanti e squisite, per questo ordiniamo pure il dolce (IDR 93.000), non possiamo proprio lamentarci. Inoltre, i ragazzi che ci lavorano sono molto cordiali e simpatici.

PADANGBAI-GILI TRAWANGAN

19 Luglio – Giorno 5

Il nostro traghetto non partirà prima delle 13.30, per cui ci godiamo la colazione (sempre porzioni minute) e ci dirigiamo verso la spiaggia di Bias Tegul (anche se la spiaggia Blue Lagoon dev’essere altrettanto bella, peccato che è più distante). Giunti alla stazione di polizia vicinissima al nostro hotel continuiamo a seguire la strada in salita e incontriamo i ristoratori dell’”Alola” che stanno ristrutturando alcune camere della “Alola Homestay”. Ci informiamo sul prezzo di una double, IDR 125.000, con colazione ma senza internet, però un’ottima sistemazione economica per il futuro. Dopo pochi metri giriamo a sinistra percorrendo una strada sterrata in pendenza che un uomo e una bambina salgono con in testa parecchi litri d’acqua. Ancora una decina di minuti e incomincia la discesa verso questa caletta circondata di palme, molto piccola e già occupata da qualche turista. Scegliete un luogo riparato dalle onde che sono abbastanza alte, ma si riesce a fare il bagno tranquillamente nell’acqua turchese. Ci sono anche alcuni “warung” (piccoli ristoranti) su questa spiaggia, ma preferiamo pranzare al ristorante “Alola”. Quindi verso le 11 torniamo allo “Zenn Inn”, ci carichiamo di bagagli e andiamo al ristorante (IDR 65.000). Vi sono numerosi venditori ambulanti di biglietti per andare alle Gili, non captiamo il prezzo offerto, ma sappiamo per certo che anche il giorno stesso della partenza si è sempre in tempo ad acquistare i biglietti. Alle h 13.15 ci dirigiamo al molo da cui parte la barca Perama, ma dobbiamo attendere alcune persone che giungono da altre cittadine balinesi. Ci fanno salire su una mini barchetta che col peso dei nostri bagagli quasi affonda e ci portano alla barca Perama. Non perdiamo di vista i nostri bagagli pesanti che temiamo possano cadere da un momento all’altro in mare, ma i minuti marinai se la cavano benissimo. Ancora due ore di barca e siamo a Gili Trawangan, la più grande fra le 3 Gili. Non vedevamo l’ora! Nel frattempo parliamo con una coppia di veneti che ci presta gentilmente la Lonely Platet da consultare per alloggi sulle Gili. Ci segniamo i nomi di diverse homestay, ossia le sistemazioni più basiche ed economiche dell’isola. Arrivati a Trawangan i marinai seguono lo stesso metodo, ci caricano su una barchetta traballante e ci scaricano sulla spiaggia. Subito ci avvicina un ragazzo dal costume colorato che ci chiede se vogliamo una camera al “Creative Homestay” (con ventilatore, colazione e acqua fredda per IDR 120.000/notte). Chiediamo prima di visionare la camera, ma sappiamo già che è quello che cercavamo. La camera è molto semplice, solo un letto senza lenzuola e senza armadio e un bagno con doccia e gabinetto senza lavandino. Ci sistemiamo e usciamo per visitare le vie in cui siamo capitati; incominciamo subito a scattare foto agli scorci di vita di quest’isoletta. Donne che, sedute per terra, cuociono il riso in paioli a bordo strada; bambini di pochi anni che torturano un gattino e cavalcano un pezzo di polistirolo, divertendosi come matti; ragazzi che giocano ai videogiochi sdraiati sul pavimento della loro minuscola stanzetta; e l’odore buono dei panni stesi. La povertà di queste persone rende tutto superfluo e i loro sorrisi trasmettono molto per chi vuole imparare come vivono. Notiamo come gli indonesiani qui siano più scuri di pelle e dai tratti più selvaggi, in ogni caso sempre molto dolci. Inoltre, Bali rappresenta un’eccezione “religiosa” in quanto la maggior parte degli indonesiani sulle altre innumerevoli isole del paese sono mussulmani, non indù. Quindi vediamo la maggior parte delle donne coperte dal velo e ben vestite. Bussiamo ad ogni homestay, informandoci sui prezzi delle camere e visionandole, nella speranza di trovare qualche stanza ad un prezzo minore, ma i prezzi sulla Lonely ci hanno ingannato. Sulla guida probabilmente vengono riportati i prezzi senza specificare la stagione, ma solo in bassa stagione si può pagare una camera 50.000 rupie! Ora si parte appunto da IDR 100.000/120.000 per poi salire a cifre spropositate per residence di lusso lungo la via principale di Trawangan. Percorriamo appunto questa via dove lo spettacolo cambia e al posto dei locali veniamo travolti da una massa di turisti (che addirittura si concedono un film a pagamento protetti nella loro capannina privata, perdendosi lo spettacolo naturale proprio a due passi da loro). A causa della loro piccolezza le Gili non hanno macchine, ci si muove solo a piedi, in bicicletta o con dei carretti trainati da cavalli. Noi preferiamo camminare fino a che finiscono gli hotel di lusso, poi raggiungiamo la spiaggia formata dai detriti dei coralli e proseguiamo fino ad incontrare un muro di coralli che divide la spiaggia e un tratto di mare. Purtroppo è inverno, quindi il sole cala verso le h 18 ma la temperatura è magnifica e il mare è caldo, anche troppo. La bassa marea rivela un tappeto di coralli per lo più grigi che si estende per parecchi metri. Al di là alcuni ragazzi indonesiani surfano allegramente. Verso il tramonto (che si può osservare dall’altra parte dell’isola) molti locali camminano con disinvoltura sui coralli fino alla barriera più esterna e si mettono a raccogliere molluschi e conchiglie. Nonostante anche sulle Gili si trovino diversi rifiuti ammucchiati qua e là, il mare è molto pulito e dai colori paradisiaci. Purtroppo nel punto da noi prescelto è impossibile fare il bagno a causa dei coralli, ma ormai è troppo tardi per muoversi altrove. Rientriamo al “Creative” e sbirciando la lista dei piatti che l’homestay offre; notiamo prezzi molto contenuti (IDR 15.000 al piatto), per cui fermiamo il simpatico ragazzo manager, Mawi, e ordiniamo un succo di Guava, squisito, e gli unici 3 piatti sul menù, prevedendo piccole porzioni (Nasi Goreng, Mie Goreng, Nasi Campur). Ma ché piccole! Alla fine della cena siamo pienissimi. Mawi prepara personalmente i piatti e nonostante la lunga attesa ne vale assolutamente la pena. Spendiamo in tutto IDR 52.000, circa 4 euro in due. Dopo cena facciamo una passeggiata per la via principale che costeggia il mare e chiediamo i prezzi di alcune escursioni. Tutti offrono lo stesso prezzo (IDR 75.000/pp., compreso maschera e boccaglio) per un tour con una barca col fondo di vetro, il quale tocca tutte le isole Gili. Vi sono molti francesi e olandesi, alcuni dei quali giovani in vacanza che cercano divertimento e già alle 6 sono ubriachi, ma in generale per evitare il casino basta camminare lungo la spiaggia fino a trovare luoghi quasi isolati.

