Dublino e allegria
Domenica 6 maggio
Ieri sera ho spento la luce verso l’una e mezza e senza nemmeno avere uno straccio di sonno. Stamattina la sveglia a suonato alle sette in punto. Ho rimpianto di non essermi addormentato prima…
Doccia ribeccante e la giornata prende tutta un'altra piega. Valentino è puntuale. Faccio il punto della situazione cercando di...
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Domenica 6 maggio Ieri sera ho spento la luce verso l’una e mezza e senza nemmeno avere uno straccio di sonno. Stamattina la sveglia a suonato alle sette in punto. Ho rimpianto di non essermi addormentato prima… Doccia ribeccante e la giornata prende tutta un’altra piega. Valentino è puntuale. Faccio il punto della situazione cercando di ricordarmi questa o quella cosa che dimenticherò senz’altro a casa; poco dopo siamo gia in viaggio verso Forlì. A casa dell’Annalisa, troviamo Veris (il padre), intento a liberare il bagagliaio del fuoristrada per far spazio alle nostre valige. Al nostro arrivo a Forlì scopriamo che anche Chiara è pronta e quando arriviamo a casa sua, la carichiamo al volo. Veris è una sagoma, sembra quasi più emozionato lui di noi, non smette un attimo di parlare e fare battute scherzose. Check-in, sala d’attesa e imbarco. Il boeing 737 – 800 della Ryanair è mezzo vuoto, così possiamo stare belli comodi, ed essendo tra i primi ad essere imbarcati la nostra scelta è la fila otto. Soundtrack: Elisa – Eppure sentire. Volo e bagagli tutto ok. Trovare il bus che ci porterà in centro è stato uno scherzo e lo abbiamo pure preso al volo. Alle sedici siamo già per le vie del Temple Bar ed abbiamo gia lasciato i bagagli in albergo. Divoriamo Boxty in uno dei tanti ristorantini del quartiere. A pancia piena si gira meglio; dopo lo spuntino passeggiamo lungo Grafton Street fino a raggiungere il St. Stephens Green. Provati dal viaggio verso le diciannove rientriamo in albergo, con il proposito di uscire verso le ventuno. Gli unici ad uscire però, siamo io e Chiara per una vasca in Temple Bar. Lunedì 7 maggio Dopo la nottata e la super colazione irlandese, siamo più carichi che mai. La prima tappa del giorno è il Trinity College. Il tempo è variabile e minaccia pioggia, ma ci concede il tempo per farci visitare tutta la parte che dall’ingresso si estende fino all’Old Library, dove entriamo alla scoperta delle miniature del Book of Kells. La precisione e la cura con cui le mani dei monaci miniavano e scrivevano è impressionante, ma il vero spettacolo arriva entrando nella Long Room. Una vera e propria biblioteca che ospita circa duecentocinquantamila libri ed alcuni busti delle menti che hanno reso celebre la letteratura. Dopo il Trinity, ci dirigiamo all’ufficio turistico per prenotare il “Celtic Tour”; anche qui come in Norvegia, per evitare i soliti furbi che ti vogliono passare davanti, bisogna prendere il numero ed attendere. Vista la mole di gente e la celerità dell’ufficio, quando arriva il nostro turno, abbiamo tutti, degli anni in più! Una pioggerella fine e poco fastidiosa ci accompagna fino a Merrion Square e smette nell’istante in cui valichiamo la sua soglia. Nell’angolo nord ovest del giardino si trova, infatti, una statua che raffigura il celebre Oscar Wilde. Una cosa che molti non sanno è che guardando i due profili della statua si possono scorgere due diverse Espressioni del viso. Approfittiamo del sole per crogiolarci un po’ nel parco e decidere cosa fare del resto del pomeriggio. Io e chiara decidiamo di andare a visitare il National Gallery, mentre Valentino e Annalisa visitano il resto del quartiere ed il pub dove sono nati i Dubliners. L’ingresso