Erasmus in Islanda

Nera come la lava e verde come il muschio, circondata e lambita da un oceano feroce che sbatte e ribatte sulle sue coste e mai le conquista
Scritto da: pannapanni
erasmus in islanda
Partenza il: 29/11/2017
Ritorno il: 05/12/2017
Viaggiatori: 5
Spesa: 2000 €
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“È difficile distinguere i contorni delle cose e gli occhi non si abituano a questo buio intenso; ma l’aria è trasparente, fredda, sicura. Il rumore delle onde è vicino, regolare e culla le nostre sensazioni. In silenzio, ognuno di noi ammira ciò che per il buio non possiamo veramente vedere e nessuno sente il bisogno di parlare”.

Mettetevi le cuffiette, ascoltiamo Homogenic di Bijork partendo da Immature e andiamo, corriamo veloci in questo viaggio, rapidi come le nuvole che attraversano il cielo sopra questa terra che è nera come la lava e verde come il muschio, circondata e lambita da un oceano feroce che sbatte e ribatte sulle sue coste e mai le conquista.

Siamo in Islanda, in un autobus che viaggia per l’unica strada dell’isola. Ci lasciamo alle spalle la città, l’unica, di Reykjavik e che lo sguardo si posi a destra o che esso osi a sinistra è terra, terra e ancora terra, piatta e infinita, nera e verde e poi verde e nera. L’unica differenza sta sulla linea dell’orizzonte che da un lato scende nelle profondità marine e dall’altro sale verso l’alto, attraverso montagne innevate. Infine, sopra di noi un cielo che è come una tavolozza su cui un pittore celeste continua imperterrito a cambiare idea, sfogando ora nuvole, ora vento, ora nulla.

Questo viaggio comincia con un sole basso, ma che con forza si fa spazio tra le nuvole ancora non spazzate via dal forte vento di oggi. Questo viaggio finisce con l’ultimo bagliore diluito nell’aria di un sole che in questa stagione sorge alle 10.30 e tramonta alle 16.30. Siamo di corsa, come lui.

Siamo su quest’autobus, dicevamo, costeggiando terra e oceano. Dopo poco più di un’ora vediamo delle grosse colonne di vapore che escono dalla terra; siamo arrivati alla Blue Lagoon. Si tratta di una piscina geotermale, con acqua bollente e pareti di lava risalenti ad 800 anni fa. L’acqua è di un colore indeciso tra l’azzurro e il bianco, perlata, grazie alla forte presenza di silicio disciolto in essa.

Il contrasto tra il calore dell’acqua e il freddo della temperatura esterna genera costanti fumate di vapore che salgono dal pelo dell’acqua e vorticosamente si disperdono, sospinte dal vento. Dentro ad una cornice di roccia nera, immersa in questo liquido quasi amniotico mi sento come in un cratere lunare, sospesa tra qui e altrove, e guardo all’orizzonte ormai notturno non incontrando nulla che disturbi il mio sguardo sull’infinito.

Mi trovo a Reykjavik per partecipare ad una settimana di study visit di un progetto Erasmus+, una di quelle occasioni che poche volte sono stata capace di cogliere, ma questa volta eccomi. Il nostro calendario è ricco di appuntamenti che ci accompagnano attraverso un tour cittadino alternativo, che può essere da spunto anche a chi si trovi a Reykjavik per divertimento; visitiamo gli Youth Center della città. Siamo una banda di italiani, portoghesi, estoni ed islandesi che vogliono riflettere insieme sulle politiche giovanili in Europa e che lo fanno cominciando dal caso islandese. A Reykjavik ci sono diversi spazi per i giovani, ognuno con le sue caratteristiche e peculiarità. Il più accessibile è sicuramente Hitt húsið, nel cuore della città. Lo spazio è molto accogliente e labirintico, con piani e scale che si intrecciano. Qui ci sono diversi servizi e attività per l’orientamento dei più giovani, uno spazio espositivo liberamente fruibile, un salottino dove rilassarsi con thé e caffé gratuiti e un palco per i concerti serali. Qui hanno mosso i primi passi i Sigur Rós, vincendo la battaglia delle band.