GILI TRAWANGAN

20 Luglio – Giorno 6

Veniamo svegliati alle 4.30/5 dalle preghiere dei mussulmani provenienti dalla moschea affianco. Sembra di averli lì con noi nel letto. In più, le pareti delle camere del “Creative” sono più sottili del cartone, quindi la sera precedente ci siamo addormentati coi discorsi delle vicine australiane nelle orecchie. Appena svegli chiediamo la colazione; sappiamo che impiegheranno un bel po’ di tempo prima di portarcela. Infatti, eccola arrivare subito dopo aver finito di prepararci e spalmarci tanta crema per la giornata di mare che ci attende. Tè/caffè con pancakes alla banana, i più spessi che abbiamo mangiato in tutta la vacanza, bravo Mawi! Subito dopo incominciamo la nostra migrazione lontano dal paese. Percorriamo la strada principale verso sinistra. Ci fermiamo a noleggiare maschera e boccaglio contrattando (IDR 15.00/giorno). Poi ci spostiamo in spiaggia lungo la quale incontriamo la coppia di veneti conosciuta sulla barca Perama; li informiamo che esiste un tour per le 3 isole e che vi sono barche chiamate “Island Hopping” che ogni giorno fanno avanti e indietro da Gili Trawangan a Gili Meno e Gili Air per i turisti. Dopo due chiacchiere proseguiamo e cammina, cammina superiamo il punto nord dell’isola fino a perdere di vista Gili Meno, l’isola di fronte, alla ricerca di un punto in cui entrare in mare senza dover lottare contro le onde e la corrente. Stanchi dopo un’ora di camminata sotto il sole cocente, ci accampiamo sulla spiaggia e uno alla volta entriamo in mare faticosamente a causa delle ondine discontinue che ti trascinano a riva e ti inondano la maschera, già di per sé appannata. Il reef è stupendo e colorato, popolato da numerosi pesci gialli, blu elettrico, multicolor, verde accesso, di forme diverse. Fabio riesce anche a vedere la sua prima tartaruga di mare. All’ora di pranzo decidiamo di tornare indietro fino ad un ristorante sul mare, il “Windy Cafè”, per ripararci dalla calura e fare uno spuntino. IDR 80.000 per due piatti alquanti piccoli ma deliziosi (Tuna Salad e Hawaian Chicken Salad). Dopo esserci rinfrescati torniamo verso il paese e ci fermiamo solo quando intravvediamo le prime imbarcazioni. Facciamo un pisolino sotto una capannetta abbandonata, poi ci rituffiamo in mare godendoci la barriera corallina. Non è difficile entrare in mare, basta fare attenzione ai coralli e alle correnti. Inizialmente avevo un po’ di paura delle correnti avendo letto alcuni resoconti di viaggio in cui si veniva messi in guardia. Le uniche correnti un po’ più forti si trovano tra un’isola e l’altra e, a detta di una nuotatrice non provetta, si riesce sempre a tornare a riva con qualche bracciata energica in più. Per chi comunque rimane ancora con dubbi, meglio noleggiare un paio di pinne che aiutano nel ritorno verso riva. Anzi, dirò che è quasi piacevole farsi trasportare dalla corrente e osservare tranquillamente il fondale. Alle h 17 siamo già sulla via principale per andare a consegnare maschera e boccaglio. Giunti in piazzetta proseguiamo per la strada, costeggiando i soliti ristoranti e hotel di lusso e scegliamo un lembo di spiaggia per giocare un po’ a carte. Quando cala il sole ritorniamo all’homestay e ordiniamo a Mawi i soliti Nasi e Mie Goreng a IDR 15.000 l’uno (in totale IDR 40.000 con succo di lime). Informiamo Mawi della nostra intenzione di prenotare il glass-bottom boat tour per l’indomani e scopriamo che magicamente, come molti altri locali, il ragazzo segue anche questi tour, per cui ci vende due biglietti a IDR 75.000/pp. La sera andiamo nell’Internet Hotspot in piazzetta (IDR 4.000/minuto). Qui vengono allestite lunghe tavolate con relativi chioschi e griglie da parte dei locali. Questi ristorantini “mobili” offrono piatti tipici e pesce o carne alla griglia con verdure a prezzi stracciati, per questo sarà la nostra prossima meta domani sera. Per il momento ci accontentiamo di una squisita torta morbida ripiena di latte concentrato e marmellata (IDR 15.000). Torniamo in camera per goderci il meritato riposo ma ben presto capiamo che le nostre “simpatiche” vicine di camera hanno bevuto e mangiato i funghetti allucinogeni, e hanno ben pensato di festeggiare e gridare in camera tutta la notte al posto di uscire o andare a ballare. Per cui ce le sorbiamo tutta la notte, che piangono, urlano, ridono. Insopportabili!

GILI TOUR

21 Luglio – Giorno 7

Il giro delle isole parte alle h 10 di fronte all’ufficio della Perama, quindi abbiamo tutto il tempo per far colazione e prepararci, ma soprattutto per riprenderci dalla notte insonne. Arriviamo puntuali e troviamo ad attendere di essere imbarcate moltissime persone. Vengono organizzate 4 imbarcazioni per 20-25 persone ciascuna. La barca assegnataci purtroppo parte per penultima, quindi non partiamo del tutto puntuali. Così ne approfittiamo per comprare un bombolone ripieno di crema in un ristorante lì vicino, di cui diventeremo clienti “abituali” fino al giorno della partenza. Prima sosta per lo snorkeling al largo della costa nord di Gili Trawangan, nel punto chiamato “Good Heart Reef”. Finalmente possiamo fare snorkeling assieme e senza faticare per raggiungere il largo. Con una maschera decente finalmente riesco anch’io a godermi i colori inverosimili dei pesci. L’acqua del mare è veramente trasparente, soddisfatti ritorniamo in barca e via per il secondo punto, questa volta al largo di Gili Meno: il Turtle Point. Purtroppo sono veramente tante le imbarcazioni che sostano qui, ma l’importante è non allontanarsi eccessivamente dalla propria barca. Scende in acqua con noi uno dei marinai che ci indica subito una tartaruga enorme, purtroppo ancorata al fondo, che quando si accorge di noi, nuota veloce per scomparire nel blu. Così ci accontentiamo dei pesci e dei coralli. Infine, veniamo portati nel mezzo del canale tra Gili Meno e Gili Air per poter osservare il corallo blu. Bellissimo, a volte sembra quasi viola. Questa tappa è quella che ci è piaciuta di più per i suoi colori. Siamo quasi alla fine del nostro tour; ci portano sulla costa orientale di Gili Air alle h 13 (tutti i porti e i villaggi sono costruiti sulla costa est delle tre isole in quanto maggiormente protetta dalle onde) e notiamo come ogni barca abbia attraccato di fronte a un ristorante diverso e come i marinai costringano quasi le persone a pranzare in quel posto. Noi scappiamo subito dalle loro grinfie e decidiamo autonomamente dove mangiare, al “Lesehan Pantai” (IDR 60.000: Squid gogopek + calamari gogopek), non troppo distante dal più costoso ristorante che avevano scelto per noi i marinai. Abbiamo a disposizione un po’ di tempo per camminare lungo la via che costeggia il mare e scegliamo già il ristorante tipico e schiatto dove mangeremo fra due giorni. Tornati alla barca in 30 minuti siamo a Trawangan. Nonostante il caldo decidiamo di percorrere la via principale verso il sud dell’isola per trovare una spiaggia dove sdraiarci e poterci godere il tramonto. Ci fermiamo sfiniti sotto il tetto di un bar abbandonato e mentre ci riposiamo veniamo avvicinati da tre locali. All’inizio siamo diffidenti, poi scopriamo che sono scappati anche loro dal “caos” del villaggio. Ci offrono subito funghetti allucinogeni, cannabis e quant’altro, ma una volta rifiutato non ci molestano ulteriormente. Anzi il più giovane ha voglia di parlare con noi e si informa sull’Italia; riusciamo anche a descrivergli la neve che lui ha visto solo in qualche film americano. Ci dice che il tramonto non avverrà prima delle 6 e che il bar in cui siamo si popola di gente a quell’ora. Non avendo una gran voglia di aspettare il tramonto o di camminare ulteriormente, ritorniamo indietro e giungiamo in piazzetta con la voglia di esplorare le vie parallele e perpendicolari a quella della nostra homestay. Incontriamo galline e capre in libertà, scopriamo dov’è la moschea, veniamo osservati con curiosità dai locali che ci vogliono vendere ogni tanto qualche frutto tropicale di forma strana. Riempiti gli occhi e il cuore, torniamo in stanza, doccia fredda (un sollievo) e ci ritroviamo di nuovo in piazzetta. Ordiniamo ad una bancarella due tipi di pesce e poi ci sediamo lungo una tavolata, affiancati da una famiglia francese e alcuni australiani. Il pesce grigliato con riso e poche verdure (IDR 57.000) è buono ma non ci riempie del tutto, così prendiamo due torte ripiene di marmellata, cioccolato e latte concentrato, una bomba calorica! Soddisfatti, torniamo in camera, convinti che stavolta neanche il canto dei mussulmani ci sveglierà l’indomani.

