DA BELEM A MANAUS, nel Rio Delle Amazzoni

Dopo aver attraversato il Brasile da sud a nord, arrivo a Belem, capitale del Parà, città situata sulla foce del Rio Delle Amazzoni. E qui, così come la musica, cambiano anche, ancora una volta, i tratti somatici delle persone. Dopo il bianco sud e la nera Bahia, con tutte le sfumature intermedie, ora qui è maggiore la presenza india, e ciò...
Scritto da: Pietro
da belem a manaus, nel rio delle amazzoni
Partenza il: 17/04/2007
Ritorno il: 24/04/2007
Viaggiatori: da solo
Spesa: 500 €
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Dopo aver attraversato il Brasile da sud a nord, arrivo a Belem, capitale del Parà, città situata sulla foce del Rio Delle Amazzoni. E qui, così come la musica, cambiano anche, ancora una volta, i tratti somatici delle persone. Dopo il bianco sud e la nera Bahia, con tutte le sfumature intermedie, ora qui è maggiore la presenza india, e ciò si nota soprattutto dagli occhi quasi a mandorla di molti abitanti e dai capelli lisci come spaghetti, come a Bahia le ragazze sognano di avere (e a volte ottengono con costosi e talvolta pericolosi trattamenti). Bella questa varietà. Tanti stati, ognuno con forti caratteristiche proprie. Etnie, tradizioni, cultura, musica e comportamenti sociali sensibilmente differenti. Più che uno stato federale il Brasile si può assimilare ad un continente, ed infatti ha le stesse dimensioni, per esempio, dell’intera Europa.

Qui a Belem mi fermo un giorno solo, il tempo necessario per prepararmi alla risalita del fiume più grande del mondo in barca. Viaggio questo della durata di 5 giorni (ma io ce ne metterò 7!) che si fa con traghetti di varie grandezze, a seconda del giorno in cui si parte. Io parto di martedì e quindi mi tocca il “Nelio Correa”, uno dei più piccoli ma che, mi diranno poi, è il migliore per quanto riguarda la cucina a bordo. Necessario per il viaggio: biglietto, amaca e repellente insetti.

Biglietto: 160 R$ dormendo in amaca sul ponte, all’aperto, o 300 R$ dormendo in cabina con aria condizionata. Inizialmente pensavo di prendere la più comoda cabina, anche per paura di eventuali furti ai bagagli, ma poi ho scelto l’amaca che, dal mio punto di vista, è la scelta migliore. Non solo perché risvegliarsi la mattina e vedersi davanti la rigogliosa foresta amazzonica è ogni giorno uno spettacolo, ma anche perché lo stare appesi ad un’amaca a stretto contatto con i brasiliani (che appendevano le loro amache in ogni spazio libero) ha reso la vita a bordo di quei sette giorni più movimentata e interessante. In breve tempo infatti ci si conosceva quasi tutti e si passava il tempo assieme. Questo mezzo di trasporto è utilizzato dal ceto basso/popolare brasiliano (quello più interessante e divertente!), mentre il ceto medio e alto a Manaus ci va in aereo, che costa poco di più e ci impiega poche ore anziché 5 giorni.

Amaca: comprata al mercato, una delle più economiche, tanto mi serviva solo per quei pochi giorni: 20 R$ (7 €).

Vaccini: non necessari. A Belem sono andato in una farmacia e la commessa, ragazza di Manaus che ha attraversato il fiume tante volte, mi ha detto che non c’era il pericolo di malaria e che bastava un semplice repellente. E quindi se già ero poco propenso a fare la profilassi, dopo ne ero più che certo. A bordo poi ho chiesto qui e là. Brasiliani: nessuno ne ha mai fatto. Turisti stranieri: quasi tutti l’avevano fatta, con grande gioia delle case farmaceutiche europee. Comprate il Lariam, comprate. In Brasile ora è più pericolosa la Dengue, malattia portata da un’altra zanzara per la quale non esiste profilassi o vaccino. Solo prevenzione. E quindi repellente e abiti lunghi la sera sono la soluzione più efficace.

