Cuba, isola di contraddizioni
Dici Cuba e pensi alle spiagge bianche, alle palme e al mare azzurro; al rum, ai mojitos e ai sigari; a ragazze bellissime e ragazzi dai sorrisi splendenti. Cuba, con il suo calore, la musica e la voglia di vivere, l’isola che rappresenta i Caraibi.
Ma sarebbe troppo semplice liquidare così questo stato. E’ una medaglia dalla doppia faccia, una realtà complessa e contraddittoria dove, sotto lo splendore dell’ambito turistico, si lotta per arrivare a fine mese ed occorre arrangiarsi. Se si esce dai percorsi studiati e dalle strutture in cui trascorriamo le vacanze, ci si rende conto di quante poche macchine girino per strada, a che anni risalgano (sembrano quelle usate nei film sui gangster degli anni 30…) e in che condizioni siano. Dove quasi tutti girano in bicicletta o su carretti tirati da asini o muli, e se non hai neanche quelli ti metti sul bordo della strada chiedendo un passaggio alle auto che passano, indicando la direzione in cui devi andare. E siccome le auto sono comunque di proprietà dello stato, prima o poi qualcuno che abbia posto libero sarà obbligato a tirarti su, magari per sistemarti sul cassone del camion che borbottando nella sua nuvola di gas di scarico si rimetterà in moto facendo slalom tra le grandi buche del manto stradale.
L’arte di arrangiarsi, come dicevo. L’arte di aver imparato, o non aver dimenticato, come riparare e far funzionare quasi tutto. Nelle rare officine automeccaniche vedi solamente auto a noleggio (leggasi: di turisti) o rarissimi modelli più o meno recenti, di importazione. Nelle case e nei ristoranti, i fili elettrici pendono sotto il peso di metri di nastro isolante usato per ripararli, nel rispetto di ogni legge di sicurezza. Qui la moneta è doppia: il Cuc, o Pesos Convertibile, che è riservato quasi esclusivamente ai turisti e alle strutture turistiche, ed il Pesos, utilizzato dalla popolazione. Se calcolate che il Cuc vale circa 25 volte il Pesos, e che un medico specializzato guadagna circa 35 Cuc al mese (30 euro circa), iniziate ad intuire quale sia il livello di vita generale. Certo le spese sono proporzionate ed in un “paladar” (ristorante privato statale) di Santa Clara abbiamo pagato, in due persone, circa 8 Cuc, 210 Pesos. Pochissimo. Ma rapportate questa spesa ad uno stipendio mensile medio e si intuirà perchè, piuttosto, la gente dei piccoli paesi affolli in caso di necessità il chioschetto di lamiera che trovi a bordo strada e dove, in condizioni igieniche per noi scandalose, a pochi Pesos ti possano preparare un panino con Perro Caldo (…tre giorni per capire che si tratta della trasposizione spagnola dell’Hot Dog…) o una pizza calda, molto diversa dalla nostra, bevendo un bicchiere di qualcosa di colorato versato da una bottiglia di plastica che ha visto diverse stagioni. Confesso: non mi sono spinto al punto di assaggiare anche le bevande, se non in lattina.
Un paese a due ricchezze, a due velocità e a due facce, come dicevo: tutto quello che riguarda il turismo è (quasi) efficiente e funzionale (provate a spedire una cartolina da Cinfuegos e provate a spedirla da Varadero. Quella da Cinfuegos dovrà essere recapitata all’Avana e da lì, poi, inoltrata verso l’Italia. Quella da Varadero partirà direttamente, il giorno dopo), mentre al resto apparentemente non si pensa.
Metto subito le mani avanti: non mi occupo di politica e non intendo fare polemiche su argomenti così complessi e lontani da noi da essere quasi incomprensibili. Le discussioni sui grandi sistemi non toccano me, così come non toccano i magri contadini che dal bordo delle strade ti mostrano le forme di formaggio che hanno prodotto e che cercano di vendere a chi passi.
