Due giorni a Tiwanacu e Copacabana
Parto una domenica mattina da Los Pinos (Calacoto), con un minibus diretto al Cimitero. Superata la Plaza S. Francisco, il minibus continua a salire lungo la Montes e dopo aver superaro la Cervecería Boliviana Nacional (birra Paceña) gira a sinistra perdendosi tra le stradine del centro storico, uno dei mercati all’aperto più grandi del mondo. Qua e là delle voragini indicano il posto che occupavano alcuni palazzi coloniali, che verranno purtroppo sostituiti da nuovi edifici anonimi. Dopo una mezz’oretta il minibus (2,30 Bs.) mi lascia davanti al Cimitero, dove si sta conformando la bolgia consuetudinaria, perfino sfacciatamente sotto il cartello “Prohibido el asentamiento de comerciantes en esta área”. Conosco la zona e mi dirigo sicuro verso viuzza da dove partono i bus per Desaguadero (10 Bs.). In pochi minuti si riempie e parte. Forse a causa del mercato domenicale, il minibus inizia a percorrere zone sconosciute, perdendosi in quartieri fatiscenti di El Alto. Il colore predominante è il marrone, marrone-grigio degli adobes e marrone-arancio dei mattoni, e marrone terra delle strade piene di buche e pozzanghere. Poche scritte a pennello direttamente sui muri o sulle porte di lamiera; vecchie banderillas di qualche festa passata; piazzette improbabili che dovrebbero servire a dare un poco di dignità a queste zone ma che non fanno altro che aumentarne il senso di abbandono ed emarginazione. Qualche indigena aymará, cani randagi, macerie di costruzione. Poi all’improvviso un mercarto caotico, con merci vendute sul terreno fangoso sopra teli di plastica blu, carretti artigianali, giostre improvvisate. E’ quasi un sollievo lasciarsi alle spalle l’infinita periferia di El Elto, anche se per alcuni Km i bordi delle strade trasformati in discarica ricordano che la città è vicina. La metropoli è finita, ma le case sparse o i piccoli villaggi che si susseguono sono una copia in scala. Case di adobes, spazzatura ovunque, soprattutto negli stagni e nei letti dei fiumi, murales con propaganda elettorale, macerie, rottami di veicoli. Se si riesce ad evitare di concentrarsi in questi aspetti, si possono contemplare gli animali domestici (mucche, pecore, llamas, asini, maiali) e selvatici (anatre, uccelli rapaci, fenicotteri), ed il paesaggio infinito del brullo altipiano sotto una cappa di nuvole nere che coprono le vette innevate della Cordillera Real. Al casello dell’autopista decine di venditrici in grembiule blu introducono nei finestrini aperti sacchetti di plastica contenenti misterisi refrescos o buste di pasankallas (mais soffiato). Il casello si trova all’altezza di Laja, il luogo dove fu fondata originalmente La Paz.
Lungo il cammino superiamo il treno, che ha ripreso a funzionare. Parte ogni seconda domenica del mese dal cimitero di Tarapacá di El Alto alle 8 del mattino e torna alle 18:30. Il biglietto popolare costa 20 Bs., mentre l’ejecutivo costa 80 Bs. (i biglietti si comprano a Sopocachi, Calle Fernando Guachalla esquina Sánchez Lima).
Dopo 72 Km il minibus mi lascia al bivio per Tiwanacu (3.870 mslm), davanti ad un monumento con tre grosse pietre appese a catene. Dopo un Km arrivo alle rovine. Il treno è fermo proprio davanti al cancello d’entrata al sito 1 (Kalasasaya). Il treno arriva a Tiwanacu alle 10:30 e riparte per Guapi (a 18 Km di distanza) alle 12:30. A Guapi rimane un’oretta, che può essere sfruttata con un pranzo a base di trota o con una corsa rapida in barca sul Lago Titicaca.
Tiwanacu. Il 2 dicembre 2000 è stato iscritto nella lista del Patrimonio culturale dell’umanità dell’Unesco. La biglietteria del sito archeologico (Tayka Marka in aymará) è dentro il museo, apre dalle 9 alle 16 (il sito chiude alle 17) e per gli stranieri l’ingresso costa 80 Bs. (i bambini tra 8 e 12 anni pagano 10 Bs.). Il biglietto permette l’accesso al sito 1 (kalasasaya), 2 (Puma Punku), Museo Cerámico, Museo Lítico.
