Cipro in pieno inverno

Cipro è l’isola dell’amore, dove Venere nacque emergendo dalla spuma del mare, ma anche dell’odio e del filo spinato che separa greci e turchi. Un viaggio in pieno inverno consente di approfondire la sua storia e apprezzarne le attrattive in tutta tranquillità, evitando le orde estive del turismo balneare. Politicamente l’isola è...
Scritto da: mapko64
cipro in pieno inverno
Partenza il: 26/12/2008
Ritorno il: 06/01/2009
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
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Cipro è l’isola dell’amore, dove Venere nacque emergendo dalla spuma del mare, ma anche dell’odio e del filo spinato che separa greci e turchi. Un viaggio in pieno inverno consente di approfondire la sua storia e apprezzarne le attrattive in tutta tranquillità, evitando le orde estive del turismo balneare. Politicamente l’isola è divisa in due stati indipendenti, uno turco e uno greco, ma le radici culturali e storiche sono comuni. La lunga vicinanza ha reso i due popoli molto più simili di quanto vogliano far credere, basti pensare alla cucina (i caffè turco e greco sono assolutamente identici!). Da qualche anno la tensione si è allentata e si passa da una parte all’altra con grande facilità; gli ostacoli rimasti per la riunificazione sembrano essere più che altro legati alla storia recente e all’economia. Una volta tanto, l’Unione Europea ha portato una ventata di serenità in queste terre dilaniate da secoli di lotte. E’ difficile credere che fino agli anni ’70 greci e turchi si massacrassero a vicenda e che la “Linea Attila” rappresentasse una barriera invalicabile solo fino al 2003. Certamente per una riunificazione pacifica sarà necessario riconsiderare la storia recente: per i greco-ciprioti i militari turchi al Nord sono forze di occupazione mentre per i turco-ciprioti sono i liberatori, garanti dei diritti di una minoranza. Solo riconoscendo che le frange estremistiche di entrambe le comunità sono le responsabili dei massacri passati si potrà raggiungere una convivenza pacifica. I passi avanti effettuati nel processo di pace rappresentano, secondo la mia opinione, un elemento di speranza anche per la Palestina, la cui situazione attuale mi ricorda i momenti più brutti della storia di Cipro. Il visitatore trova a Cipro molti spunti interessanti: non ci sono monumenti o paesaggi sensazionali ma siti archeologici, chiese e moschee formano un patrimonio artistico molto composito. Il settore turco è certamente meno massacrato dal turismo di massa e la città murata di Famagosta mantiene intatto tutto il suo fascino; impressionante è la visita della cattedrale trasformata in moschea dopo essere stata “ripulita” dagli elementi cristiani. Al sud le chiese affrescate del Throodos sono emozionanti, mentre lungo la costa il turismo balneare ha prodotto varie aberrazioni che viaggiando fuori stagione si riesce comunque a evitare. E ora il racconto del mio viaggio insieme a Stefania. Venerdì 26 dicembre: Roma – Larnaca – Nicosia Un volo della Cyprus Airways, con scalo a Milano, ci porta da Roma a Larnaca, sede dell’aeroporto internazionale di Cipro da quando quello della capitale è finito nella zona cuscinetto che separa le due entità politiche dell’isola. Dalla scorsa estate è stato inaugurato un comodo servizio di shuttle bus per Nicosia; siamo in bassa stagione e prima di partire dobbiamo aspettare altri passeggeri. Avvicinandoci alla città, nel buio della sera, ci accolgono le bandiere luminose della Turchia e delle Repubblica Turca di Cipro, provocatoriamente collocate sul crinale di una montagna nel settore nord, in modo da essere visibili anche sull’altro lato. Il capolinea è in periferia, in mezzo al nulla, ma un taxi appostato nel piazzale ci permette di raggiungere l’Hotel Centrum, prenotato tramite Internet (www.Yeego.Com). L’albergo si trova appena entro le mura, nei pressi di piazza Eleftherias dalla quale ha inizio Lidhras, la via pedonale dello “struscio”. Dopo una rapida cena a base di kebab, passeggiando lungo Lidhras raggiungiamo la “Linea Verde” che separa in due la città. Un cartello ricorda che Lefkosia è l’ultima capitale in Europa divisa da un muro. Oggi però non è più una barriera invalicabile: esibendo un documento si può passare senza problemi dall’altra parte e nonostante l’ora tarda c’è un notevole flusso. Sabato 27 dicembre: Nicosia – Kyrenia Siamo in pieno inverno e le giornate sono corte, per questo la mattina lasciamo presto l’albergo, come faremo sempre per sfruttare in pieno le ore di luce. Abbiamo deciso di dedicare un paio di giorni a Cipro Nord, passando il confine a piedi. Costeggiando le mura che racchiudono la città vecchia, superiamo il bastione di Pafos, in passato un “punto caldo”; le bandiere, greca e turca, sventolano ancora a poche decine di metri di distanza. Al confine persino i poliziotti turchi si accontentano della carta d’identità italiana, consegnandoci un foglietto timbrato con il visto. Alcuni anni fa questo varco è stato il primo a essere aperto, dopo un isolamento che durava dal 1974; si trova in prossimità del Ledra Palace, l’albergo utilizzato come base dalle forze ONU. Tramite internet, abbiamo prenotato un’auto a noleggio con la “Sun Rent”; ci consegnano una Opel Corsa vecchio modello, spartana ma efficiente. Un’ampia autostrada collega la capitale con la costa nord, separata dalla vasta pianura interna da una lunga catena di montagne, irte di creste. In passato i vari dominatori dell’isola ne hanno approfittato per costruire un sistema difensivo di castelli. Superata un’area militare presidiata dall’esercito turco, raggiungiamo il castello di Sant’Ilarione. La fortezza sorge appollaiata su una montagna, a dominio della città di Kyrenia (Girne in turco). Le costruzioni spesso molto rovinate sono affascinanti come anche lo scenario. Raggiunti i sobborghi di Kyrenia, deviamo nuovamente all’interno, risalendo fino al paese di Bellapais. Al centro sorge un’abbazia: costruita al tempo del dominio franco dei Lusignano, costituisce un angolo “latino” trapiantato in oriente. Passeggiando nel chiostro gotico, sotto gli archi a punta e le volte a ogiva, sembra di essere in Francia. La chiesa ha un aspetto antico, con la pietra scura alleggerita da qualche elemento ligneo decorato: il pulpito, il leggio con aquile e l’aereo matroneo. Nella piazzetta davanti all’abbazia il vecchio gelso è stato immortalato da Durrell, come “Albero dell’Ozio”, nel romanzo “Gli Amari Limoni di Cipro”. In paese si conserva ancora la casa, dipinta di gialla, dove lo scrittore soggiornò negli anni ’50. Finalmente raggiungiamo Kyrenia, la cittadina più carina di Cipro. Il porticciolo è incantevole, con le case disposte ad anfiteatro e la mole del castello che ne chiude un lato. Dopo una rapida occhiata alla bianca chiesetta anglicana, visitiamo la fortezza ricca di storia. La cappella bizantina di San Giorgio è stata inglobata nei bastioni dai veneziani e oggi forma uno scorcio curioso. Dalle mura si domina il porto: in mezzo una torretta era utilizzata per stendere una catena e sbarrare il passaggio. Una sala ospita una nave mercantile affondata davanti alle coste di Cipro 2300 anni fa. Si tratta di uno dei più antichi relitti mai scoperti e lo scafo ligneo è sorprendentemente ben conservato! Passeggiando per Kyrenia, raggiungiamo la moschea dominata dall’alto minareto da cui il muezzin lancia ancora il suo grido. La chiesa bianca dedicata all’arcangelo Michele è stata trasformata nel museo delle icone ma oggi è chiusa: un tizio ci spiega che è scattato l’allarme ed è dovuta intervenire la polizia. Passeggiando nella zona più commerciale possiamo notare come i costumi dei turco-ciprioti siano abbastanza rilassati: le donne vestono all’occidentale senza nascondere il loro fascino mediterraneo, anche se il muezzin ricorda puntualmente