California on the road 2

Il nostro viaggio di laurea negli States: due settimane per riempirci gli occhi di questo mitico Paese
Scritto da: martina14890
california on the road 2
Partenza il: 19/05/2015
Ritorno il: 02/06/2015
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €
Se avete appena staccato un biglietto per la California e state cercando informazioni e consigli utili, come prima cosa lasciatemi dire: ben fatto.

Indottrinata per bene da film e serie tv, io sono cresciuta praticamente con il “sogno californiano”, e quando ho ricevuto questo bellissimo regalo per la laurea per me è stato un sogno divenuto realtà, ho letteralmente pianto dalla gioia e oggi, a maggior ragione dopo averlo fatto, posso dire che si tratta di un viaggio indimenticabile. La California è veramente unica nella sua poliedricità, offrendo grandi metropoli, mare, deserti, montagne e boschi, e si può star certi che non ci si potrà annoiare.

Quando, dicevo, ho ricevuto in regalo i biglietti di questo viaggio di due settimane dal mio ragazzo, mi sono immediatamente tuffata nelle ricerche. La parola d’ordine per un viaggio del genere è: pianificare, per essere sicuri di sfruttare al massimo il tempo di cui si dispone.

In questo internet mi ha aiutato moltissimo, al punto che mi sento di dire che la guida cartacea è superflua – io l’ho ricevuta come parte del regalo, ed è stata utile soprattutto in una prima fase, ma non offre niente che non possa essere sostituito da un’accurata ricerca online. In particolare, guide pratiche di persone che hanno fatto lo stesso viaggio prima di noi sono state preziose (ad esempio questa) e per ciò ho pensato di condividere la mia esperienza, senza la pretesa di scrivere una guida, ma un diario che possa offrire spunti e che contenga alcune delle risposte alle domande che mi ponevo prima della partenza.

Eccone alcune preliminari

Quanto tempo necessita un viaggio in California?

Il mio è durato due settimane, su questo non ho potuto decidere. Due settimane permettono di vedere tantissime cose, ma sinceramente, se ne avete la possibilità, vi consiglio di ritagliarvene tre: rallentate un po’ i ritmi, vi godete ogni cosa senza correre e senza l’ansia di dover giungere in tempo alla destinazione successiva, potete aggiungere anche qualche tappa in più.

Come muovermi in California?

Con l’auto! Senza dubbio il mezzo più rapido ed efficiente per spostarsi da una città all’altra e anche all’interno delle città stesse. Vi consiglio vivamente di aspettare di avere compiuto 25 anni, perché se ne avete 24 e 10 mesi come noi, il noleggio dell’auto vi costerà esattamente il doppio del normale a causa della tassa aggiuntiva per i guidatori under25, che va dai 25 ai 35 $ al giorno, a seconda della compagnia. Occhio a questo fatto perché talvolta nei siti dei noleggi anche se mettete come età 24, vi mostrano i prezzi del noleggio normale, e subdolamente non scrivono (o scrivono piccolissimo in fondo alle terms and conditions) che dovrete pagare questo supplemento pari o superiore al costo nel noleggio stesso! Vi fanno la sorpresona appena andate a prendere l’auto. Se partite prima di questa età, quindi, consiglio di cercare dei pacchetti appositi “young driver”. Il più conveniente l’ho trovato su usrentacar.com, e comprendeva questa tassa, guidatori aggiuntivi e riconsegna con serbatoio vuoto ad un prezzo sommariamente più conveniente rispetto agli altri che avevo trovato. La compagnia era Alamo.

I parcheggi a pagamento sono ovunque, ma anche capire dove posteggiare in strada dopo un po’ è semplice: basta guardare i cartelli con gli orari e i giorni della settimana (occhio alla pulizia delle strade) e guardare la segnaletica orizzontale, talvolta ci sono delle croci che delimitano i parcheggi, altre volte il bordo del marciapiede bianco o rosso fa intendere dove si può e non si può sostare.

Ah, un’ultima cosa: patente di guida internazionale? Non fatevi fregare questi 40€ dalla motorizzazione italiana, in California non interessa a nessuno.

Quando cominciare a programmare il viaggio?

Prima che potete. Alcune cose vanno assolutamente prenotate con anticipo, o rischiate di non trovare disponibilità (ad es. Alcatraz); gli alberghi, il noleggio dell’auto e i parchi di divertimento vi costeranno meno se prenotati con anticipo.

Vi consiglio di fare delle ricerche generiche, chiedere consigli ad amici e parenti che hanno già fatto questo viaggio (alcuni consigli per noi sono stati preziosi!), dopodiché farvi una bella griglia di una pagina con i giorni che avete a disposizione (mi raccomando non dimenticate che maggio ne ha 31 come invece ho fatto io) e incastrate le varie tappe come un puzzle, compatibilmente con le distanze e le tempistiche.

Ahh Google Maps, se non ci fossi stato tu! Vi consiglio di stringere un bel sodalizio con Google Maps, scaricatevelo su tutti i dispositivi possibili, sarà una risorsa a dir poco preziosa sia in fase di pianificazione che in viaggio, per indicarvi la strada, calcolare le distanze e i tempi di percorrenza! Questi ultimi sono precisi all’ordine del minuto! Nel senso che se vi dice che arrivate alle 8:56, potete scommetterci quello che volete che alle 8:56 sarete in quel punto preciso, perché Google Maps sa esattamente dove sono gli incidenti, gli ingorghi e i rallentamenti lungo la strada, e forse anche quando dovete andare in bagno e quando avete voglia di un caffè! In California poi ci è sembrato particolarmente accurato, dice pure le corsie in cui stare in autostrada per uscire o comunque andare dalla parte giusta. La versione web più completa permette di studiare percorsi più elaborati con varie tappe intermedie, deviazioni, indicazione dell’orario di partenza o di arrivo… Bel lavoro Larry Page! Se volete vedere esattamente il percorso che abbiamo fatto noi, lo trovate qui .

Internet si o internet no mentre sono lì?

Io direi internet si! A parte il sopracitato Google Maps decisamente indispensabile, internet è particolarmente utile in viaggio: mettete da parte Facebook, decisamente meglio salvare tra i preferiti Tripadvisor. I consigli sono quasi sempre giusti, sia per le attrazioni che per i ristoranti e gli hotel. Ma non solo quello: forum di viaggi, blog e siti di ogni genere possono tornarvi utili. Non potrete sempre contare sul wifi. Noi abbiamo attivato l’offerta Tim in viaggio Pass, vedete voi se e quale vi conviene.

Cosa non devo dimenticare di portare con me?