Rispetto a 12 anni fa sono stati scoperti alcuni muri nel lato est della piramide di Akapana, ma per il resto non è cambiato nulla e rimane la tristezza di vedere varie pietre squadrate affiorando nella terra rossa o ammassate in cumuli incoerenti. Nemmeno la pioggia è cambiata dall’ultima volta (dopo una settimana di sole a La Paz!). Orde di turisti organizzati interrompono ogni tanto la pace di quel posto.
Arrivato all’estremo del sito, la porta della luna, finisce la carica della macchina fotografica. Per cui decido di andare in un ristorante per ricaricarla. Percorro l’avenida Manco Kapac, dove si trovano alcuni ristoranti per turisti, fino alla piazza principale. Coi suoi archi in ogni angolo è l’unica piazza chiusa tutt’ora esistente dell’epoca e del territorio del Virreynato del Perú. La Chiesa fu costruita tra il 1580 ed il 1612, utilizzando pietre provenienti dal sito archeologico. Davanti all’ingresso due monoliti di Tiwanacu conferiscono un’aria sicretica alla costruzione religiosa. Il bel campanile è adornato da sgocciolatoi in forma di gato montés (titi). La piazza è adornata con numerose statue in stile tiahuanaco moderno e nel centro, sotto la tettoia adibitaa mercato coperto, alcuni indigeni utilizzano numerose bottiglie di birra per il rito della ch’alla. Il perimetro della piazza è un susseguirsi di venditrici di frutta e verdura.
Dopo una zuppa d’arachidi (occhio perché ovunque andiate vi fanno pagare per caricare la macchina fotografica) ritorno al museo e visito velocemente il Museo lítico, con la Porta della Stella e l’impressionante monolito 8. Poi visito il sito 2, le cui enormi pietre scolpite presentano fessure per mantenerle unite con graffe di bronzo, ed i motivi decorativi con la croce delle Ande.
Torno sulla strada principale e dopo un po’ fermo un bus diretto a Desaguadero (5 Bs.). Ovviamente mi tocca fare in piedi i 40 Km che rimangono. Desaguadero è il paesino scalcinato di sempre. Vado a colpo sicuro verso la frontiera col Perú, mi faccio timbrare il passaporto in uscita, passo il ponte sul río Desaguadero e mi faccio timbrare il passaporto in entrata. Più avanti, nella fermata dei minibus cerco un bus per Yunguyo, ma non ce ne sono. Mi tocca allora prendere un minibus per Chacachaca (2 soles). Il paesaggio è identico al lato boliviano, visto che fanno parte del Kollasuyo, la nazione aymará. Al bivio salgo su un minibus diretto a Yunguyo (1,5 soles). Mentre si avvicina al villaggio si incomincia a intravedere il Lago Titicaca. Sceso dal minibus, salgo su una mototaxi (2 soles) per la frontiera. Faccio timbrare il passaporto in uscita, attraverso l’arco che divide i 2 Paesi e vado alla migración boliviana. Con sgomento vedo una fila interminabile di turisti in gran parte argentini, i tipici viaggi organizzati spauracchio dei viaggiatori autonomi, perché fanno perdere un sacco di tempo nelle pratiche burocratiche. La frontiera di Kasani apre dalle 8:30 alle 19:30. Con la quantità esagerata di gente, il povero funzionario mi timbra l’uscita dalla Bolivia, poi mi mette sopra l’entrata ma alla fine mi annulla tutto e mi mette un’altra entrata. Salgo su un taxi collettivo (3 Bs.) e dopo 8 Km arrivo a Copacabana (3.850 mslm).
Dopo 12 anni la noto un po’ cambiata, soprattutto noto nuovi hotel e ristoranti. Segnalo alcuni nuovi hostal: La Cúpula e la Aldea del Inca (Pasaje Michel Pérez, laterale di Calle Zapana, parallelo alla Calle Gonzalo Juaregui); Las olas (in fondo alla Calle Gonzalo Juaregui, si salgono le scale di fianco alla Trattoria Sapori d’Italia). La città è stipata di turisti argentini e fatico un po’ a trovare una camera.
Faccio un giro nelle due strade principali della città e attorno alla Cattedrale; ceno e vado a letto stremato.