che siamo in un paese islamico. Il nostro albergo, il “White Pearl Hotel”, sorge proprio sul porto: dal balconcino della stanza ci affacciamo sui tavolini dei caffè, deserti per il periodo invernale; gli alberi delle barche a vela, addossate una all’altra, oscillano, mentre dietro si erge la mole del castello. Per cena scegliamo il popolare “Niazi”, affollato di ciprioti; mi adeguo alla specialità del posto, il “full kebab”. Domenica 28 dicembre: Kyrenia – Famagosta – Nicosia Lasciata Kyrenia in direzione di Nicosia, pieghiamo poi verso oriente, imboccando la strada che conduce a Famagosta. Attraversiamo la pianura della Mesaoria, raggiungendo la costa in prossimità di Salamina, per lunghi secoli la più importante città stato dell’isola. Il sito archeologico sorge in prossimità della spiaggia e siamo gli unici visitatori, accolti da una bella giornata di sole. Le rovine risalgono principalmente all’epoca romana: si distinguono il portico colonnato del ginnasio e i vari ambienti delle terme, impreziositi da frammenti di mosaici e un affresco cristiano. Il teatro in estate è ancora utilizzato per gli spettacoli mentre la basilica di Kambanopetra sorge proprio di fronte al mare; tra le basse rovine, quasi si nasconde uno splendido pavimento a tarsie colorate di marmo. Camminando lungo la spiaggia, raggiungiamo di nuovo l’ingresso degli scavi. Un breve percorso in macchina ci porta alle Tombe dei Re, sepolture ipogee che ricordano in piccolo la struttura delle tombe micenee, anche se sono molto più tarde. Durante i funerali erano sacrificate le coppie di cavalli che trasportavano il carro funebre e gli scheletri si trovano ancora al loro posto davanti alle tombe, protetti da lastre di vetro. Risaliti in macchina, subito raggiungiamo il monastero dell’apostolo Varnavas. Dopo l’invasione turca, i monaci sono stati costretti a fuggire e la chiesa, dalla classica struttura ortodossa, è stata trasformata in un museo delle icone. Molto più interessante è il museo archeologico ospitato nelle celle del monastero. Alcune figurine in terracotta del periodo arcaico sono splendide, in particolare un cavaliere sopra un cavallo con quattro ruote al posto degli zoccoli e dietro tre figurine in circolo, una suona la cetra. Visitiamo poi la piccola cappella, eretta negli anni ‘50 sopra la tomba dell’apostolo Barnaba, nativo di Salamina. La sua scoperta nel V secolo attribuì una grande autorevolezza alla chiesa di Cipro che divenne autocefala; il ruolo dell’arcivescovo Makarios nella storia recente di Cipro è una lontana conseguenza di questa scoperta! Finalmente raggiungiamo la mitica Famagosta, la città più ricca del mondo quando dopo la cacciata dei crociati dalla Terra Santa, sotto la dominazione lusignana, divenne il transito obbligato di tutti i commerci con l’Oriente. Passata ai veneziani attraverso la regina Caterina Cornaro, nel 1570 dovette subire il tremendo assedio dei turchi e a nulla valsero le possenti mura che ancora la circondano. Dopo un lungo bombardamento che ridusse in rovina gran parte delle sue meravigliose chiese, i veneziani dovettero arrendersi e il loro comandante Marcantonio Bragadin fu spellato vivo. Entriamo nella città vecchia attraverso la Porta di Terra, dominata dal bastione Ravelin. Per prima raggiungiamo l’ex chiesa dei Santissimi Pietro e Paolo, una delle meglio conservate perché trasformata prima in moschea e poi in teatro. Nella piazza accanto sorgeva il Palazzo Veneziano ma oggi non rimane che il muro di una facciata; anche la chiesa di San Francesco è ridotta a una serie di rovine con due finestroni nel muro dell’abside. La cattedrale di San Nicola è ancora il monumento più importante della città; i turchi conquistatori distrussero tutti gli addobbi dell’interno, scoperchiarono le tombe dei Lusignano, spargendone le ossa. La chiesa fu trasformata in moschea, intitolata a Lala Mustafa Pasa, comandante delle truppe vincitrici sugli infedeli e carnefice di Bragadin. Oggi la facciata è ancora stupenda, nonostante le due torri mozzate, con il suo stile gotico ricorda Notre Dame di Parigi; un minareto è stato eretto a fianco di una torre ma non si nota più di tanto. Entrando invece la sensazione è veramente strana; la struttura gotica appare ancora più imponente, tutta dipinta di bianco e priva di qualsiasi ornamento. I turchi hanno solo aggiunto il mihrab, orientato verso La Mecca, e il minbar; i pavimenti sono coperti di tappeti. A fianco della chiesa sorge un imponente albero di sicomoro che risalirebbe al trecento; poco più in là si erge la colonna alla quale sarebbe stato legato Bragadin durante il supplizio. Superata la Porta del Mare, con un grande leone veneziano e le imponenti rovine di San Giorgio dei Latini, raggiungiamo la Cittadella, conosciuta come Torre di Otello. La tragedia di Shakespeare sarebbe, infatti, ambientata proprio a Famagosta. Sopra l’ingresso della fortezza, costruita dai Lusignano, campeggia un grande leone di San Marco in bassorilievo. La nostra esplorazione di Famagosta prosegue con un giro attraverso le numerose chiese in rovina di cui è costellata la città vecchia. Per prime raggiungiamo le chiese dei Cavalieri Templari e Ospitalieri, insolitamente una a fianco all’altra vista la rivalità tra i due ordini. Proseguiamo con la chiesa nestoriana fino a raggiungere l’area, da poco demilitarizzata, del bastione Martinengo, estremità nord-occidentale delle mura. Qui sorgono Agia Anna, Santa Maria del Carmelo e la chiesa armena; a Famagosta erano rappresentate proprio tutte le confessioni cristiane! Siamo fuori dal tradizionale giro turistico; le rovine in abbandono appaiono romantiche, la vista dal bastione sulle mura è molto bella ma il ricordo della storia lontana e recente rende l’atmosfera un po’ inquietante. Tornati in centro, raggiungiamo le imponenti rovine di San Giorgio dei Greci; le alte mura delle tre absidi recano ancora tracce degli affreschi. Lasciamo il centro di Famagosta, verso il sobborgo di Varosha. Prima della guerra era una città con alcune decine migliaia di abitanti e un grande flusso di turisti attratti dalla bella spiaggia. Da quando i greco-ciprioti fuggirono in fretta e furia, è rimasta spopolata e inaccessibile, sotto il controllo dei turchi e dell’ONU. Oggi oltre le recinzioni con filo spinato si trova una città fantasma mentre sulla spiaggia incombe la fila dei cadenti alberghi multipiano, fiore all’occhiello di Varosha. Scossi da quanto visto, riprendiamo la strada del ritorno. A Nicosia Nord riconsegniamo la macchina a noleggio ma questa volta per tornare nel settore greco tagliamo per il centro, sfruttando il varco da poco aperto lungo Lidhras. Soggiorniamo di nuovo all’Hotel Centrum. Per cena ci aspetta un’esperienza indimenticabile: da “Zanettos”, vicino alla moschea Omeriye, ci servono le meze, il pasto tradizionale greco-cipriota fatto da una serie interminabile di “assaggini” che sono in realtà mini-portate! Si comincia con l’insalata greca, lo tzatziki, l’humus, la taramosalata (pane e uova di pesce), funghi, barbabietole, olive proseguendo con svariate portate di carne (agnello, fegato, souvlaki di pollo e maiale) fino all’arrivo delle lumache accompagnate dal cous cous. Quando pensiamo che la cena sia finita arriva sempre un’altra portata, fino al colpo del KO inferto dalla sequenza di dolci. Nella tavolata a fianco, saggiamente i locali si portano via gli avanzi! Lunedì 29 dicembre: Nicosia Giornata dedicata alla visita di Nicosia Sud. Il settore greco della città è privo di particolari attrattive monumentali e anche le atmosfere passate sono quasi del tutto cancellate dall’edilizia recente. Il quartiere Laiki Yitonia, a ridosso del nostro albergo, rappresenta un’eccezione: un’operazione di recupero, condotta negli anni ’80, lo ha strappato all’industria del sesso, creando una piacevole area di vicoli pedonali. Peccato