  • L’ESTA. Vi rimandano indietro se non l’avete fatto, garantito.
  • La macchina fotografica. Se c’è un posto dove scattare milioni di foto, quello è la California. Se siete fotografi esperti, beati voi, portatevi la reflex e tutti i suoi accessori, tornerete con un rullino incredibile.
  • Abiti di pesantezza molto varia. Si va dal caldissimo al freddissimo, anche nella stessa giornata. A tal proposito leggete più avanti. E anche le scarpe da ginnastica.
  • Se l’avete o qualcuno ve lo può prestare, il navigatore satellitare con le mappe americane. Ma non avevi detto di usare Google Maps? Starete pensando. È vero, ed è anche vero che il Tomtom in genere è un po’ più imbranato nel trovare le destinazioni, ma a parità di percorso è più comodo se ve lo appiccicate al vetro e guardate con i vostri occhi dove andare, inoltre se siete nel mezzo della death valley e non si prende una tacca sul cellulare nel raggio di 100 miglia, può essere abbastanza confortante averlo. Ciò detto, non è indispensabile. Le indicazioni stradali sono ben fatte.
  • Caricatori da auto, batterie esterne. Se siete caduti anche voi nel tunnel degli smartphone belli ma che si scaricano in 20 minuti, vi torneranno molto utili.

Martedì 19 maggio, giorno 1

Atterriamo a Los Angeles intorno alle 15. L’aeroporto è praticamente in centro città, così prendiamo un taxi. Per Los Angeles abbiamo scelto degli appartamenti proprio di fronte la spiaggia a Venice Beach (AIR Venice). Ci siamo lasciati incantare dalle foto degli appartamenti con ampie finestre che si affacciano proprio sull’oceano, abbiamo addirittura scelto di pagare di più per la camera con la vista migliore. Effettivamente l’appartamento è proprio come sembrava, non rimaniamo delusi né dalla vista né dall’arredo moderno ed essenziale stile Ikea. Non di lusso ma decisamente gradevole.

Il tempo di posare i bagagli e scendiamo subito a fare una passeggiata a Venice! Il lungomare, che si estende a nord fino alla spiaggia di Santa Monica, è esattamente come si sognano le spiagge californiane: distese di sabbia infinita, spiagge profonde, c’è da camminare un bel po’ prima di arrivare al mare! Qua e là ci sono le capanne di legno dei baywhatchers, manca solo una Pamela Anderson d’altri tempi che esce con salvagente sotto braccio. E le palme, le immancabili altissime palme.

Venice beach ha uno stile alternativo, il lungomare è affollato di ragazzi in bicicletta, skateboard, e moltissime bancarelle di artisti di strada. Ci sono palestre all’aperto che espongono premi di bodybuilding, capannelli di ragazzini che ballano, forse giravano uno spot. Si sente forte l’odore del mare e ogni tanto dell’erba, d’altra parte numerosi sono anche gli smoke shops.

Camminando verso nord ci avviciniamo a Santa Monica, molto più tranquilla e borghese. Los Angeles è anche la città del fitness e infatti ci sono innumerevoli ciclisti e gente che corre lungo la spiaggia. Ci sono anche delle altalene bellissime sulla spiaggia e delle ragazze che dondolano davvero in alto! Non posso resistere a un’altalena così ci fermiamo 10 minuti anche noi, e poi la vista sulla spiaggia è così bella, è quasi il tramonto e c’è il Santa Monica pier proprio lì che volando sull’altalena pare di poterlo toccare con le dita. Dopo è lì che andiamo, anche quello è pieno di gente, bambini, musica e ristoranti. Ne scegliamo uno che ci ispira per mangiare un Clam chowder, la tipica densa zuppa di pesce servita nella scodella di pane. Dopodiché ci ri-incamminiamo verso l’appartamento, adesso il sole è tramontato e ci lasciamo alle spalle il pier con la sua ruota panoramica illuminata di mille colori, bellissima.

Mercoledì 20 maggio, giorno 2

Questo è l’unico giorno dedicato interamente a visitare Los Angeles, ci hanno detto un giorno basta e ci siamo regolati di conseguenza. Andiamo a fare colazione in un piccolo caffè a Venice chiamato Flakes, tipica colazione americana con bagel e uova, molto buona.

La nostra prima tappa è la UCLA. Non abbiamo ancora la macchina, il che non è l’ideale in una metropoli delle dimensioni di Los Angeles e con oltre 100 linee di bus… ma anche questa volta Google Maps ci viene in soccorso! Basta inserire la destinazione e selezionare i mezzi pubblici, lui ci dice esattamente che bus prendere, a che ora passerà, dove cambiare e a che ora arriviamo. Non avremmo mai potuto capire quella ragnatela di linee altrimenti! Arrivati alla UCLA la giriamo un po’, confondendoci tra gli studenti che vanno a lezione (ma forse siamo un po’ troppo eleganti per confonderci, la divisa qui sembra essere pantaloncini da ginnastica e trainers). Una breve passeggiata anche a Westwood, il quartiere adiacente all’università, poi riprendiamo il bus.

Arriviamo a BEVERLY HILLS! Chi non ne ha sentito parlare. C’è una zona chiamata Golden triangle, e non è d’oro per niente: oltre ad abitazioni vistosamente ricche, c’è la famosa Rodeo Drive, una delle vie dello shopping più lussuose e famose al mondo – Pretty woman, vi dice niente? Non sono Julia Roberts e non posso comprare montagne di abiti in questi negozi dalle loro commesse snob, però passeggiare per la strada è davvero bello, la strada in sé è magnifica, e ci fermiamo a mangiare alla Cheesecake Factory, da buoni fan di Big bang theory (si, continuerò a parlare di film e telefilm fino alla fine). Scopriamo tra l’altro per coincidenza che quello è il loro primo ristorante, l’originale. Le cameriere non sono vestite come Penny, ma il cibo è ottimo e la cheesecake stupenda. Camminando fino alla successiva fermata del bus, vediamo il Beverly Hills signal (è tipico qui negli Stati Uniti che ogni quartiere, città o attrazione abbia la propria insegna più o meno iconica).

L’autobus ci porta fino alla SUNSET STRIP. Questa via è nota nel mondo cinematografico per la presenza di studi, locali di musica rock, ristoranti un tempo frequentati da star del calibro di Marilyn Monroe… La nostra guida ci aiuta a individuarli (roxy bar, whisky a go go ad esempio).

In fondo a questa strada c’è Hollywood! Facciamo un giro tra le stelle dei marciapiedi, il Kodak theatre (dove si celebra la notte degli Oscar), qualche centro commerciale, e vediamo – ma piccola, è molto lontana – l’insegna di Hollywood. Verso le 7:30 decidiamo di andare al cinema a vedere il sequel di The Avengers; il cinema El Capitan in sé è un’attrazione, ci fanno tutte le première dei film Disney.

Dopo il film torniamo a casa in autobus. Sono le 10 e mezza ormai e non lo nego, girare la città in autobus al buio, per un tragitto di un’ora, è piuttosto inquietante e non ci sentiamo sicuri. La sensazione che ricordo di più è quella di un buio insolito per una grande città. Dobbiamo fare persino un cambio, aspettare 10 minuti in una strada non troppo bella… non è un’esperienza che consiglio, ma per fortuna siamo arrivati a casa senza problemi.