Un altro spazio, questa volta fuori città, è il Mollin. Un vero e proprio centro di ritrovo pomeridiano e serale per i più giovani e spazio di espressione. Qui ogni ragazzo può proporre la sua idea, una mostra fotografica ad esempio, e può trovare supporto nello staff del Mollin per realizzarla. Il centro ci è presentato da un ragazzone di trentasei anni in doppio petto. Ci racconta che lui faceva l’insegnante in uno dei tanti paesini islandesi persi nella neve e che pensava di essere molto bravo, nella sua comunità. Ma una volta spostatosi in città si accorse che il suo essere insegnante non lo faceva più entrare nella vita dei ragazzi, che non si connetteva più a loro nello stesso modo. Troppo poco tempo, troppi compiti da dare. “Forse non ero poi così bravo come insegnante” dice, “forse è questo sistema educativo che non ti da spazio per esserlo”, ribatte ironicamente qualcun’altro. Sta di fatto che oggi lui è uno dei membri fissi e fondatori del Mollin, dove attraverso l’esperienza diretta i giovani possono imparare come si fa davvero; come si fa ad organizzare un concerto, un cineforum, un gruppo di studio. E da queste competenze possono nascere anche professioni per il futuro.

Un terzo posto di cui vi voglio parlare è molto distante dal concetto italiano di centro giovanile, seppure ancora ve ne esista uno. Lo spazio si chiama Hugarafl e a raccontarci di cosa si tratta è una ragazza affetta da schizofrenia dalla nascita. In un discorso divertente, irriverente, sicuro, questa piccoletta dai capelli corvini rasati sui lati ci racconta che a causa della sua condizione ha passato quasi tutta la vita tra medici, analisi e medicine che la intontivano. Un giorno ha deciso di darsi un’ultima possibilità di avere una vita normale e si è presentata all’indirizzo in cui ora ci troviamo tutti. Dopo un po’ di indecisione trascorsa contemplando la porta di ingresso, si è fatta coraggio ed è entrata. Chi qui l’ha accolta ha posto un’unica domanda: “Cosa ti piace fare? Abbiamo tanti corsi qui, arte sopratutto”. Lei, abituata ad essere presentata e preceduta da cartelle cliniche e diagnosi, è rimasta disarmata ed ha deciso di cominciare a frequentare davvero questo posto. Un giorno, solo quando se l’è sentita, ha raccontato tutto sulla sua schizofrenia. Oggi ha poco più di 20 anni e lavora come trainer per spiegare agli altri, dottori compresi, come relazionarsi con persone che vivono la sua stessa condizione. Se tutto questo non vi ha ancora fatto pensare ad una pellicola americana da guardare solo con qualcuno affianco al quale potete piangere come fontane, sappiate che a questo punto del discorso, sotto uno scroscio di applausi commossi ed ispirati, lei ci dice “E sono felice che questo centro non abbia aiutato solo me, ma anche la persona di cui sono più fiera al mondo, mio fratello, malato come me, e che oggi siede qui in mezzo a voi”. Standing ovation.

Visitiamo anche altri spazi, come quello dell’associazione che organizza l’importante Samfes Festival; o il Fjölsmiðjan, gestito da un ex campione e allenatore islandese di pallamano in cui ragazzi che hanno lasciato la scuola possono lavorare imparando un mestiere (come quello di cuoco.. qui si mangia dell’ottimo pesce!) e molti altri ancora. Siamo ospiti anche del Ministero del Lavoro che ci illustra le politiche in atto per diminuire la disoccupazione giovanile che sta al… 2%. Le battute sconfortate di italiani e portoghesi che pensano al loro contesto nazionale si sprecano. L’idea è che qui tutto sia veramente possibile perché di fatto l’Islanda è una piccola comunità di abitanti che ancora si conoscono più o meno tutti, in cui lo stato sembra esserci, dove le cose per lo più funzionano, dove a 16 anni smetti di essere considerato un ragazzino e a 25 anni sei ufficialmente adulto, dove l’arte trova uno spazio centrale nell’educazione e nella rieducazione, dove la preoccupazione è trovare il lavoro giusto per te e per le tue capacità/talenti/aspirazioni, dove si parla di ridurre l’orario di lavoro di tutti a sei ore al giorno, signore e signori. Poi, i loro problemi li avranno anche loro.