al museo, le guide elettroniche ed il guardaroba, sono gratuiti. Gironzoliamo per il museo e due ore volano via. È ora di rientrare per prepararci per la serata. Ceniamo in un grazioso ristorante a pochi passi dall’albergo con cucina tipica e poi una vasca lungo Temple Bar. Martedì 8 maggio Sveglia di buon ora, colazione e alle nove siamo puntualissimi alla fermata del nostro pulmino; anche Steve, l’autista-guida, spacca il secondo, ci carica al volo e il nostro tour ha inizio. I nostri compagni d’avventura sono tre cechi, una coppia di canadesi, una ragazza di colore californiana ed una donna inglese. Tutti parlano la lingua meglio di noi, ma sono timidi e non danno troppa soddisfazione alle continue domande di Steve. Per fortuna ci sono sempre gli italiani a fare casino! La prima fermata è a Fourknocks dove entriamo dentro ad una specie di tumulo che era usato dai druidi celti per i sacrifici alle divinità pagane. L’unica fonte di luce è la porticina aperta da dove siamo entrati e qualche piccolissima bocca di lupo, ma dopo un attimo per abituare gli occhi si vede discretamente. Trame a zig-zag e cerchi concentrici scalpellati da mani minuziose rendono curioso l’interno del tumulo e la cosa più sbalorditiva è che il tipo di roccia che lo compone si trova a più di cento chilometri da Fourknocks e cosa ancora più sbalorditiva, si pensa che la costruzione del tumulo risalga a prima della costruzione delle piramidi. Pieni di domande a cui nessuno, tanto mento Steve, potrà mai dare una risposta, ci rimettiamo in strada. Alle undici siamo alla Mellifont Abbey: un sito in cui si trovano i resti di una dei primi centri cistercensi del paese. La guida che ci spiega la storia della Mellifont Abbey è molto brava e parla un inglese semplice ed intuitivo. A rendere ancor più speciale la visita, ci si mette anche un acquazzone, tanto che la nostra guida ha sdrammatizzato dicendo: “In Irlanda, bisogna sempre avere un ombrello in una mano, e gli occhiali da sole nell’altra…”. La gita prosegue e ci spostiamo a Monasterboice. Un affascinante sito monastico, che comprende un cimitero, due chiese in rovina, una delle più belle torri rotonde d’Irlanda e due tra le high cross più interessanti. Le high cross sono un superbo esempio di arte celtica e svolgevano un importate funzione didattica, poiché rendevano accessibili alla popolazione analfabeta i sacri testi grazie ai loro pannelli scolpiti. Ci lasciamo alle spalle Monasterboice e Steve ci porta in un grazioso pub per pranzare o come dice lui: “It’s beer o’clock!”. Poco distante dal paese di Slane si erge Hill of Slane. Secondo la leggenda, qui nel 433 san Patrizio accese un fuoco pasquale annunciando l’avvento del cristianesimo in tutto il paese. L’ultima tappa del nostro tour è: Hill of Tara. Anche se a prima vista la si può scambiare per una pista da motocross, Hill off Tara ha un elevato valore storico e folcloristico, è una sorta di Camelot d’Irlanda. Sul posto non c’è molto da vedere, ma il sito offre la possibilità di dare sfogo alla fantasia. I celti pensavano che Tara fosse la sacra dimora delle divinità e la porta d’accesso all’oltretomba. Durante la passeggiata incontriamo un druido che ci spiega la peculiarità del luogo in cui ci troviamo e devo ammettere che non sembrava affatto un ciarlatano. Nella strada del ritorno in città attraversiamo Phoenix park, il parco cittadino più grande d’Europa, quasi il doppio di Central Park. Per cenare decidiamo di provare la cucina che ci offre il ristorante del hotel. La spesa è giusta, la cena deliziosa ed abbiamo pure la vista del passaggio della gente nel lungofiume. Dopocena tentiamo