Giovedì 21 maggio, giorno 3

Oggi è la giornata dedicata agli Universal Studios. Dopo una rapida colazione nel nostro appartamentino vista oceano, andiamo in taxi all’agenzia Alamo presso l’aeroporto perché finalmente è giunto il momento di prendere la macchina. La procedura è rapidissima! Non c’è nessuno prima di noi, mostriamo i documenti, firmiamo, ci dicono di andare in una determinata fila del parcheggio dove sono posteggiate le auto della nostra categoria, possiamo semplicemente scegliere quella che più ci piace, le chiavi sono dentro e partire. Fantastico! Noi avevamo pagato per un’auto categoria suv: dovremo fare taaaante miglia per cui serve un’auto comoda. Vogliamo un’auto americana per cui la nostra scelta cade su una Dodge Journey grigio scuro: una gran bella macchina, una guida (rigorosamente automatica) fluida… Certo che le belle stradone americane aiutano! Insomma, impostiamo il navigatore e via.

Alle 9 siamo agli Universal Studios. Il biglietto l’avevamo comprato prima, front of the line. Eravamo molto preoccupati per le lunghe file, ma sarà che siamo arrivati presto, sarà che è un giorno di settimana… tutta questa confusione non c’è. Avevamo persino studiato un “piano”, sui forum degli appassionati dei parchi divertimento, sull’ordine in cui fare le varie attrazioni per ottimizzare i tempi e riuscire a farle tutte. In fin dei conti non ci serve, le facciamo tutte due volte, una prima quando non c’è fila, e la seconda, più tardi quando c’è più confusione, con il nostro pass. Le più belle sono quelle di Transformers, dei Simpson e il VIP tour.

Usciamo dal parco alle 5, abbiamo quindi un po’ di tempo prima di sera e decidiamo di andare al farmer’s market e il centro commerciale all’aperto The Grove, (sono adiacenti) su consiglio di un’amica. Effettivamente ne vale la pena! Il centro è molto carino, così come il mercato, pieni di colori, di fontane, di gente.

Verso le 8 siamo decisamente stanchi, non abbiamo neanche la forza di cenare in un ristorante, per cui compriamo dei Mac and cheese in un drugstore e ce li facciamo in stanza, visto che abbiamo un cucinino (anche se effettivamente l’unica cosa che ci serve è un microonde). Sul nostro letto con vista oceano, anche mangiare maccaroni and cheese davanti alla TV ha aggiunto qualcosa di tipicamente americano all’esperienza che stiamo vivendo.

Venerdì 22 maggio, giorno 4

Oggi ci toccano altri due parchi. Il primo in realtà non è proprio un parco divertimenti, è un tour dei Warner bros studios. Anche quello era prenotato da casa, avevamo preso il tour delle 9 ma essendo arrivati presto ed essendoci la disponibilità ci hanno messi in un gruppo precedente.

Gli studios Warner sono meno conosciuti degli Universal, ed effettivamente sono qualcosa di molto diverso, ma anche migliore a mio avviso. Niente giostre, niente ristoranti, solo un autentico giro guidato (occorre capire bene l’inglese) degli studios dove girano continuamente e hanno girato film come i vari Batman, serie come pretty little liars, big bang theory, friends, e tv show come Ellen Degeneres. Autentico in effetti è una parola controversa da usare, perché la guida ci mostra come tutto ciò che vediamo in TV sia assolutamente finto, costruito ad hoc. Estremamente finto ed estremamente reale al tempo stesso, perché ti accorgi che è così che li fanno i film, è in questo marciapiede che hanno camminato gli attori. I palazzi non sono veri palazzi, sono strutture di legno con facciate intercambiabili. Le insegne, gli alberi, i cestini dell’immondizia, ogni singola cosa può venire adattata a seconda delle esigenze del film che si gira. Vediamo sempre le stesse quattro strade (finte) in migliaia di film, ma le magie della scenografia e della regia non ce ne fanno accorgere. Il tour è a dir poco interessante, ci raccontano un sacco di curiosità… Una per tutte: nella scena del bacio sottosopra di Spiderman, a Toby Maguire hanno dovuto tappare il naso con l’ovatta. Infatti, per rendere la pioggia visibile in camera, si deve buttare molta più acqua (calda) della pioggia vera, e il poveretto rischiava di affogare: per questo la maschera viene calata solo parzialmente, e l’attore ha dovuto anche auto doppiarsi perché giustamente aveva la voce da scemo.

Ci portano pure dentro il set di big bang theory (si, il salotto di Sheldon e Leonard, l’abbiamo vista dal vivo!). Sfortunatamente le riprese sono in pausa, ma la guida ci dice che quando girano si possono prenotare i biglietti per assistere, e sono anche gratuiti! Le risate che si sentono in puntata sono vere degli spettatori, non vengono più utilizzate risate registrate da quando si sono resi conto che avere un pubblico rappresenta un ottimo feedback per capire se la scena farà ridere anche gli spettatori a casa oppure no! Se sugli spalti non ridono in un momento in cui gli autori si aspettavano lo facessero, corrono subito a riscrivere la scena finché non funziona. Insomma, se andate, controllate prima online se potete fare da cavia per qualche puntata di una serie! Deve essere divertente.

Dopo questo tour andiamo al Six flags magic mountain, il parco divertimenti di montagne russe più estreme che ci sia! Se vi piacciono le montagne russe non potete perderlo! Davvero divertente. Anche lì avevamo comprato i biglietti con anticipo con flash pass gold. Per quest’ultimo non ho ancora capito se ne sia valsa la pena, visto il prezzo considerevole… Se andate in una giornata non troppo affollata, forse potete farne a meno. Anche per quello, se cercate sui forum trovate le “tattiche” elaborate dagli appassionati del parco, quelli che fanno gli abbonamenti stagionali, per ottimizzare i tempi e fare tutte le attrazioni. Noi siamo rimasti fino alla chiusura, alle 9, e siamo riusciti a fare tutte le attrazioni più belle, che sono circa una decina, alcune più volte.

A un certo punto vediamo da lontano un’attrazione che ci sembra pazzesca e la raggiungiamo, va pagata a parte 25$ ma senza pensarci troppo e senza aver visto bene in cosa consiste decidiamo di farla (certe cose vanno fatte di pancia!), si chiama Dive devil. Difficile descriverla (infatti abbiamo comprato anche il dvd per testimoniare l’esperienza e riguardare le nostre facce), ma in pratica ci mettono un’imbracatura, noi due soli, e ci tirano su (in posizione orizzontale, tipo di volo) fino a un’altezza di 40 metri (da lì sopra sembrano 100 però!). Arrivati lì, io tiro una cordicella che ci fa volare in caduta libera… una figata, una specie di bungee ma con la corda non elastica. Consigliato!

