Corsica on the Road
Preparazione al viaggio
Milano, Roma, Salerno. Le tre città da cui pianificavamo il viaggio, tre amici, tre idee, una destinazione. La Corsica, terra selvaggia, mare e montagna. Estate, già arrivata nel mese di giugno, afa, calore torrido, aria irrespirabile lungo le strade della città meneghina. E la sera, al fresco del ventilatore, con Skype sul tablet e continue ricerche su Google dal computer, tutti e tre pianificavamo il viaggio.
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Porto di partenza? Porto d’arrivo? Decidemmo, per comodità, la partenza da Livorno (io sarei tornato qualche giorno prima a casa, ad Avellino. Caricata la valigia, recuperato Alfonso, in discesa da Roma, avremmo preso la strada per Roma e poi per Livorno). Arrivo in Corsica a Bastia. Angelo ci avrebbe raggiunto qualche giorno dopo, le ferie, per lui, erano cosa dura.
Nessun programma definito, solo una traccia: seguire la strada costiera, in senso antiorario. Partenza e arrivo a Bastia. Cosa fare e vedere di preciso, sarebbe venuto fuori strada facendo, tra internet e consigli delle persone incontrate lungo la strada. E così facemmo. Prenotato il traghetto, scelta la macchina. Prima notte organizzata, subito fuori Bastia. Air B&B di supporto. Bisognava solo incamminarsi.
Avellino-Bastia
Valigia pronta, dopo il ritorno a casa da Milano. Tutto in ordine, auto scelta, benzina fatta. L’Auto-Sole deserta. Motore rombante, colazione in Autogrill. L’asfalto rovente scorreva sotto le ruote. Un viaggio tranquillo, stranamente. Qualche leggero rallentamento, prima del porto, ma nulla di particolarmente preoccupate. Arrivati in anticpo, abbiamo atteso l’imbarco per un “meraviglioso” Corsica Ferries. Viaggio lento, come dovrebbe essere, tranquillo con merenda a sacco (meglio non consumare prodotti dal traghetto, hanno prezzi folli!).
Arrivo a Bastia
Giunti a Bastia, sbarcati con calma, abbiamo puntato il navigatore verso la casa che ci avrebbe ospitati. Situata nella parte alta, quasi fuori città, abbiamo trovato ristoro in una piccola casa di campagna. Panorama mozzafiato, padrone di casa un po’ strano ma gentile, ed un meraviglioso setter a farci compagnia. Con il sole all’orizzonte, il mare blu, i fari e un profumo di macchia mediterranea ci siamo preparati all’assalto serale in città: cosa vedere? Poco e nulla. Cosa fare? Sicuramente cenare qualcosa di tipico. Su consiglio del nostro ospite abbiamo cenato in una piazzetta, pochi passi fuori dalla Cittadella (il centro storico), un piatto di salumi e qualche altro assaggi, con un “pietra” a farci compagnia – la birra locale. Spesa contenuta, cena piacevole, ma senza particolari picchi di bontà. Oltre ad aver passeggiato nel centro, abbiamo fatto tappa sul lungo mare, e nel porto turistico. Carino, tutto molto carino, vita non c’è male, ma niente di invitante a tirare serata fino a tardi. Siamo tornati a casa, sonno ristoratore e poi l’indomani, sotto il sole cocente, viaggio sul Sentiero dei Doganieri.