Mi scuso anzi per l’ampiezza di questo cappello introduttivo, ma questa non è stata solo una vacanza. E’ stata una vera e propria esperienza alla quale non ero preparato fino in fondo. E’ una cronaca, un po’ malinconica qua e là, che ho iniziato a scrivere seduto su un marciapiede di Trinidad, con due bambine, le nipoti dei padroni di casa, che aiutano Daniele a giocare ad un gioco sul cellulare; due anziani, a sinistra, si raccontano la propria giornata fumando una sigaretta. Dall’altra parte della strada, un cane con le costole perfettamente visibili vicino ad una vecchia Ford rossa posteggiata proprio vicino al buco che, alla mattina, un uomo ha aperto nella strada per cercare di sistemare un tubo. L’iniziativa personale è una ricchezza, ho letto su un cartellone propagandistico affisso ai bordi delle strade. Ecco: abbiamo potuto toccare con mano cosa voglia dire dover far conto unicamente sull’iniziativa personale per poter andare avanti.
Partenza a novembre, arriviamo a Cuba verso le 19 di sabato 3 novembre. Sono quattro anni che aspettiamo questo momento. Superiamo i severi controlli d’ingresso (dogana, con foto identificativa annessa, e controlli con il metal detector, vuoi mai che sbarchi dall’aereo con una bomba nascosta sotto i vestiti). Dopo tante ore di volo la cosa risulta abbastanza snervante, specie perchè il tutto avviene con una calma ed una lentezza esasperanti, sono solamente due i box funzionanti e la coda è ovviamente impressionante. Ma scopriremo che la fretta va lasciata dall’altra parte dell’oceano, se si vuole vivere bene.
Saliamo a bordo del taxi prenotato mediante l’agenzia prima di partire e arriviamo alla nostra destinazione, l’hotel Havana Libra, gloriosa struttura requisita dai ribelli pochi mesi dopo la sua costruzione ed usata da Fidel Castro come iniziale quartier generale. L’hotel è praticamente nello stesso stato dell’epoca: ascensori cigolanti e lenti, moquette macchiata, porta del bagno deformata dall’umidità. Le camere in compenso sono piazze d’armi così come i letti. Cena e a dormire, visto che in Italia sarebbero circa le due della mattina e noi siamo in viaggio dalle sette della mattina del giorno prima. Un primo assaggio di quello che sarà una costante: in ogni locale ogni sera c’è musica dal vivo. I musicisti poi passano per proporti di acquistare il CD (ovviamente masterizzato) o per chiedere un’offerta.
Mattina, trasferimento in taxi alla casa particular prenotata dall’Italia (Sergio y Miriam, molto consigliata). Il tassista (che ne approfitterà per chiederci 10 Cuc al posto dei 5 che sarebbe costata la corsa…contrattare sempre e comunque, e prima!) ci porta a destinazione e ci chiede se siamo sicuri della meta. La strada infatti è piena di edifici mezzi demoliti, ha un’aria molto da bronx ai nostri occhi e appare piena di persone a zonzo che ci guardano. Non è l’impatto migliore con la capitale.
Scopriremo poi che in realtà siamo in un punto strategico della città vecchia: da Calle Luz si arriva alle quattro piazze principali con un cammino di un quarto d’ora circa, mentre per il Capidoglio e la zona centrale occorre anche meno. E capiremo che quell’aspetto di abbandono riguarda buona parte del centro storico: si sta lavorando al restauro dei palazzi, ma è un lavoro lungo. Spiccano gli edifici già sistemati: quando tutto sarà concluso, la parte vecchia risalterà come vero gioiello. E’ pieno di chiese e di conventi, tutti però chiusi o non visitabili al momento.
Le strade sono piene di negozietti, mercatini locali, musica e di persone in giro che partono all’assalto del turista. Non sono veniamo identificati quasi subito come italiani (hanno un radar?), ma parte anche quella che sarà la litania costante: Sigari? Taxi? Rum? Donne? (ebbene sì. Non solo le adolescenti ti si approcciano in maniera abbastanza esplicita, ma ti vengono anche proposte). La novità fa posto all’irritazione che cresce esponenzialmente man mano che capisco le piccole fregature che ci stanno capitando: da quelli che ti vogliono a tutti i costi trascinare a vedere la casa della madre di Castro, dove oggi si beve il miglior daiquiri di Cuba (credo che abbiano delle ricompense se portano i turisti) alla coppia che con la scusa di aiutarci a girare il centro ne approfitta per “scroccarci” l’acquisto di latte in polvere, che per loro costa molto. Dalla guardia privata che ci accompagna gentilmente fino alla CadeCa (Casa del Cambio) per cambiare i soldi in Cuc (e contestualmente ci chiede una sigaretta e un’offerta) a chi ti si appiccica chiacchierando e che non riesci più a schiodarti di torno in nessuno modo. Daniele è più distaccato di me, che invece contribuisco con involontaria beneficienza fino a scoppiare. Salvo poi capire che non devo arrabbiarmi: aria allegra, un bel sorriso ed i rifiuti a tutte le offerte vengono presi molto meglio.