un primo approccio al pub dell’Arlington hotel, per vedere i balli folcloristici, purtroppo però il locale è pienissimo e l’unico posto libero è troppo distante dal palco, perciò decidiamo di prenotare un tavolo, per cenare lì domani sera e goderci lo spettacolo. Passeggiamo per O’connel street. Lungo la strada del ritorno, le note di Wild Rover, fanno catapultare me e Valentino dentro ad un pub. Le ragazze sono stanche e tornano all’hotel, mentre noi maschietti sorseggiamo una pinta cantando con la gente in festa del pub. Mercoledì 9 maggio Seguiamo O’connel st. Fino all’immenso obelisco alto 120 metri (The Spire); visitiamo velocemente la St. Mary’s Pro-cathedral: la chiesa cattolica. La cattedrale in origine sarebbe dovuta essere costruita sul posto dove ora si trova la posta centrale, ma i protestanti si opposero al progetto, insistendo perché la chiesa fosse costruita su una strada secondaria. Facciamo qualche foto al Garden of Rememmbrance e facciamo tappa al Dublin City Gallery, per vedere la mostra dedicata agli impressionisti. Torniamo verso il Liffey passando da Moore St. Ed Henry St. Ammirando le coloratissime vetrine dei negozi ed il mercato della frutta, poi costeggiamo il Liffey fino alle corti di giustizia: The Four Courts. Proseguiamo ancora, dritti alla distilleria del whiskey per eccellenza: la John Jameson Distillery. La “e” della parola: whiskey, non è un errore d’ortografia, ma serve principalmente a distinguere il whiskey irlandese dal whisky scozzese, ma anche la tripla distillazione del super-alcolico irlandese. Passeggiamo per Smithfield, attraversiamo il Mathew bridge ed entriamo a Dublinia nel cuore della viking/medieval area. L’esperienza interattiva di Dublina è più che altro una gita giocosa per bambini e di conseguenza ci divertiamo come matti. Nel prezzo del biglietto è compresa la visita alla Christ Church Cathedral. Visitiamo anche la non molto distante St. Patrick’s Cathedral. Le chiese più importanti qui a Dublino sono tutte a pagamento e mi sembra di aver letto da qualche parte anche il perchè. Le chiese non hanno nessun sussidio da parte dello stato e devono quindi pagarsi tutto, e facendo pagare un ticket d’ingresso si garantiscono un aiuto monetario da parte dei turisti. Non tutti sanno però, che durante le funzioni l’ingresso è gratuito. L’ingresso alla Cattedrale di San Patrizio costa cinque euro, ma li vale tutti. È magnificente, grandissima e piena di storia. Le ragazze si preparano per la serata, mentre io e Valentino ci fermiamo al pub per bere una pinta e tirare le somme della giornata. Quando si dice: “Quanto è piccolo il mondo!” ritroviamo al pub, una coppia con cui abbiamo brindato alla distilleria e brindiamo nuovamente con una pinta di scura! Ceniamo all’Arlington ascoltando la musica folk irlandese e guardando i bravissimi ballerini intenti nei loro balli tipici. Giovedì 10 maggio Nel programma di oggi c’è una gita fuori porta. Attraversiamo il Liffey ed arriviamo alla fermata della Luas più vicina al nostro albergo: Jervis. Biglietto alla mano e in un attimo siamo alla stazione della DART di Connely. Manchiamo il primo treno per un soffio ma l’attesa del prossimo convoglio durerà solo 15 minuti. Mi rendo conto che il servizio non è minimamente paragonabile a quello delle ferrovie italiane, visto che da Cervia a Ravenna c’è un treno ogni ora, ma solo negli orari dei pendolari. La Connely station, non è nulla di particolare, è la classica stazione che si può vedere nelle città medio-grandi. In un attimo siamo al binario. Devo ammettere che sebbene il traffico ferroviario è invidiabile, in fatto di vagoni moderni anche