Gran parte del tempo libero di questo viaggio l’ho passato nelle vie del centro di Reykjavík. Passeggiare per la città è bellissimo e qualcosa di dolce galleggia nell’aria. Saranno forse le lucine di natale già accese che scaldano il panorama e che fanno sembrare questo luogo come una perfetta città di Babbo Natale…

…O sarà il fatto che non ci sono molti palazzoni, in centro nessuno. Le case, così come gli edifici che ospitano negozi o ristoranti e bar, sono basse e singole, molte nella tipica veste islandese di lamiera colorata. L’Islanda è molto conosciuta per le sue piccole casette colorate, la cui struttura è in legno ed il rivestimento esterno è per l’appunto in lamiera. Se si viaggia fuori dalla città, questi piccoli puntini colorati spuntano in mezzo a scenari naturali mozzafiato componendo fotografie perfette.

Passeggiare per Reykjavík è così dolce perché non sembra di essere in una capitale; qui non c’è caos, non c’è chiasso. Tutto si svolge tranquillamente, come un flusso costante, senza picchi; le cose accadono sotto gli occhi di Esja, una catena montuosa visibile dalla città e che sembra tenerla sempre sott’occhio. In Islanda uomo e natura vivono necessariamente di concerto, perché non potrebbe essere altrimenti. Come il rispetto per l’ambiente sia una cultura diffusa è evidente da tante cose; dalla semplice pulizia delle strade alla buona abitudine di non utilizzare plastica per servire o portare con sé l’acqua (l’acqua qui è forse la più pura del mondo, ed è sempre libera e gratuita). Che il legame con la natura sia forte l’ho percepito quando ho notato che tutti qui chiamano gli elementi naturali come se fossero un lei od un lui. Ecco che quando chiedo come si chiama la montagna che si vede da Reykjavik mi viene risposto con un dolcissimo sorriso,”Lei, si chiama Esja”.

Continuiamo a passeggiare per il centro, tra Laekjargata eLaugavegur, strade dai nomi impronunciabili. Prendendo poi Skólavörðustígur si arriva fino alla Hallgrímskirkja, una cattedrale nordica che si staglia verso il cielo e che è un po’ il simbolo della città. Lungo la banchina del porto sorge invece l’Harpa Concert Hall che nel buio in cui siamo costantemente immersi si fa notare per le luci multiformi e multicolori che illuminano la sua imponente forma rettangolare. Sempre in prossimità del mare si trova la Höfði House, dove nel 1986 si incontrarono Ronald Regan e Mikhail Gorbachev, o ancora dove nel 1905 fu lanciata la prima comunicazione radio dall’Islanda verso la Cornovaglia. In Islanda tutto costa molto, tuttavia alla fine della vostra passeggiata potrete approfittare della moda dell’happy hour, giunta fin qui, che permette anche ai turisti di rilassarsi con una birra altrimenti costosissima.

