CINA Alla fine di tanta attesa e tanta speranza, finalmente io e mio marito Maurizio riusciamo a coronare il nostro sogno di visitare, in camper, la Cina. Dopo quasi un mese di viaggio con soste lungo il tragitto, la visita di Mosca e l’ attraversamento del Kazakistan, il 13 maggio avvistiamo la bandiera rossa con 5 stelle della Cina ed, emozionantissimi, ci presentiamo alla frontiera. Intimoriti dalle decine di guardie in perfetta divisa verde e berretto con striscia rossa che ci fanno un’infinità di segnali, ci mettiamo in fila per vistare il passaporto e ci accorgiamo, con estrema meraviglia, della cordialità e disponibilità rivoltaci. Benché ormai tardi, infatti, non ci chiudono gli sportelli in faccia, ma, anzi, si fanno in quattro per agevolarci il passaggio. Il viaggio riprende il giorno dopo, espletate tutte le formalità, sotto l’ala protettrice della nostra guida Dieci. Arriviamo ad Urumqi, dopo aver attraversato diverse cittadine e pernottato in alcune di esse, per fermarci un paio di giorni. Abbiamo così la possibilità di partecipare alla vita quotidiana dei cinesi, attivissimi e sempre sorridenti. Ci accorgiamo che lavorano tantissimo, dalla mattina alle 10 di sera, senza giornate di sosta e con un giorno di riposo al mese! Le strade cittadine sono un susseguirsi di piccoli negozi con le insegne coloratissime quasi più grandi del locale stesso. I ristorantini sono ovunque e in Cina, come in Italia, si trova sempre un posticino dove fermarsi a mangiare a qualsiasi ora del giorno e della notte. L’unico problema è la qualità del cibo che per noi è troppo piccante! Anche i mercati sono aperti continuativamente mattina e pomeriggio e la merce esposta, divisa per settori, è tantissima, e varia dai cellulari, all’abbigliamento, alla frutta, alla verdura, alla carne e al pesce. Non si trova pane, ma in questa zona dove c’è una fortissima presenza di Uiguri, un’etnia di origine turca, si trova una specie di pane squisito, cotto in forni a pozzo. Anche il latte si trova nei negozi e tantissima carta igienica che viene addirittura utilizzata nei ristoranti al posto dei tovagliolini! Un’altra peculiarità che ci fa riflettere è che per i bambini piccoli non vengono usati né passeggini né carrozzelle, ma sono sempre tenuti in braccio ed in più non portano pannolini e neppure mutandine, ma pantaloncini con il cavallo aperto. Il viaggio prosegue attraversando una zona desertica e sembra proprio di essere in Tunisia con rigogliose oasi in lontananza dove si coltiva la vite e non tanto per farne vino, ma per essiccarne i grappoli in appositi essiccatoi posti fuori dalle città e ricavarne, insieme a meloni e prugne, frutta secca che è la maggior fonte di reddito della zona. Ci fermiamo un paio di giorni a Dunhuang dove visitiamo le “Dune della sabbia che tintinna” e, su strade alcune ancora in costruzione, altre bellissime con i caselli di pedaggio ogni 100 chilometri, ci avviamo verso il Tibet. Attraversiamo bellissime zone quasi disabitate e incominciamo a salire di quota. L’ultima sosta, prima di affrontare l’unica strada che porta a Lhasa la facciamo a Golmud. Quindi ci avviamo e, costeggiando la costruenda ferrovia di circa 1160 chilometri, ci avventuriamo sugli altipiani tibetani attraversando bellissime praterie contornate, in lontananza, da monti appena spruzzati di neve e cosparse di grandi mandrie di yak che pascolano tranquillamente. Attraversiamo micro paesi adagiati ai lati della strada, saline e, in un deserto assolutamente privo d’alberi, saliamo al passo Kunlun di 4849 metri e, successivamente al passo Tansguza di 5231 metri accusando, ovviamente, mal di montagna. Finalmente, dopo quattro giorni, scendiamo a Lhasa dove ci immergiamo in una vita d’altri tempi carica di misticismo e di folklore. Quasi tutti indossano abiti e acconciature tradizionali. Bellissime quelle degli uomini e donne Khauipa con anelli d’argento e nastri rossi intrecciati ai capelli corvini. La città, adagiata sotto il maestoso Potala, residenza invernale e centro governativo del Dalai Lama, è piena di pellegrini che, a piedi, vanno a visitare il tempio buddista di Jokhang il più sacro del Tibet. Con rammarico per non aver potuto restare di più, lasciamo Lhasa per dirigerci alle famose tre gole dello Yangtze attraversando una parte della Cina non toccata dal turismo