soltanto che sia stato invaso da ristoranti per turisti di dubbia qualità. La città vecchia è interamente circondata dalle mura veneziane, che formano un anello rafforzato da undici bastioni; nel settore greco, tuttavia, sono stati aperti numerosi varchi per il traffico, creando parcheggi nei bastioni, e ormai le mura non possono più competere con quelle di Famagosta. Iniziamo il giro raggiungendo la vasta chiesa di Faneromeni, costruita nell’Ottocento in stile eclettico. Subito accanto, la piccola moschea Araplar è più interessante, creata adattando una cinquecentesca chiesa lusignana (non manca un minuscolo minareto). Raggiungiamo quindi la moschea Omeriye, molto più vasta ma anch’essa ricavata da una chiesa. Oggi è utilizzata dalla popolazione araba e persiana del settore greco; di fianco svetta un alto minareto mentre l’interno a navata unica è molto semplice. Sull’altro lato della piazza, gli Hammam Omeriye sono stati recentemente restaurati. Entrando nel grande ambiente con cupola si è accolti da una lussuosa struttura arredata con gusto: al centro si trova il bancone del bar, intorno alle pareti banconi in pietra con materassi e cuscini, separati da tendine. La medievale chiesa di Trypiotis presenta sopra la porta d’ingresso curiosi bassorilievi con leoni e sirene. Raggiungiamo a questo punto il complesso del centro culturale Makarios e del Palazzo Arcivescovile, costruito negli anni ’80. La discussa statua alta sei metri dell’Arcivescovo Makarios è stata rimossa. Visitiamo invece il Museo Bizantino. La ricca collezione d’icone si apre con Elia ritratto con le lunghe trecce bianche, in uno stile naif. Il museo espone gli affreschi dell’ultimo strato nell’abside di Agios Nikolaos Steyis a Kakopetria nel Troodhos, staccati per portare alla luce gli affreschi più antichi. Il pezzo forte sono comunque i mosaici provenienti dalla Panagia Kanakaria a Cipro nord, situata nella penisola Kirpasa che forma il “manico della padella” nella curiosa forma dell’isola. Rubati da un turco, una parte era finita negli Stati Uniti, altri a Monaco in Germania. Sono stati recuperati solo dopo una lunga battaglia legale; alcuni recano ancora la targhetta del volo Roma-Larnaca che li riportò a Cipro. Risalgono al V-VI secolo e richiamano lo stile di Ravenna, con grandi tessere colorate. Davanti al museo, stranamente isolata e circondata dagli edifici molto più recenti del centro culturale, sorge Agios Ioannis, la piccola cattedrale di Nicosia. L’interno è tutto coperto da affreschi settecenteschi; nel Giudizio Universale i dannati incolonnati s’incamminano verso le fauci di un mostro. Il vicino Museo della Lotta per l’Indipendenza racconta la storia dal punto di vista greco-cipriota. Una placca di bronzo con un sillabario e un bassorilievo che ritrae un guerriero di profilo, entrambi del V secolo, chiariscono subito che l’isola è greca ormai da millenni. Si passa poi alla storia recente, un’efficace esposizione dopo la quale non si può che disprezzare i torturatori inglesi! Fra i tanti episodi mi colpisce il massacro di un gruppo di giovani greco-ciprioti costretti dagli inglesi ad attraversare un villaggio di etnia turca. Impressionanti foto degli anni ’50 ritraggono cadaveri nudi di guerriglieri dell’EOKA; in un’altra Makarios torna a Cipro accolto trionfalmente dalla folla che attraversa su un’auto bianca. Ampio spazio è dedicato all’impiccagione di otto giovani dell’EOKA da parte degli inglesi; nella hall sono ricostruite le forche con le quali furono giustiziati. La residenza di Hadjiyeorgakis Kornesios, dragomanno di Cipro a fine Settecento, oggi purtroppo è chiusa. Raggiungiamo allora il quartiere nell’angolo nord-orientale tra la Linea Verde e le mura. La Panagia Crisaliniotissa ha una curiosa forma a L e una ricca iconostasi interamente dorata. Le abitazioni si spingono fino al muro che blocca il passaggio verso il settore turco. Per tornare verso il centro percorriamo tutte le mura, superando la porta di Famagosta e il discusso Monumento della Libertà, edificato prima della divisione dell’isola senza ritrarre nemmeno un turco. Vicino la porta di Pafos, nella zona cuscinetto dell’ONU visitiamo la chiesa cattolica della Santa Croce, incuneata nel settore turco. A questo punto, una volta scoperto che il Museo di Cipro oggi è chiuso, decidiamo di passare il confine in fondo a Lidhras. A Nicosia Nord, superata piazza Ataturk, raggiungiamo il Mevlevi Tekke, fino agli anni ’50 sede cipriota dell’ordine dei dervisci danzanti. All’interno si trova la grande sala destinata alla danza rituale, rappresentata mediante una serie di manichini in costume, inclusi i musici nella galleria. Un lungo ambiente contiene le tombe di numerosi sceicchi della confraternita. Il quartiere di Arabahmet, a ridosso della “Linea Verde”, è uno dei più caratteristici. Al centro si trova l’omonima moschea, costruita nel Settecento secondo gli schemi anatolici, invece di riutilizzare una chiesa, pratica molto più diffusa a Cipro. Il Museo Dervis Pascià è ospitato in una casa signorile ottocentesca, con il tipico salotto turco pieno di finestre e circondato da divani. Tornati nel settore greco, ceniamo ottimamente al “To Steki Tis Loxandra”, vicino alla chiesa di Faneromeni. Martedì 30 dicembre: Nicosia – Troodhos – Kakopetria Giornata dedicata alla visita del Troodhos, la catena montuosa che con il monte Olimpo raggiunge l’altezza massima dell’isola a quasi duemila metri. La regione è apprezzata per le sue chiese, arricchite da preziosi affreschi, molte delle quali sono state dichiarate dall’Unesco patrimonio dell’umanità. In taxi raggiungiamo Strovolos, il sobborgo di Nicosia nel quale stranamente si trova l’ufficio della Hertz. Abbiamo prenotato una macchina in affitto per una settimana e ci consegnano un’ottima Nissan Micra nuovo modello. Alla nostra domanda sulla necessità delle catene da neve per visitare il Throodos, rispondono ironicamente che neppure le auto di categoria superiore hanno questa dotazione! Lasciamo Nicosia, lungo una strada a scorrimento veloce. Quando raggiungiamo Peristerona siamo ancora in pianura. Nel paese iniziamo la scorpacciata di chiese con Agii Varnavas e Hilarion, molto scenografica per effetto delle sue cinque cupole. Poco lontano sorge una moschea, a ricordo che fino a qualche decennio fa turchi e greci vivevano pacificamente gli uni a fianco agli altri. Ripartiti, percorriamo un breve tratto prima di fare una deviazione che ci consente di raggiungere una valle boscosa, allietata dal sole, dove sorge la Panagia Forviotissa, forse la più bella tra le chiese del Troodhos. Meglio nota con il nome di Nostra Signora di Asinou, da un piccolo borgo ormai scomparso, sorge in mezzo al nulla. Un tetto spiovente protegge il piccolo edificio in pietra, movimentato da alcune absidi. Una campana è stata collocata su un albero vicino. L’interno è meraviglioso, interamente ricoperto di affreschi in ottimo stato di conservazione. E’ formato da un’unica navata, alla quale in un secondo tempo è stato aggiunto il nartece. Gli affreschi abbracciano un ampio periodo, dal 1100, epoca di costruzione della chiesa, al Cinquecento. Sulla parete sinistra Costantino e Sant’Elena, incoronati come imperatori bizantini, reggono la croce, mentre in quella destra i quaranta martiri di Sebaste sono a torso nudo e colano sangue. Nella parte centrale la volta è divisa in otto riquadri, con quattro scene della passione e quattro della natività (la croce portata da Simone il Cireneo ha tre bracci secondo la rappresentazione ortodossa). Su una parete le tre donne scappano spaventate dall’angelo che indica il sudario di Gesù nel sepolcro aperto mentre sopra la porta d’ingresso il fondatore offre un modellino della chiesa. Passando nel nartece, nella cupola si ammira il Pantocrator circondato dai dodici apostoli; non mancano gli spunti originali