l’Irlanda è messa come le FFSS. Saliamo a bordo e la nostra destinazione è il capolinea: Howth. Situata a 15 chilometri a nord-est di Dublino, Howth costituisce la parte settentrionale della Dublin Bay. Caratterizzata da ripide stradine che scendono fino al lungomare, offre una darsena fornitissima per gli amanti del diporto. Howth è la classica città di mare, tranquilla ed odorosa di aria salmastra. Anche se il vento spazza via ogni cosa, decidiamo di avventurarci lungo la darsena per raggiungere il faro che abbiamo visto arrivando in treno. Il vento nella darsena è spira ancora più forte e fa volar via il cappellino ad Annalisa, cosi prima di finire in mare anche noi decidiamo di avventurarci nel centro cittadino. Il paese è un’oasi di tranquillità ed anche se non offre tantissimo è molto godibile. Dopo 4 giorni immersi nella folla che riempie le strade di Dublino, la quiete di queste strade è un toccasana. Mi sembra quasi di essere a casa. A mezzogiorno ed un quarto, saliamo nuovamente il treno per tornare nel frastuono della capitale. Se il tempo fosse stato più clemente, avremmo quasi potuto stendere un telo e goderci un po’ di sole in spiaggia, ma vento a parte, di sole nella mattinata non è che ce ne sia stato tanto. Nulla è perduto però, il sole sbuca mentre siamo sul treno e me lo prendo tutto, come se fossi una lucertola nel mese di agosto. Dopo un velocissimo pranzo al Burger King di O’connel street, riprendiamo la Luas fino a Heuston, per fare due passi nella vicinissima Phoenix Park. Scendiamo e una pioggerella ci accompagna fino alle porte del parco. Non ci addentriamo troppo, ma poi sbuca nuovamente il sole. Il parco si illumina di mille colori e rimaniamo colpiti dalla cura con cui è tenuto e finisce che ci sdraiamo sull’erba a piedi scalzi chiacchierando sul proseguimento del pomeriggio. Decidiamo di fare tappa a St.James’s Gate Brewery ovvero: lo storehouse della Guinness. Esattamente come cinque anni fa, anche questa volta mi perdo un paio di volte prima di vedere il cancello. La fabbrica è sempre la stessa ed anche se qualche passaggio si è arricchito di nuovi pannelli informativi le cose sono tali e quali alla mia prima visita. I primi due piani restano sempre i migliori e divertenti, salendo oltre si trovano bar ristoranti. In un’ala del secondo piano, mi fermo per quasi un quarto d’ora curiosando nei pannelli interattivi, tra le pubblicità storiche della birra, il padiglione è composto anche da poster e tutto quanto possa essere pubblicità. I dodici euro (comprando i biglietti on line) sono ben spesi anche per un non cultore della famosissima birra, se non altro per la vista che il Gravity Bar, al settimo piano della struttura, offre ai visitatori. È un cilindro senza un muro e si ha una vista a trecentosessanta gradi della capitale. Quando le porte dell’ascensore si aprono ci troviamo un posto a sedere e ci gustiamo la pinta compresa nel prezzo del biglietto, scattiamo qualche foto e poi scappiamo nel negozio al piano terra. Ceniamo in hotel e poi pinta al pub. Venerdì 11 maggio Oggi faremo tappa ad Enniskerry, nella contea di Wicklow, per vedere la tenuta di Powesrcourt. Famosa per i suoi 6,4 ettari di giardini, la tenuta offre ai visitatori quello che poteva essere l’autentico stile delle grandi famiglie del XVIII secolo. L’autobus è il 44 e la durata del viaggio è di circa un’ora e mezza. L’autista ci spiega che la nostra fermata è il capolinea. Gli autobus di Dublino sono rigorosamente a due piani, tipo quelli londinesi. Visto che siamo i primi a salire, ci catapultiamo al piano superiore. Non scorderò mai questo giorno né questo viaggio, ma