GILI MENO

22 Luglio – Giorno 8

Ci sbagliamo. Grazie ai megafoni utilizzati dalle moschee le preghiere ci svegliano eccome, ma riprendiamo sonno velocemente. La meta di oggi è Gili Meno. Dopo colazione raggiungiamo l’ufficio turistico di Trawangan ( giunti in piazzetta proseguire sulla strada verso sinistra). Qui prenotiamo i biglietti andata e ritorno per Gili Meno (IDR 40.000/pp.) e ci dirigiamo al nostro appuntamento con il bombolone e a noleggiare maschera e boccaglio. Alle h 9.30 veniamo imbarcati su una imbarcazione “Island-Hopping”. Si tratta di un servizio pubblico, per cui anche molti locali utilizzano questo trasporto tra un’isola e l’altra. Che sorpresa, ci ritroviamo seduti vicino alle nostre vicine di stanza che non sembrano affatto le persone allegre e festose di due sere precedenti. Muso lungo, nemmeno una parola; si ridurranno a leggere un libro e prendere il sole sulla spiaggia, dimentiche delle meraviglie sottomarine di queste isole stupende. Tanto vale restare a Trawangan. In mezzora giungiamo al porto di Gili Meno sulla costa est. Che isola pacifica, quasi nessuno si aggira per le sue strade se non i turisti che la visitano in giornata. Decidiamo, come buona parte dei turisti, di dirigerci verso il nord-ovest dell’isola al Turtle Point. Vi sono abbastanza ristorantini e hotel, decorati con mille conchiglie e coralli, ma solo i locali sembrano sbucare ogni tanto dalle loro capanne. Il mare è super, piatto e azzurrissimo, assolutamente invitante. A turno esploriamo la costa, ma anche questa volta solo Fabio riesce ad avvistare una tartaruga. In ogni caso il fondale è magnifico. All’ora di pranzo ci fermiamo in un ristorante con capanne sulla spiaggia, tetti di foglie di palma e tende di conchiglie. Beviamo qui il più buon succo di cocco che avessimo mai provato e ci gustiamo l’Urap-Urap (un piatto con verdure cotte e cocco in scaglie) e un altro con verdure cotte, riso e radici con una salsina molto gustosa (purtroppo non ricordo il nome di questo piatto né quello del locale). Spendiamo IDR 44.000, prezzo ottimo ma porzioni non abbondanti.

Dopo pranzo ci fermiamo nel tragitto di ritorno a prendere il sole, avvistiamo dei bambini a “scuola” sotto una capanna sulla spiaggia, con un foglio e una matita a testa che seguono distratti la maestra. Ci avviamo verso il porto puntuali, alle h 14.45 dobbiamo essere al molo per poi partire alle h 15. Compriamo gli “snake fruit” per curiosità, dal caratteristico guscio che richiama la pelle di serpente. Arriviamo in meno di mezzora a Trawangan. Decidiamo di non andare troppo lontano, per cui percorriamo un po’ di strada verso nord e ci sistemiamo sulla spiaggia davanti ai ristoranti e ai bar dove tutti i giovani sono sdraiati a prendere il sole. Qui è facile entrare in mare perché il fondo è sabbioso, ma non è bello fare snorkeling poiché bisogna fare zig zag fra le barche attraccate e spingersi abbastanza al largo. Proprio prima di andare via, ci avvicina un gruppo numeroso di indonesiani e il portavoce, ossia quello che sa parlare meglio l’inglese, ci chiede se possono fare foto con noi. Ci fermiamo a fare due chiacchiere: provengono tutti dalla stessa azienda situata nell’isola di Tenggara Barat e questa è la loro vacanza a spese dell’azienda con l’obbiettivo di migliorare l’inglese. Vorrebbero trattenerci per un cocktail ma dobbiamo scappare all’internet point per sostenere un test psicometrico per poter candidarsi per una posizione di lavoro in India. Dopo un’ora decidiamo di trovarci un angolino in spiaggia dove giocare a carte, aspettando il tramonto. Ci fanno compagnia tre delle miriadi di gatti randagi che popola l’isola, non abbiamo visto nemmeno un cane contrariamente a Bali che pullula di cani randagi. Stasera vogliamo proprio provare il pesce Mahi Mahi, consigliato da alcuni amici. Abbiamo già adocchiato nei giorni precedenti un ristorante sulla spiaggia che offre pesce o carne grigliata e vari condimenti a buffet. Dopo la doccia ci dirigiamo al “Fortuna Cafè”, gestito da una ragazza europea. Purtroppo il Mahi Mahi alle h 20 è già terminato, per cui prendiamo il “red snaper” e appena trovato un tavolo, tutti illuminati con candele, ci tuffiamo sul buffet che offre patate con salsa, insalata, pomodori, riso, altre salse, insomma ci riempiamo i piatti e divoriamo il contorno nell’attesa del pesce che arriva circa 30-40 minuti dopo. Paghiamo il conto (IDR 105.000) e passeggiamo fino a casa. Quanto avremmo voluto spingerci fino all’isola di Komodo per vedere i dragoni! Molte agenzie offrono tour che partono e tornano alle Gili, toccando diverse isole indonesiane (Lombok, Satonda, Komodo, Flores..). Che meraviglia! Purtroppo i giorni sono contati e il nostro volo di ritorno parte da Giacarta.