Sabato 23 maggio, giorno 5

Dopo la sveglia di mattina presto, noleggiamo le biciclette per fare un’ultima passeggiata a Santa Monica. Percorriamo tutto il lungomare in bici (delle belle bici con il manubrio stile americano!) fino alla third promenade di Santa Monica. Un’ottima colazione all’americana da Cora’s Coffee shoppe seguita da un giro per i negozi, in questa bella strada pedonale. È pure una bellissima giornata e passeggiare in bici e a piedi è molto piacevole. Torniamo a Venice e restituiamo le bici, alle 12 siamo in macchina, direzione: Orange County.

Tutta la contea a sud di Los Angeles fino a San Diego è la famosa OC, una distesa di lunghe spiagge, destinazioni dei surfisti, zone residenziali ricchissime, in cui si vedono magnifiche ville affacciate sul mare, e ridenti paesi pieni di piccoli negozi, caffetterie, ristoranti (d’obbligo mangiare il Lobster, l’aragosta atlantica) e gallerie d’arte. Nell’ordine si incontrano Hunghtinton beach, Newport beach, Corona del mar, Laguna beach e Dana point. OC e in particolare Newport avevano un fascino particolare per me, a causa dell’omonima serie TV a cui è legata la mia adolescenza; per questo è stato particolarmente bello visitarle, pranzare in un ristorante sul porto di Newport, poi passeggiare sulla spiaggia della penisola di Balboa, guardando le feste in casa dei ragazzi il libera uscita per il memorial day… Ma anche scoprire delle perle come Corona e la bellissima Laguna, tra tutte la mia preferita.

Dopo Dana point la zona interessante è finita, quindi la restante parte di strada fino a San Diego la facciamo in autostrada, d’altronde si è fatto buio ormai. Arriviamo a San Diego intorno alle 21:30, in un hotel chiamato 500 West. Sapevamo che era di poche pretese e l’avevamo pagato poco, due notti solamente, ma si dimostra decisamente al di sotto dello standard e molto diverso dalle foto, per cui non lo raccomando affatto. Per fortuna, la zona è bella, ma è una parziale consolazione. Scopriamo che il parcheggio in strada la notte e la domenica non si paga, ottima notizia visto che non dovremo pagare qualche costoso posteggio privato.

Domenica 24 maggio, giorno 6

Ci svegliamo presto (perderemo questa abitudine dopo Las Vegas) per andare a fare la colazione in un posto consigliatissimo che si chiama Richard Walter’s Pancake, e infatti per quanto presto sia ha una fila lunghissima! Aspettiamo circa mezz’ora ma poi possiamo sederci a fare una colazione pantagruelica a base di pancake, french toast, uova, insomma di tutto!

Poi prendiamo la macchina e andiamo in direzione della Marina di San Diego. Capitiamo quasi per caso nel posto giusto, una specie di piccolo villaggio di stradine con negozietti e tanta gente che passeggia, è anche pieno di bambini visto che è domenica. Si chiama Seaport Village ed è proprio sul porto turistico di San Diego, tra le barche a vela.

Poi ci spostiamo verso nord alla Old town. Anche questa è una sorta di villaggio di negozietti e ristoranti ma a tema messicano/western. Le casette sono di legno, gli impiegati vestiti a tema… non sembra molto autentico, tranne forse qualche edificio effettivamente antico (mi pare di aver letto di un incendio che ha distrutto la maggior parte della zona), ma prevalentemente sembra più un villaggio costruito ad hoc per i turisti. Carino, merita una visita, ma non più di un’ora del nostro tempo.

Proseguiamo quindi con l’auto ancora più a nord, attraverso il parco di Mission bay, dove c’è Seaword (noi non abbiamo il tempo di andarci, ci vorrebbe una giornata intera) fino a La Jolla, quartiere molto carino e noto soprattutto per i leoni marini! Andiamo a far loro una visita, una passeggiata nella strada principale e torniamo in auto.

Adesso andiamo a Coronado! La parte più bella e più elegante di San Diego! Un’isola verdissima a cui si arriva da un ponte, e i cui viali alberati sono pieni di ville magnifiche, ci sono anche campi da golf e delle piccole marine con le barche a vela piene di bandierine, il tutto con il bonus di una spettacolare vista sui grattacieli di downtown San Diego. Facciamo un bellissimo giro in bicicletta e realizziamo per la prima volta che… perché mai abbiamo pedalato finora se potevamo comprarci queste fantastiche bici elettriche?! Ci facciamo prendere la mano dalla manopola dell’acceleratore e al diavolo l’esercizio fisico, ma almeno vediamo più parti di Coronado! La ciliegina sulla torta è l’aperitivo, al tramonto, sulle terrazze sulla spiaggia dello storico e bellissimo hotel del Coronado (set di A qualcuno piace caldo).

La lunga giornata non è ancora finita, di sera ci aspetta il Gaslamp quarter, quartiere storico caratterizzato dai lampioni un tempo a gas ma che hanno mantenuto la caratteristica luce calda. È il quartiere del movimento notturno, tutto un susseguirsi di ristoranti e pub, tra i quali noi scegliamo per la nostra cena il fidato Nobu, all’interno dell’hard rock hotel. La serata è particolarmente affollata e presto scopriamo perché: allo stadio, che vediamo proprio due strade più in là, è in corso un concerto dei Rolling Stones! E infatti sentiamo la folla, sentiamo anche qualcuno dei rolling che parla al microfono, ma le possibilità di intrufolarci senza biglietto sono minime quindi proseguiamo nel Gaslamp. I pub sono gremiti, ci attaccano bottone mentre guardiamo ragazzi allegrotti che si mettono alla prova sul toro meccanico, insomma una serata divertente.

San Diego è stata una piacevole sorpresa; dovevamo concentrare tutto il possibile in un giorno e direi che l’abbiamo fatto, con l’aiuto dell’auto abbiamo trascorso una giornata intensa.

Lunedì 25 maggio, giorno 7

Questa è la giornata dedicata al deserto. Prima andiamo al desert hill, che è un outlet, poi attraverseremo un deserto vero!

Al solito, ci svegliamo presto (non abbiamo voglia di rimanere in quell’albergo un minuto di più) e ci mettiamo in auto alla volta del Desert Hill Premium Outlet, al quale arriviamo alle 10 in punto. Oggi è il memorial day! Tra questo e tra il fatto che gli americani ce la mettono tutta per farti venire la voglia di comprare, scopriamo che ci sono degli sconti aggiuntivi ai prezzi outlet. Si tratta di un centro commerciale all’aperto molto ben fatto, il classico villaggio di negozi (stile Serravalle, per chi lo conosce) che alterna grandi firme a marchi medi, e di articoli sportivi. Sorvolo sui nostri giri di shopping per non annoiarvi a morte, ma vi devo dire che l’outlet ci piace, ci piace anche un po’ troppo, tant’è che ripartiamo da lì pieni di sacchetti e con oltre un’ora di ritardo sulla tabella di marcia, che prevedeva “solo” quattro ore di shopping (fatevi due conti…).