  Nell’ostello di Belem ci siamo solo io e Bruce, un simpatico australiano sui 65 anni con il quale usciamo insieme l’unica notte passata a Belem. Simpatico perché, nonostante la sua età, fa le stesse cose che ho visto fare ad altri ragazzi australiani incontrati: beve birra ad una velocità tale che faccio fatica a stargli dietro, fa lunghi viaggi ogni anno e mi accenna anche alle sue avventure amorose in viaggio! E inoltre con Bruce prendiamo lo stesso traghetto per Manaus.

  Martedì 17, ore 17 (più un’ora e mezzo di ritardo): inizia una delle parti di questo giro del mondo da me più attese. Con Bruce saliamo a bordo del traghetto che ha due piani (più sotto la stiva) e montiamo le amache nel ponte più alto, dove la visuale è migliore (e dove c’è più aria). Mi fermo poi ad osservare come la barca viene caricata delle merci. Nessun muletto, tutto a mano con una catena umana di giovani brasiliani. Interessante notare come anche al lavoro i brasiliani giochino sempre. Si lanciano le scatole senza preoccuparsi troppo se l’altro è pronto a prenderle, anzi più vedono uno in difficoltà e più gliene tirano addosso! Infatti ogni tanto qualcuna cade a terra e si rompe, qualcuna cade su un piede, un grande bidone è addirittura caduto in acqua e affondato. Ma, dopo qualche risata, il lavoro proseguiva normale.

In barca ci sono anche due altri italiani e due spagnoli, oltre ad un gruppo di tedeschi assolutamente asociali, naturalmente alloggiati nelle cabine. I due italiani hanno lasciato il Bel Paese 5 anni fa e da allora lavorano per una parte dell’anno all’estero e viaggiano nella restante parte, finché durano i soldi. E poi da capo. La regola è sempre la stessa, già vista altre volte: lavorare nei paesi ricchi e viaggiare in quelli poveri.

La prima notte passa un po’ insonne, con tante contorsioni nella continua ricerca della posizione migliore, ma nelle restanti si dorme benissimo.

In barca ognuno passa il tempo come può: c’è chi dorme, chi prende il sole, chi gioca a domino, chi gioca con un pappagallo, chi con un porcellino d’India, chi beve, chi mangia, chi flirteggia, chi legge, chi guarda i video musicali al bar. Io conosco Laurene, una brasiliana che (come molti maranhensi periodicamente fanno) si sta trasferendo dal Maranhao in un altro stato, e passo il tempo con lei, oltre che con gli italiani, lo spagnolo e Bruce.

Ma soprattutto in barca si ammira quella opera d’arte della natura che è la foresta amazzonica: piante di ogni tipo, anche altissime, qualche scimmietta, uccelli, le liane di Tartan, qualcuno ha visto anche un cobra. E poi gli indios, a volte in riva al fiume vicino alle loro baracche e a volte in canoa, che si avvicinavano al traghetto per farsi lanciare offerte varie (soldi, cibo, vestiti). Alcuni invece si avvicinavano di più, “abbordavano” la nostra barca con un gancio, fissavano bene la loro canoa e poi si arrampicavano e salivano a bordo per vendere frutta strana, manufatti o cibi vari. Io gli compro sei banane per mezzo real (20 centesimi/euro) e due specie di fave grandi i cui semi si succhiano. Il nome del frutto è irripetibile.

Era un po’ triste vedere quelle piccole canoe a remi avvicinarsi al traghetto, con una giovane mamma che remava affannata per avvicinarsi il più possibile e i piccoli bambini dentro che salutavano i turisti in maniera meccanica, in quello che per loro era diventato un vero e proprio lavoro quotidiano: avvicinarsi alla barca per chiedere offerte. E i bambini servivano a quello, chi ne aveva in barca infatti riceveva più offerte (tipico esempio questo di marketing indios!). Altro che andare a pescare o coltivare yucca! Il secondo giorno l’imprevisto, che però in Brasile non è molto imprevisto (mi è successo un’altra volta): si rompe uno dei due motori, e quindi la velocità diminuisce.. Si prevedono quindi due giorni di viaggio in più, 7 anziché 5. Ok! E chi ha fretta? Si sta così bene qui, oggi poi che c’è un bel sole forte hanno aperto quattro grandi docce sul ponte aperto e ci si può bagnare, proprio in un punto poi in cui siamo vicinissimi alla riva, e quindi agli alti alberi della foresta.