Avete mai visto il film “Yes Man” con Jim Carrey? È la storia di un uomo che dice sempre no a tutti gli amici che lo invitano ad uscire e più in generale che risponde negativamente a qualsiasi cosa gli venga proposta. Nel corso del film per varie vicissitudini inizia invece a dire sempre di si ed ovviamente arrivano amici, amore, fama, gloria etc etc. Anche se qui il concetto è un bel po’ romanzato, resta sicuramente vero che cogliere l’attimo apre strade inaspettate e che spesso per cogliere l’attimo la cosa giusta da fare è dire di si. Il mio viaggio in Islanda è un po’ la concretizzazione di ciò che può succedere a dire di si senza farsi troppi problemi. “Puoi partire per una settimana?” “si”, “condividi tranquillamente una stanza?” “si”, “parli inglese?” “si”, “ti va di viaggiare con sconosciuti” “si”… ed una volta arrivati “andiamo di qua?” “si”, “andiamo di là?” “si”, “sai camminare sulle mani” “si certo”.. insomma, immagino che per qualcuno di voi sarà anche normale, ma io non sono mai stata una yes man e spesso prima di buttarmi ci penso due volte. Questa volta invece, sarà perché in questo periodo sono molto felice e serena, non ho avuto preoccupazioni a dire sempre di si ed effettivamente è solo grazie a ciò che sono riuscita a godere a pieno di questa meravigliosa esperienza. È sempre per lo stesso principio che a suo di dire di si io e due portoghesi che evidentemente sposano la mia stessa filosofia ci siamo trovati ad intraprendere un piccolo tour notturno alla scoperta di Reykjavik, guidati dalla nostra nuova amica ed autista Gudrun. Siamo andati giù al porto, a visitare la zona industriale e i capannoni impregnati dell’odore di pesce. Abbiamo percorso la città attraversando i quartieri residenziali. Tra le tante case, ci siamo fermati davanti a quella in cui abita Bjork: una meravigliosa casetta con un paio di piani, un tempo nera, ora completamente bianca. Alcune luci erano accese e questo ci ha permesso di osservare una stanza in particolare, all’ultimo piano, visibile grazie ad una enorme vetrata. In centro alla stanza, l’arpa. Per colui che la suona la vista è sull’oceano. Infine, per concludere il nostro giro notturno ci siamo spinti fuori dai confini della città, fino ad un faro isolato. Lì siamo scesi dall’auto e una notte nera ci ha abbracciato. Le luci della città sono lontane. A pochi passi da noi comincia il mare, nero come il cielo. Dietro di noi una sterminata distesa di roccia e muschio. È difficile distinguere i contorni delle cose e gli occhi non si abituano a questo buio intenso; ma l’aria è trasparente, fredda, sicura. Il rumore delle onde è vicino, regolare e culla le nostre sensazioni. In silenzio, ognuno di noi ammira ciò che per il buio non possiamo veramente vedere e nessuno sente il bisogno di parlare.

Siamo giunti quasi al termine e come tutte le fiabe che si rispettino quello che ci aspetta è un colpo di scena che ci accompagna al lieto fine. Ma senza avere alcuna fretta di concludere, prendiamola un po’ larga. Apriamo quindi una parentesi culinaria, ma come si mangia in Islanda? Trovandomi in un viaggio organizzato e con tante persone, non ho avuto l’occasione di assaggiare la cucina locale al punto da farmene una opinione, ma qualcosa ve la so dire.

Osservazione numero uno: incuriosita dall’argomento, dopo qualche giorno chiedo ai miei nuovi amici del posto come siamo messi a cucina tipica. “Tradizionale o tipica?” mi si chiede. Dimostro interesse per entrambe. Ciò che mi viene spiegato è che se parliamo di cucina tradizionale, in Islanda si mangia squalo, molto pesce e agnello (sovente in veste di zuppa). Se ci spostiamo invece sul fronte del tipico, anche qui è ormai giunta la gran moda degli hamburger, che si trovano ovunque e che hanno fatto salire moltissimo la richiesta di manzo in Islanda, che è per lo più importato. Per chi se lo stesse chiedendo si, ci sono anche qui un sacco di ristoranti cinesi (anche se dire orientali sarebbe più corretto).

Osservazione numero due: Ultima sera, ultima cena, un po’ speciale. Ceniamo tutti insieme al centralissimo Saetasvinid, ristorante riconoscibile per il finto maiale posizionato vicino all’ingresso. C’è poco da fare, paese che vai e non sanno cucinare come in Italia. Apro questa parentesi patriottica ringraziando l’Islanda per il meraviglioso antipasto di aragosta, seguito però da un’azzardatissimo accostamento con un bel filetto di manzo.