Adesso la via più diretta per arrivare a Las Vegas sarebbe un’autostrada di appena tre ore, ma ben poco interessante. Nel programma abbiamo deciso invece fare una via più lunga ma decisamente più panoramica. Guidare la nostra Dodge, d’altra parte, è un piacere.

Vicinissimo all’outlet c’è la celebre Palm Springs, un paradiso per golfisti creato in mezzo al nulla per il piacere dei vecchi pensionati benestanti. Riflettiamo sul come solo gli americani (e forse gli arabi) possano pensare di creare un centro di golf e importare prati all’inglese e palme nel bel mezzo del deserto (siamo nel deserto del Mojave). Poi dicono che hanno problemi di siccità. Ne attraversiamo il centro guardandoci intorno, ma senza fermarci. Una strada principale con parecchi negozi e ristoranti, vari golf club, è carina ma al momento ci basta così.

Proseguiamo sempre più addentro nel deserto del Mojave. La prima riserva che attraversiamo è il Joshua Tree national park. Una stradina si addentra in un modo tortuoso in mezzo al niente, il paesaggio fa tanto far west, con le piante tipo cactus e le distese di terra incolta. Ci vuole un bel po’ per attraversarlo, e non prende il telefono, ma abbiamo il tomtom e gli occhi per guardare.

Al di fuori della riserva ci sono dei centri abitati, se così possiamo chiamarli, che non finiscono di stupirci facendoci domandare come, chi, possa decidere di vivere stabilmente in quei luoghi. Non sarà riserva, ma sempre deserto è. Sulla strada statale ci sono delle traversine. All’altezza di ogni traversina, una mezza dozzina di cassette delle lettere. In lontananza, si vedono le casupole a cui tali cassette appartengono, sono tutte isolate, tutte apparentemente prive di vita, prive di senso.

A questo punto il viaggio ci riserva una bella, inaspettata sorpresa. Nel tratto che separa il Joshua Tree con la Mojave National preserve, ad un certo punto vediamo con stupore una nota insegna, stampata grande sull’asfalto: siamo sulla Route 66. La historical route 66.

Un altro viaggio mitico, quello che da Chicago la percorre tutta fino a Santa Monica, che prima o poi ci piacerebbe fare; ma intanto ci siamo sopra, il sole sta tramontando sulle dune del deserto, e non possiamo fare altro che fermarci subito, lì, nel mezzo della strada (tanto siamo nel deserto, non passa nessuno!), per scattare foto. Se non faremo mai quel viaggio, potremo dire comunque di esserci stati.

Quando arriviamo all’ingresso della Mojave National Preserve è ormai quasi buio. E’ proprio un peccato, perché non vediamo quasi nulla nella riserva, ma è comunque la strada più breve ormai per arrivare a Vegas, quindi la attraversiamo schivando i conigli pazzi che ogni tanto ci tagliano la strada.

Arriviamo a Las Vegas alle 10 di sera. Orario perfetto per questa città! E’ proprio al meglio del suo splendore, viva, pulsante, illuminata di mille colori! Un bel contrasto con le case diroccate di cui parlavo prima. Ad alcuni Las Vegas non piace perché la ritengono troppo folle, troppo finta, troppo kitch. Sarà anche kitch ma personalmente in questa atmosfera io ci sguazzo a meraviglia, mi piace vedere la luce, la gente, la musica, il movimento a qualunque ora, e, diciamolo, il gioco!!! Mi piace l’idea di poter uscire a qualunque ora e non trovarla mai spenta, annoiata.

Il Nostro albergo è il New York New York, al suo interno riproduce scorci della grande mela ed è proprio carino. Anche la stanza è bella, decisamente bella, larga, comoda, con un king bed enorme, possiamo tirare un sospiro di sollievo dopo San Diego! Quindi, mollate le valigie, possiamo scendere ai tavoli del blackjack!

Martedì 26 maggio, giorno 8

Come dicevo Las Vegas ci ha fatto passare quel brutto viziaccio che avevamo di svegliarci di buon mattino. La prima mattina a Las Vegas, in realtà, non la vediamo affatto, perché tra docce e altro siamo fuori dalla stanza alle 12.

A Las Vegas principalmente le cose da vedere sono gli alberghi. Per questo, alcuni decidono di passare ogni notte in un albergo diverso. Personalmente, lo sconsiglio: perdereste solo un sacco di tempo per spostamenti e check-in, gli alberghi li visitate comunque! Ogni albergo è un piccolo mondo a sè, con casinò, parcheggi, teatri, ristoranti, gallerie commerciali e, naturalmente, il suo tema caratterizzante, e in tutto questo sarete ospiti graditi pur non avendo una stanza. Sono tutti adiacenti quelli della Strip, ma non credete che attraversarli siano due passi, sono più grandi di quel che sembrano, infatti alcuni sono collegati da treni.

Pranziamo al Gordon Ramsay Burgr (hamburger ottimi) all’Hollywood Planet, e per le successive ore, per l’appunto, gironzoliamo per gli alberghi, puntiamo qua e là al casinò, giriamo per i negozi della galleria del Caesars (uno dei più belli secondo me… in lizza ci sono anche Venetian e Paris), guardiamo lo spettacolo gratuito della caduta di Atlantide.

Alle 5 ci passano a prendere al nostro albergo per fare il tormentato, costoso giro in elicottero al Grand Canyon che abbiamo prenotato prima di partire. Dico tormentato, perché l’idea di andare in elicottero in origine mi spaventava. Costoso… se andate sul sito, capirete perchè. Al termine delle mie ricerche ho scelto la compagnia Mavericks perchè vantava vari awards per i migliori piloti e il miglior parco mezzi; inoltre abbiamo scelto il pacchetto tramonto. Insomma, ci vengono a prendere e ci portano all’eliporto, alle 6.30 siamo istruiti ed equipaggiati dentro l’elicottero pronto a volare. Il volo dura circa un’ora e 45, con il pilota che spiega le cose man mano che le sorvoliamo; si vede la diga di Hoover e poi il glorioso, meraviglioso Grand Canyon. Non si può descrivere a parole quello che si vede e che si prova, vi consiglio vivamente di guardare qualche video su youtube, che poi è ciò che mi ha convinto a prenotare il tour nonostante la paura. Non è stato neanche così male volare in elicottero, sebbene fosse una giornata un po’ ventosa. Non so che mi aspettassi di così spaventoso, forse mi ero lasciata influenzare da qualcuno (PAPA’, CHIARA). Decisamente uno degli highlights del viaggio. Un bonus del pacchetto sunset è che quando tornate all’eliporto col buio, potete godervi la vista della Las Vegas Strip illuminata.

Tornati in albergo, prendiamo un taxi che ci porta a Fremont Street. Il tassista ha origini italiane, sarà per questo che è chiacchierone. Ci spiega che metà degli hotel della strip sono posseduti dal gruppo MGM, mentre l’altra metà dal gruppo Caesars. Due grandi miliardari dietro tutta Las Vegas. Ci sono alcuni hotel indipendenti, ma sono poca roba, e subiscono il potere di questi due colossi. Si pensi al Trump, che ha costruito un gran grattacielo dorato ma non ha ottenuto i permessi per aprirvi il casinò perché il signor MGM non ha voluto! Bella sòla. Lui comunque, il tassista, ha una predilezione per fremont street.