Mi rimarrà però il dubbio se le persone che mi parlano per strada siano cordiali di loro o se abbiano sempre un secondo fine.
Non mi soffermo molto sulla descrizione dei monumenti o di quello che abbiamo visto nelle singole città. Una buona guida vi fornisce ogni genere di dettaglio al riguardo. Sottolineo solo una bella gita di mezza giornata che abbiamo compiuto sull’altro versante della baia, a visitare i due castelli costruiti a difesa della città (dal faro del primo si ha una vista sull’Avana che non si può immaginare) e a vedere la grande statua del Cristo che guarda verso il Malecon (il lungomare).
Per arrivarci proviamo l’esperienza dei mezzi locali, che si pagano in Pesos, il denaro del popolo. Il consiglio è quello di procurarsi alle CadeCa anche un po’ di Pesos, non solo per queste casistiche, ma anche per fare spese ai tipici mercatini popolari o semplicemente per comprare un po’ di frutta presso gli ambulanti per strada.
L’autobus che prendiamo all’andata è un incubo di gente compressa. La fermata è a richiesta: quando è ora, qualcuno lancia un grido e l’autista si ferma. Non conoscendo il meccanismo, noi saremmo rimasti su fino al capolinea, immagino…
Al ritorno invece prendiamo il traghetto che attraversa la baia. Non ci sono indicazioni di nessun tipo che indichino da che parte andare verso il molo, un passante ci spiega che vicino alla statua c’è il sentiero che scende e che non avremmo mai trovato da soli.
Attraversiamo una zona di case abbarbicate sul pendio che degrada verso la baia, povere case di due o tre stanze al massimo, con una gallina che razzola nel minuscolo cortile.
E’ l’occasione per regalare un giocattolino ad un bambino che incrociamo con la madre.
(ci è stato suggerito alla partenza e lo riporto volentieri: fate scorta, se avete piacere, di giocattoli, penne, quaderni, saponi. Non servono grandi cose, ma hanno bisogno di tutto. E vedere come sorride felice un bambino al quale hai appena regalato una penna è una cosa che non si può immaginare).
Il viaggio costa 2 Pesos a testa (saranno 10 cent credo..) e si svolge su una baracca fatiscente che ti chiedi come possa riuscire a manovrare in mezzo a quelle acque iridescenti. Ma ci riesce, portando avanti e indietro stanchi lavoratori.
Decidiamo di lasciare, dopo due giorni, l’Avana e i gas di scarico eruttati dagli enormi tubi di scarico delle vecchie macchine. In due giorni siamo riusciti a visitare tutta la parte storica ed il centro vero e proprio. Andiamo a ritirare l’auto che abbiamo prenotato dall’Italia per partire alla volta del mar dei Caraibi. Prima sorpresa: la macchina è piccola, nel bagagliaio non ci stanno le due nostre valige e dovremo viaggiare con una sul sedile posteriore. Peccato, questo ci impedirà delle soste per strada, dal momento che Sergio ci consiglia di non lasciare mai roba in macchina, per evitare brutte sorprese (la facile risposta è che a Milano è la stessa cosa…)
Se dovete noleggiare un’auto spendete un po’ di più e prendetene una di classe A.
Seconda sorpresa: paghiamo 45 Cuc di benzina. In pratica, siccome la macchina ha il pieno, allora dobbiamo pagarlo. Sconcertati proviamo a discutere ma la cosa sembra pacifica. Paghiamo, riservandoci di approfondire la cosa.