GILI AIR

23 Luglio – Giorno 9

Sveglia, colazione e via fino all’ufficio turistico di Trawangan dove compriamo due biglietti andata e ritorno per Gili Air (IDR 46.000/pp.). La barca parte alle h 10; ancora una volta l’imbarcazione non trasporta solo turisti ma anche locali. Arrivati dopo 40 minuti al porto di Gili Air prendiamo la strada principale dell’isola, spostandoci verso nord poiché abbiamo letto che a nord-est si trova un punto per fare snorkeling dove si possono osservare le “giant clams” ossia vongole giganti. Ne vediamo alcune usate come ornamenti da diversi ristorantini sulla spiaggia. Dopo 15-20 minuti di camminata e aver chiesto ad un simpatico indonesiano dove troviamo le “giant clams” decidiamo di spiaggiarci di fianco alle capanne sulla spiaggia di un ristorante-hotel. Ci tuffiamo subito in acqua, uno alla volta, e Fabio avvista subito una tartaruga. Io decido di restare in mare finché non ne vedo una anch’io e dopo esser passata 3 volte seguendo lo stesso tragitto eccola che mi nuota a pochi centimetri di distanza: vorrei toccarla ma preferisco evitare il contatto e lasciarla nuotare tranquilla, mantenendo una distanza minima per osservare il suo corpo scuro con striature gialle. Favolosa! Esco felice e affamata. Decidiamo di pranzare in quel ristorante dall’atmosfera locale e un po’ sciatta che abbiamo avvistato durante il nostro tour delle 3 isole. Non ci si può sbagliare, arrivando dal porto è l’ultimo stabile sulla destra con prezzi bassi, gestito da una signora indonesiana molto simpatica e solare. Subito ci accoglie e ci porta un aperitivo di patatine con le bevande. Attendiamo i nostri piatti (due hamburger, uno con tofu, l’altro con tempeh, ricavato dalla soia e molto simile al tofu: IDR 47.000) godendoci l’aria fresca e i bambini di fronte a noi che giocano con uno scatolone. Il più piccolo di loro viene accudito da una bimba che non avrà nemmeno 6 anni. Appena arrivano gli hamburger con patatine, li divoriamo. Avendo ancora a disposizione circa due ore, decidiamo di passarne una quasi di fronte a questo ristorantino, prendendo un po’ di sole e facendo un bagnetto. Calcoliamo la distanza dal porto e puntuali, ci dirigiamo verso di esso per essere lì alle h 14.45, ma alcuni indonesiani ci consigliano di correre per non perdere la barca che ha già preso il largo quando arriviamo. Ci sbracciamo e i marinai decidono di fare un’opera di carità, recuperandoci e ripartendo subito. Semplicemente stavano partendo prima dell’orario stabilito, ossia le h 15, per cui hanno poche scusanti. Ci sistemiamo a prua, accanto ad una simpatica californiana che ci racconta la sua esperienza di viaggio fino a quel momento e, in quanto appassionate di surf, non smette di scattare foto alle onde che si infrangono sulla costa sud-ovest di Gili Air. Durante il ritorno a Trawangan di 30 minuti circa avvisto la testa di una tartaruga che spunta dal mare. Giunti sul bagno asciuga, ci dirigiamo nuovamente verso il tratto di costa dove si riuniscono tutti i giovani a smaltire la sbornia della sera precedente. Cerchiamo gli ultimi raggi di sole, poiché verso il tramonto solo la costa ovest è esposta al sole. Alle h 5 riportiamo la maschera e il boccaglio alla bancarella di fiducia e andiamo a prenotare alla Perama due posti in barca per domani per tornare a Padangbai. Scopriamo che sarà un lungo trasferimento, prima via mare, poi via terra, poi via mare nuovamente: in tutto dalle h 7 di mattina alle h 12. Prenotiamo anche il trasporto da Padangbai a Lovina (IDR 150.000/pp.); infatti, il pulmino che quasi ogni giorno compie la tratta opposta è disponibile anche a portare persone durante il tragitto di ritorno, nonostante non sia una tratta riportata nel tabellone degli orari di Perama. Basta chiedere e chiunque riesce ad organizzare per te trasferimenti e quant’altro, gli indonesiani da questo punto di vista sono incredibili, per quello non bisogna disperare anche quando si è spersi in un piccolo paesino sconosciuto; la gente locale sicuramente darà una mano in cambio di pochi spiccioli. Torniamo al “Creative Homestay”, ordiniamo a Mawi la cena che arriverà un’ora più tardi, facciamo doccia, bagagli, piani per il giorno dopo. Mawi arriva con due piatti di Nasi Goreng e Mie Goreng pienissimi, lo ringraziamo moltissimo e saldiamo il conto di questi giorni fantastici passati alle Gili (IDR 120.000/notte + IDR 130.000/ 3 cene). Mawi ci fa anche lo sconto di IDR 10.000 e ci lascia la sua email. La sera usciamo in cerca del solito dolcetto piegato in due e ripieno di latte concentrato, marmellata, ciocolato, frutta..chi più ne ha più ne metta. Poi ci sediamo all’internet point dove prenotiamo una camera a Lovina per 2 notti.