Sentiero dei Doganieri
Raggiungere il sentiero dei doganieri non è impresa ardua. Basta mettersi in macchina, dopo aver preparato dei panini – cibo, must be! – e aver fatto carico d’acqua. Una colazione zuccherata per affrontare poi la camminata sotto il sole, e via. Armati di berretto – obbligatorio per non svenire -, acqua e cibo. Zaino con tendalino, oggetti da mare, ma anche cose da trekking, ci siamo avviati lungo le tortuose strade della Corsica. Raggiunto il nord, precisamente il paesino di Macinaggio, carino e turistico, abbiamo abbandonato l’auto per avviarci lungo il sentiero. Caldo ancora sopportabile, di buon mattino. Scarpe da hiking ai piedi, cappello ben in testa, abbiamo seguito la lingua sabbiosa per addentrarci nella sterpaglia mediterranea. Il progetto era quello di seguire quanto più sentiero possibile, per mezza giornata. Raggiunta una certa distanza, quindi, valutare se proseguire o ritornare sulla strada già percorsa. Programmi disattesi. Complice il caldo torrido ed il mare troppo bello. Il cammino è molto suggestivo, noi soli, senza turisti a frotte a disturbare la quiete della natura ed il vento, profumato di salsedine. Scorci di una meraviglia incredibile, l’azzurro brillante del mare, il verde con una saturazione a palla dei cespugli, il rosso della terra, il giallo del sole. Un arcobaleno di colori suggestivo da impazzire.
Lungo il cammino abbiamo più volte pensato di tuffarci, ma tante spiagge erano disseminate di cacca di mucca. Ma tantissima. Mosche, puzza, vacche. Meglio andare alla prossima. Ad un tratto, scorgendo tra le rocce un passaggio verso il mare, ci siamo decisi a seguire questa strada poco battuta. Il sentierino, infine, ci ha condotti ad una spiaggetta isolata, silenziosa e ventilata. Un po’ d’ombra a darci conforto, il mare bellissimo. Tuffati, nuotato, riposato. Solo una famigliola francese, accanto a noi, ogni tanto parlottava. Il sonno l’ha fatta da padrone, e noi siamo “svenuti” con Morfeo. Al risveglio, visto il non tardo tramonto del sole, abbiamo ripercorso la strada fatta, sostando ad un baracchino sulla spiaggia molto carino. Acqua, gelato e via all’auto. Ritorno a Bastia, carichi di immagini bellissime: tanto blu, torri diroccate sul mare, isolette con piccole costruzioni, barchette ondeggianti, vacche, colori fluo – ma Dio, o chi per lui, aveva Photoshop?
Ritorno a Bastia. Doccia. Cena. Stavolta nella cittadella. Anatra, moscato e pere. Una cosa meravigliosa, in un piccolo ristorantino panoramico: Chez Vincent. Un vino leggero ad accompagnare il tutto e poi passeggiata serale al porto turistico. Musica dal vivo, ma senza orari tardi, l’indomani saremmo ripartiti.
San Fiorenzo (Patrimonio)
La seconda tappa con sosta è San Fiorenzo. Abbiamo scelto di soggiornare, però, più in entroterra. La casa, con un ospite meraviglioso, è stata a Patrimonio. Luca, il nostro estroso padrone di casa, incontrato grazie ad Air B&B, ci ha accolti subito ridendo. Prima di raggiungere la nostra nuova dimora, però, ci siamo avviati lungo strade e sentieri tortuosi verso “Il Dito”. Qui abbiamo raggiunto Mulino Mattei. Una vecchia struttura posta su un colle che domina il mare. Panorama bellissimo, li. Cielo terso, caldo torrido ancora, ma una giornata da dedicare alle foto e alla strada. Pochi turisti, pochi bambini, ma tanta quiete. Di li a poco si sarebbe fatta ora di pranzo, quindi tappa a Port de Centuri. Paesino di pescatori, con un po’ di traffico in ingresso. Ma un pranzo da leccarsi i baffi. A tavola, circondati da aragoste, abbiamo pranzato con un delizioso piatto di pasta agli scampi. Vino bianco freddo. E via, caffè espresso. Conosciute due viaggiatrici, on the road anche loro, scoprendo quale itinerario avrebbero percorso loro, abbiamo capito di aver fatto la scelta giusta: tappe simili, ma noi avevamo pensato di includere l’entroterra che altri, invece, avrebbero saltato.
Di li a poco, rimettendoci in moto, avremmo incontrato una spiaggia meravigliosa. Piccola, quasi dimenticata, ma meravigliosa. Silenzio, acqua fredda, tramonto e profumo di mare (pare ovvio, al mare!). Sita a Albo, la spiaggia è vicina ad una vecchia miniera di amianto. Beh, non proprio invitante, eh? Ma, da come si legge un po’ ovunque, tutta la zona è stata bonificata.