Le strade nazionali non sono meglio di quelle del centro dell’Avana. Carretti, biciclette e buche rendono necessaria la concentrazione costante. Mancano buona parte dei cartelli: ci verrà spiegato che è il risultato dei danni dell’uragano del 2008 che ha in pratica attraversato l’intera isola portando via tutto sulla sua strada.
Comunque, tempo un paio d’ore e siamo a Playa Larga, a metà pomeriggio. E’ un villaggio piccolo, costruito sulla strada che porta verso la parte sud della Penisola Zapata. Il nostro primo assaggio del Mar dei Caraibi non è esaltante: non piove più (la pioggia sarà purtroppo molto presente nelle nostre ferie) ma il cielo è grigio e pesante. Ci sistemiamo presso l’Hostal Mayito (consigliato da Sergio dell’Avana e che consiglio anche se non è riportato sulla Lonely) e comunque scendiamo in spiaggia usando uno stretto passaggio intorno alle case, disposte su due file, una sulla strada principale, una su una stradina interna che versa in condizioni pietose, percorsa dai venditori ambulanti di cipolle che lanciano i loro richiami.
L’acqua del mare è per fortuna calda e si sta bene in spiaggia. Ci tiriamo via di dosso il caldo umido che ci ha attanagliati tutto il giorno e poi via a cena, che ci viene servita stile ristorante sulla bella terrazza del primo piano, vista baia. Mario (o meglio Mayito, Mariettino in italiano) organizza gite di birdwatching e uscite di snorkelling, con successiva grigliata in spiaggia (15 Cuc a testa per quest’ultima attività, ci fa vedere le foto di precedenti escursioni e la cosa sembra davvero molto ben organizzata). Le previsioni del tempo però ci confermano che anche l’indomani non sarà bello, per cui siamo costretti nostro malgrado a declinare.
In effetti, la mattina del martedì si presenta carica di nuvole. Approfittiamo di qualche comparsa di sole per stare un po’ in spiaggia. Quando il cielo si chiude definitivamente è quasi ora di pranzo e così decidiamo di partire verso Cienfuegos, continuando sulla strada che costeggia la penisola.
Malediciamo la valigia sul sedile posteriore quando passiamo vicino alla Cueva de los Peces, una sorta di lago in mezzo alle rocce in cui si può fare il bagno e si può fare snorkelling (ma d’altra parte non è che il livello di sicurezza del parcheggio sia tale da permetterci di lasciare la macchina con tutto quanto a bordo e visibile); malediciamo il tempo vedendo gli splendidi scorci del mar del Caraibi tra le radure dell’ampia vegetazione della Penisola; siamo costretti a tirare dritto davanti a Playa Giron e a Caleta Buena, due belle spiagge turistiche. L’umore insomma non è dei migliori quando arriviamo a Cienfuegos, a metà pomeriggio (sono circa due ore di auto andando con calma)
Anche questa città presenta, come la parte vecchia dell’Avana, un sistema di strade molto schematico, con incroci a scacchiera tra le Avenue e le Calli. Un sistema che ricorda insomma la battaglia navale: basta avere le coordinate e trovi facilmente i posti.
Appena entrati a Cienfuegos veniamo letteralmente assaliti dagli jineteros, i procacciatori di case, che si spostano veloci in bicicletta e cercano di bloccarti, incuranti del rischio di essere investiti.
Ci seguono come una nuvola fastidiosa mentre cerchiamo casa a Punta Gorda, il quartiere dove vivevano i ricchi, poco fuori dal centro e vicino al mare. Quando entriamo in un bar per poter stare tranquilli e consultare la guida senza nessuno che bussi sui finestrini dell’auto, restano fuori a sorvegliarci dalla vetrina.
Ci rifugiamo, letteralmente, a Villa Nelly, casa particular consigliata dalla Lonely e sconsigliata da noi. Non tanto per il posto, molto carino e con un bel giardino dietro, quanto per la camera (affacciata sulla strada e rumorosa, con arredamenti piuttosto vetusti) e per la signora, che ci spiega chiaramente come il costo della colazione sia variabile: sulla base di quanto mangiamo. Non vorrebbe neppure darci la chiave della camera….ma almeno su questo la spuntiamo.