come la rappresentazione della Terra e del Mare, seduti rispettivamente su un leone e un pesce, e due cani da caccia legati a un palo. Ritornati sulla strada principale, la lasciamo definitivamente addentrandoci nel Throodos attraverso la valle di Solea. Poco prima di Galata, due chiese sorgono isolate in mezzo alla campagna coltivata. La Panagia Podhithou è la più grande, protetta da un tetto spiovente che arriva quasi al terreno e le conferisce l’aspetto di una cascina. Entrando ci rendiamo conto che la chiesa è completamente avvolta da un edificio più grande in muratura. L’illuminazione manca completamente e per ammirare gli affreschi cinquecenteschi ci dobbiamo accontentare della torcia del custode. La chiesa è formata da un’unica navata profonda, con le pareti laterali bianche e il soffitto spiovente, formato da travi di legno. Gli affreschi hanno uno stile occidentale, profondamente influenzato dal Rinascimento italiano; la chiesa, infatti, risale al periodo della dominazione veneziana. Richiamano la pittura italiana, in particolare, i volti espressivi dei personaggi nella Crocifissione sopra la porta d’ingresso. Nell’iconostasi un piccolo leone veneziano intagliato rappresenta un altro elemento occidentale. La coeva chiesa dell’Archangelos è molto più piccola, con il tetto di legno appena rifatto. All’interno le scene della Vita di Cristo sono più rozze mentre il colpo d’occhio dalla strada, con il tetto spiovente sopra le pareti bianche e la curiosa abside, è molto fotogenico. Ripresa la macchina, superiamo dopo pochi chilometri Kakopetria, raggiungendo Agios Nikolaos Steyis (San Nicola del Tetto). L’aspetto esterno è movimentato da porte, finestre e archi mentre l’interno è formato da un nartece e un ambiente principale a tre navate con transetto. Gli affreschi coprono varie epoche, dal Mille al Trecento. Alcuni sono tra i più antichi del Throodos; nell’ambiente dietro l’iconostasi, gli affreschi dello strato superiore sono stati staccati e ieri li abbiamo ammirati al Museo Bizantino di Nicosia, lasciando in vista quelli più antichi, tra cui un San Simeone Stilita sopra la colonna. Nel transetto, dal lato dell’ingresso, la Crocifissione presenta un’insolita personificazione del sole e della luna con i volti tristi, mentre l’Arcangelo, seduto sul sepolcro vuoto, accoglie le tre donne sorridenti. Sull’altro lato, nella scena della Natività Maria allatta Gesù al seno, due donne fanno il bagnetto al bambino, un pastore suona il flauto mentre San Giuseppe appare pensoso. Di fronte ritornano i Quaranta Martiri, soldati cristiani dell’esercito romano costretti a fare il bagno nell’acqua gelida del lago di Sebaste; un soldato sopraffatto dall’ammirazione si spoglia per unirsi a loro mentre le corone scendono dal cielo sui martiri. I volti sono espressivi e raffigurano svariate tipologie: uomini con i capelli bianchi, rossi o scuri, sbarbati o con lunghe barbe. Lasciata la valle Solea, percorriamo una strada di montagna che sale in mezzo alle nuvole, prima di raggiungere Pedoulas, a quota 1100 nella valle Marathassa. La piccola chiesa dell’Archangelos Michail sorge nella parte inferiore del paese; i suoi affreschi risalgono al Quattrocento e sono considerati tra i più belli del Throodos, con uno stile naturalistico meno austero che in epoche precedenti. A causa del pendio su cui sorge, il tetto presenta due spioventi asimmetrici; l’interno è formato da un unico ambiente, preceduto da un piccolo nartece. Un affresco raffigura il donatore con la barba bianca, insieme alle donne della sua famiglia in nobili costumi, mentre porge la chiesa all’arcangelo; l’iscrizione riporta l’anno 1474. Su una parete spicca un grande arcangelo Michele con spada; la scena dell’arresto di Gesù è bellissima, con un piccolo San Pietro che taglia un orecchio a un soldato, rappresentato come un crociato. Nella Natività il bambino fa il bagnetto innaffiato con un’anfora. Nell’interpretazione delle scene siamo aiutati da un prete ortodosso in visita: parla perfettamente italiano perché ha lavorato alla Biblioteca Vaticana. Proseguendo nella valle raggiungiamo Moutullas. La Panagia tou Moutulla sorge appena sopra il paese ma è l’ora di pranzo e il custode è assente. Ci limitiamo quindi ad ammirarla dall’esterno: ha l’aspetto tipico delle chiese del Throodos, con mura formate da blocchi di pietra irregolari e il tetto spiovente di tegole piatte, annerite dal tempo. Dietro sporge la piccola abside mentre una campana è appesa a una trave di legno. Poco oltre lungo la valle, si trova Kalopanagiotis. Dopo il paesino, sull’altro lato del fiume, sorge il monastero di Agios Ioannis Lambadistis. Si tratta di uno dei pochi monasteri sopravissuti nel Throodos mentre un tempo molte chiese oggi solitarie ne facevano parte. Il cortile centrale è circondato da suggestivi edifici in pietra; su un lato, sotto un unico enorme tetto spiovente, ci sono tre chiese unite una all’altra. Un prete dalla lunga barba nera interrompe le sue preghiere per salutarci; in giro non si vede nessun altro. La prima cappella, dedicata a San Hirakleidios, è la più antica, quella centrale è intitolata ad Agios Ioannis Lambadistis, mentre la terza cappella, chiamata Akhatistos, fu aggiunta per ultima. Iniziamo la visita con la prima cappella a forma di croce con cupola centrale. Le quattro braccia sono tutte coperte da affreschi, molti risalenti al Duecento, tra i quali mi colpiscono l’Arresto di Gesù con i soldati coperti da armature medievali e la bellissima scena di Gesù che entra a Gerusalemme a dorso di un asino, con i sacerdoti davanti al tempio e bambini con i guanti neri arrampicati sulle palme. La seconda chiesa non ha affreschi perché fu ricostruita dopo un crollo, ma presenta una bella iconostasi. La terza è una cappella latina con forti influssi italiani negli affreschi seicenteschi. La scarsa illuminazione rende difficile apprezzarli. Sono raffigurati l’Albero di Jesse e scene contrassegnate dalle 24 lettere dell’alfabeto greco (si tratta di una rappresentazione delle strofe dell’Akhatistos, un inno alla Vergine). I Magi, a cavallo di spalle, si dirigono verso una città murata. Ripresa la macchina, saliamo per una ventina di chilometri fino a raggiungere il Monastero di Kykkos, avvolto nelle nuvole, il più ricco e venerato a Cipro. A causa dei ripetuti incendi le costruzioni non sono anteriori all’Ottocento ma la visita della chiesa è comunque interessante per la sua magnificenza. Gli affreschi moderni riprendono i classici temi dell’iconografia ortodossa; l’iconostasi di legno dorato è ricchissima mentre dal soffitto pendono innumerevoli lampadari dorati e lampade votive, una a forma di vascello. Nei pressi del monastero si trova la tomba dell’Arcivescovo Makarios ma a causa del maltempo non riusciamo a individuarla. Per la notte abbiamo prenotato una camera a Kakopetria, considerato uno dei paesi più carini del Throodos. La sistemazione al “Romios” è veramente spartana; dopo un’occhiata alle mani della proprietaria, decidiamo di evitare il ristorante annesso, pieno di cameriere cinesi, preferendo il “Village Pub” sull’altro lato della strada. Fa freddo e ci rifugiamo nell’accogliente locale anche per riscaldarci. Il proprietario, privo di un braccio, è molto socievole e ci racconta di essere originario di Famagosta, dalla quale è dovuto fuggire per l’arrivo dei turchi. Alla mia domanda se è tornato a visitare la sua città natale, ora che il confine è stato riaperto, mi risponde che non sopporterebbe di vedere la sua casa occupata da un turco! Dopo cena facciamo due passi nella “Old Kakopetria”, con belle case in pietra disposte su una stradina a ciottoli. Mercoledì 31 dicembre: Kakopetria – Nicosia La mattina ci accoglie una sorpresa: nevica! Gli alberi e le case di Kakopetria sono ricoperti da alcuni centimetri di neve, come anche la nostra macchina. Sulla