Il giorno dopo faccio colazione nel mercato adiacente la piazza. Da lì in pochi passi arrivo alla Cattedrale. La benedizione dei veicoli è dal lunedì al venerdì tra le 10 e le 14:30; il fine settimana alle 9, 12 e 14:30. Nell’attesa vado sul Cerro Calvario. Percorro in salita la Calle Zapana, con una pendenza notevole, che in fondo si innesta sul sentiero selciato tra le stazioni 4 e 5 della via crucis. Nella 7º stazione c’è un mirador con gli altari per le benedizioni. A sinistra comincia la salita al Cerro San Cristóbal (divinità maschile), con gradini irregolari di pietra fino alla 14º stazione; a destra una scalinata irregolare raggiunge la cima del Cerro Santa Bárbara (divinità femminile), sede di un antico cerimoniale inca. Affisso sulla statua del Sacro Cuore di Gesù, un cartello dà il benvenuto e avvisa che “se sauman, challan todos sus objetos deseados, autos, casas, dólares, etc.”
Sulla cima del cerro Calvario (a circa 4.000 metri di quota) i venditori cominciano ad allestire i propri chioschi, pieni di giocattoli in maggior parte veicoli, case e fasci di denaro, che serviranno per la benedizione nella speranza di poterli acquisire. Candele accese dentro nicchie di pietra, immancabili venditori di zuppe, birre, coriandoli ed incensi. In fondo, nelle piccole terrazze sono stati creati dei piccoli giardini con rametti di pino e di eucalipto, adornati con fiori bianchi, gialli e rossi. I “propietari” dei piccoli lotti li affittano per effettuare la ch’alla con spargimento di birra ed esplosione di miccette, il tutto condito da coriandoli (mixtura) e stelle filanti. Il panorama è ineguagliabile: l’immensa distesa azzurra del Lago Titicaca, chiusa all’orizzonte dalla costa peruviana; a destra la penisola di Yampupata si allunga fino alla sua punta estrema, e prosegue nell’Isla del Sol, verso cui una fila interminabile di piccole imbarcazioni procedeva in fila indiana. Sul Cerro non c’erano turisti stranieri. A quell’ora erano tutti sulle barche. I tour all’isola del sole (25 Bs.) partono alle 8:30 o alle 13.30. I tour della mattina arrivano fino al nord dell’isola, e da lì ci sono due opzioni: andare a piedi fino all’escalera del Inca; o arrivarci sulla stessa barca. Il ritorno a Copacabana è previsto per le 4 del pomeriggio.
Scendo lungo la calle Zapana e mi dirigo al Lago lungo la calle Jauregui, ma mi soprende un temporale, per cui mi tocca rimanere mezz’oretta sotto un balcone vicino al ristorante Taypi Kala.
Dalla spiaggia vado verso la cattedrale, che a quest’ora è gremita di veicoli pieni di fiori e mixtura per la benedizione cattolica, con tanto di prete con un secchio di acqua benedetta, tra due file di bancarelle con tutto il necessario per la ch’alla. Nel chiosco della piazza una banda festeggia rumorosamente.
Dopo pranzo gironzolo nella piazza che funge da terminal. Tra le 12 e le 14 è un fermento di gente che aspetta gli autobus che vanno a La Paz alle 13:30. Probabilmente ci sono più argentini qui a Copacabana che a Buenos Aires, una cosa mai vista. Centinaia di ‘gringos’ in perfetta tenuta da turista: scarpe da trekking, pantaloni da montagna con cerniera a mezza gamba, o pantaloni corti (con il freddo che fa…) o pantaloni artigianali colorati; zaini enormi, termos per il mate (gli argentini), chullos boliviani o copricapi più disparati, trecce rasta, occhiali da sole, tatuaggi.
Sul bus noto con dispiacere che non è cambiata l’abitudine boliviana di buttare la spazzatura fuori dal finestrino. Dopo 40 Km il bus arriva a San Pedro de Tiquina. Scendiamo e ci dirigiamo alla biglietteria (1,5 Bs.) per salire su una delle molte lance, mentre il bus viene caricato su una chiatta e trasportato sull’altra riva, a San Pablo. L’operazione dura mezz’oretta. Poi ripartiamo verso La Paz. All’altezza di Batallas cominciano ad essere visibili le cime innevate della Cordillera Real, una distrazione al desolato paesaggio altiplanico, ed un conforto quando si comincia ad entrare a El Alto.
Poi dall’alto comincia ad apparire La Ciudad de Nuestra Señora de La Paz.
Sono stati due giorni intensi, per la modica spesa di 40 dollari.