procediamo con ordine. Assorti dal paesaggio perdiamo ogni possibile cognizione del tempo. Ad un certo punto sentiamo dalle casse del bus che l’autista biascica qualcosa d’incomprensibile e poco dopo si ferma. Riparte nuovamente e guardando fuori ci accorgiamo che stiamo tornando indietro… Dopo aver parlato con l’autista, che continua a dirci: ”…the last…” scendiamo alla fermata successiva. Con noi scende anche un ragazzino che mi pare sia salito alla fermata dove saremmo dovuti scendere noi. Chiara gli chiede informazioni sulla tenuta, ma lui resta attonito, come se gli avessimo chiesto di calcolarci la temperatura di scissione dell’atomo, e dice che non ne ha mai sentito parlare. È stato qui che per la prima volta ho sentito nella mia testa la musica della sigla di “Ai confini della realtà” con il presentatore che dice: “…esiste una quinta dimensione oltre a quelle conosciute…”. Ci guardiamo attorno e ripercorriamo la strada a ritroso. A parte un cantiere stradale con i suoi operai, non c’è nessuno in giro, ma di fronte alla fermata precedente dovrebbe esserci un centro commerciale, e qualcuno che ci sappia dare indicazione dovremmo trovarlo. Sono le undici del mattino. Quasi tutti i negozi del centro sono chiusi. Guardando attraverso le serrande mi accorgo che i negozi chiusi devono essere in disuso da tempo visto che la polvere abbonda dappertutto. L’unico negozio aperto è lo Spar ( la versione Irlandese del Despar N.d.R.). Entriamo e chiediamo informazioni ad un commesso che sta rifornendo il frigo dei gelati ed otteniamo la stessa risposta del ragazzo. Ricomincio a sentire la musica. Compriamo un pacchetto di caramelle e chiediamo anche alla cassiera. Lei non ha dubbi. E’ sicura di non avere la più pallida idea di cosa e dove, sia Powerscourt Estate. È un incubo e sto precipitando in un baratro senza fondo, ci mancano solo due rapinatori con i collant in faccia e siamo a posto! Si materializza dal nulla una venusiana dalle parvenze umane e Chiara prova ad azzardare la medesima domanda anche a lei, ma chiedendole se conosce Powerscourt garden. Mi aspetto che la venusiana chiami la sua astronave e cerchi su google informazioni utili. Mi spiazza. Conosce la risposta!!! Ci indica la fermata dell’autobus e dice di prendere il 44!!! Allora realizzo: non si tratta di un episodio de “Ai confini della realtà” ma di “Lost” dove i numeri maledetti si ripetono all’infinito! Mentre aspettiamo il bus, non parliamo, siamo attoniti. Mi guardo attorno e tutto ad un tratto mi rendo conto che la fermata è una sorta di discarica legalizzata. Ci sono ogni genere di rifiuti in questo spiazzo: carte, cartacce, scatole, bottiglie vuote, l’antenna di un televisore, stracci e chissà cos’altro. Diamo due calci ad un pallone bucato che Valentino trova tra i rifiuti. Io trovo un grosso pezzo di cemento e appena lo faccio vedere a Valentino mi sento dire: Perché non proviamo a metterlo dentro il pallone? Ha uno sbranco enorme e non sarà difficile. Così il prossimo che lo calcia si diverte un po’ meno di noi…”, la bastardaggine mi fa ghignare ma è meglio lasciare stare tutto come sta. A questo punto, succede una cosa strana: vedo Valentino avvicinarsi ad un cancello alle spalle della nostra fermata. Resta zitto. Guarda e sta zitto. Sempre zitto si allontana. Passano un paio di minuti poi anche io, inconsciamente, vado davanti al cancello e guardo. Guardo e resto zitto, e sempre zitto ritorno al mio posto. Passano altri cinque minuti e stavolta è il turno di Chiara. Si avvicina al cancello e guarda in silenzio. Guarda e sta zitta. Sempre zitta, si allontana e torna al suo posto. Intanto in strada sfrecciano camion del cantiere, macchine e motorini, davanti alla fermata passa pure il camion lava strade. Non succede più nulla. Rompo il silenzio e dico ad Annalisa che è il suo turno. Anche lei si avvicina al cancello e guarda. Guarda ed esclama: “Ooooh. Che bello!”