strada del ritorno la visione della vallata imbiancata è affascinante: i tetti spioventi delle due chiese vicino a Galata sono coperti di neve. Scendendo ancora, dopo qualche chilometro la neve invece scompare; proseguiamo per la stessa strada dell’andata, fino a raggiungere di nuovo Nicosia. Lasciata la macchina in un parcheggio a pagamento, prima di tornare al nostro fedele Hotel Centrum, visitiamo il Museo di Cipro, il più importante dell’isola. I reperti sono disposti in ordine cronologico; i più interessanti risalgono alle epoche più antiche. S’inizia con alcune figurine femminili a forma di croce, con le braccia aperte e la testa schiacciata su un lungo collo, una è riportata persino sugli euro. Si passa poi alla prima età del bronzo con modellini in terracotta che rappresentano altari con teste di toro e un recinto con figurine sedute. Al periodo miceneo appartiene il magnifico rython smaltato; reca rappresentazioni di tori, cacciatori e stambecchi, insieme a un personaggio che tiene al laccio un toro. Un’intera sala è occupata dalle statue in terracotta di varie dimensioni ritrovate nel santuario di Agia Irini. Ci sono piccole quadrighe con cavalli bardati e aurighi con elmo, una addirittura con un ombrellino. Numerosi guerrieri sono rappresentati a grandezza naturale con tracce di colore sulla barba e l’elmo, i piedi che spuntano dalla tunica. Uno indossa un alto copricapo a punta e saluta con una mano alzata, un altro dall’aspetto assiro ha la spada sotto il braccio, il pizzo, gli occhi spalancati cerchiati. Passando all’epoca classica, ammiriamo l’Afrodite di Soli, uno dei simboli di Cipro, ma la sua bellezza frontale nasconde un sedere piatto! Tornati nella città murata, saliamo all’undicesimo piano dell’edificio più alto di Lidhras, dove si trova un osservatorio, dal quale si gode un vasto panorama, anche se attraverso un vetro. La vista spazia su entrambi i settori, divisi dalla “Linea Verde”. In quello turco domina la mole della Moschea Semiliye. Superato il varco di confine, completiamo la nostra esplorazione di Nicosia Nord. Subito ci accolgono stradine pedonali, con la merce dei negozi esposta fin sulla strada. Il settore turco appare molto più interessante, con alcuni splendidi edifici che hanno mantenuto il carattere ottomano. I caravanserragli (han) erano destinati ad accogliere i mercanti insieme alle loro merci e cavalcature. Il Buyuk Han è stato restaurato recentemente; oggi le celle su due piani, affacciate sulla corte interna, ospitano negozi di artigianato e souvenir, oltre a un caffè. Al centro si trova una cappella esagonale con la fontana per le abluzioni. Il colpo d’occhio è molto bello. Nei paraggi il Kumarcilar Han è ridotto a un ammasso di rovine mentre il Buyuk Haman è in fase di restauro. Sbirciando tra le impalcature s’intravede il bel portale d’ingresso con un’arcata decorata; faceva parte di una chiesa trecentesca e oggi si trova sotto il livello della strada. La moschea Semiliye in origine era la cattedrale cattolica di Agia Sofia, costruita dai Lusignano in stile gotico francese come quella di Famagosta. Al momento della conquista nel 1570, anche qui i turchi distrussero tutti gli arredi, scoperchiando persino le tombe. Subito aggiunsero i due svettanti minareti, visibili in ogni punto della città; oggi sono accompagnati dalle bandiere turca e turco-ciprota. La loro presenza stride con lo stile della facciata, ispirata a Notre Dame anche se le due torri non furono mai completate. Visitando l’interno della moschea si ripetono le sensazioni di Famagosta; l’architettura gotica è esaltata dalla bianca nudità delle pareti, con il tocco rosso dei tappeti che coprono il pavimento, il mihrab e il minbar. A fianco della moschea, il Bedestan (“bazar dei preziosi”), era stato ricavato nell’antica cattedrale greco-ortodossa ma oggi è completamente nascosto per i restauri in corso. Nel moderno mercato coperto molte donne hanno il capo avvolto da un fazzoletto. Nei paraggi si trovano altri interessanti edifici: il Museo Lapidario è ospitato in ciò che resta di una casa di epoca veneziana (molto bella la quadrifora), mentre la moschea Haydarpasa altro non è che la chiesa di Santa Caterina con l’aggiunta di un minareto. Un vecchio di passaggio indossa ancora i caratteristici pantaloni turchi con il cavallo bassissimo. Lasciata l’area della moschea, raggiungiamo Ataturk Meydani, la piazza centrale della Nicosia turca già in epoca ottomana. La colonna di granito grigio proviene da Salamina ma il leone di San Marco che la sormontava è scomparso. Il quartiere Samanbahce, frutto di un progetto di edilizia sociale d’inizio Novecento, è formato da basse case con al centro una piazzetta dotata di una cisterna esagonale per l’acqua. Il Sehitilik invece è il memoriale dei martiri turco-ciprioti, contraltare di quanto visto nel settore greco: un cartello spiega che vi sono sepolti le vittime inermi massacrate dai greci. Alla fine di Girne Caddesi, raggiungiamo la Porta di Kyrenia, ormai isolata in mezzo a una piazza dominata dalla statua di Ataturk. E’ l’ultimo dell’anno e la sera nel settore greco tutti i ristoranti sono chiusi, a meno di non ricorrere a qualche locale per turisti di Laiki Yitonia. Teniamo duro e c’infiliamo nel “Jenny’s Restaurant”, a due passi dall’albergo, salvo poi scoprire che il menù è limitato a souvlaki e insalata greca; il locale è frequentato da uomini che intendono festeggiare il nuovo anno in compagnia di signorine con minigonne vertiginose! In compenso la cena non è male e il proprietario sembra coccolare la sua unica coppia “normale”. Tira un vento gelido e non ce la sentiamo di stare in giro fino a mezzanotte. Ci ritiriamo quindi in albergo; allo scoccare del nuovo anno, dalla terrazza si vedono due “fronti” di fuochi d’artificio, uno turco e uno greco! Giovedì 1 gennaio: Nicosia – Agia Napa – Capo Greko – Pafos Il primo gennaio a Cipro è tutto chiuso; organizziamo quindi una giornata senza musei e siti archeologici, sfruttando il tempo a disposizione per raggiungere Pafos, punto più occidentale del nostro itinerario attraverso l’isola. Lasciamo Nicosia lungo l’autostrada per la costa sud, deviando poco dopo fino a Agios Sozomenos. Il villaggio è stato abbandonato da decenni, dopo i violenti scontri tra turchi e greci. La chiesa di Agios Mamas è ridotta a una romantica rovina con le arcate della navata centrale ormai a cielo aperto che si stagliano sugli scheletri di case in mattoni di fango. Raggiunta la costa, proseguiamo verso oriente fino ad Agia Napa. L’estate, la cittadina è seconda solo ad Ibiza per il divertimento sfrenato dei suoi locali notturni, ma ora, in pieno inverno, appare semideserta: pochi anziani villeggianti, probabilmente nordici, passeggiano sfruttando la giornata di sole tra locali chiusi dall’aspetto kitch. Persino il monastero sembra assediato dai pub della piazzetta a fianco. Naturalmente oggi è chiuso ma dal cancello riusciamo comunque a intravedere il chiostro ad archi e la fontana ottagonale centrale, sormontata da una cupola. L’albero di sicomoro fuori dal muro di cinta è maestoso: si dice che sia antico quanto il monastero, costruito nel Cinquecento. Raggiunto il mare, ci affacciamo sopra bianche scogliere: da un lato i grandi alberghi allineati lungo la spiaggia, sotto di noi uno spettacolare arco di roccia e acque cristalline. Proseguiamo fino a Capo Greko, punta sud orientale dell’isola. La strada termina davanti a una recinzione che protegge alcune installazioni militari. Il mare, calmo sul lato meridionale verso Agia Napa, si fa agitato ad oriente con le onde che s’infrangono sulle bianche scogliere. Doppiato il capo, attraversiamo una serie di paesi, dove si fa sentire l’effetto della forte vocazione balneare estiva. Per consumare il nostro pranzo al sacco, ci fermiamo in un porticciolo affollato di