internazionale. Passiamo attraverso paesini e cittadine di qualche milione di abitanti , ma anche attraverso sterminate campagne dove ogni centimetro quadrato di terreno, fosse pure terra smossa di una frana, è coltivato con tantissima cura da sembrare un quadro. La strada, invece, è utilizzata per essiccare frutta e verdura, per battere il grano e per altre attività di uso domestico. Arriviamo a Xi’an dove visitiamo il quartiere mussulmano con una bellissima moschea e l’ottava meraviglia del mondo: i guerrieri di terracotta. Migliaia di statue a grandezza naturale e un bellissimo museo ospitati in strutture appositamente costruite. Con un caldo afoso arriviamo a Fengje da cui partiamo per una breve crociera sul fiume Yangtze. L’acqua della diga è già salita di 100 metri per cui delle tre bellissime gole con le pareti scoscese non rimane quasi più nulla. Nel 2009 salirà per gli ultimi 75 metri e saranno evacuate circa 9 milioni di persone. Continuiamo il viaggio nella parte montuosa della Cina con sosta a Shaolin famosa per le scuole di kung fu attraversando anche vaste e stupende risaie terrazzare, fino ad arrivare a Shanghai. La città ci accoglie con la sua vivace vita quotidiana e ci si presenta nell’ideale connubio di vecchio e nuovo: sotto i modernissimi grattacieli di cemento e cristallo, i quartieri popolari con basse case e una miriade di attività dalla ristorazione, ai souvenir per turisti, dai negozietti appiccicati l’uno all’altro ai mercatini delle pulci. Per chi come noi non ha mai visto le grandi città americane, Shanghai suggerisce l’idea di una modernissima metropoli. Ovviamente non mancano i grandi negozi come, ad esempio, un maxi emporio Benetton, un’esposizione della Porche e, bellissima, un’esposizione della Ferrari in rigoroso “tutto rosso”! Ci si muove benissimo anche da soli, senza guida, utilizzando la moderna metropolitana e senza essere, soprattutto, oggetto di borseggi, furti ecc. Anche la città di notte ci ha meravigliato per l’abbondanza e la ricercatezza delle insegne luminose, per l’illuminazione dei maestosi palazzi finanziari del Bund, per la suggestiva vivacità del Pudong e, soprattutto, per l’animatissima e vivace vita lungo e sul fiume Huangpu. Anche il Museo di Shanghai è stato significativo per avere una pallida idea dell’arte e della cultura cinese. Lasciata la città costeggiamo per molti chilometri il Grande Canale solcato da lunghe file di grosse chiatte e dopo una sosta a Qifu patria di Confucio, arriviamo a Pechino. Sotto un sole torrido e un’afa indescrivibile ci accingiamo a visitare la capitale iniziando dal Tempio del Cielo ma, soprattutto, dalla vastissima piazza Tiananmen dove svetta il monumento agli Eroi del Popolo, il Mausoleo di Mao Zedong e la porta della Pace Celeste che dà accesso alla Città Proibita. Nella piazza sventolano una decina di bandiere rosse che ci ricordano che siamo in un paese comunista! La visita alla vastissima Città Proibita ci mette a dura prova, ma ci ricompensa una cena a base di anatra laccata e uno spettacolo acrobatico per turisti. Il giorno dopo visitiamo il Giardino d’Estate mentre i giorni successivi li dedichiamo alla Pechino meno artistica e famosa, ma più vera gironzolando per gli hutong, i vicoletti dove pullula la vita quotidiana dei pechinesi, i parchi dove si vanno a riposare e divertire quando possono e le viuzze animate di commercio. Lasciata Pechino non poteva mancare una visita alle Tombe Imperiali Ming e, soprattutto, alla Grande Muraglia. Saliamo alla torre con una funivia e percorriamo un bel tratto della Muraglia con il sole al tramonto che illumina a luce radente il serpentone di pietra che, su e giù da una collina all’altra, si snoda a perdita d’occhio. Ovviamente lungo il viaggio abbiamo visitato molte “Grotte dei Budda” con statue ed affreschi votivi risalenti a periodi dal 300 al 1700 d.C. Circa, ma le più belle in assoluto sono quelle di Yungang sia per la grandezza che per i colori ancora vividi delle statue e delle grotte stesse. Dopo 83 giorni di permanenza in Cina arriviamo alla frontiera con la Mongolia ma, prima di attraversarla, ci voltiamo indietro per ringraziare questo immenso Paese per tutto ciò che ci ha offerto, per l’esperienza che ci ha permesso di fare, per la cordialità della sua popolazione e per la bellezza della sua natura.