Si tratta della vecchia Las Vegas, quella in cui si concentravano i divertimenti prima che esistesse la strip con i suoi giganti. E’ anch’essa luminosa, rumorosa e affollata come si conviene a Las Vegas, ma il suo “feel” decisamente più vintage si percepisce, e gli alberghi sono meno opulenti. Golden Nugget, Fremont e 4 Queens sono le vecchie glorie dell’epoca precedente il Caesars, il Bellagio, l’MGM. Parliamo degli anni ‘40-‘60. Alcune delle insegne al neon di questa strada sono diventate delle vere e proprie icone. La strada è coperta da una volta di luci che ogni ora si anima in uno spettacolo quasi psichedelico. Ci sono personaggi travestiti, ragazze semi nude, chioschetti che vendono ogni cosa, magliette che si illuminano, gioielli, tatuaggi, cocktail di ossigeno (si, ti intubano). Vale sicuramente la visita, ma noi siamo ragazzi moderni e dopo averla percorsa avanti e indietro ci riteniamo soddisfatti e ci facciamo riportare sulla strip per giocare in alcuni degli alberghi più nuovi.

Mercoledì 27 maggio, giorno 9

Oggi è l’ultimo giorno a Las Vegas e vogliamo godercelo, quindi ci sforziamo di alzarci ad un orario più o meno decente e alle 10:30 andiamo a fare una ricca colazione da Mon Ami Gabi, un ristorante in perfetto stile bistrot francese che si trova – indovinate un pò – al Paris.

Tutta la giornata trascorre girovagando tra hotel, casinò, negozi. Ci appassioniamo ad una versione del backjack che si chiama switch.

Verso le 6 decidiamo che abbiamo giocato abbastanza -per ora- e prendiamo l’auto per fare una gita fuori porta: la Valley of Fire. Questa valley dista circa un’ora e mezza da Vegas ed offre uno spettacolo meraviglioso di Canyon e rocce rosa e rosse, colori resi ancora più accesi dalla luce del tramonto. Se andate, fate in modo di esserci al momento giusto, mezz’ora prima del calar del sole, che per il mese di maggio sono le 7 e mezza. Noi siamo arrivati appena in tempo per vedere lo spettacolo delle ultime luci sulle rocce, ma subito dopo il sole è tramontato. Non che non fosse stupendo anche così, ma dieci minuti prima sarebbe stato perfetto.

Al rientro a Las Vegas, alle 9 vediamo lo spettacolo delle famose fontane del Bellagio, che ci capita con la canzone di Celine Dion, My heart will go on (le canzoni sono sempre diverse). Più bello di quel che credessi! Dopo corriamo a mangiare un boccone da Panda Express, non abbiamo molto tempo perché alle 10 abbiamo lo spettacolo del Cirque du Soleil al Bellagio, “O”. E’ un gioco di parole con il francese eau, infatti è uno spettacolo acquatico. Qui io vivo un momento di panico perché non trovo il portafogli, corro a perdifiato per tutto il Bellagio per guardare in auto, fortunatamente è lì. Vorrei piangere dalla gioia, sarebbe stata una disgrazia, con dentro tutti i documenti… Mi sono persa l’inizio dello spettacolo ma fortunatamente davvero pochi minuti, tutto il resto me lo guardo felicemente abbracciata al mio portafogli.

Dopo lo spettacolo sfruttiamo le ultime ore utili a Vegas per giocare ancora un po’ al Bellagio al nostro amato blackjack switch, visto che ho ancora il portafogli adesso lo posso svuotare. A parte scherzi, sapete che ci sono più posti letti al Bellagio che abitanti a Bellagio, in Italia? Queste e altre curiosità sono gentilmente offerte dalla sala d’attesa di Mavericks. Eccone un’altra: più dell’81% di tutte le persone che visitano Las Vegas ci ritornano! Questa statistica mi consola adesso che la nostra permanenza è finita. Vegas mi è piaciuta veramente un sacco, ho assolutamente voglia di ritornarci!

Giovedì 28 maggio, giorno 10

Oggi lasciamo Las Vegas e cominciamo un viaggio molto particolare, alla scoperta di due paesaggi estremamente diversi.

Il primo è quello della Death Valley. Entriamo nel parco verso le 12:30. Questo parco nazionale non si chiama Valle della Morte per niente: è il punto più basso dell’America del nord, 84 metri sotto il mare, nonché il più caldo. Maggio è ancora relativamente fresco per i suoi standard quindi uscendo dalla macchina possiamo beneficiare di un venticello stile asciugacapelli di soli 109 gradi farhenheit. Sono oltre 42,5 gradi celsius. I cartelli consigliano di spegnere i climatizzatori in auto per non surriscaldare il motore. Siccome rimanere con la macchina ferma nel mezzo della valle della morte dove non prende il telefono e non c’è un insediamento umano nel raggio di 100 miglia è l’ultimissimo dei nostri desideri, diligentemente obbediamo e presto anche dentro l’auto abbiamo un bell’effetto sauna.

Devo ammettere che questo senso di isolamento in quel luogo mi ha spaventata, in fin dei conti molto più dell’elicottero. Ero letteralmente terrorizzata di forare o avere un problema qualsiasi con l’auto e non avere manco gli occhi per piangere. Se fossi riuscita a farmi passare questa preoccupazione, però, avrei amato la Death Valley. Il paesaggio è diverso da qualunque cosa avessi mai visto in vita mia. E’ come mi immagino potrebbe essere la luna. Le rocce grigie ed aspre in alcuni punti di tingono a sorpresa di mille colori. Passiamo da Zabriskie Point e dalla artist’s palette. Quest’ultima offre il panorama più bello. Si passa da una stradina letteralmente avvolti da queste rocce policromatiche.

Poi c’è Furnace creek. Ecco in effetti un insediamento umano c’è, è il Furnace creek ranch, che conta 24 abitanti che compatisco con tutto il mio cuore. E che rispecchia un po’ delle contraddizioni tipicamente americane: potranno anche non esserci le condizioni naturali per la vita, ma c’è un generic store con della pasta Barilla gluten free, della Nutella a 12 dollari e una selezione di bibite gassate nettamente superiore a quella dell’Auchan dietro casa mia. Con mio grande sollievo, c’è anche un’officina! Possiamo proseguire, se foriamo, qualcuno ci verrà a salvare.

Il panorama della Death valley, andando avanti, cambia molte volte: incontriamo delle distese di croste di sale, lucide come specchi d’acqua, poi delle dune di sabbia.