pescherecci; un’immacolata chiesetta bianca con cupola celeste sorge in fondo al molo, formando con lo sfondo del mare azzurro un quadretto da depliant turistico greco. Per raggiungere Pafos, nostra destinazione serale, dobbiamo percorrere tutta la costa meridionale ma la veloce autostrada ci consente un paio di deviazioni. Dopo Agia Napa, superata un’area sotto l’amministrazione britannica, raggiungiamo Pyla, uno dei due paesi di Cipro nei quali greci e turchi vivono ancora insieme. Nella piazzetta centrale si affacciano il caffè greco e quello turco; su tutto veglia una torretta delle Nazioni Unite. In paese la moschea è dominata dall’alto minareto mentre la chiesetta ortodossa in pietra ha una campana per richiamare i fedeli. La convivenza delle due comunità rappresenta un messaggio di speranza. Questa volta percorriamo quasi tutta l’isola, fino a raggiungere Petra Tou Romou, la spiaggia dove nacque Afrodite, emergendo dalla schiuma delle acque. Lo scenario è magnifico: il lungo arco della spiaggia è racchiuso su entrambi i lati da grossi macigni. Il nome attuale, Roccia di Romios, deriva da un’altra leggenda secondo la quale i faraglioni sarebbero i proiettili lanciati dall’eroe bizantino Romios contro i pirati. Ci appostiamo, alti lungo la strada, in attesa che il tramonto accenda di rosso il paesaggio. A Pafos soggiorniamo all’Hotel Agapinor; si trova a Ktima, la parte alta della città, lontana dalle masse turistiche della zona balneare di Kato Pafos. L’albergo tuttavia è invaso dalle orde dei viaggi organizzati; ceniamo a buffet nel ristorante annesso, circondati dagli anziani ospiti. Venerdì 2 gennaio: Pafos Giornata interamente dedicata a Pafos. Prima di passare ai siti archeologi, facciamo una puntata al vecchio quartiere turco di Ktima: il mercato coperto è deserto e non ci resta che gettare un’occhiata dall’esterno alla Grande Moschea e all’hamam. In macchina raggiungiamo le Tombe dei Re. Il sito sorge in un’area vicino al mare, ricca di affioramenti rocciosi sfruttati nell’antichità per scavare sepolcri ipogei. In realtà non si tratta di sepolture reali ma appartenute alle nobili famiglie di Nea Pafos. Le tombe principali sono elaborate strutture ellenistiche con vari ambienti, contrassegnate da uno a otto. La più bella è senz’altro la numero tre, con un peristilio dorico perfetto, interamente scavato nella roccia come nelle case sotterranee di Bulla Regia in Tunisia. L’area archeologica di Nea Pafos, capitale di Cipro prima sotto i Tolomei e poi sotto Roma, sorge subito dietro il porto di Kato Pafos e si estende per l’intero promontorio. La sua grande attrattiva sono gli splendidi mosaici che le hanno fatto meritare il titolo di Patrimonio dell’Umanità: scoperti casualmente dagli anni sessanta, appartenevano alle grandi ville dell’aristocrazia imperiale romana. Iniziamo la visita con la casa di Aion, protetta da una costruzione: sei meravigliosi pannelli raffigurano alcuni episodi della mitologia. I tre sulla destra sono ottimamente conservati: Apollo pronuncia la sentenza contro Marsia, portato via per i capelli; le Nereidi, sconfitte da Cassiopea in una gara di bellezza, si allontanano imbronciate; infine Hermes offre il piccolo Dioniso a Trofeo perché lo allevi, mentre le ninfe si preparano a fargli il bagnetto. Per togliere ogni dubbio sull’identificazione dei personaggi, i loro nomi sono indicati in greco. La casa di Teseo era una villa immensa, appartenente probabilmente al governatore imperiale; due ambienti conservano altri mosaici, che questa volta possiamo ammirare a cielo aperto. Uno rotondo ritrae al centro Teseo mentre brandisce un bastone contro il Minotauro (scomparso) sotto lo sguardo di Arianna, di Creta e del Labirinto. Un altro rettangolare presenta una gustosa scena con il primo bagno di Achille, in braccio alla bambinaia, sorvegliato dalla madre Teti e dalle Tre Parche. Il mosaico prefigura chiaramente le successive rappresentazioni cristiane della Natività. Nella casa di Orfeo i mosaici purtroppo sono stati nascosti per protezione sotto teli. Proseguiamo quindi la nostra esplorazione del sito, raggiungendo il teatro, ma le rovine non sono all’altezza dei mosaici. La fortezza di Saranda Kolones (Quaranta Colonne) ha una lunga storia che risale all’epoca bizantina; le numerose colonne sparse qua e là nel terreno hanno un’origine poco chiara. Chiudiamo in bellezza con una scorpacciata di mosaici nella casa di Dioniso, riparata da una vasta costruzione. Si tratta di una vera e propria carrellata della mitologia greca. Tra le tante scene mi colpiscono il corteo nel Trionfo di Dioniso con il dio che monta un carro trainato da due pantere e Ippolito nudo mentre legge la lettera con cui la matrigna Fedra gli dichiara il suo amore, arsa dalla torcia di Eros. Alcune scene di caccia interrompono la sequenza mitologica che subito riprende con la tragedia di Priamo e Tisbe, nella quale un leone fugge con il manto di lei. Un lungo pannello riproduce la storia di Dioniso che insegna il segreto del vino a Ikarios, re dell’Attica; questi guida un carro con il nuovo elisir, a quanto pare già apprezzato da due pastori ubriachi. Terminata la visita del sito archeologico, ci affacciamo al porto. Lungo la passeggiata pedonale si trovano diversi locali, mentre in fondo si erge la mole del Forte raggiungibile dal ponte di pietra che scavalca il fossato. La tozza costruzione faceva parte di una fortezza più ampia, costruita dai Lusignano. Dal lungomare, la via intitolata all’apostolo Paolo costituisce l’asse principale di Kato Pafos. Raggiungiamo l’area con i resti della Panagia Chrysopolitissa, una vasta basilica a sette navate del IV secolo. Agios Kyriaki, costruita dai bizantini dopo il Mille, è molto più piccola ma è sopravissuta fino ad oggi; l’interno spoglio è utilizzato in comproprietà da cattolici e anglicani. Della basilica del quarto secolo rimangono varie colonne (una è indicata come Pilastro di San Paolo poiché ad essa sarebbe stato legato l’apostolo per essere flagellato); alcuni mosaici pavimentali rappresentano un cratere ricolmo di vino, un cervo che beve e alcuni grappoli d’uva, tutti accompagnati da iscrizioni cristiane. Tornati sulla strada principale, ci colpisce un grande albero al quale sono appesi innumerevoli drappi colorati, una tradizione analoga a quella buddista e comune anche all’Islam. Oggi decidiamo di concederci un pranzo, seduti: evitando i locali turistici del porto scegliamo l’”Hondros”, gustando moussaka e keftedi (polpette). Tornati a Ktima Pafos, scopriamo che sia il museo archeologico che quello bizantino sono già chiusi; ripieghiamo quindi per una gita fino al monastero di Agios Neofitos, situato sulle montagne dietro la città. Al parcheggio siamo accolti da una colonia di gatti: Cipro sembra essere un paradiso per questi felini! Piuttosto che il grande monastero, l’elemento più interessante è il piccolo eremitaggio di Neofito. Scavato nella roccia, è formato da tre minuscoli ambienti coperti di affreschi; i più antichi sono attribuiti dalla tradizione allo stesso Neofito che trascorse qui la sua esistenza nel dodicesimo secolo. Nel primo ambiente mi soffermo ad ammirare la Lavanda dei Piedi, con gli apostoli che si slacciano i sandali, e l’Ultima cena, con Giuda che si allunga per intingere il pane; nel secondo, il Pantocrator è dipinto sul basso soffitto. Il terzo ambiente era la cella dell’eremita che ricavò nella roccia uno scrittoio, un lettino e una nicchia, dove fu posto il suo corpo. Neofito appare raffigurato in un affresco inginocchiato davanti a Cristo; l’iscrizione reca l’anno 6691, corrispondente al 1183, poiché i bizantini contavano gli anni dalla creazione del mondo e datavano la nascita di Cristo all’anno 5508. In un altro affresco Neofito avvolge Cristo nel sudario mentre i soldati romani indossano armature medievali. Prima di lasciare il