E’ stato questo uno dei momenti più piacevoli di tutto il mio viaggio: sole, acqua fresca, natura, due simpatici amici italiani, le amiche brasiliane, cosa si vuole di più? E pensare che alcuni stranieri incontrati in precedenza in viaggio erano spaventati di trascorrere 5 giorni in barca, pensando fosse noiosissimo, e hanno preferito viaggiare in aereo fino a Manaus, spendendo di più ma soprattutto perdendosi questo angolo di mondo. Il tutto a 160 R$ per 5 giorni, quindi 12 euro al giorno, vitto e alloggio compreso. Quindi meno anche di stare fermi in una città qualsiasi del Brasile.

  Poi c’è la musica. A bordo, dalle 9 del mattino (ci si sveglia alle 7) fino a mezzanotte, c’è sempre musica ad altissimo volume. Poca samba, poco axè, tantissima brega, la musica tipica del Parà da dove siamo partiti. Ma ormai qui in Brasile la musica si ascolta sempre dai DVD, con quindi anche le immagini dei concerti dei cantanti. La cosa curiosa è che, a parte i testi delle canzoni che parlano esplicitamente (non vaghe allusioni) di sesso, le immagini sono più da spettacolo erotico che da concerto musicale. Frequenti e prolungati primi piani dei cameraman sulle parti intime delle ballerine e movimenti di queste ultime più da lap dance che da balletto, con a volte anche la sculacciata finale! La Chiesa Evangelica, molto diffusa in Brasile, ha espressamente vietato ai suoi adepti di andare a ballare o ascoltare questa musica, proprio per i testi “sconci”. Un brasiliano un giorno mi ha detto:”Testi intelligenti non vendono in Brasile!”. 🙂   L’acqua a bordo. In barca, l’acqua marroncina che usciva dai rubinetti e dalle docce proveniva dalla stessa fonte: il fiume! Quindi posso dire di aver fatto il bagno nel Rio Delle Amazzoni, visto che mi son fatto la doccia e lavato i denti con quell’acqua. Sarà per questo, per il cibo o chissachè, comunque ogni giorno qualcuno non stava bene, e un giorno quindi è toccato anche a me. Febbre e mal di stomaco, ma con un’aspirina e una bella dormita notturno tutto passa.

  Gli ultimi giorni a bordo. A metà percorso, Santarem, tutti gli altri turisti scendono, compresi gli amici italiani, spagnoli e Bruce. Rimango così l’unico “gringo” a bordo. In compenso però aumenta la percentuale femminile, visto che sia lì che in alcune fermate successive salgono diverse ragazze. E così un po’ per questo motivo e un po’ perche’ 7 giorni in barca sono lunghi, se i primi giorni ci sono stati solo modesti attacchi dei sempre smaliziati ragazzi brasiliani alle fanciulle, gli ultimi giorni (e notti) c’è stato un vero e proprio “arrembaggio”, tanto che in poche si son salvate (fra le single, anzi fra le non accompagnate, “single” non significa nulla qui). Uomini italiani: se avete una moglie o fidanzata brasiliana non mandatela mai da sola in barca sul Rio Delle Amazzoni. Donne italiane: idem per voi se avete l’homo brasiliano. Anche il capitano, un attempato signore sulla sessantina, ci si è tuffato in mezzo, passando la notte con una passeggera, secondo le ben informate “vedette” della barca. Qui infatti tutti sanno tutto di tutti, però due donne in particolare sono sempre attente e “fofochere” (slang brasiliano che significa “pettegole”), che poi sono quelle che ne combinano di più. Fatto sta che il giorno dopo la notte focosa del capitano, quando scende il buio… ci incagliamo! Nonostante siamo in un punto larghissimo del fiume, ad un certo punto vedo che tanti si avvicinano di corsa al lato destro della barca. Vado anch’io e vedo che stiamo puntando dritti verso la foresta. Devo dire che è stato abbastanza impressionante vedere la nave avvicinarsi sempre più alla terra, tanto che quando mancavano pochi metri allo scontro mi sono ancorato bene alla ringhiera, temendo il peggio. Per fortuna però il fondo era sabbioso e l’incagliamento è stato morbido. E dopo via alle battute sul capitano, che in quel momento dirigeva la barca, sul fatto che forse si era addormentato sul timone per la stanchezza! Nazarè Una delle cose che mi ha colpito di più è stato il vedere, fra le capanne e baracche di indios che ogni tanto si vedevano vicino al fiume, qualche parabola tv! Ma come, la televisione anche qui? Addio cultura indigena in quella zona. Il vedere una parabola che spunta fra gli alberi mi fa venire in mente quelle bombe al napalm che scendevano nelle verdi foreste del Vietnam negli anni 70. Cultura distrutta nel raggio di centinaia di metri. Proprio da poco ho letto in un quotidiano di un film che stanno girando ora nella foresta amazzonica, che riguarda proprio la distruzione culturale dell’Amazzonia. Quando si parla di Amazzonia infatti si pensa sempre alla distruzione della foresta, e quasi nessuno pensa invece alla distruzione della sua cultura, fra villaggi che si svuotano perché i giovani vanno in città, alberi che diminuscono sempre più e, aggiungo ora io, televisione che si diffonde dappertutto. Come la peste. Perché se nei villaggi per centinaia di anni da padre in figlio si sono tramandati una cultura di pace e di armonia con la natura, ora succede che i figli accendono la tv e si vedono, che so, una film d’azione americano carico di violenza e morte, oppure vedono una telenovele brasiliana dove sono tutti ricchi e felici, e lasciano il loro paesino di povere baracche per andare a vivere anche loro così. Come Nazarè. Chi è Nazarè? Un giorno, da una fermata intermedia, sale in barca una ragazza sola. Molto bella, corpo strepitoso, rimane però sempre seria e non socializza quasi con nessuno. Insomma, sembra “se la tiri” come fanno normalmente in Italia le ragazze carine (e spesso anche le meno carine!). Solo che se in Italia appunto è normale, qui in Brasile è completamente fuori luogo. E siccome è un atteggiamento a me odioso, per i tre giorni che rimane in barca la ignoro completamente.