GILI TRAWANGAN-SENGIGGI-PADANGBAI-LOVINA

24 Luglio – Giorno 10

Ci svegliamo alle h 6 e trasciniamo i bagagli fino all’agenzia Perama, notando come molti abitanti dell’isola siano già all’opera, alcuni trasportano carri con sacchi colmi di cemento, altri si accingono ad aprire i propri locali, altri ancora tornano a casa dopo aver pregato nella moschea. Un banda vestita con abiti tradizionali (sarung blu e camicia verde) camminano per strada, godendosi l’alba che ci accoglie con il suo lieve tepore. Purtroppo non siamo riusciti a vedere il tramonto in questi giorni sulle Gili, ma l’alba è qualcosa di magnifico, il risveglio oro e arancio del giorno. Restiamo incantati a vedere sorgere il sole, attendendo le h 7 per la partenza. A causa di una ritardataria partiamo che ormai sono le h 8 e fa già caldo. Arriviamo alle h 9 circa in un porticciolo dall’aria losca, dove sulla riva attendono diversi indonesiani che appena attracchiamo, assaltano la barca e prendono in spalla i nostri bagagli. Ovviamente non sono addetti Perama, riconoscibili dalle maglie rosse e dalle scritte sulla schiena. Infatti appena scaricano i nostri pesanti bagagli su un carretto trainato da un cavallo pretendono per IDR 50.000 per aver percorso un tratto breve di strada di neanche un minuto. Gli porgiamo IDR 5.000 e glieli facciamo bastare, sperando che il nostro carro incominci a muoversi. Il carretto ci porta fino ad uno spiazzo terroso dove ci aspetta un pullman già carico di persone dall’aria arrabbiata; il ritardo della nostra barca ha fatto ritardare anche loro. Anche il vetturino pretende IDR 50.000 e, non avendo banconote di taglio inferiore, siamo costretti a pagarlo quella cifra. Siamo già arrabbiati a causa della disorganizzazione di Perama; al posto di attraccare direttamente a Sengiggi e farci risparmiare soldi e tempo, dobbiamo sorbirci quasi un’ora e mezza di pulman, tutti ammucchiati, valigie comprese, su per salite durante le quali dubitiamo fortemente di arrivare in cima. In compenso osserviamo dal finestrino lo scenario; moschee in costruzione i cui tetti dorati spuntano al di sopra della fitta vegetazione; uomini e donne che trasportano sulla testa o sulla schiena cesti di noci di cocco o tronchi o quant’altro; diverse foreste di palme e scogli a picco sul mare dai quali si gode della vista delle Gili; persone con i tipici cappelli intrecciati a punta al lavoro nei campi di riso. Giungiamo infine alla agenzia Perama di Sengiggi. Dovremo aspettare ben fino alle h 11.30 prima di rimbarcarci su un’imbarcazione veloce che ci porterà a Padangbai. Così beviamo tè e caffè gratuiti, prendiamo alcune banane mini da un sorridente vecchietto e ci fiondiamo al ristorante di fronte, il “Lina Restaurant”. I ragazzi della Perama ci consigliano di non allontanarci, nemmeno per andare al ristorante, ma non possiamo fare altrimenti, siamo affamati. Prendiamo pancakes con banana e jaffle con mango (IDR 28.000), nulla di eccezionale purtroppo. Mentre mangiamo, ci si avvicina un venditore ambulante di collane che, dopo avere intuito il nostro disinteressamento per la sua merce, si ferma a parlare un po’ di inglese. Conosce come molti altri indonesiani il calcio italiano e ci spiega che Sengiggi è ancora poco frequentata dai turisti, ma che molti hanno comprato appezzamenti di terreno nei paraggi per cifre ridicole comparate ai prezzi di qualunque nazione europea. Ci dice anche che, una volta costruita una casa, i turisti la affidano alle cure di un indonesiano in loro assenza, permettendo ai locali di vivere nella casa prendendosene cura. Appena il venditore ci lascia, ecco spuntare un ragazzo e due ragazze indonesiane che molto timidamente ci chiedono se possono intervistarci e paralare inglese con noi. Con la mano tremante il ragazzo tiene un registratore in mano e registra la nostra conversazione; così cerchiamo di farli sentire a loro agio, parlando come se fossimo a una “colazione” fra amici. Anche loro sono studenti universitari di 20 anni in vacanza a Lombok con l’obiettivo di imparare meglio l’inglese. Ci lasciano, ringraziandoci in mille modi. Torniamo all’agenzia Perama e già hanno fatto accomodare molti nei pulmini per altre destinazioni; i prossimi siamo noi. Trasciniamo i bagagli fino in spiaggia con fatica e i piccoli marinai Perama le issano a bordo della barca più piccola che ci accompagna a quella più grande attraccata al largo. Finalmente ultimo spostamento o quasi! Nell’ora e mezza che impieghiamo per raggiungere Padangbai saliamo sul tetto della barca con un ragazzo canadese e facciamo due chiacchiere anche con lui, godendoci il vento e il sole, oltre a scattare foto alla costa balinese in avvicinamento. Quando scendiamo a Padangabi, ci assalgono diversi driver privati ma noi seguiamo un responsabile Perama che carica i nostri bagagli su un pulman che li porta all’agenzia Perama mentre noi andremo là a piedi. Scopriamo che ci sono veramente molte persone ad aspettare assieme a noi, tutte affamate. Appena ci sediamo l’agenzia si trasforma in un ristorante, il “Dona Café”, con prezzi economici su per giù. Prendiamo un sandwich e un’insalata di ananas che ci riempiranno lo stomaco per poche ore ancora. Il nostro autista ci chiama dopo nemmeno mezz’ora e alle h 13.15 partiamo per Lovina. Siamo solo noi due, l’autista e i nostri immensi bagagli. Passiamo tre ore in macchina, attraversando una miriade di piccoli villaggi e risaie, e rimanendo bloccati innumerevoli volte a causa della ristrutturazione della strada costiera. Il nostro autista non stacca un secondo la mano dal clacson, un’abitudine ben consolidata in Indonesia, e guida a tutta velocità in punti della strada non così tanto sicuri. Non parla molto, ma ride di continuo. Dice che fa questa strada quasi ogni giorno avanti e indietro, e non ha giorni di vacanza durante l’anno, a meno che non vi siano turisti da trasportare per quel giorno. Arriviamo sfiniti alle h 4.30 allo “Suma Beach Hotel”, pagando l’autista Perama IDR 20.000 in più per farci portare lì. Ci fanno attendere per mezzora, offrendoci un cocktail di benvenuto. Poi un indonesiano piuttosto bravo con l’inglese ci descrive le escursione che l’hotel propone, molto belle ma anche molto costose. Siamo sicuri che appena mettiamo piede fuori dall’hotel troveremo offerte migliori. In ogni caso ci segniamo mentalmente la gita all’isola di Menjangan ad ovest di Bali che ospita lil Parco Nazionale Bali Barat. Fino a quest’isola possono arrivare solo barche con permesso e nessuno ci vive. È un punto fantastico per far snorkeling, diving e per vedere i cervi sulla spiaggia. Infine, John, l’addetto alla reception e alle gite, un poco insistente a dir la verità, ci accompagna all’hotel affianco, il “Ray Beach Hotel” poiché il manager è lo stesso, ma le camere al “Ray” non hanno l’aria condizionata. Sono molto pulite, abbiamo la colazione compresa ma internet, che durante la prenotazione sul web veniva segnalato come compreso nel prezzo, non lo è. Dopo alcune lamentele John parla con il manager e ci fa uno sconto, IDR 15.000 per due giorni. Fino all’ora di cena restiamo a mollo nella piscina del “Suma” in compagnia di una famigliola giapponese. Verso il tramonto ci dirigiamo in spiaggia che è inesistente, semplice punto di attracco per le barche che portano i turisti a vedere i delfini all’alba. Ci avvicina Ketut, un barcaiolo interessato al calcio italiano che vuole scambiare due chiacchere. Al ritorno in hotel sbirciamo i prezzi dei piccoli ristoranti e veniamo fermati da un ragazzo vestito in modo alternativo in pelle nera coi capelli lunghi e alcuni rasta. Ci chiede se abbiamo bisogno di un autista per l’indomani e si offre di farci visitare diverse tappe per 400.000 IDR. Concordiamo l’orario di partenza per il giorno dopo e torniamo in hotel. Una volta docciati decidiamo di andare a mangiare a due passi dal “Suma”; si chiama “Warung Made” dal nome della proprietaria che ci accoglie con un grande sorriso. Il piccolissimo warung è al completo, ornato da bigiotteria in vendita appesa alle pareti. Ordiniamo da bere e da mangiare, ma solo le bevande arrivano subito. Aspettiamo quasi 45 minuti per il tanto desiderato Mahi Mahi con riso, carote e altri condimenti. Tutto molto buono!

LOVINA-BUDDIST TEMPLE-HOT SPRING-TWIN LAKES-BERATAN LAKE (Pura Ulun Danu)