A sera quasi, siamo giunti a Patrimonio. Il Luca di cui vi parlavo, ci attendeva. Sorridente – già detto? – ci ha indicato subito la stanza di nostra spettanza, docciati e lavati, siamo poi andati a cena in zona. Non c’è un bancomat a Patrimonio, neppure uno! E pagare con la carta, spesso, è una tragedia. Più di un locale ci ha detto che non potevamo accomodarci, non avendo il POS loro, e noi non avendo contanti. Alla fine, lungo la strada principale (che eufemismo! – non c’è un vero paese!) abbiamo cenato con una insalatina e una fetta di carne. Qualche formaggio caprino (ovunque sono!) e un po’ di birra. Serata di riposo. Il giorno seguente sarebbe stata avventura. Poi ripartenza.
La Saleccia (tutta natura)
Di buon mattino, con un profumo di biscotti appena sfornati, ci siamo accomodati a fare colazione. Ollalà! Quattro ragazze, francesi, a tavola. E da dove sono spuntante? Intanto i canestrelli al vino, fatti rigorosamente in casa da Luca, ogni mattina, erano bollenti. Li, sul tavolo, accanto al latte ed al caffè bollente. Marmellate e pane fatti in casa. Che colazione! Che colazione! Saltati in macchina, ci siamo diretti a San Fiorenzo paese. Turistico, molto. Poco da vedere, tanti negozi di cose da mare, e mille ristorantini per turisti. Poca roba. Prenotiamo il biglietto, la nostra direzione sarebbe stata la spiaggia della Saleccia.
Preso il primo barcone disponibile, carico come pochi altri mai visti. Sbarcati a Plage do Lotu, ci siamo subito innamorati del mare. Un azzurro vivido, ma così vivido che mai l’avevamo visto. Non bianco come la Sardegna, non blu come la Sicilia, azzurro! Due attimi per riflettere: tuffo? No! Ovviamente, sentiero per raggiungere la Saleccia. Ci si arriva anche in fuoristrada, volendo, ma perchè privarci di un cammino suggestivo tra sterpaglie e ulivi antichi? Mirto? Anche! Ci siamo incamminati, armati di tutto punto, verso la nostra destinazione balneare. Un sentiero piccolo, tortuoso, fatto di sali e scendi. Bello, però, con mille scorci meravigliosi, selvaggi e autentici. Una sudata valsa tutta la pena. Piccole case diroccate nel boschetto, reciti con le vacche, vacche libere al pascolo, pozze, fango, sabbia, erba brillante, rami secchi, pietre rosse, pietre nere, pietre bianche. Un tripudio di colori e il profumo della terra riarsa. A tratti neppure si vede il mare. Camminando camminando, però, abbiamo iniziato a sentire il rumore di onde. Un cantro strano nel bosco, dopo circa due ore di panorama lunare, stellare, mediterraneo, ma senza ombra di blu.
E quando abbiamo visto il mare, brillante e solare, abbiamo preso a correre. Una spiaggia candida, con qualche bagnante a riposo e altri a sguazzare. Liberatoci da tutto, ci siamo tuffatti. Palla, giochi, bagni, tuffi. Ancora pranzo al sacco, ma stavolta frutta in abbondanza. Riposo al riparo, sotto i tendalini, fronte mare. Vento, tanto, e caldo. Dopo la sosta lunga e rilassante abbiamo deciso di ritornare sulla strada alla ricerca, nuovamente, di Lotu, la prima spiaggia. Un viaggio a ritroso, piacevole e rilassate, stavolta. Meno aspettative di scoperta, consci della strada da percorrere, ci siamo dedicati a riflessioni personali sui mille cambimenti nelle nostre vite, in angoli diversi d’Italia. Uno a Roma, l’altro ormai destinato a Bergamo. Angelo, che vi ho presentato in apertura era ancora a Salerno, non sarebbe arrivato poi troppo tardi.