. Torna al suo posto. Arriva il 44, ma nella direzione opposta e mi accorgo che non siamo più soli alla fermata. Ci sono tre ragazze due donne e un ragazzo. Il 44 si ferma nella nostra fermata ed apre le porte, rivediamo il nostro autista. Si, quello di prima! Gli mostriamo il biglietto per Enniskerry e lui ci sbatte giù dal bus. Lo vedo allontanarsi, diventare sempre più piccolo e sparire dietro la collinetta. Non ho nemmeno il coraggio di incazzarmi. Alla fermata siamo rimasti noi ed una delle due donne. Lei sorride e ci spiega che per andare ad Enniskerry tra poco passerà un altro 44, quello sarà il bus giusto per noi. Ci domanda di dove siamo e le classiche cose del caso. Ci parla di Wicklow e delle foreste di Glendalough, ci racconta che ha vissuto per dieci anni a Malta e che è tornata perché lì, faceva troppo caldo. A pochi minuti da mezzogiorno saliamo sul bus giusto e alla mezza siamo alle porte della tenuta di Powerscourt. Come varchiamo la soglia della tenuta comincia a piovere e non smetterà più fino alle 19. Prima di raggiungere la casa e il giardino, camminiamo nella tenuta per circa tre chilometri. La strada è alberata, attorno a noi verde a perdita d’occhio e qualche giocatore di golf. Sì, perché oltre alla magione ed al giardino, nella tenuta c’è un golf club da 18 buche! Provati per il viaggio disastroso e per la camminata sotto la pioggia, ci guardiamo in faccia come per chiederci che cosa ci stiamo facendo in quel posto. L’unica su di giri è Chiara che ha già fatto i biglietti. Questo posto, come annunciato dalla signora alla fermata del bus è bello, ma molto turistico ed in una giornata di sole potrebbe essere paragonabile alla nona meraviglia del mondo, ma non sono nel clima mentale e meteorologico giusto. Mi ritorna in mente la reggia di Versaille. L’analogia è lampante. Girovaghiamo lungo i sentieri attraverso vari tipologie di giardini, da quello inglese a quello italiano e giapponese. Quest’ultimo davvero favoloso, con tanto di ponticelli fiumiciattoli e pagoda ( lo so che la pagoda è cinese, ma non fate troppo i complicati, era per rendere l’idea.N.d.R. ) dove ci ripariamo dalla pioggia. È stato salendo le scale del giardino giapponese che ho cozzato con la testa in una roccia. Valentino che mi era dietro, sentendo il ciocco è subito corso al riparo. Dopo aver barcollato un attimo, ho infilato una combo multipla d’imprecazioni in varie lingue e dialetti; penso di aver detto anche qualche parola in aramaico antico e in esperanto. La leggenda narra anche per un attimo la pioggia si sia fermata a mezz’aria ed abbia arrancato per risalire, ma che la gravità l’abbia scampata. Convinto di aver visitato tutti i giardini e notevolmente adirato e dolorante mi dirigo verso l’ingresso. “Cavolo, 6 ettari sono volati! Pensavo di peggio!” esclamo quando rientriamo nella casa, ma Chiara mi svela l’arcano: “Per forza sono volati, abbiamo visitato si, e no la metà del giardino!”