Facciamo un giro del centro che francamente presenta poche cose da vedere. Tutta la vita si sviluppa intorno al Bulevar (calle 54) dove ci sono dei negozi, ed il parco centrale, Josè Martì, caratteristico nella luce del tardo pomeriggio. E’ pieno di gente, bambini che giocano (e ai quali facciamo qualche altro regalo, ringraziati da un vecchietto che ci guardava da una panchina) e famiglie a passeggio. Qua un altro anziano cerca ovviamente di approfittare di noi: con la scusa di chiacchierare si siede vicino, ci racconta di quanto abbia fare e gli vadano male le cose, rifiuta la moneta da 50 cent di Cuc che gli vorrei dare perchè, con la scusa di un libro sulla rivoluzione che desidera regalarmi, vorrebbe in pratica tirare su 5 Cuc.
Peccato che ormai siamo pratici della cosa. Gli va male su tutta la linea: restituiamo il libro, ce ne andiamo e quando ci ripensa e mi dice che anche i 50 cent andrebbero bene faccio finta di non sentire. Se stai davvero così male, non rifiuti nessun aiuto perchè ti sembra troppo poco, penso.
Ad un bar dove ci sediamo a bere veniamo abbordati da un uomo che lavora per un’agenzia turistica italiana e che passa mezz’ora a vantarsi di come gli vadano bene le cose: grazie ad un sistema di mazzette ai doganieri locali e ad un carabiniere, riuscirebbe a passare i controlli a Cuba e a Malpensa, importando in Italia corallo nero e sigari, ed importando a Cuba smartphone, computer e altre merci, passando il tempo libero con le numerose amanti che lo aspettano da una parte e dell’altra dell’oceano. E’ con fatica che riusciamo a togliercelo di dosso (a sentire lui, la nostra vita cubana sarebbe impossibile senza la sua presenza che procura automaticamente donne disponibili, sconti ai ristoranti -e a proposito ce n’è uno qua dietro dove mi conoscono, ragazzi, dopo vi ci porto e mangiate lì!- e pure sulla benzina…) e a scappare.
Cena al Paladar Criollito, citata dalla Lonely e soprattutto distante dal faccendiere, e poi ritorno a casa dove la proprietaria sembra perplessa dal fatto che non vogliamo fare una passeggiata serale.
Al risveglio di mercoledì, il tempo è ancora incerto ma non piove. In un paio d’ore raggiungiamo El Nicho, un parco naturale con una serie di cascate e di vasche naturali in cui si può fare il bagno. Imperdibile per la bellezza del paesaggio e la vista che dall’alto spazia sulle montagne circostanti.
Ovviamente la strada per arrivarci è in condizioni pietose e passa attraverso due paesini poverissimi dove i bambini ci guardano passare salutandoci con la mano.
Dimenticavo: anche i benzinai ti imbrogliano, se non stai attento. Le stazioni di servizio sono poche e dove ci fermiamo a fare il pieno ci fanno parlare, ci chiedono dove siamo diretti…distraendoci e impedendoci di guardare il display. Quando entro a pagare e mi chiedono 38 Cuc per mezzo serbatoio mi rendo conto che c’è qualcosa che non va (visto che avevamo pagato 45 Cuc per il pieno, all’Avana) ma stanno già servendo un altro cliente e quindi il display è stato azzerato.
Dopo la mattina trascorsa a El Nicho con relativo bagno nelle acque fresche ma non fredde, ritorno verso Cienfuegos e pomeriggio in spiaggia a Rancho Luna. E’ una penisola distante circa 15 chilometri dalla città, con delle belle spiagge da cartolina e dove ci si può sistemare sotto un ombrellone (gratuito) o una delle grandi mangrovie che crescono vicino all’acqua cristallina dei Caraibi.
Paghiamo 2 Cuc per lasciare l’auto nel parcheggio (uno spiazzo di terra), decliniamo gentilmente l’offerta di sdraio/cocktail/ragazze che l’addetto del parcheggio ci snocciola e ci rilassiamo al sole, con gli imperdibili cocktail a base di rum. A sera, prima del tramonto (causa presenza di pappataci, segnalati dalla Lonely), rientro verso Cienfuegos e cena al Paladar Archè, ristorante statale a tema nautico, straconsigliato (gentilissimi, buona cucina e in due abbiamo speso meno di 30 Cuc).