Uscendo dalla death valley impostiamo il navigatore verso Tioga Pass, Lee Vining. La strada è lunghetta, il paesaggio cambia gradualmente. Le dune lasciano il posto a montagne, montagne serie, la Sierra Nevada. Saliamo, saliamo, e gradualmente ci accorgiamo che la temperatura scende. Ce lo aspettavamo, certo, ma non così tanto. Verso le 7:30 siamo ufficialmente in mezzo ai boschi di Lee Vining, a 3000 metri d’altitudine, e… sorpresa! C’è la neve! Neanche sei ore fa eravamo a 42 gradi e adesso sfioriamo lo 0, entro con le mie converse nella neve perché questa idea mi diverte troppo, sono ancora sporche di sabbia del deserto. Il paesaggio è mozzafiato. Il cielo è ancora azzurro e scattiamo delle foto panoramiche bellissime fermandoci al margine dei laghi che incontriamo lungo la strada, su cui si riflettono le montagne innevate. Siamo esaltati da questa bellezza.

Poco dopo arriviamo al nostro alloggio, il Tioga Pass Resort. Ecco tra tutti gli alberghi di questo viaggio, questo è quello che davvero raccomanderei a tutti perché veramente unico. Andatelo a guardare nel sito. Lo stile è autentico di montagna, la location è insuperabile. Siamo stati davvero fortunati, io poi mi sento dentro uno dei miei film preferiti da bambina, Parent Trap, quello originale con Hayley Mills! I bungalow di legno sono stupendi tanto fuori quanto dentro, super tipici ed accoglienti. Il Resort ha anche una locanda decisamente tradizionale, ceniamo con chilli e minestra! Per essere in paradiso mi mancherebbe solo un fuoco acceso in cui fare gli s’mores (i marshmallow arrostiti nel legnetto), il personale cerca in tutti i modi di accontentarmi, ma purtroppo non è possibile. Compro comunque il necessario, me li farò nel fornello di casa pensando a questo posto!

Venerdì 29 maggio, giorno 11

Ci svegliamo alle 7 e usciamo subito per fare una piccola escursione in auto. Ci addentriamo tra le stradine piene di neve, ci sono laghi ovunque e ognuno è una piccola meraviglia. Poi andiamo a fare colazione, ordiniamo dei pancakes che abbiamo eletto a migliori della nostra vita, e un piatto salato che è tipo una frittata con dentro di tutto. Poi lasciamo il nostro adorabile Resort per esplorare il parco Yosemite. Guardiamo lo stupendo paesaggio di Glacier point, il Gran Capitan e l’Half Dome. Pranziamo all’hotel Ahwahnee, che è un’attrazione turistica di per sé. Poi andiamo alle Yosemite falls, e seguiamo i turisti che si arrampicano nelle rocce per arrivare più vicino, tanto vicino che ci bagniamo con gli schizzi della cascata. Tutto il parco è bellissimo, non spenderò parole per descriverlo, bisogna vederlo.

Dopo andiamo a Mariposa Grove. Infatti, questa è un’ottima soluzione per chi desidera vedere le sequoie giganti, gli alberi più alti e grandi del mondo (ero l’unica a pensare che fossero i baobab?) ma si è fuori strada rispetto al sequoia national park. La zona popolata dalle sequoie è più ristretta, ma vi assicuro che basta anche una singola sequoia gigante per impressionarsi dell’imponenza della natura, che aveva inventato i grattacieli ben prima dell’uomo (90 metri! Sono circa 30 piani, ben più del palazzo più alto della mia città). Ogni albero ha il suo nome e la sua storia. Tra tanti, noi abbiamo potuto vedere il Grizzly, una delle sequoie giganti più famose in assoluto.

Dopo questa deviazione facciamo strada per San Francisco. Arriviamo alle 10:30, il nostro albergo si chiama Mission 1906. È appunto nel quartiere Mission. Questa volta mi sa che abbiamo fatto l’errore inverso rispetto a San Diego: l’albergo è molto carino, è la zona che non ci piace tanto. Le stanze sono moderne, arredate in stile essenziale ma con gusto. I bagni sono in comune, rispecchia la scelta dell’hotel di avere un concept eco-friendly, ma questo non deve fare pensare ad un ostello: infatti il livello è ottimo, i bagni sono forse la cosa più bella! Docce grandissime, moderne, pulitissime. Per noi poi sono proprio di fronte la stanza, sono quasi sempre libere quindi è come se le avessimo in camera. Nella hall sono a disposizione degli ospiti, gratis, per tutta la notte, cookies, bevande e tisane, disponibilità della quale nei prossimi giorni approfitteremo in modo a dir poco sfacciato.

Sabato 30 maggio, giorno 12

Usciamo presto perché dobbiamo riconsegnare l’auto in aeroporto. Addio Dodge, è stato un piacere. Tornati in albergo, dopo una rapida doccia, ci muoviamo in metropolitana fino a Berkeley. Come ho detto il quartiere non è molto bello, ma la fermata della metro per fortuna è a pochi passi. A Berkeley vogliamo vedere l’università, ma la troviamo meno bella della UCLA e tutto il quartiere in generale ci lascia un po’ delusi. Ci spostiamo quindi a Union Square. Lì giriamo un po’ per i negozi e andiamo a pranzo alla Cheesecake Factory, all’ultimo piano di Macy’s: anche questa volta dividiamo un’eccellente cheesecake per dessert.

Dopo il pranzo proseguiamo a piedi attraverso il financial district, dove vediamo l’iconica Transamerica Pyramid. Camminiamo attraverso Little Italy, entriamo nella City Lights Bookstore, la famosa libreria frequentata da Kerouac e la beat generation. San Francisco è fredda, più ci avviciniamo al mare più il vento ci fa rabbrividire, per cui ci fermiamo in un negozietto per comprare delle felpe d’emergenza. Facciamo un giro al quartiere del Fisherman’s wharf e nel suo famoso pier 39, molto carino e da cui si vedono le foche. In qualche modo si sono fatte le 7 e noi siamo già piuttosto stanchi! Forse il freddo ci ha provati.

Torniamo a Union Square a bordo del celeberrimo Cable Car! Con tutti questi saliscendi, d’altronde, sarei stramazzata a terra entro 10 minuti. Da Union prendiamo la metro fino a Mission, dove compriamo delle zuppe Campbell in un drugstore. Visto che l’hotel mette a disposizione una piccola cucina (ma ancora una volta tutto ciò che ci serve è un microonde) decidiamo di fare questa seconda esperienza tipicamente americana: poi andiamo a letto presto, siamo stanchi e abbiamo delle serie tv da guardare nell’ipad. Una serata tranquilla per riprenderci dalla stanchezza degli ultimi giorni.

Domenica 31 maggio, detto anche il giorno che per me non c’era

Alle 10:30 abbiamo il traghetto per Alcatraz. Rischiamo di perderlo, ma per nostra fortuna incontriamo un tassista che aspirava a fare il pilota di formula 1 e gli lasciamo 5$ di mancia per averci salvato l’escursione.