monastero facciamo visita al katholikon, la chiesa principale. Gli affreschi sopra la navata sinistra sono difficili da osservare per la scarsa illuminazione: ritroviamo le ventiquattro scene dell’inno Akathistos, marcate dalle lettere dell’alfabeto. La sera, da “Theo’s” al porto, consumiamo l’unica cena del viaggio a base di pesce: sardine e polipo grigliato. L’immagine del forte illuminato, riflessa nell’acqua, è molto bella. Sabato 3 gennaio: Pafos – Kourion – Vouni – Anoyira Lasciamo Pafos, ripercorrendo la costa meridionale, questa volta lungo la strada costiera invece che sull’autostrada. Torniamo ad ammirare lo scenario di Petra Tou Romou: dal belvedere sopra la montagna, la vista domina la spiaggia con i faraglioni, allietati dalla giornata soleggiata. Proseguendo la marcia verso oriente raggiungiamo la regione di Episcopi, la seconda area dell’isola sotto la giurisdizione inglese. Riprendiamo le nostre esplorazioni archeologiche con le rovine del Santuario di Apollo Hylates, il grande complesso sacro a qualche chilometro dall’antica città di Kourion. Il tempio centrale è stato restaurato rialzando un angolo con due colonne e un pezzo di frontone; intorno sorgevano vari edifici destinati a ospitare i pellegrini, con terme e palestre dove si allenavano gli atleti, utilizzando l’acqua di un’imponente giara per rinfrescarsi. L’antica Kourion sorge sopra una falesia a picco sul mare. Nell’ottocento gli scavi furono depredati dal console americano Luigi Palma di Cesnola e oggi il Metropolitan Museum di New York conserva il cosiddetto “tesoro di Curium”. La visita inizia con la casa di Eustolio, protetta da una futuristica copertura. I mosaici pavimentali risalgono al V secolo, quando il cristianesimo si era già diffuso a Cipro. Il più bello è senz’altro quello che raffigura Ktsis (in greco Costruzione), personificata da una donna che tiene in mano un regolo per la misurazione del piede romano. Il teatro apre la sua scena sul mare, ancora oggi è utilizzato per le rappresentazioni estive. Prima di raggiungere l’area dell’agorà, s’incrocia una casa distrutta dal terremoto che devastò la città nel IV secolo: la morte improvvisa dei suoi abitanti sotto le macerie, come a Pompei, ha fissato in un’istantanea la vita di una famiglia romana dell’epoca. Vicino all’agorà, prossima al bordo della falesia, sorgono i resti di un’imponente basilica paleocristiana, fiancheggiata dagli archi sopravissuti della residenza del vescovo. Proseguendo la passeggiata si raggiunge il limite dell’area archeologica, con alcune residenze apprezzate per i loro mosaici. Nella Casa dei Gladiatori rimangono scene di lotta: una coppia di gladiatori si affronta alla presenza dell’arbitro, altri due a torso nudo sono armati con spada, elmo e scudo. Il mosaico della Casa di Achille ritrae l’eroe vestito da fanciulla per “sfuggire alla leva” mentre si slancia verso le armi che l’astuto Ulisse gli ha mostrato, invano trattenuto dalla figlia del re presso cui era nascosto. Per tornare all’ingresso attraversiamo un vasto complesso di edifici, recentemente scavato intorno all’agorà. A Kolossi cambiamo genere visitando il castello, costruito dai Cavalieri Ospitalieri nel Duecento e loro quartier generale dopo la cacciata dalla Terra Santa fino al trasferimento a Rodi. I cavalieri avevano vasti possedimenti in questa regione ricca di vigneti, le commendarie, da cui deriva il nome del vino dolce locale, il “commendaria”. L’attuale struttura si presenta come un tozzo torrione ma faceva parte di un castello più grande. Nell’interno si visitano gli ambienti dei tre piani, imponenti ma spogli e dotati di caminetti (una vera rarità a Cipro). Il grande edificio a fianco, con volta gotica, era utilizzato come fabbrica di zucchero, produzione che non poté reggere la concorrenza delle piantagioni caraibiche; impressionante il grande albero del pepe con i rami sorretti da pali. Lasciato il castello, ci addentriamo nella bassa penisola di Akrotiri, occupata da un grande lago salato, fino a raggiungere il monastero di Agios Nikolaos ton Gaton (San Nicola dei Gatti). L’attrattiva sono proprio i gatti, discendenti dei felini portati da Sant’Elena sull’isola per debellarla dai serpenti velenosi; da allora, per rispettare la tradizione, i monaci li hanno sempre accuditi. Oggi il monastero è abitato da poche suore; appena arrivati, i gatti ci accolgono subito strusciandosi su di noi. La chiesa è chiusa e in giro non si vede un’anima viva, quando nel chiostro vediamo sbucare un’anziana monaca curva, inseguita da un nugolo di gatti che si appresta a sfamare. Questa notte abbiamo scelto di dormire ad Anoyira, un paesino nell’interno. Prima però raggiungiamo Vouni, sulle pendici meridionali dei monti Troodhos. Vicino al paese, un’associazione di volontari inglesi ha istituito un “pensionato” per asini. Nella struttura sono accolti animali malati o troppo anziani per lavorare, destinati altrimenti a una triste fine. Gli asini di Cipro erano molto apprezzati in passato ma oggi il loro impiego è diminuito. Nei recinti, maschi e femmine si distinguono per i collari di colore diverso; quasi tutti se ne stanno immobili quasi inebetiti, solo qualcuno si avvicina al recinto gradendo le mie carezze. Un’offerta per aiutare quest’iniziativa meritoria è doverosa. Ne approfittiamo anche per fare un giro tra le viuzze del paesino. Tra le case di pietra spicca la chiesa: al suo interno per salire sul pulpito ligneo il prete deve appoggiare una scala. Ad Anoyira ci sistemiamo nel “Nicola and Maria’s Cottage”, a pochi passi dalla piazza centrale del paese. La vecchia casa in pietra è stata restaura, con gli alloggi che si aprono attorno a un’affascinante corte centrale con forno in pietra. Siamo gli unici ospiti, accolti dal proprietario che ci illustra le vecchie foto in bianco e nero della casa negli anni cinquanta. Passeggiando per il paese riusciamo persino a dare un’occhiata al piccolo museo (una stanza) dedicato al carrubo: una volta considerato l’oro nero di Cipro, era prodotto in grande quantità, mentre oggi è apprezzato soprattutto dagli amanti della cioccolata. Ceniamo nella taverna “Nicolas”, a gestione familiare. La proprietaria chiacchiera con un paio di clienti inglesi, evidentemente trapiantati in paese, facendosi aiutare a sbrigare le faccende da due ragazzine (figlie o nipoti?!). Il telegiornale dà largo spazio all’evasione di un criminale locale, soprannominato Al Capone. Domenica 4 gennaio: Anoyira – Amathus – Khirokitia – Lefkara – Larnaca La mattina, nonostante la giornata piovosa, non rinunciamo a una passeggiata per le stradine di Anoyira, con le sue caratteristiche case in pietra. E’ domenica e in giro non si vede nessuno; la chiesa invece è affollata di fedeli. Sono in corso i lunghi “preparativi” per la messa con il prete ancora “nascosto” dietro l’iconostasi. Lasciando il paese, ci fermiamo all’antico monastero bizantino. E’ spuntato il sole e lo scorcio delle rovine è suggestivo; la chiesa non è custodita ma le elemosine sono collocate su un piattino senza che nessuno osi rubarle! Tornati sull’autostrada costiera, scavalchiamo Limassol, seconda città dell’isola, che abbiamo deciso di non visitare perché non particolarmente interessante. Poco dopo raggiungiamo il sito archeologico di Amathus, in riva al mare. L’antico porto è scomparso sottacqua e anche i resti della città non sono particolarmente spettacolari: nell’agorà pavimentata sopravvive qualche colonna rialzata mentre una curiosità è rappresentata da un lungo condotto in pietra, ormai allo scoperto ma integro. Nonostante la pioggia, decido di scalare la collina sulla quale sorgeva l’acropoli. Accanto ai resti del grande tempio dedicato ad Afrodite, si trova un colossale vaso di pietra calcarea, decorato con quattro piccoli tori; si tratta di una copia perché l’originale è conservato al Louvre.