25 Luglio – Giorno 11

Sveglia alle 9 e partenza alla volta del tempio buddista. Di fronte all’hotel ci incontriamo con il ragazzo indonesiano vestito con giacca e stivali in pelle, abbiamo caldo per lui! Ci annuncia che sarà suo cugino a condurre la vettura e lui ci farà solo da “guida”. Prima tappa: tempio buddista a 45 minuti di macchina da Lovina verso l’interno chiamato Brahmavihara Arama. l’entrata è gratuita, compreso il sarung, e ciò che ci è piaciuto di questo tempio è il fatto che sia ancora in uso. Abbiamo sbirciato un monaco e altre persone credenti a meditare in diversi angoli e dall’alto si osservano i tetti del monastero dove vivono i sacerdoti con file di vestiti arancioni appesi ad asciugare. Il tempio è contornato da fiori e foreste ed è molto piccolo ma veramente suggestivo e così tranquillo nonostante un certo numero di turisti da poter respirare una certa spiritualità nell’aria. Risaliamo in macchina ed eccoci diretti alle Banjar Hot Springs. Dopo aver pagato il parcheggio di 4.000 IDR la nostra “guida” ci accompagna lungo un viale di negozietti-capanne che vendono i soliti souvenir dai colori sgargianti; ci fermiamo ad accarezzare una scimietta minuscola tenuta al guinzaglio da una signora indonesiana per attirare i turisti. Ci fa così pena e cerca coccole piangendo. Quando riusciamo a staccarle gli occhi di dosso, attraversiamo un ponte e ci troviamo di fronte le sorgenti termali. Il “bagnino” di turno ci dice che dobbiamo riporre le nostre borse negli armadietti nello spogliatoio a pagamento, ma visto che vogliamo fermarci giusto il tempo di un bagnetto appoggiamo i nostri averi sul bordo della piscina termale opposto e ci immergiamo nell’acqua a 38° C, rilassandoci al di sotto dell’acqua che sgorga dalle bocche di dragoni in pietra. Le piscine sono deserte, solo qualche turista giapponese. Non appena asciugati, ritorniamo al parcheggio e ripartiamo. Siamo diretti ad una cascata lungo il percorso, dove ci fermeremo successivamente per pranzare a quanto ci dicono i nostri accompagnatori. Scendiamo nel parcheggio di un grande ristorante e poi percorriamo una strada sterrata in discesa condotti dalla nostre “guida” che ascolta ad alto volume musica da discoteca sul suo cellulare, completamente discordante con l’ambiente naturale che ci circonda. Dopo una decina di minuti giungiamo di fronte all’alta cascata davanti alla quale una sottile brezza trasporta minuscole goccioline d’acqua, una goduria dopo la breve camminata al caldo. Dopo le consuete foto da turistelli e dopo aver aiutato un’auto a ripartire sulla salita ripida della strada che abbiamo percorso ritorniamo al parcheggio del ristorante, luogo prescelto dai nostri accompagnatori per farci pranzare. Peccato che appena apriamo la lista ci accorgiamo che andremmo a spedere minimo 80 IDR a testa e non ne abbiamo proprio voglia di farci fregare così, magari per mini portate come capita spesso. Per cui ci dirigiamo verso un warung minuscolo per 6 persone al massimo proprio lì di fronte sotto gli sguardi delusi del nostro autista che avrebbe mangiato magari ad un prezzo irrisorio allo sciccoso ristorante se solo avessimo deciso di restarci. Al warung “Maran Bima” mangiamo piatti deliziosi e mai provati prima, specialmente il Siobak, ad una cifra irrisoria. Soddisfatti compriamo anche un pacchettino di banane essiccate pensando siano dolci ( con rammarico scopriremo essere banane fritte salate) e promettiamo alla padrona del ristorante di farle pubblicità grazie a Turistipercaso. Lei con uno stentato inglese ci ringrazia con numerosi sorrisi. Saliti di nuovo a bordo della macchina, notiamo che i due accompagnatori sono un po’ seccati con noi ma probabilmente l’amarezza passa in fretta perché incominciano a raccontarci la loro vita. L’autista dice di aver vissuto per 5 anni in Norvegia essendo stato sposato con una norvegese, mentre il cugino a tempo perso intaglia il legno e accetta visite nel suo laboratorio per insegnare ai turisti l’arte dell’intaglio. Purtroppo non abbiamo tempo sufficiente, ma è una delle esperienze che lasciamo alla prossima visita a Lovina. Dopo mezzora di macchina giungiamo in cima ad un punto panoramico dove si possono ammirare i due laghi gemelli, Danau Tamblingan e Danau Buyan. Nonostante la foschia rimaniamo soddisfatti, specialmente Fabio dopo aver fatto una foto con un pitone intorno al collo.

Ultima tappa della giornata: il tempio Ulun Danu, sulle rive del terzo lago, Beratan. Dopo aver pagato entriamo all’interno del parco che circonda il tempio che pullula di turisti. non dobbiamo nemmeno indossare il sarung poiché il tempio non si può raggiungere nonostante un ponte lo colleghi alla riva. Purtroppo anche in questo caso è valso lo stesso discorso del tempio Uluwatu a sud di Bali; in questa stagione il livello dell’acqua del lago è molto basso, per cui non dona proprio la sensazione che il tempio si trovi a galleggiare sull’acqua. In ogni caso ci è piaciuto nonostante l’inseguimento da parte di due signori indonesiani che insistevano per fare una foto con la sottoscritta davanti al tempio, insomma con qualcuno non autoctono evidentemente. Quando siamo andati, erano stati allestiti di fronte la tempio anche delle sculture di fiori, semi, varie parti del maiale,etc. molto particolari. Poiché questo tempio è l’ultima tappa della giornata, con calma passeggiamo nel parco racchiuso fra le mura che circondano il complesso e scopriamo altre statue di animali, per lo più con pezzi mancanti, un po’ fatiscenti in realtà. Infine, torniamo alla macchina e in un’ora o poco più siamo a Lovina. Paghiamo i nostri accompagnatori e andiamo a goderci le ultime ore di sole in piscina. Ceniamo sempre al warung “Made” e poi filiamo a letto per ricaricare le pile.

LOVINA-YOGYAKARTA

26 Luglio – Giorno 12

Oggi ci attende un lungo viaggio, per questo decidiamo di riposarci in piscina in mattinata e pranzare di nuovo allo stesso warung, ormai ci siamo affezionati. Purtroppo lo troviamo chiuso e ci viene detto che la padrona è ad un funerale e torna solo verso le 15h. Così pranziamo proprio nel warung accanto che non avevamo nemmeno notato i giorni precedenti perché non era illuminato la sera. Dopo aver ordinato chiediamo se possiamo assistere alla preparazione dei piatti, essendo gli unici clienti a dover essere serviti. Appena varcata la porta che divide la sala da pranzo dalla cucina, abbiamo un sussulto. Si tratta di una cucina spartana, sicuramente irrispettosa dei canoni di pulizia occidentali, su una palafitta su un fiumiciattolo sporchissimo nelle cui acque avvistiamo una specie di drago di Komodo acquatico di taglia media che evidentemente si ciba di qualunque scarto alimentare per essere diventato così grosso. Superato l’impatto, assistiamo alla preparazione di uno dei nostri piatti; tutti gli ingredienti sono in frigorifero e la cuoca non fa altro che mischiarli in un pentolino con un po’ d’acqua e taglia le verdure di accompagnamento con una lentezza quasi metodica. Io la riempio di domande e lei con l’inglese se la cava e mi spiega i suoi segreti culinari. Dopo 40 minuti circa finalmente si mangia e i piatti sono deliziosi. Concludiamo con qualche snakefruit e poi rovistiamo un po’ fra i braccialetti in vendita e ne compriamo alcuni da regalare ad amiche e parenti. Nel frattempo la proprietaria del warung “Made” è tornata e approfitta del nostro interessamento per cercare di venderci altra merce, raccontandoci che alcune signore italiane le comprano ogni anno un certo numero di gioielli da rivendere in Italia. Ecco lo spirito imprenditoriale italiano che si incontra in tutto il mondo! Dopo pranzo e due snake fruits ritorniamo in hotel, prepariamo i bagagli e attendiamo che il nostro amico della Perama che ci porta fino a una città non troppo lontana dove veniamo caricati su un grande pullman che parte alla volta di Yogyakarta. Il pullman è super confortevole, con i sedili che si allungano per far stendere le gambe. L’unico problema rimane l’aria condizionata, ma vengono fornite delle coperte e un cuscino come in aereo. Di fianco abbiamo una signora che parla molto bene l’inglese con due bambine piccole. Arriviamo dopo circa un ora e mezza al porto di Gilimanuk, dove il pullman sale direttamente sul traghetto. Al posto di partire per le 19h, il traghetto tarda di un’ora circa e noi incominciamo a chiacchierare sul ponte della nave con un professore indonesiano di inglese che ci chiede se siamo disposti a parlare inglese con i suoi alunni. Ecco che abbiamo trovato altri alunni in gita scolastica a Bali per imparare l’inglese attraverso conversazioni con turisti. Mentre Fabio viene accerchiato dal professore e le poche ragazze della classe, io mi ritrovo telecamere e macchine fotografiche puntate addosso e una quindicina di ragazzini indonesiani che cercano a stento di parlare inglese e chiedermi domande sulla mia vita. Solo uno di loro parla molto bene inglese perché, scopro, ha il papà ingegnere che lo porta con lui nei suoi viaggi all’estero. Arriviamo al porto verso le 21h30 e salutiamo la classe in gita, che buffi! Risaliamo sul pullman e proseguiamo il viaggio. Verso le 22h30 finalmente ci fermiamo in una specie di autogrill, dove possiamo rifocillarci a volontà in quanto la cena offerta dalla compagnia di bus è a buffet e possiamo approfittare per andare in bagno. Notiamo già che molti indonesiani si lavano mani e piedi ripetutamente siccome la maggior parte della popolazione a Java segue la religione mussulmana. Risaliti sul pullman, ecco che si riparte per Yogyakarta con qualche sosta durante il tragitto notturno. Grazie ai comodi sedili riusciamo a dormire per qualche ora di seguito, nonostante la strada sia piena di curve.