MONGOLIA Attraversata la frontiera con la Cina ci ritroviamo in Mongolia e, più precisamente, nel deserto del Gobi. La strada per Ulaan Baatar, la capitale, lunga circa 800 chilometri è una strada per modo di dire, perché in effetti è solo una pista di terra, ghiaia, sabbia, costeggiata solamente dalla ferrovia transmongolica, che si percorre a circa 20 Km all’ora salvo insabbiamenti! Ogni tanto, in lontananza c’è qualche gher, le tende tipiche di questo popolo che ancor oggi per il 50% è nomade. L’unica forma di vita che si incontra, a parte qualche rara macchina, moto o camion, sono mandrie di cavalli, mucche o cammelli. Come riescano a sopravvivere in questo deserto è un mistero anche perché l’acqua non c’è proprio, neanche nei villaggetti che, periodicamente, sono riforniti del prezioso liquido dalle autobotti. Ciò che, invece, abbonda sono le carcasse e le ossa calcinate degli animali morti lungo la strada. Comunque il silenzio, la pace, la vastità di questo deserto, in una parola, la bellezza ripaga abbondantemente lo stress del viaggio. A circa 200 chilometri dalla città, invece, appare per incanto la strada asfaltata e in un lampo arriviamo ad Ulaan Baatar che ci accoglie in modo rozzo, ma bonario. Il giorno dopo ci avviamo al Parco Naturale di Terelj dove sostiamo due giorni sulle rive del fiume a raccogliere funghi, passeggiare e riposare. Da lì raggiungiamo il monastero buddista di Manzushir in mezzo ai monti e ci accorgiamo che tutto intorno al parcheggio è pieno di stelle alpine spontanee. In Mongolia la religione è il Buddismo Tibetano ed i templi sono identici a quelli del Tibet. Ritorniamo ad Ulaan Baatar dove, dopo 4 mesi di bocconcini, riusciamo a mangiare, in un ristorante, una bella bistecca intera da tagliare con il coltello! Riprendiamo la strada verso nord ma, ad un certo punto deviamo ad ovest e percorriamo circa 40 chilometri per arrivare a Karakorin l’antica capitale mongola di Gengis Kan dove visitiamo il bellissimo monastero e tempio di Erdene Zuu che conserva stupendi gioielli di culto buddista. Così belli non li abbiamo visti neppure a Lhasa anche perché questi sono stati protetti e nascosti dalla popolazione all’arrivo del comunismo ed ora, che la Nazione è diventata indipendente, sono stati riproposti al culto popolare e non sono delle belle copie come quelli tibetani, ma autentici nella loro integrità e vetustà. Lasciata Karakorin torniamo indietro e, con una deviazione di circa 35 chilometri su pista, visitiamo il monastero di Amarbayasgalant. Anche qui la bellezza del luogo sacro, sperduto in mezzo ad una vasta e disabitata prateria e circondato dai monti, ripaga dalla fatica e dalla polvere della strada. Quello che più salta agli occhi della Mongolia è la bellezza sconfinata del cielo azzurro, la vastità deserta delle praterie, la popolazione gentile e affabile, ma più riservata dei cinesi e la quantità di cavalli, mucche e greggi sparsi ovunque. Il cavallo è l’emblema e il mezzo di trasporto più comune di questo Paese. I bambini imparano da piccolissimi a cavalcare e un cavallo sellato è sempre legato fuori di un gher, vicino alla tenda e lontano dalla mandria, proprio come fosse un’automobile. Un’altra sosta di mezza giornata la facciamo ad Erdenet dove visitiamo il mercato. A differenza della Cina e a causa della carenza d’acqua la frutta e la verdura si sono ridotte a delle melette, patate, carote, verze e qualche raro pomodoro. Riprendiamo la strada che in poco tempo ci porta alla frontiera con la Russia. Il ritorno a casa, ormai prossimo, si snoda attraverso la Siberia con soste sulle rive del Lago Baikal dove ci tuffiamo nelle sue acque gelide, ma troppo invitanti. Dopo esserci fermati a Ulan Ude, Irkus, Novosibinsk e Yekaterinburg, riattraversiamo gli Urali ritornando in Europa. Breve sosta a Kazan che festeggia i 1000 anni della fondazione, a Minsk, in Bielorussia, e a Czestochowa, in Polonia. Alla fine di settembre facciamo felicemente ritorno in Italia carichi di un bagaglio che non pesa ma che, soprattutto, mai dimenticheremo da qualche parte.
Rita Azzurri rita.Azzurri@virgilio.It