La spiaggia del Lotu era li, affollata, ad attenderci. Cavalli e cavalieri al trotto sul retro battigia, vacche libere a pascolare come nel deserto di una valle riarsa dal sole, poca acqua stagnante. Colori strani. Ma il mare, blu, sempre più blu. E nel freddo dell’acqua, bruciati dal sole, ci siamo immersi a ristorarci. Dopo il bagno, asciutti, ci siamo riattivati per raggiungere il barcone che ci avrebbe riportati a San Fiorenzo, Patrimonio poi.
Al rientro, con sorpresa, subito dopo la doccia Luca e sua moglie ci chiamano dal pianterreno, gridando sotto la finestra. M’affaccio. Aperitivo in giardino… organizzato per noi, affinché conoscessimo le “zitelle” – così le chiamava Luca – francesi. Vino rosato, con ghiaccio (?), pizza fatta in casa e informata nel forno a legna di Luca, pane, patè di fegato, miele, frutta, anguria e prosciutto. Una cosa tutta stramba, ma piacevole. Noi parlando italiano ed inglese, le ragazze un po’ di spagnolo e francese, Luca francese ed italiano, la moglie italiano, corso e francese, la nonna, invece, genovese, francese ed un po’ di italiano. Ci prende subito in simpatia, ci riempie di cibo e ci racconta di quando, scappando ai fascisti, la sua famiglia aveva trovato rifugio, da Genova, in Corsica. Si chiacchiera, e giungono al B&B anche du altri connazionali: sono di Bologna, in motorino. Non chiedetemi perché!? Due pazzi, carichi come asini! Ceniamo tutti, ridendo, scherzando. Prendiamo in carico i borsoni più pesanti dei ragazzi, glieli avremmo dati il giorno dopo alla tappa prossima (condivisa). Si fanno le due di notte, ridendo e scherzando. La mattina dopo avremmo salutato casa di Luca e saremmo partiti per Corte – l’antica “capitale” di Corsica.
Isola Rossa
Raggiungere Corte non è semplice, cioè si, lo è. Ma non viaggi più lungo la costa. Devi puntare l’entroterra. Insomma, dal mare, alle montagne. Ci avviamo di buon mattina, dopo aver salutato la famiglia più simpatica di tutta la Corsica. Ci regalano i biscotti appena sfornati, una bustona. Acqua fredda, un po’ di cibo per il viaggio – come se fossimo in partenza per la guerra! – e una conchiglia (l’Occhio di Santa Lucia, un piccolo porta fortuna. Ci dice Luca di tenerlo sempre con noi, nel portafoglio. Li ci avrebbe aiutato ad attirare i soldi… sarà, un po’ di scetticismo, ma da quando ce l’ho, ho iniziato a lavorare meglio, stipendio più alto, un po’ di soldi da parte!)
Viaggio lungo, si. Ma tappa curiosa all’Isola Rossa. Piccolo centro, sul mare. Passeggiata tra le botteghe, fino al borgo marinaro. Li, camminando, spinti dal vento, abbiamo raggiunto il faro. Sentiero urbano, per lo più, circondato da piante dai colori assurdi: rosso sangue. Mare grigio, violento. Vento forte.
Il paesino è carino e merita una visita, il mare sembra bello, in lontananza, ma dato il meteo meglio non azzardarsi a fare il bagno. Pranziamo con cozze e salumi. Prezzi cari, per le aspettative. Ma va bene uguale, è vacanza. Si riparte per raggiungere Corte.
Corte e la Restonica
Raggiungere Corte non è semplice, cioè si, lo è. Ma non viaggi più lungo la costa. Devi puntare l’entroterra. Insomma, dal mare, alle montagne. Ci avviamo di buon mattina, dopo aver salutato la famiglia più simpatica di tutta la Corsica. Ci regalano i biscotti appena sfornati, una bustona. Acqua fredda, un po’ di cibo per il viaggio – come se fossimo in partenza per la guerra! – e una conchiglia (l’Occhio di Santa Lucia, un piccolo porta fortuna. Ci dice Luca di tenerlo sempre con noi, nel portafoglio. Li ci avrebbe aiutato ad attirare i soldi… sarà, un po’ di scetticismo, ma da quando ce l’ho, ho iniziato a lavorare meglio, stipendio più alto, un po’ di soldi da parte!)
