Gli Inkas conoscevano la ruota… E non solo

E' triste constatare quanto la supponenza europea offuschi spesso l'intelligenza di noi occidentali. Sento la necessità di scrivere queste righe per ridare la giusta dignità ad un popolo meraviglioso, discendente di civiltà antiche almeno quanto quella Egizia. Parlo del Perù. Sappiamo ancora troppo poco - e mai forse riusciremo a scoprire...
Scritto da: Gabriele Poli
gli inkas conoscevano la ruota... e non solo
E’ triste constatare quanto la supponenza europea offuschi spesso l’intelligenza di noi occidentali. Sento la necessità di scrivere queste righe per ridare la giusta dignità ad un popolo meraviglioso, discendente di civiltà antiche almeno quanto quella Egizia. Parlo del Perù. Sappiamo ancora troppo poco – e mai forse riusciremo a scoprire abbastanza – delle maestose civiltà andine di 3-4-5000 e più anni addietro. E la colpa di tutto ciò è in buona parte imputabile ai nostri antenati europei. Quando gli spagnoli giunsero in Perù, si preoccuparono unicamente di saccheggiare, rubare, stuprare, uccidere e distruggere ogni retaggio culturale di quel paese. Sono giunti a noi centinaia di libri e manoscritti, tutti, tuttavia, scritti dai violentatori iberici. Scrittori improvvisati ed ignoranti, preti premurosi solo di dar bella mostra di sé eliminando idoli, cultura e tradizioni indigene, sostituendo le divinità andine con i santi cattolici, ottenendo solo confusione ed alimentando il genocidio. Troppo pochi, mi pare di capire, sanno che al momento dell’invasione spagnola del 1531, in Perù la popolazione ammontava a circa 9 milioni di abitanti e che dopo pochi anni, solo 3 milioni abitavano ancora le Ande. Perché? Sì, le malattie; sì, i lavori forzati nelle miniere; sì, la fame e la carestia, ma, soprattutto, l’autoannullamento. In migliaia preferirono il suicidio in nome della propria cultura e della propria religione. E noi abbiamo la sfrontatezza di sentirci superiori a questa gente? Non io, credetemi. Troppo pochi sono stati i discendenti del popolo delle Ande ad aver documentato qualcosa dell’antica civiltà e anche questi preoccupati di farsi benvolere dagli europei per ottenere privilegi. E’ il caso di Garcilazo de la Vega, figlio di una principessa inka e di un ufficiale spagnolo, che, a distanza di molti anni, scrisse un migliaio di pagine, spesso inventando situazioni e personaggi, al solo scopo di ottenere terre e denaro. E’ il caso di Guamàn Poma de Ayala, lui sì andino purosangue, che descrisse la vita del fiero popolo della Cordigliera, ma anch’egli frustrato e catechizzato dai “nobili europei”. Tutto ciò che giunse a noi, pertanto, è unicamente la cronaca inventata dai “vincitori”, faziosa, sleale, vigliacca. Mi addolora che, a distanza di quasi 500 anni, vi siano ancora persone che non riescono ad osservare con i propri occhi. Mi addolora e mi angustia. Ma poi sorrido e penso alle migliaia di studiosi, antropologi, archeologi, etnologi, scienziati europei, asiatici, americani, ecc., che dedicano la propria esistenza alla ricerca della verità, consapevoli di avere un mondo intero ancora da scoprire. Mi tranquillizzo e sorrido ancora, soddisfatto, sapendo che questi eccelsi studiosi non si sono permessi mai, né lo faranno in futuro, di sputare sentenze stolte ed infantili senza prima aver raggiunto la certezza; e nessuno di loro, mai, formulerà qualcosa di più di semplici ipotesi. Ammiro queste persone perché colte e intelligenti e, come tali, umili e rispettose di ogni popolo e di ogni cultura. Ancora poche righe per eliminare, spero, convinzioni stereotipate. Poi, per chi lo desiderasse, risponderò volentieri in privato. Non amo la polemica sterile, ma questa volta non potevo tacere. C’è in ballo la dignità di un popolo intero. Una delle più importanti civiltà – da un certo punto di vista forse