Declinato nuovo invito di una passeggiata serale, da parte della signora, e nanna.
L’indomani, nuovamente in spiaggia a goderci il sole che per fortuna ogni tanto si fa vedere, dopo di che rientriamo a casa, prendiamo i bagagli e partiamo verso Trinidad.
Un’ora di piacevole strada lungo la costa, che ci godiamo senza problemi (sono davvero poche le macchine che girano…) e siamo in vista del ponte che conduce all’entrata della città. La guida ci mette in guardia sull’aggressività degli jineteros locali, pertanto cerchiamo di capire, in anticipo, come dovremo muoverci nel centro città per trovare l’appartamento consigliato da Sergio.
Il tracciato stradale è identico a quello di Cienfuegos, con uno schema a scacchiera, pertanto entriamo determinati nel centro storico…e veniamo bloccati da una sbarra che una guardia manovra a richiesta. Il centro è chiuso al traffico (e, per fortuna, jineteros non se ne vedono proprio) e questo mi costringe a scendere per cercare la strada. La guardia mi chiede se abbia bisogno di aiuto ma diffido di tutti e gli rispondo nel mio personale spagnolo che abbiamo una prenotazione.
Non trovando la strada, torno alla macchina e sfogliando la Lonely mi rendo conto che una casa particular consigliata è a dieci metri da noi. Non hanno ovviamente posto ma stavolta, non so ancora bene perchè, presto ascolto alla signora che garbatamente mi chiede se abbia bisogno perchè ha una casa uguale e attualmente vuota.
Mando Daniele a vederla, quando mi dice che per lui è ok manovro e lo raggiungo.
Sarà la nostra miglior esperienza cubana. Riporto tutti i riferimenti perchè non viene citata sulle guide: Indipendencia (Nueva) 19, di fronte al terminal degli autobus, a cinque minuti dalla piazza principale. Il proprietario, Yudelvys Ruiz Castellanos, il classico gigante buono, si rivela essere una persona cortese, disponibile e gentile al punto di uscire ogni sera a comprarci il gelato.
15 Cuc a notte (metà rispetto ai prezzi dell’Avana, sono circa 12 euro in due) per la camera. E se non c’è l’intermediazione della sorella, la signora che mi ha abbordato per strada, la camera costa 10 Cuc. Mi lascia il numero di telefono, unico modo per poter prenotare (005352489745, cellulare). Le due cene, cucinate dalla moglie, sono assolutamente da fotografia: serviti di tutto punto nel portico coperto, che si affaccia sul cortiletto dietro casa, assaggiamo tra le altre cose un’aragosta pescata il giorno stesso e cucinata in maniera perfetta. La casa è grande e spaziosa, ma i proprietari, soprattutto, conoscono una persona che, girato l’angolo, ha un cortile privato dove ricoverare la macchina per tre Cuc al giorno. La cosa non è da sottovalutare, dal momento che le strade sono assolutamente strette e non ci sono parcheggi dove poter lasciare la macchina in tutta tranquillità. Così, questo signore si è inventato questo lavoro (e a sua volta si è dimostrato molto gentile con noi, dandoci indicazioni stradali e adattando i suoi orari ai nostri impegni).
Trinidad è una cittadina che colpisce, non solo e non tanto per il fatto di essersi conservata in piena atmosfera coloniale (strade appunto strette, lastricate con pietre, case coloratissime, conventi bianchi…), quanto per l’aria che vi si respira. A pochi chilometri dal mare ma già quasi immersa nella collina, ha un centro storico carino, magari non imperdibile, che però colpisce per l’allegria e la tranquillità che si percepisce. A sera, tutto il paese si riversa nella calle a fianco della chiesa principale per i concerti dal vivo che si tengono nel locale attiguo. Vi assistono tutti e tutta la via si trova prima o poi a ballare la salsa, sia chi ha i soldi per sedersi ai tavolini e ordinare da bere, sia chi arriva e resta in piedi a guardare da semplice spettatore. I camerieri vigilano sui turisti (ancora adesso non so cosa volesse il tipo ubriaco che ci ha detto qualcosa e poi ha annunciato solennemente che sarebbe andato a vuotare la vescica, prima di tornare. Vogliamo ricordarlo così, visto che una specie di armadio in divisa se l’è preso da parte, gli ha parlato un istante e lo ha fatto volatilizzare….) e ci si sente come parte di un unico insieme.