Ma, l’ultimo giorno, la vedo sola (come al solito) nel bordo della barca e mi avvicino a parlarci. 22 anni, ha sempre vissuto in mezzo alla foresta in un piccolo villaggetto di case sparse, distanti 1 km (di foresta) l’una dall’altra. Quindi molto isolata. Nessun bar, no cinema, no discoteca, la scuola era molto lontana e la frequentò fino alla 5 elementare (che in Brasile vale meno della nostra 1 elementare). Niente tv, tranne da una vicina che da non molti anni l’ha comprata, e che quindi ogni tanto anche lei andava a guardare. Periodicamente andava in un paese più grande a fare rifornimenti, ma rientrava sempre in giornata. Unico contatto con il mondo più moderno.

Mi racconta di un giorno che si ritrova, nella foresta, davanti ad un pericolosissimo cobra che la sta per attaccare, ma che riesce con un bastone ad ammazzare. O di un’altra volta che ha messo il piede nudo su uno scorpione, dentro casa, e ha rischiato di morire. Insomma, forse normale routine da foresta per lei, ma io rimango incantato dai suoi racconti. Mentre parla abbassa spesso lo sguardo, o la testa, e mi accorgo che è molto timida, non presuntuosa come mi sembrava. Ora sta andando nella grande città di cui aveva sentito parlare, Manaus, “… a conoscere il mondo”, mi dice. Se le piacerà ci resta, se no se ne torna nella foresta dove è nata. Ha con sé una scatola di cartone legata con lo spago e una borsa di tela.

Buona fortuna Nazarè!   Caspita, questo sì che è un cambiamento di vita radicale! Dalla foresta con le baracche ad una metropoli da 1.400.000 abitanti! Altro che i cento dubbi che, a volte, ho letto in alcune mail arrivatemi, del tipo “Ah, anche a me piacerebbe tanto viaggiare, ma… ma… “. Volete andare ora a comprare questo benedetto biglietto? Guardate l’esempio di Nazarè!   Ps: con Nazarè non finirà qui, la incontrerò di nuovo a Manaus, una settimana dopo, e mi riserverà altre sorprese ancora più sconvolgenti! Finisce così, dopo 7 giorni, questo fantastico viaggio sul fiume più grande del pianeta ma soprattutto in mezzo all’ancor più grande mare di umanità dei brasiliani presenti sulla barca. Uno dei momenti più belli di tutto il mio giro del mondo! Ciao! Pietro www.Travelbaila.It



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