. Pranziamo nell’unico pub del paese. Molto accogliente e ben tenuto, cucina gustosa e rapido servizio. Riprendiamo il bus e torniamo a Dublino. Gironzoliamo per negozi che vendono souvenir e ci mischiamo con la folla del Temple bar. Si sente nell’aria che il weekend sta cominciando e se la devo dire tutta stasera il Temple Bar è una sorta di little Italy, tra turisti e scolaresca in gita sento parlare italiano ovunque. Prenotiamo la cena nel ristorante dell’hotel per le 21. Troviamo cosi il tempo per rilassarci un po’ e farci una pinta come aperitivo. Fuori se ne vedono di tutti i colori, ma la cosa che ha colpito maggiormente me e Valentino è la gente che si blocca. Come se il tempo si fermasse all’improvviso, queste persone si bloccano in qualunque posizione immaginabile. Non sono artisti da strada ma uomini e donne semplicissimi. Uscendo dall’hotel troviamo un ragazzo rannicchiato sulle gambe appoggiato con una spalla ad un muro. Se ne sta lì, tenendo in mano il cellulare e lo fissandolo come se stesse aspettando la chiamata o il messaggio della vita. Immobile, sembra quasi non battere ciglio se non fosse, che di tanto in tanto ha una sorta di rigurgito pre-sbocco. Noi lo fissiamo a meno di due metri prima increduli, poi sbigottiti ed in fine, divertiti. Lo guardiamo dritto negli occhi, e ridiamo talmente di gusto da piangere e senza avere da parte sua la minima reazione. Dopo cena altra vasca ed altra pinta cantando e scambiando quattro chiacchiere con la gente del pub. Sabato 12 maggio Giornata dedicata allo shopping. Ho provato a spiegare che alla fine di una vacanza o di un viaggio tutto quello che si è vissuto è ben più prezioso che qualsiasi soprammobile che puoi portarti a casa o magari portarlo ad un amico. I souvenir, sono un semplice palliativo di quello che è stata la tua esperienza di viaggio. Non devo essere stato tanto convincente però… Ce la prendiamo comoda ed usciamo dall’hotel verso le nove e mezza. Prima delle spese selvagge però, ci prefissiamo di visitare la casa georgiana, al numero 29 di Fitzwilliam street, dalle parti di Merrion Square. La casa ha mantenuto i canoni dell’epoca georgiana, è ben tenuta e la visita guidata vale tutti i cinque euro del biglietto. Da lì arriviamo a Grafton street conteggiando Merrion Square e le strade di uomini e donne si sono divise. L’appuntamento per il ritrovo è davanti all’ingresso di St. Stephen’s Green alle quattordici (due ore di shopping). Valentino sbircia nelle vetrine alla ricerca di un regalo per sua madre, mentre io lo seguo e basta. Lasciamo la via principale e ci addentriamo nel South City Market. Questo mercato coperto è una piccola versione della “montagnola” di Bologna, ma senza i pusher che cercano di venderti del fumo. Tra le bancarelle di cianfrusaglie, una bancarella di cappelli ed una di cravatte sono quelle che catturano la nostra attenzione. Alle ragazze piacerebbe questo posto e decidiamo di tornarci in un secondo momento con loro. Ripresa Grafton street ci dirigiamo direttamente al St. Stephen’s Shopping Center. Nella piazza davanti all’ingresso del centro commerciale sentiamo un suono che ci cattura e come per il canto di una sirena veniamo attratti verso la fonte sonora. Dopo un piccolo muro di folla troviamo un ragazzo che suona la sua chitarra, è lui che ci ha ipnotizzato. Vestito da cowboy, suona la sua chitarra in un moto particolare, e pensandoci bene penso di aver visto solo Ben Harper suonarla a quel modo. La tiene stesa sulle gambe con le corde rivolte verso il cielo e quando pizzica le corde e fa scorrere le dite sui tasti crea un suono de tutto particolare. Scatto qualche foto mentre suona ed incanta la folla. La vasca all’interno del centro commerciale è una passeggiata tra vetrine dei negozi, senza nemmeno una sosta. Gli articoli in vendita sono identici ai nostri e non troviamo assolutamente nulla d’originale o “avanti” da comprare. Troppa ressa, comincio ad avvertire la stanchezza. La cosa ironica è che in un centro commerciale tanto grande non troviamo nemmeno una panchina per sederci! Recuperiamo