La strada è strana, sembra quelle dei film sull’Arizona. Eravamo in auto, ore di distanza, asfalto macinato, falchi nel cielo, boschi più fitti. Autovelox ovunque. Piccoli paesi bordo-strada, deserti. Vento caldo. Sole cocente. Arriviamo a Corte, tra i monti, e già per raggiungere l’hotel in cui avremmo soggiornato iniziamo a percepire una discreta frescura. Posto allucinante, li dove abbiamo pernottato. Orribile, sporco, puzzolente. Voglia di fuggire il prima possibile. Una doccia con vomito in abbinato, non so come abbiamo resistito. E poi via, chiamati i ragazzi di Bologna, ci siamo incontrati in centro. Una birra aperitivo, due passi per le strade più antiche, le scalinate coi localini al lato, e poi cena in un ristorantino simpatico. Piatti locali. Carne, verdure. Buona, insomma, tutta la cena, e buono anche il vino. Niente di rinomato, ma piacevole al palato. Chiacchiere all’italiana, scherzi e battute a tavola. Un attimo sereno con gli sconosciuti. Ci sta, nella vacanza, un po’ di cose che, quotidianamente, non faresti nel grigiore della Lombardia (o forse si?). Lasciamo loro le borse, ce ne torniamo a riposare. Valigie pronte e la mattina dopo si punta alla Restonica.
Alba, vento fresco. Giacca a vento, indumenti da hinking, scarpe da trekking. Zaino in spalla, tutto il resto in borsa (a sua volta in macchina). Colazione e pranzo recuperati in un piccolo panificio in centro, direzione montagna. Lungo la strada, tortuosa e su burroni, ammirammo un paesaggio spettacolare: eravamo sulle alpi? Sembrava di si, ma la risposta è no! Raggiunto un parcheggio, nel bosco, lasciammo l’auto per dirigerci verso i sentieri da percorrere: tappa finale, un lago in alta quota.
Il sentiero è incantevole, si inerpica tra le rocce e tra gli alberi, seguendo il fiume. Si sale, continuamente, e si raggiunge una ferrata. Piacevolmente dura, ma nulla di impossibile. E poi via, sempre più su. Raggiunta la vetta, con un panorama mozzafiato – ricordo di aver pensato di fare la pace con Dio -, però abbiamo trovato tempo brutto. Vento gelido, ed il sudore addosso non era certo d’aiuto. Scena folle, tra l’altro. Strani uccelli tentavano di spiccare il volo, ma le raffiche di vento li sballottolavano ovunque, precipitandoli al suolo, o sulle rocce. E loro imperterriti a tentare il volo, di nuovo e di nuovo ancora. Ci siamo buttati a terra, dietro alcune rocce per ripararci e consumare un pasto frugale. Un po’ d’acqua e camminata fino al lago. Nubi nere su di noi, l’acqua cupa. Freddo porco. Impossibile bagnarsi, folle anche solo pensare di farlo. Dopo qualche sospiro di sconforto abbiamo scelto di tornare a valle. Al sole. Camminata lunga, come l’andata, ma con pendenza inversa. E via, caduta di stile stramazzando al suolo saltando da una roccia all’altra. Vabbè, ci sta la figuraccia!
Giunti a valle, tra le caprette, ci siamo stesi sulle rocce bollenti baciate dal sole. Il fiume accanto. Canto d’acqua, tepore. Zaino come cuscino, avvolti tra gli alberi ci siamo appisolati. Dopo un po’ di riposo, rimessi in auto abbiamo puntato, deviando dal piano, a Bastia. Angelo doveva arrivare in tarda serata. Dovevamo recuperare il terzo membro del team! Ollè!