Ripeto, quella di Trinidad è stata complessivamente la nostra esperienza più bella. Abbiamo avuto modo di incrociare cubani che tornavano a casa tenendo in mano una bistecca che si erano appena fatti tagliare dal macellaio all’angolo (senza carta, ovviamente…); ci siamo divertiti a fare spesa al supermarket locale dove abbiamo comprato il rum che ci avrebbe seguito in Italia e l’acqua ed i succhi di frutta per girare durante il giorno; abbiamo scoperto una pasticceria (Panetteria Dulcinea tra strada Gutierrez e Simon Bolivar) dove sedersi a bere un caffè quasi decente; abbiamo condiviso casa con tre spagnoli delleCanarie che si sono rivelati essere persone di piacevole compagnia.
E abbiamo potuto andare alla bellissima spiaggia di Playa Ancon, a dieci minuti di distanza in auto: per arrivarci bisogna passare attraverso una serie di lagune a livello della strada, posti incontaminati e dove i granchi rossi si riproducono (per strada è facile trovarne di spiaccicati o vederne qualcuno, vivo, che corre via verso il riparo). Il primo pomeriggio abbiamo fatto questa strada sotto uno scroscio d’acqua che è iniziato fuori Trinidad ed è finito prima dell’arrivo in spiaggia, con alle spalle un enorme arcobaleno che iniziava lì, a portata delle nostre dita, in mezzo alla laguna alle spalle della quale vedevamo Trinidad.
Ed è stato sempre lì che, un pomeriggio, abbiamo dato un passaggio ad un pescatore che di nascosto ci ha presi da parte per chiederci questo favore (è vietato avere contatti con i turisti). Quando abbiamo incrociato un poliziotto in moto si è buttato giù, sul sedile posteriore, nascosto. E tirandosi su ci ha detto una frase, in tono amaro, che mi si è impressa nella mente: “è complicato, vivere qui”.
Rimpiango ora di non aver comprato le conchiglie che vendeva, senza averne la licenza, per cercare di arrotondare il poco che prende pescando per i locali turistici della città.
Resta un giorno di “libertà”, prima di andare a Varadero per gli ultimi giorni di ozio completo. Lo dedichiamo arrivando a Santa Clara, la città dove Ernesto “Che” Guevara ottenne una clamorosa e decisiva vittoria, durante la rivoluzione, passando praticamente alla storia e facendo sì che questa diventasse la “sua” città.
Per arrivarci facciamo il giro lungo, andando a Sancti Spiritu e prendendo poi la strada principale che traversa l’isola, l’Autopista. Ci si può arrivare anche più rapidamente attraverso le montagne, ma l’uomo che custodisce l’auto ci spiega che la strada non è sicura e visto che la sera prima c’è stato un temporale molto forte decidiamo di non sperimentare se sia vero o meno.
Non c’è praticamente nulla da vedere, qua. Dopo un hamburger nel bar in piazza (l’hamburger più buono che abbia mai mangiato, che ci è costato neanche un euro), scopriamo che la fabbrica dei sigari ha orari diversi rispetto a quanto segnato sulla Lonely, la scarpinata fino al vagone ferroviario fuori città (il vagone di quel famoso treno attaccato dai ribelli) ci attrae poco e così arriviamo fino al mausoleo del Che, opera faraonica che spicca in mezzo ad un grande piazzale dominato dalla statua dell’eroe cubano.
Sotto la statua c’è un museo inneggiante alla sua figura e una specie di sacrario dove riposano i corpi di alcuni combattenti della rivoluzione.
Il personale presente si distingue per la sua maleducazione e per l’insofferenza che manifestano verso i turisti (“Sono italiani……” dice una delle due donne all’altra. E io chiedo se ci sia qualche problema, mentre entro nel museo) e l’atteggiamento quasi nazista che dimostrano imponendo il massimo silenzio e facendo togliere il berretto di fronte alle lapidi.