YOGYAKARTA

27 Luglio – Giorno 13

Piuttosto provati dal viaggio, la mattina scendiamo dal pullman accanto ad un ufficio dei trasporti in una zona di Yogyakarta non distante dal centro ma nemmeno lontanamente vicina a una stazione dei bus in cui pensavamo di arrivare. In ogni caso contrattiamo con un taxista il prezzo per andare fino al nostro hotel e incominciamo ad assorbire immagini di vita della città. Traffico caotico, motorini che spuntano da ogni lato, sporcizia ma anche bancarelle tutte colorate, becak ( ossia una sorta di risciò messo in moto da una bicicletta o un motorino), minuscoli campi di riso che si accaparrano un angolino tra un edificio e l’altro. Raggiungiamo il nostro hotel (purtroppo non ricordiamo il nome) e siamo accolti da un simpatico indonesiano che sa un po’ di italiano perché ha un amico italiano che viene a Yogyakarta per motivi di lavoro e glielo insegna ogni anno sempre un po’ di più. Ci accompagna alla nostra camera, molto semplice ma pulita e noi cadiamo in trans sul letto. Prima di dormire qualche ora decidiamo di far colazione in hotel (caffè o thé, pane, marmellata, burro) e notiamo che la maggior parte degli ospiti dell’albergo sono uomini in viaggio d’affari. Prenotiamo successivamente con l’aiuto del ragazzo alla reception una gita ai templi più famosi della città per il giorno seguente; dopo esserci informati sui prezzi dei taxisti privati sappiamo che è un buon prezzo per visitare i luoghi turistici d’intorno. Dopo un riposino decidiamo di uscire e dirigerci verso la stazione dei bus per prenotare il pullman che fra due giorni ci porterà a Giakarta. Utilizziamo per orientarci una cartina molto approssimativa. Di fatti dopo aver raggiunto la strada su cui in teoria avremmo trovato la stazione centrale dei bus se avessimo girato a destra, decidiamo di girare a sinistra chiedendo indicazioni ad una donna che non parla minimamente l’inglese ma con dei gesti ci indica la via, purtroppo sbagliata o semplicemente più lunga. In ogni caso pensiamo che sia stato un bene perché abbiamo raggiunto dei piccoli scorci di vita quotidiana dove eravamo gli unici turisti. Ci ritroviamo in un piccolo mercato dove compriamo dei dolcetti e dei cibi salati veramente buoni a IDR. Mentre li divoriamo, percorriamo una strada sterrata all’interno di un quartiere estremamente povero ma molto caratteristico dove i bambini giocano in libertà e cercano di farci restare per giocare con loro a pallone. Tutti da lontano sembrano quasi dei tipi loschi ma una volta che ci si avvicina sfoderano un sorriso grande quanto tutto il viso e salutano cordialmente. Finalmente dopo aver attraversato un campo e costeggiato un piccolo tratto di fiume dall’acqua sporca e torbida da cui alcune persone pescano, saliamo una stretta rampa di scale che ci porta su un ponte e da lì riusciamo ad orientarci verso la stazione che raggiungiamo distrutti fisicamente. Una volta entrati la maggior parte delle bancarelle che vendono biglietti sono chiuse. Ci avvicina un uomo che dopo aver capito la nostra richiesta, ci accompagna ad una piccola agenzia composta di tre sedie e un tavolo con due signore che cercano di venderci un viaggio notturno in pullman che giudichiamo troppo costoso per arrivare a Giakarta. Così insistiamo per un prezzo più basso e loro, riluttanti, ci vendono due biglietti di una compagnia locale che ci avevano sconsigliato in quanto priva di comfort e prevalentemente per gente locale. Soddisfatti, usciti dalla stazione fermiamo un becak a motore che va veramente piano ma almeno ci risparmia la fatica di altre ore di camminata dopo la notte in autobus e la unga “passeggiata” fino in stazione. Ci facciamo portare al mercato degli uccelli, chiamato Pasar Satma & Tanaman Hias; in realtà vi è una zona riservata soltanto a pesci da un lato della strada e dall’altro si visita il vero mercato. Molto caratteristico: troviamo un pitone e una anaconda enormi rinchiusi in delle gabbie, moltissimi cagnolini, uccellini, gattini, gechi, pipistrelli ed insetti in vendita. Io mi fermo ad accarezzare per almeno una decina di minuti tutti i cagnolini, mentre Fabio viene fermato da un ragazzo indonesiano che studia cinema e vuole conversare un po’ in inglese. Usciti nel ritorno verso l’albergo veniamo perseguitati da un becak che ci segue fino in hotel. Dopo una consueta doccetta usciamo e andiamo nella via parallela a quella dell’hotel dove ci fermiamo in un ristorante, Tante Lies, più per i locali che per turisti, neanche molto pulite. Ordiamo due piatti dal nome contorto, giusto per provarli, ma di tutti i ristoranti in cui abbiamo mangiato durante la vacanza questo è quello in cui ci siamo trovati peggio. Addirittura in un piatto c’era un uovo che ormai era verde di colore, e nonostante tutto niente mal di pancia il giorno dopo!

Per rifarci della cena compriamo da un ambulante un dolce super calorico, chiamato Kombinasi: si tratta strati di fette di pan carré intinte nel burro e passate sulla piastra ripieni di marmellata e cioccolato. Dopo una bomba del genere crolliamo a letto pronti per svegliarci alle 5h la mattina seguente.