Bastia
Bastia, una notte e via. Albergo in pieno centro. Arrivo col tramonto. Doccia, riposo rapido, due passi con i negozi ancora aperti. Niente di meraviglioso, ricordiamo. La seconda volta qui, e per la seconda volta abbiamo pensato la stessa cosa: non è un posto turistico! Simpatico e curioso il vedere mille manifesti di movimenti e partiti indipendentisti, sarebbe stato interessante e bello poterne parlare con qualcuno del luogo: argomento taboo, corsi scontrosi, poco simpatici spesso, difficilmente aperti con noi italiani (coi francesi?). Ceniamo rapidamente con una sorta di spuntino, era il caso di aspettare Angelo per mangiare insieme. Whatsapp suona: facciamo tardi, mare mosso! Ok, attesa lunga. Mangiamo di nuovo da Chez Vincent, di nuovo anatra. Una droga? Si, troppo saporita. Fate una capatina in questo ristorantino, se potete, merita davvero.
Giriamo per la città, ci fermiamo ad ascoltare un gruppo live al molo, e poi ci dirigiamo al porto. Il traghetto avrebbe già dovuto essere qui, ma il ritardo viene annunciato. Chiacchiere e relax sul pavimento. Quando Angelo sbarca è tardi. Lasciamo la valigia in camera, due passi di nuovo al molo turistico e poi a letto. Saremmo ripartiti l’indomani mattina.
Ajaccio! (e le Isole Sanguinarie)
Seguendo la strada interna, sacrificando i Calanchi, siamo andati diretti ad Ajaccio. Ovviamente tappe intermedie non calcolate fatte. Per la strada, infatti, abbiamo notato un fortino. Come non vistarlo? Ci siamo diretti, subito, li. Le Fortine de Pasciola è solitario, si vede dalla strada, ma non ci va nessuno. Cosa sia, in realtà, non lo sapevamo. Ci siamo diretti curiosi. Tappa tra le rovine, insomma, con ancora un fortissimo sole a consumarci.
Dopo il breve sentiero di trekking ci siamo trovati tra le mura di questo fortino da guerra, vuoto. Silenzioso, solitario, perché? Vabbè, era ora di proseguire. Ci siamo rimessi in auto e abbiamo puntato alla destinazione finale. Ajaccio è li, grande e strana. Mi ha ricordato un po’ Marsiglia, ma non ha restituito le stesse suggestioni. Moderna, viva, rumorosa, eppure piccola, confusionaria, quieta. Un mix strano. Uno di quei posti fuori dal tempo. Casa ci attendeva, moderna, piccola e con tutti i comfort. Pranzo in un bistrot con cose davvero semplici, una coca-cola e due patatine in busta. Facciamo due passi per i negozi, tutti molto “globalizzati” e anonimi. Decidiamo quindi di tentare un approccio da turisti: niente di che da vedere. Domenica, casa di Napoleone chiusa. Ottimo! Iniziamo bene. Andiamo a fare la spesa: una cena fatta in casa, pasta, pomodorini, tonno. Ci costa più del ristorante. Doccia, cuciniamo e usciamo. Prima tappa: casinò. Ok, entriamo. Cambiati i soldi non riusciamo a sederci. Un tavolo aperto, sempre le stesse persone a giocare. Malati di gioco, sicuramente. Dopo un paio di ore d’attesa ce ne andiamo! Assurdo.
In centro troviamo una vineria, sediamo e ordiniamo. Per strada cantano, artisti di strada, lei balla, lui suona. Simpatico. Consumiamo il nostro, chiacchieriamo, ma sono tutti francesi o locali e provare a fare conoscenza con le persone è complicato. Tutti super chiusi.
Di li a poco, presi dalla fame, ordiniamo una pizza: costa un sacco ed è brutta. Ma a noi non ce ne frega, ci stiamo divertendo a raccontarci cose, e paghiamo sorridendo. Torniamo a casa. All’alba Alfonso va a correre sul lungo mare. Noi prepariamo la colazione e le cose per andare a scoprire le Isole Sanguinarie.