E io mi trovo a riflettere su quanto sarà costato costruire questa cattedrale nel deserto e se magari quei soldi non sarebbero stati meglio spesi se destinati alla riparazione delle strade o a dare ai contadini una casa migliore rispetto a quelle viste lungo la strada (catapecchie di due stanze con il tetto fatto di fronde di palma).
Tornando, abbiamo modo di ammirare i murales dipinti sulle facciate delle case, ce ne sono di geniali nel prendere in giro, satiricamente, la situazione politica mondiale. Passiamo un paio d’ore nella bella piazza centrale, piena di bambini e di famiglie; vorremmo prendere un gelato ma il gelataio può prendere solo Pesos e noi li abbiamo purtroppo finiti (5 Pesos a coppetta, praticamente 30 cent…)
Cena al ristorante statale El Alba dove si paga sia in Pesos che in Cuc ed è pertanto frequentato soprattutto da locali, che si avvalgono anche dei servizi da asporto. E’ qui che, dopo\ una pantagruelica cena, verifico lo scontrino perchè ho l’impressione che il cameriere abbia sbagliato i conti: in due ci arriva un conto di circa 210 Pesos, poco più di otto Cuc. Il conto è invece corretto.
Mi trovo quindi a consigliarlo a chiunque!
E l’indomani si riparte verso Varadero, dove consegnamo la macchina con metà serbatoio vuoto, visto che abbiamo già pagato il pieno al ritiro.
Sono personalmente pronto alla guerra, nel caso di problemi. Ed invece, con l’approssimazione e l’indolenza che abbiamo già notato in altre circostanze (Daniele, al ritorno, ha passato i controlli in aeroporto con una bottiglia d’acqua da litro e mezzo nello zaino, senza che nessuno se ne accorgesse….), mi fanno firmare il modulo di consegna e ci accompagnano all’albergo. Avrei potuto restituire quell’auto a pezzi e nessuno avrebbe fatto una piega. Non l’hanno neanche guardata.
Sull’esperienza di Varadero non dico nulla. Siamo stati fortunati perchè eravamo in una struttura all inclusive nella quale abbiamo potuto trascorrere il tempo in qualche modo, dal momento che fuori pioveva. Ma se ci si limita ad andare in vacanza in qualche struttura simile, aggregandosi magari alle gite organizzate che in giornata ti portano a visitare le città o le spiagge più belle, non si conosce davvero Cuba. Non è la realtà delle cose, quella. Non si può capire cosa sia veramente l’isola limitando i propri rapporti ai locali assunti come camerieri o per l’animazione interna. Si rischia di vivere un riflesso della realtà, come del resto credo che succeda in tante zone della Terra.
Noi avremmo volentieri approfittato delle gite per vedere la barriera corallina, volare a Cayo Largo, goderci una giornata a Cayo Coco, ma la pioggia e il mare mosso non ci hanno aiutati.
Vorrà dire che torneremo, magari visitando quella parte orientale che ci dicono essere bellissima e ancora poco conosciuta. Per finire di visitare un’isola rimasta cristallizzata nel tempo, dove gli abitanti si adattano alle circostanze, imparano a sopravvivere con il poco che hanno e riescono a non perdere mai il loro sorriso e la loro allegria.
Dove il sistema scolastico è gratuito e aperto a tutti, dove lo stato ti fa laureare senza chiederti un soldo: in cambio, a laurea conseguita, lavorerai gratuitamente per due anni in qualche struttura,maturando quindi anche quell’esperienza lavorativa che i nostri laureati, invece, non riescono a conseguire.
Dove tante sono le contraddizioni e le cose che si possono imparare, se si aprono gli occhi e non si giudica a priori. Noi abbiamo cercato di portarci indietro il sorriso ed il calore di quel posto, oltre ai suoi sigari e al suo rum.
Torno a scusarmi per la lunghezza del racconto. Spero che possa essere di aiuto, non solo a chi abbia in programma di andare a Cuba, ma anche a chi abbia solamente piacere di capire come sia possibile che un viaggio, pensato come una semplice vacanza, possa trasformarsi in un confronto a volte difficile ma che riesce ad insegnare e a far cambiare.