YOGYAKARTA-BORUBUDUR-PRANBANAN-JAKARTA

28 Luglio – Giorno 14

Sveglia alle 4h30! Siamo distrutti; ci prepariamo e poco prima delle 5h ci dirigiamo alla reception. Purtroppo hanno dato la nostra colazione al sacco a un’altra coppia partita nella notte e quindi ci tocca aspettare che ce ne preparino un’altra. L’autista è molto spazientito siccome ha altre persone sul piccolo pulmino e non vuole farle attendere visto che si sono svegliati ancora prima di noi. Facciamo tappa in un altro hotel dove salgono 4 ragazzi olandesi e via verso il primo tempio della giornata: il Borobudur, il tempio buddhista più grande al mondo e patrimonio mondiale dell’Unesco. Nonostante sia pieno di turisti, fa una certa impressione. In teoria bisognerebbe seguire un percorso in senso orario di purificazione che parte dalla base, che simbolizza il legame dell’uomo ai peccati terreni, passa per 5 livelli che segnano l’emancipazione dai sensi e arriva in cima al nirvāna. Noi in realtà siamo andati un po’ a zonzo, fotografando le mille statue di Buddha, tutte una diversa dall’altra. Interessante è pensare che ai tempi del ritrovamento questo tempio era completamente sommerso dai detriti di un’eruzione vulcanica (per questo mancano alcune parti dei Buddha) ed è stato ricostruito pezzo per pezzo. Purtroppo a causa di restauri in corso non possiamo accedere alla cima del tempio: peccato, niente nirvāna per noi! In teoria la gita partiva presto la mattina per farci ammirare il tempio all’alba, ma la partenza così mattutina ci ha permesso soltanto di evitare il pienone del mezzogiorno. Abbiamo molta fame e ci divoriamo la colazione a sacco. Alle 10h siamo sul pulmino che parte in direzione del secondo tempio della giornata: il Pranbanan, il tempio indù più alto nel sud-est asiatico e anch’esso patrimonio dell’Unesco. Anche questo sito è molto visitato ma sembra molto meno curato rispetto al Borobudor. All’entrata ci avvicina subito Rocki, un indonesiano studente di letteratura inglese che sta compiendo uno stage come guida gratuita al Pranbanan e si offre di guidarci attraverso i segreti del tempio. Lui è in realtà cristiano ma si è studiato tutti, o quasi, i nomi degli dei indù e ci spiega molto cose interessanti; in particolare di ogni tempio ci racconta la storia legata alla statua che vi è contenuta e ci guida ai piani superiori del tempio, raccontandoci la storia scolpita nelle tavole di pietra che circondano il perimetro. Troviamo le sue narrazioni veramente affascinanti che vagamente richiamano la mitologia greca con tutti quei nomi di dei e tutti quegli intrighi tra loro. Scopriamo che esiste una donna “cattiva” che ha cercato di uccidere Krishna, un dio indù, e che si chiama “Putana”, al cui nome scoppiamo a ridere, che coincidenza! Dopo l’intensa visita durata due ore ci dirigiamo verso l’uscita e raggiungiamo il nostro pulmino che, appena viene riempito, ci riporta ai nostri hotel per le 15h circa. Abbiamo ancora diverse ore prima di dirigerci alla stazione dei bus, per cui mangiamo in un ristorante locale nella via del nostro hotel, Rumah Mak, e dopodiché facciamo un giro a piedi, passando attraverso un mercato, verso il centro dove si trova il Kraton, la residenza del sultano. Assistiamo al cambio delle guardie dalla piazza di fronte al palazzo e nel mentre un uomo ci chiede se vogliamo osservare il disegno sulla seta tramite la tecnica del batik. Quest’ultima consiste nella paziente applicazione di cera sfusa su soltanto alcune parte del tessuto che in seguito viene immerso nella tinta di cui si vuole colorare le parti libere dalla cera; si parte dal colore più chiaro al più scuro e l’effetto è veramente magnifico ed elaborato. In questo laboratorio in cui veniamo portati troviamo i regali giusti da portare a casa, tessuti molto leggeri che non si rompono in viaggio! Ne compriamo due (in totale circa 25 $). Dopo le compere e alcuni dolcetti acquistati da due signore anziane al bordo della strada che ci sorridono tutte felici, ritorniamo in hotel, facciamo chiamare un taxi e ci facciamo accompagnare in stazione. Siamo un po’ in anticipo e attendiamo seduti al bordo del marciapiede circondati unicamente da indonesiani che a turno vengono a scambiare due parole in croce di inglese. Finalmente il nostro autista ci segnala che è pronto a partire, il secondino dell’autista ci aiuta a caricare le pesanti valigie nel portabagagli e poi saliamo tutti. Siamo in prima fila, a fianco ci ritroviamo una donna con due figli piccoli che imbocca con le mani unte il bimbo di circa 7 anni, che stranezza. Capiamo subito perché questa compagnia di bus ci era stata sconsigliata. I posti a sedere sono scomodi e piccoli, il finestrino dell’autista di emergenza è rotto e per tutto il viaggio egli cerca di infilare un pacchetto di sigarette e poi altri oggetti per bloccare il flusso d’aria. Dormiamo in tutto pochissime ore, che vengono intervallate da una sola sosta in un “autogrill” indonesiano, dove le persone al posto di mangiare vanno a lavarsi e a pregare nella stanza adibita alle preghiere per i mussulmani. Noi mangiamo alcuni involtini comprati dalle anziane di Yogyakarta centro.

JAKARTA

29 Luglio – Giorno 15

Si riparte e arriviamo a Jakarta in mattinata, sconvolti scendiamo dal bus e veniamo subito circondati da moltissimi uomini che vogliano portare le nostre valigie e inseguiti dal secondino dell’autista del nostro bus che vuole essere pagato per aver scaricato le nostre valigie. Appena capiamo dove prendere il bus per l’aeroporto, in realtà nello stesso piazzale dove siamo stati scaricati, saliamo subito sul pullman e ne attendiamo la partenza, circondati questa volta da indonesiani in tenuta elegante che viaggiano probabilmente per motivi di lavoro. Infatti, per la maggior parte degli indonesiani è già un lungo viaggio spostarsi all’interno del proprio paese, soprattutto verso Bali, meta ambita per esercitare il proprio inglese ed ammirare i turisti in vacanza. Appena parte il pulmino un uomo passa a riscuotere il prezzo del biglietto. Da quello che possiamo osservare dal finestrino Jakarta non sembra molto meglio di Yogyakarta e siamo contenti di aver preso subito il bus per l’aeroporto perché ci impieghiamo diverse ore per raggiungerlo a causa del traffico intenso. Giunti in aeroporto ci sediamo nel corridoio esterno in attesa che il check-in per il nostro volo cominci. Notiamo diversi gruppi di indonesiani vestiti degli stessi colori con le stesse valigie; chiediamo e scopriamo che in occasione della fine del Ramadam molti mussulmani fanno visita alla Mecca, un viaggio che un mussulmano deve compiere almeno una volta nella vita. Vi sono anche diverse donne arabe completamente coperte da burka neri che ci suscitano un po’ di timore misto a un pizzico di risentimento da parte di una donna occidentale libera di vestirsi, pettinarsi, muoversi, viaggiare, pensare, parlare come vuole. Dopo il check-in ci sistemiamo in un bar-fast food dove pranziamo ed utilizziamo internet gratuitamente. All’ora dell’imbarco, nonostante la stanchezza fisica e mentale, siamo veramente dispiaciuti di lasciare questo paese che ci ha regalato tante sensazioni nuove, soprattutto dal lato culturale. Ci aspetta uno scalo e una notte sul pavimento morbido dell’aeroporto di Abu Dhabi e un secondo volo verso l’Italia. Addio nusa indah (bell’isola)!



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