le ragazze che stranamente hanno il muso lungo e pochissime sportine. Non hanno trovato nulla da comprare e sono affamate, così decidiamo di pranzare da Burger King. Sono bastate: mezz’ora, seduto su una sedia, ed un hamburger a farmi rinascere. Ora mi sento rinato e pronto a ripartire! Portiamo le ragazze al South City Market e poi ci dirigiamo verso l’ultima tappa del nostro viaggio da turisti: il Dublin Castle. Non ci addentriamo in una visita guidata, perché la prossima è tra circa quaranta minuti e ci accontentiamo di fare qualche foto da fuori. Torniamo in Temple Bar e prenotiamo un tavolo al ristorante “Botticelli”. Ho un ottimo ricordo di questo ristorante italiano: la pizza era ottima, il locale curato ed i prezzi accettabili. Le ragazze tentano un ultimo assalto ai negozi di souvenir. Compriamo un cappello commemorativo: verde con la fibbia in stile folletto della pignatta (Leprechaun) per le ragazze, e a forma di pinta di Guinness per i maschietti. Foto davanti al nostro ormai affezionatissimo pub e poi tutti a preparasi per la serata. Dopo una doccia ed un po’ di relax vado al pub con Valentino per la prima pinta della serata. Stasera più che mai, il Temple Bar pullula di gente di ogni razza e provenienza; deve essere pieno di italiani perché al pub sento il mio vicino dire con la sua ragazza che sembra di essere a Little Italy. L’atmosfera dei pub irlandesi è fantastica, non è la classica “vetrina” dei belli come in Italia, qui il pub è più un vero luogo di ritrovo per chiacchierare con il vicino di sport, o cantare a squarciagola tra un sorso di birra e l’altro. La scelta del ristorante non delude nessuno, nemmeno Annalisa che finalmente può parlare anche con la cameriera. Il posto è come me lo ricordavo e la pizza ancora meglio! Dopo cena vasca e pub per bagnare con un brindisi la fine di un bellissimo viaggio. Domenica 13 maggio La sveglia suona alle quattro in punto. Anche se molto frastornati, raccogliamo le nostre ultime cose e scendiamo all’ingresso per incontrarci con i nostri compagni di viaggio. Ad attenderci in fondo alle scale c’è Annalisa seduta sui. Ha preso uno strappo alla schiena ed ora è dolorante ed incapace di muoversi. Si spara una bustina d’antidolorifico e mentre aspetta che faccia effetto Valentino chiama un taxi. Impotenti, ma legati al vincolo dell’orario, io e Chiara ci dirigiamo alla fermata dell’aircoach che ci porterà in Aeroporto. La condizione della gente che incrociamo per strada a quest’ora, rasenta l’inimmaginabile. La prima persona che ci si para davanti è un ragazzo che deve aver preso un bel destro sul naso visto che continua a pisciare sangue proprio da lì. Impassibili, proseguiamo il nostro breve tragitto. È freddo. Ci saranno sei o sette gradi. Vediamo pure due ragazze barcollanti che si sorreggono a vicenda e la cosa più preoccupante è che una di loro cammina completamente scalza su un marciapiede con vetri, immondizia e chiazze di vomito. C’è pure della gente che canta. Peccato non avere una telecamera, avrei girato uno spot per la campagna di sensibilizzazione contro l’abuso di alcol. Westmoreland street è un brulicare di gente e di taxi in continuo va e vieni. Aspettiamo il bus per oltre 40 minuti, e la fermata si arricchisce di gente che aspetta. Ad un certo punto si ferma un furgone taxi a dodici posti e chiede con noi e le altre persone alla fermata se vogliamo salire con lui. Visto l’orario accettiamo l’offerta e non siamo gli unici. Sette passeggeri più l’autista. Il conto è di sette euro a testa. All’aeroporto ci ritroviamo con Annalisa che sta notevolmente meglio e Valentino, poi check-in e tutti a bordo!