quella che ha dato il “LA” alla cultura e alla religiosità andina – è stata quella conosciuta con il nome di Chavìn de Huàntar (Chawpìn) (2000-150 a.C.), ma, si badi bene, non è la più antica. Monumenti splendidi e complessi (è vero, non utilizzavano l’arco. Ma era indispensabile? Nel corso dei secoli, i frequenti terremoti hanno distrutto tutte le costruzioni “europee”, poi sistematicamente ricostruite. Non un solo palazzo-tempio-fortezza precolombiano è stato invece intaccato!), canali sotterranei e di irrigazione, sistemi di aerazione interna perfetti che servivano anche a diffondere all’esterno (e a notevole distanza) la voce del sacerdote-oracolo; sculture raffinate, dipinti eccezionali; sacerdoti-astronomi che, senza l’ausilio degli odierni e sofisticati strumenti, seppero individuare, catalogare, distinguere le stelle nel firmamento, osservandone le variazioni spaziali, studiando le fasi lunari e intuendo la rotondità terrestre. Ma quando siamo arrivati, noi grandi occidentali, a scoprire tutto ciò? Ma andiamo avanti con questa e altre civiltà. E’ vero, non usavano la ruota, però la conoscevano: avevano, ad es., la “grande macina”, due enormi blocchi granitici; il superiore a forma di mezza ruota perfettamente modellata e l’inferiore, più grande, quadrangolare. Il primo ruotava, e ruota visto che la macina si utilizza ancora oggi(!), sull’altro. Ma che se ne facevano della ruota da utilizzare su strada? Non ne avevano necessità e, come loro, tutti i popoli posteriori fino agli Inkas. Non mi risulta che Pizarro con i suoi disperati abbia raggiunto Cajamarca in carrozza! C’erano le Ande, montagne impervie da superare, dove nessun carro avrebbe potuto transitare. Meglio, molto meglio, percorrere sentieri perfetti e lastricati, costruiti con maestria inimitabile, scavando le reni della Cordigliera. Sentieri ricavati spezzando il duro granito andino, gradini per superare barriere di roccia a picco sul baratro, gallerie lunghe e sicure che nessun terremoto è riuscito a scalfire. E poi ponti, teleferiche ad unire montagne separate da orridi, carrucole atte al trasporto di animali riottosi, con imbracature salde per superare fiumi e torrenti. Vi sembrano questi, come è stato detto, popoli primitivi? Erano abili gioiellieri, ma, è vero, non usavano il ferro per le armi. Però lo conoscevano e utilizzavano il mercurio per estrarre l’argento. Quando siamo arrivati noi occidentali a scoprire l’arte medica della trapanazione del cranio? I popoli precolombiani la praticavano normalmente fin dal 400 a.C., perlomeno, ma sono convinto che si scopriranno altre testimonianze più antiche. La trapanazione aveva due scopi, uno religioso e di studio sui cadaveri ed uno terapeutico. Molti pazienti morivano, ma molti altri venivano salvati dai medici che, praticando l’incisione della cute e, di seguito, la trapanazione della volta ossea, riuscivano a togliere un tassello di tessuto, ad eliminare, ad es., l’ematoma e a ottenere la guarigione. Il cranio veniva poi richiuso per mezzo di una lamina metallica. Solo gli Egizi avevano osato tanto. Gli Inkas e i popoli precolombiani non conoscevano la scrittura. E’ falso. Fermo restando che i famosi “quipus” (le cordicelle colorate), le raffigurazioni incaiche, moche, chimù, ecc. Sono, a detta degli studiosi, probabili forme di scrittura, così come i dipinti di vario tipo su tessuti e abiti, tutti gli scienziati di oggi ritengono che altre forme di scrittura debbano ancora essere scoperte. Ma chi l’ha detto che per scrittura si debba intendere il nostro “ABC”? E’ la nostra ignoranza e incapacità che non ci ha fino ad ora permesso di scoprire di più. Ma sono convinto che ci arriveremo. Basta, mi fermo qui, ma, vi assicuro, avrei argomenti per scrivere un libro. Gabriele Poli


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