Non sono distanti da Ajaccio. Strada rapida, lungo la città e poi poco fuori. Si parcheggia in aree destinate alle auto e a piedi si raggiungo un piccolo molo che, a seconda della società scelta, conduce alle isole. Navigazione tranquilla, immersi nel cobalto del mare. Un po’ di schiuma si infrange a poppa, le isole sono li e noi puntiamo su di loro. Navigando ci siamo persi nei pensieri, qualcuno (io) è collassato in un sonno al sale. Approdati ci siamo lasciati prendere dallo stupore. Isolette piccole, con una vegetazione spoglia, bassa, colorata. Fiori rossi, erbette arancioni, scogli marroni e rossi, un faro bianco, alcune piccole abitazioni e un lazzaretto diroccato. Si cammina su terreno arancione, si raggiunge il faro. Poco da fare, molto da vedere: mare, rapaci, libellule, gabbiani. Le onde in basso, il volteggio delle marroni e voraci creature del cielo. Giochiamo col drone, un po’ di foto, e poi puntiamo la spiaggia selvaggia in basso (balneabile?). La strada per il mare è strana, ruvida. Scendiamo per la boscaglia, spine e rovi sulle gambe, grilli intorno. Al mare è tutto strano: scogli affilati, onde forti, schima, paguri. Solo Angelo, armato di GoPro si lancia in acqua. Nessun altro aveva con se scarpette da mare. Inutile tentare per rischiare di farci male. Il sole scotta, ma resistiamo. Dopo un rapido rinfresco di acqua di mare sulla pelle, ci improvvisiamo ancora un po’ esploratori. Poi barca per il ritorno. Tra gli scogli uccelli marini riposano e saltano in acqua ed in aria. Li catturiamo su macchina digitale. Ancora onde, ancora blu. Silenzio, caldo, salsedine intorno. Meraviglia e quiete.
Torniamo ad Ajaccio. Doccia fredda, ci cambiamo. Cena rapida e frugale, passeggiata sul lungo mare. Arriviamo ad un parco in cui tra persone in maschera ed abiti d’epoca riposano ci perdiamo a parlottare facendo ginnastica. La mattina seguente avevamo la sveglia presto: Bonifacio come tappa, poi destinazione Porto Vecchio. Ora di dormire, ripartenza a breve.
Porto Vecchio, ma prima Bonifacio e Rondinara
Partenza con colazione rapida. Bonifacio non è lontana. Per strada ci fermiamo da Decatlhon, così, per vedere com’è in Francia. Raggiungiamo la città resa famosa da Napoleone. Bella, ammetto. Molto bella. Costosa ma bella. Il porto turistico è curato, molto affollato, e i tanti ristorantini sono ben tenuti. Profumo di cucina, chiacchiericcio. Cambia già l’atmosfera, qui al sud.
Saliamo verso città vecchia, è in alto, arroccata a guardare il mare della Sardegna. La regione italiana è lì, di fronte a noi, e nella giornata tersa che viviamo ne scorgiamo la costa. Il mare è meno blu, ha riflessi verdi e smeraldinei. Il borgo storico è molto carino, tutto curato, anche se un leggero olezzo di fogna pervade alcune traverse. Le case, antiche, regalano un salto nella francia del 1600 – circa. Qualche gabbiano scoccia i turisti, i turisti annoiano i locali e di gabbiani probabilmente tentano una vendetta. Molti si tuffano tra le “Bocche”, ma la balneazione è vietata. Angolo di natura meraviglioso, disturbato dai turisti. A noi disturba, decidiamo dopo il giro turistico, di ripartire. Sparando a tutto volume un po’ di Luca Sepe, e di Cattolica dei Pop X, per strada deviamo verso la spiaggia de La Rondinara. Un po’ di rally, e via. Sabbia. Eccolo il mare, con tante alghe. Ma che ci importa? Lasciamo l’auto e andiamo a farci un bagno. Freddo. Acqua gelida, verdognola, ma bella. Prendiamo posto al di la di un piccolo golfo naturale, guadando il mare. Nudisti a destra, famiglie con bambini “hamish” a sinistra. Vabbè, la bellezza delle cose improvvisate. Senza ombrellone, a terra, ci riposiamo e ristoriamo.