Un altro tratto di autostrada ci porta al sito neolitico di Khirokitia. Nel settimo millennio a.C. Una comunità si stabilì sulle pendici della collina, in abitazioni circolari di pietra addossate le une alle altre. Oggi sopravvivono solo le parti basse dei muri, ma nel piazzale una ricostruzione aiuta a farsi un’idea di come fossero: avevano il tetto piatto e sul pavimento in terra era collocato il focolare. Deviando verso l’interno, raggiungiamo i due paesini di Kato e Pano Lefkara, apprezzati per la produzione di merletti. Nel primo visitiamo la chiesetta dell’Archangelos (XII secolo); il semplice interno presenta una cupola con la pietra nuda e alcuni interessanti affreschi. A Pano Lefkara i negozi di merletti e oggetti di argento attraggono i turisti. Si racconta che Leonardo da Vinci, durante la sua visita a Cipro, avrebbe acquistato a Lefkara una tovaglia ricamata, donata poi al Duomo di Milano. Noi invece ci limitiamo a gettare un’occhiata al museo del folclore, ospitato in quella che un tempo era la casa di una ricca famiglia. Siamo gli unici visitatori e per ammirare i merletti dobbiamo accendere la luce nelle varie sale. Lungo la strada per Larnaca, raggiungiamo Pyrga. Al centro del paese, a fianco della chiesa, sorge la piccola Cappella Reale, apprezzata per un ciclo di affreschi in “stile latino” risalenti al quattrocento. La porta è chiusa ma, telefonando al cellulare riportato su un bigliettino, riusciamo a rintracciare il custode. Ci racconta che per molti decenni è vissuto in Inghilterra, come molti altri ciprioti; con un lungo bastone ci illustra le varie scene. Janus, uno degli ultimi re lusignani, è rappresentato piccolo insieme alla seconda moglie, inginocchiato ai piedi della croce; nella Resurrezione di Lazzaro, il futuro primo vescovo di Larnaca è rappresentato avvolto in fasce mentre nell’Ultima Cena Giuda intinge il pane allungandosi sul tavolo. Sopra alcuni affreschi si notano iscrizioni in francese maccheronico. A Larnaca, ci sistemiamo in un miniappartamento, centrale ed economico (“Petrou Apartment”). Il lungomare è una successione di locali e grandi alberghi; d’estate la spiaggia deve essere un vero e proprio carnaio. Le alte palme danno comunque un tocco levantino. Terminiamo in bellezza la giornata con un’ottima cena nel romantico “1900 Art Cafè”, innaffiando il baklava con il commedaria, l’apprezzato vino liquoroso di Cipro. Lunedì 5 gennaio: Larnaca L’ultima giornata del viaggio è dedicata a Larnaca e dintorni. Percorsa la “passeggiata delle palme”, raggiungiamo il Forte, lambito dall’acqua del mare. Nell’esposizione si tiene a sottolineare come la sua costruzione sia precedente al dominio ottomano, contrariamente a quanto sostenuto dai turchi. Una serie di belle foto in bianco e nero ritrae chiese, castelli e altri monumenti sparsi per l’isola, una sorta di ripasso di quanto abbiamo visto. Sull’altro lato della strada sorge la Buyuk Cami; anche se la popolazione turca è fuggita al nord, la moschea è ancora attiva, frequentata dalla comunità islamica della città (siriani, egiziani e libanesi). Il minareto svetta alto mentre sopra la fontana per le abluzioni è collocato un moderno serbatoio dell’acqua, a testimonianza dei problemi idrici dell’isola. Superato il forte, il lungomare perde il suo carattere turistico tornando più autentico. Attraversiamo il vecchio quartiere turco, oggi popolato da numerosi ceramisti greci fuggiti da Famagosta. Un’antica moschea con hamam annesso è stata trasformata in ostello. La chiesa di Agios Lazaros è il massimo monumento cittadino. Dopo la sua resurrezione Lazzaro fu esiliato dai farisei che lo abbandonarono alla deriva in mare su una barca. Miracolosamente scampato al pericolo e sbarcato a Cipro, divenne il primo vescovo della città. Sopra la sua sepoltura, riscoperta nel IX secolo, fu costruita una magnifica chiesa bizantina, più volte modificata nel corso del tempo. Alcune stanze del monastero annesso ospitano un piccolo museo d’icone. Dalla piazza, la facciata posteriore della chiesa appare movimentata dalle absidi e dal campanile, aggiunto nel Seicento nonostante i divieti della dominazione ottomana. Domani è l’Epifania e in chiesa è in corso una messa solenne; alla fine della cerimonia i fedeli portano a benedire le pagnotte di pane, facendo il giro delle icone per baciarle. L’interno, abbastanza spoglio per un incendio, è arricchito da preziosi lampadari e dall’iconostasi. Una scala conduce nella cripta con la tomba di Lazzaro. Tornati verso l’albergo, visitiamo il Museo Pierides, una raccolta privata nata nell’Ottocento per la passione di un ricco collezionista. Il pezzo migliore è una statuetta in terracotta rossa del 5000 a.C. Ritrae un uomo che urla, seduto accovacciato su uno sgabello; ha la bocca spalancata, la testa tra le mani e il membro prominente. In un vasetto bianco una figurina seduta su un trono è raffigurata con due antenne, tanto che a qualcuno ha fatto pensare a un astronauta. A pranzo, nel locale a fianco della moschea, mi servono un kebab con una montagna di carne. Il pomeriggio, recuperata la macchina, raggiungiamo Kiti, a una decina di chilometri da Larnaca, dove sorge la chiesa bizantina di Angeloktisti. L’esterno ha un aspetto movimentato per le varie cappelle con absidi, ma la vera attrazione è l’antico mosaico all’interno. Purtroppo l’illuminazione elettrica non funziona e con la scarsa luce non si riescono ad apprezzare bene i particolari. Maria con il Bambino in braccio è rappresentata nell’abside tra gli arcangeli Michele e Gabriele che offrono globi celesti; l’iscrizione “Agia Maria” pone una serie di problemi di datazione, poiché l’appellativo era utilizzato dai monofisiti sconfessati dal Concilio di Efeso nel 431. I bizantini erano molto “attenti”, praticamente maniacali, su queste sottili questioni teologiche. Stilisticamente il mosaico richiama lo stile di Ravenna e quindi risalirebbe al VI secolo. Tornando verso la città, raggiungiamo il grande lago salato vicino all’aeroporto. Sulla sua sponda sorge la Hala Sultan Tekke. La moschea con il minareto, circondata da palme, si specchia nelle acque formando un bel quadretto. Nel VII secolo durante l’invasione araba di Cipro, la zia di Maometto, morta cadendo da un mulo, sarebbe stata sepolta sul posto; per questo motivo il luogo è venerato dai musulmani che lo considerano il quinto più sacro al mondo dopo La Mecca, Medina, Gerusalemme e Kairouan in Tunisia. Il sarcofago, coperto da un drappo verde, è collocato sotto una sorta di baldacchino in pietra; si dice che il tetto sia formato da un unico lastrone gigantesco, forse un meteorite. Nella moschea, dalle architetture ottomane, regna un grande silenzio; oggi non ci sono fedeli in giro ma il luogo trasmette comunque una sensazione di misticismo, nonostante il continuo passaggio degli aerei in fase di atterraggio nel vicino aeroporto. Raggiungendo la sponda del lago verso la città, ci fermiamo ad ammirare una colonia di fenicotteri. Secondo una leggenda l’origine dello specchio d’acqua salmastra sarebbe legata a Lazzaro, che adirato con una vignaiola, avrebbe sommerso i suoi terreni sotto le acque salate. I fenicotteri se ne stanno a qualche decina di metri dalla riva: alcuni riposano appollaiati su un’unica zampa, altri sono occupati a consumare la cena a base di gamberetti. Hanno siluette aggraziate e il colorito rosa. Al tramonto le nuvole e il sole si riflettono nelle basse acque formando un mondo capovolto. A Larnaca, la sera ceniamo al “Militzis”, un locale sul lungomare oltre il forte, affollato di ciprioti Scelgo il kleftiko (agnello al forno) che viene cotto in uno dei tre grandi forni in pietra. Martedì 6 gennaio: Larnaca – Roma Sulla strada per l’aeroporto costeggiamo di nuovo il lago salato punteggiato dai fenicotteri. Riconsegnata la macchina alla Hertz, sbrighiamo rapidamente le operazioni di check-in. Il volo per Roma, fissato alle nove e mezzo, decolla quasi puntuale dalla pista che corre a pochi metri dal mare.



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