Osservazione numero tre: Se vogliamo diventare Islandesi al 99% dovete mangiare lo squalo. Forte di questa promessa mi avventuro attraversando un muro, di consistenza quasi solida, creatosi tra me e lo squalo e costituito dall’odore di pesce più forte e pungente che io abbia mai sentito. La carne di squalo ha una preparazione particolare; viene fermentata in una fossa scavata nella terra per circa 6-12 settimane e una volta estratta viene appesa a seccare per diversi mesi. Una volta servito, lo hákarl si presenta sotto forma di cubettini e sembra, tanto per darvi un’idea, del pesce affumicato. L’odore come abbiamo detto è fortissimo. Al primo morso ho avuto la sensazione di mangiare un’arringa, che a me piace moltissimo. Molto compiaciuta iniziavo già a lanciare occhiate spavalde ai miei compagni assaggiatori, ma non era altro che il cantare vittoria troppo presto. Al secondo morso lo squalo ha rilasciato tutto il suo sapore che personalmente mi ha ricordato moltissimo l’ammoniaca. Il motivo c’è, ed è che lo squalo è un animale privo di apparato renale e che dunque espelle la sua urina attraverso la pelle. La lunga lavorazione per renderlo commestibile è motivata principalmente dal risolvere questo problemino di pipì, tuttavia per quanto mi riguarda l’obbiettivo non è del tutto raggiunto In ogni caso, consiglio a tutti di fare l’esperienza e provare ad assaggiarlo. Ad accompagnarvi in questa coraggiosa missione ci sarà il consueto bicchierino di brennivín (letteralmente: “vino ardente”) che vi aiuterà a mandare giù il boccone.

Questa volta siamo giunti alla fine del viaggio e come vi avevo preannunciato è un grande colpo di scena che chiude questa esperienza. I più attenti di voi avranno una domanda che frulla in testa, a partire da quando vi ho raccontato che qui in questo periodo è quasi sempre notte. La domanda è: e l’aurora boreale? L’aurora boreale è visibile proprio in questa stagione, l’inverno. Il fenomeno, determinato dall’interazione tra particelle solari e ionosfera terrestre, non è però sempre visibile; bisogna che il cielo sia limpido e che faccia abbastanza freddo. Ogni sera durante la mia settimana in Islanda abbiamo sperato di poterla vedere, ma Miss Aurora si è fatta attendere e desiderare a lungo, perché mai si sono verificate le condizioni adatte ad ammirarla. L’ultima sera però, quasi a volerci salutare, a mezzanotte un messaggio collettivo ci avvisava della sua presenza. Mi sono precipitata fuori dall’albergo in cui ero appena rientrata. Una corsa forsennata per le scale e poi via fuori al freddo senza ancora aver chiuso la giacca. Dov’è dov’è, panico col naso all’insù. Sembrava quasi di essersela persa ma poi nel cielo è comparsa una nuvola strana. Pian piano ha cominciato ad assumere il tipico colore verde, ma sembrava ancora una specie di nebbia. All’improvviso, questa strana nuvola si è accesa di un colore verde intenso e si è allungata, come una spada laser che compare nel cielo e lo taglia. Poi, dopo qualche rapidissimo minuto, il verde è diventato quasi rosa. Come una striscia di colore sulla tavola di un pittore di scioglie se ci versiamo sopra dell’acqua, allo stesso modo questa linea di luce nel cielo in un preciso punto ha iniziato a “colare” e per pochissimi istanti abbiamo visto formarsi delle onde, come un’arpa con diverse corde in movimento; la famosa danza di miss Aurora. L’eccitazione di vedere questo piccolissimo accenno di aurora boreale è stata fortissima; una gioia pura come quella di un bambino. Io e i miei compagni abbiamo passato la notte con il naso all’insù. Per tante ore abbiamo aspettato al freddo, congelati ma elettrizzati. Poi l’abbiamo vista ancora, ed ogni volta che una nuvola in cielo si trasformava in una verde aurora qualcuno di noi cominciava a saltare ed urlare indicando con forza la direzione in cui guardare. E l’aurora si muoveva, come i dragoni cinesi nel cielo. Ci siamo divertiti come pazzi.

L’Islanda è un paese in cui prometto di tornare, d’estate, per ammirarne i confini smisurati, le pianure rocciose, le diverse espressioni della potenza della natura. Per ora però, la vera ricchezza che mi porto a casa sono le storie delle meravigliose persone che qui ho incontrato. Potete trovare questo ed altri racconti di viaggio nel mio piccolo blog personale al seguente indirizzo: https://azonzotour.wordpress.com/

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