Panorama carino, non meraviglioso, ma il tramonto alle nostre spalla crea tinte suggestive nel cielo. Maps ci avvisa del traffico per la nostra destinazione, così ci rimettiamo in cammino e poi in auto. Superiamo la strada dissestata, e nel traffico iniziamo a sentire la stanchezza accumulata. Ma non molliamo! Arriviamo ormai a sera fatta, timorosi di non poter neppure cenare. L’hotel non è una meraviglia, e non è in centro paese. Inutile tentare di andare nell’area turistica in auto, altre attese per il parcheggio. Andiamo, come sempre abbiamo fatto da ragazzi, in giro a piedi. Camminiamo e arriviamo in un paese carino. Porto Vecchio è davvero bello, per quanto belli sono i centri corsi. Ristorantini pieni di persone, italiani, francesi, altre nazionalità convivono qui. Bar aperti, caciara, musica, vino. Si sente l’aria dell’estate. Ovviamente, però, cenare è un’impresa: le cucine chiudono presto! E che diamine! Troviamo quindi un piccolo bistrot subito dopo il centro storico, dove tra formaggi di capra, miele, salumi ci accontentano. E sono anche gentilissimi. Via, anche un dolce a testa. Birra. Si cena festosamente. E poi a fare due passi, un sorso di alcolico e un po’ di vita serale. Negozi, qualche ricordo, due chiacchiere con altre persone e … crollando … ce ne torniamo in hotel a piedi. Camera spartana super accogliente – si fa per dire – e riposo profondo.
Spiaggia di Solenzara (Ferragosto)
Ferragosto, spiaggia. Caldo intenso, aria densa. Puntiamo alla Solenzara. E’ sulla strada per proseguire il ritorno verso Nord. La Solenzara è una spiaggia bella, turistica ed affollata. Perde il fascino del selvaggio delle altre viste precedentemente, ma guadagna in servizi. Ok, non ha nulla a che vedere con gli stabilimenti della Romagna, ma ci sono bar e chioschetti in cui approvvigionarsi. Ci si arriva in auto, ci sono parcheggi e tutto è più rilassato e rilassante. Ci concediamo una giornata di sole intera, spiaggia, mare, relax puro. L’acqua è strepitosa, fresca, il giusto, e tutto è super quieto. Con Xavier Rudd di sottofondo ci rilassiamo per davvero. I colori riposano gli occhi, il cielo è limpido e il sole caldo. Un gelato, un toast e tanta acqua ci accompagnano.
Non c’è molto da raccontare di una giornata di mare, ma sicuramente vi darei alcuni consigli: portatevi sempre un cappellino, acqua, e possibilmente un ombrellone/tendalino. Il sole picchia, sarà pure bello tutto intorno, ma vi scottate sicuramente. Quando il sole ha deciso di andare a riposare sotto il mare, noi abbiamo deciso di ripartire. Avremmo dovuto fare nuovamente tappa a Bastia per poi prendere il traghetto. La strada è davvero tanta, il traffico anche. Il sole arancio colora di tinte simpatiche le campagne intorno, un misto di vigneti e mare. Tutto molto carino, soffice, rilassante. Che strana giornata!
Arriviamo a Bastia, prendiamo posto in casa, un altro Air B&B, pagato poco, e che vale poco altrettanto. Dormiamo scomodi, ma prima ci concediamo cena fatta bene e un rum agricolo con musica rock in abbinato. La mattina seguente si riparte.
Bastia – Avellino (con pranzo a Livorno)
Navigazione rilassante. Tiriamo le somme del viaggio, e siamo tutti contenti. Arriviamo a Livorno, l’avventura vissuta è stata incredibile, anche se l’ho raccontata semplicemente, qui. Pranziamo in un posto a caso, un pranzo a buffet, carino ed economico. Bentornati in Italia. Siamo felici. Autosole, casa ci aspetta prima del settembre di lavoro. Rischiamo un incidente, camion che sbanda e ci taglia strada. Sudata fredda. Tutto bene quel che finisce bene.
Arrivati a casa, chiudiamo gli occhi. È notte ed abbiamo sonno. Il sogno ce lo portiamo con noi, anche di giorno… l’avventura prima o poi continua in un’altra meta.