Sull’isola di Alcatraz, visitiamo la prigione con l’audioguida. La guida è molto ben fatta, ci fa percorrere letteralmente passo passo la storica prigione, che io mi aspettavo più grande. La narrazione della vita dei detenuti, delle guardie e dei tentativi di evasione è molto coinvolgente. Entrando nelle celle di isolamento, suggerisce di chiudere gli occhi, e provare a pensare come questi detenuti, lasciati completamente al buio, potessero passare il loro tempo. Qualcuno si staccava un bottone dalla camicia e lo lanciava. Poi passava il tempo a cercarlo con la mano, per poi ricominciare. La sensazione non è bella, ho visto quasi tutti i visitatori riuscire dalle celle con passo svelto. Un’altra cosa che colpisce molto è vedere come in questo durissimo carcere finissero non solo gli assassini, gli autori di crimini contro la vita… tra i files, si legge di venticinquenni condannati a 25 anni di Alcatraz per rapina all’ufficio postale. Anche questa è l’America.

Verso l’una la visita è terminata e ci ritroviamo al Fisherman’s wharf, di nuovo al pier 39; questa volta ci pranziamo, e con un timido raggio di sole più una bella aragosta davanti comincio a apprezzare di più San Francisco! Poi passiamo da Ghirardelli square e poi su, verso la famosissima Lombard street, la via più tortuosa del mondo! Il tapis roulant degli ultimi mesi non mi ha preparata a questa salita, mi devo fermare tipo 5 volte in 50 metri e arrivo in cima col fiatone. Poi scendiamo i 500 gradini, e in realtà si vede molto meglio da sotto. Ma perché diavolo siamo saliti lassù invece di fare il giro? Dopo le foto di rito con i duemila cinesi scatenati prendiamo un taxi fino a Union. Questa volta ci facciamo un giro per i negozi con più calma, abbiamo alcuni regali da comprare. Entriamo nel Levi’s store, the original, ma alla fine decidiamo che in fin dei conti i 20 jeans a testa che abbiamo a casa ancora per qualche anno ci bastano.

Così facendo si sono fatte le 8 e siccome ci abbiamo preso gusto, e l’albergo è molto “cozy”, decidiamo di replicare la serata del giorno prima. Quel che avevo dimenticato di dire è che abbiamo mangiato una valanga di cookies davanti al nostro telefilm, questa volta ci siamo perfezionati comprandoci anche il gelato.

Lunedì 1 giugno, giorno 14

Il nostro ultimo giorno di vacanza comincia male: c’è una fitta pioggerellina su San Francisco, e il posto della colazione super raccomandata che avevamo trovato su Trip è chiuso il lunedì. Ripieghiamo in un posto squalliduccio, poi non riusciamo a trovare un taxi e dobbiamo prendere vari mezzi, pure con uno sbaglio di stazione, per arrivare all’aeroporto. No, non per ripartire, ma perchè abbiamo deciso di noleggiare la macchina questa singola giornata, per vedere delle cose fuori San Francisco.

Prima tappa: Palo Alto. Vogliamo respirare l’aria della silicon valley per vedere se diventiamo un po’ più nerd-geni anche noi, e magari uscircene fuori con qualche invenzione geniale nel giardino di casa (il garage non ce l’ho). Sull’esito di questo esperimento vi faremo sapere, ma tornando a Palo Alto, nostra vera destinazione era l’università di Stanford. A questo punto avrete capito che ho un pallino per le università americane, quelle belle quantomeno, per le quali le famiglie sono disposte a indebitarsi di centinaia di migliaia di dollari, che creano senso di appartenenza e fedeltà negli studenti, che anche solo a camminarci nei viali si sente il senso della storia, il profumo della sapienza. Stanford è 10 gradini sopra Berkeley e la UCLA, è un’università di serie A ai livelli di Harvard e Yale, anche se non è nell’ivy league. Forse la ricorderete per il discorso tenuto da Steve Jobs ai laureandi del 2005. Stay hungry, stay foolish. Passeggiare tra i suoi verdi prati ci ha fatto quasi venire voglia di ricominciare l’università appena dopo averla finita, lì però! Per saperne di più su questo mondo super affascinante delle università americane, vi consiglio qualche articolo molto interessante: justlanded, ilpost, thepostinternazionale.

Via da Stanford, imbocchiamo l’autostrada verso Monterey. Da qui, su consiglio di un’amica, percorreremo la 17 miles drive, la strada privata nel piccolo tratto di costa tra Monterey e Carmel by the sea. Si paga 10 dollari ma ne vale la pena, la vista sul mare è magnifica, si tratta chiaramente di un’area molto ricca, la ricchezza qui si misura in campi da golf. Arriviamo a Carmel che è un delizioso paesino, prevalentemente residenziale fatto di villette immerse nel verde e visibilmente costose, sembrano delle casette delle fiabe, coi tetti ondulati in pietra. Nel centro c’è anche una manciata di stradine commerciali, piene di piccoli negozi, ristoranti e gallerie d’arte. Ah e agenzie immobiliari, vediamo quindi che le casette sono effettivamente costose. Sarà per il prossimo anno.

Mangiamo un panino in una di queste piccole caffetterie, poi un cupcake. Carmel è carinissima ma decisamente piccola, possiamo andare. In auto fino a San Francisco ci vogliono oltre 2 ore, per fortuna la strada è bella, sembra di essere di nuovo dentro un bosco di Yosemite. Una volta arrivati, grazie alla macchina, anche se sono già le 7 di sera riusciamo a fare una serie di cose in sequenza: andare al vista point proprio sotto il golden gate bridge per scattarci le foto; tornare in centro e fare una breve passeggiata ad Ashbury Heights, la strada del movimento hippie, attraversare il golden gate brigde e andare in un piccolo centro commerciale in cui c’è Barnes e Noble, perchè io adoro Barnes e Noble; andare a Sausalito a cenare in un ristorantino proprio sul mare vista San Francisco bay; ripassare il golden gate direzione San Francisco; e nella strada di ritorno, per chiudere in bellezza, decidiamo di fare una leggera deviazione di cinquanta di minuti circa solo per passare con la macchina a Lombard street, la via più tortuosa del mondo, e così, dice il mio ragazzo, entrare nella STORIA.

Non sono convinta che entreremo nella storia per questo, ma è stata la degna conclusione della nostra vacanza, della parte effettiva della nostra vacanza. Dopo di quello vengono solo valigie, riconsegna dell’auto, aerei, aerei e altri aerei, non molto degni di essere raccontati. E se ora sono a casa alle 5 di mattina e sto completando questo racconto, un motivo c’è. Due motivi, a dir la verità, ci sono: il jet lag è il primo, e il secondo, quello che preferisco, è il fatto che non riesco a togliermi dalla mente, a togliermi da davanti gli occhi le immagini di questo meraviglioso viaggio. Grazie al mio ragazzo, ai suoi genitori e ai miei genitori che lo hanno reso possibile. Ora mi viene un po’ da piangere, quindi buonanotte.



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