Breve Viaggio in Portogallo in moto
Il mezzo: una motocicletta (o, per non far torto ai puristi, un maxi-scooter).
Partiremo un venerdì sera di fine agosto da Milano per una breve tappa di avvicinamento in Costa Azzurra, approfittando dell’ospitalità di amici.
Carcassonne in Francia e Zumaia sul Golfo di Biscaglia saranno le nostre soste, prima di attraversare il confine Portoghese, a quasi 1800 km. Di distanza dai Navigli.
1° giorno Entriamo in Portogallo da nord-est percorrendo una stradina di campagna che ci porta alla cittadina di Miranda do Douro (Duero per gli invasori spagnoli). Il cielo del Portogallo è quello che ci aspettavamo: blu e bianco, e con l’aria tersa per il vento sempre presente. Prima di entrare in Miranda ci fermiamo ad ammirare il fiume Douro, ma non pronunciamo alcun “sermone ai pesci”, come Saramago.
Per ambientarci immediatamente facciamo cena con una spropositata dose di bacalhau.
Impariamo subito a chiedere mezza dose di tutto, dato che spesso è sufficiente un unico piatto per rifocillarsi.
La cittadina merita di essere visitata brevemente per il minuscolo centro storico, per la Sé (cattedrale) e per alcuni edifici.
2° giorno.
Percorriamo la statale 103 in direzione di Chaves, strada fetentissima in alcuni tratti iniziali, poco più di un sentiero sterrato a causa dei lavori in corso. Sostiamo a Bragança per visitare il Castelo, la Igreja da Santa Maria, l’attigua Domus Municipalis e per far pranzo in un ristorante all’interno delle mura medievali che racchiudono la cittadella.
Proseguiamo per Chaves, dove giungiamo nel tardo pomeriggio. Dopo aver preso alloggio, ceniamo al “Restaurante Regional”: finalmente possiamo assaggiare, tra le altre cose, il presunto (una specie di prosciutto crudo della zona) e bere del buon “Vinho Verde”.
3° giorno.
La tappa ha inizio con la pioggia e con una temperatura non proprio estiva. Il paesaggio che incontriamo percorrendo la 103 è bellissimo, meritevole di molte soste a lato strada (che solo una moto può permetterti) e fotografie: boschi di conifere, castagneti, laghi, laghetti, fiumi, dighe (la statale 103, tra Bragança e Braga, attraversa il Parque Natural de Montezinho e lambisce il Parque Nacional da Peneda-Geres).
Il tempo è andato migliorando e arriviamo a Braga a fine pomeriggio col sole.
Facciamo un po’ di fatica a trovare una stanza, ma dopo più di un’ora abbiamo successo e ci sistemiamo in una pensione vicina al centro, gestione familiare. La particolarità di questa pensão è lo specchio del bagno: si trova quasi all’altezza dell’ombelico, nonostante la mia statura decisamente media, e inquadra dal petto all’inguine (!?). Radersi è evidentemente un problema, potrei optare per la prima depilazione della mia vita.
4° giorno.
Decidiamo di cominciare la nostra giornata visitando il Bom Jesus (Barbara continua ad esercitarsi nella pronuncia portoghese, lingua purtroppo estranea ad entrambi, nel tentativo di chiedere la strada, dizionario alla mano. Andrà avanti così per tutto il viaggio!). Trovare la direzione non è facile: le indicazioni a volte sono inspiegabilmente fuorvianti. E piove.
Non abbiamo l’ombrello, naturalmente. Vestiti con la tuta da pioggia e il casco affrontiamo la monumentale scalinata barocca a doppia rampa, interrotta da piazzole a rappresentare la Via Crucis. Notiamo una giovane signora, evidentemente devota fedele, che sale i gradini (tutti!) in ginocchio e sotto la pioggia. La scala conduce al bel giardino panoramico e alla chiesa.
Il tempo varia rapidamente. Spunta il sole, fa caldo, ma la temperatura è mitigata dalla brezza.
Visitiamo la Sé (cattedrale romanica dell’XI sec.) e l’interessantissimo Museo di Arte Sacra dove la giovane guida si esibisce, causa la nostra presenza, in un inglese improbabile ma simpaticissimo che ci strappa una giusta mancia per lo sforzo.
Dopo tanta arte e religione in un unico giorno, ci gratifichiamo con un paio di aperitivi a testa nella vivace Plaça da Republica e una bella cena al Restaurante Cozinha da Sé in Rua D. Frei Caetano Brandão 95.
5° giorno.
Prendiamo la N14 per Porto, trafficatissima. Giunti in città, troviamo l’Ufficio del Turismo e, dopo aver consultato l’elenco degli alberghi, optiamo per quello più vicino. È l’una passata: zittiamo lo stomaco con una omelette eseguita perfettamente, ma che basterebbe per quattro.
Ci buttiamo alla scoperta di Porto arrampicandoci a piedi per la città vecchia. Il fiatone è tanto (sarà l’omelette o l’età che comincia a farsi sentire ? Barbara suggerisce di sfruttare l’abbonamento alla palestra, da me mai utilizzato).
Cercando di raggiungere la Sé, attraversiamo il quartiere di Santa Ana, degradato e, leggiamo su una guida, malfamato. In effetti l’odore di povertà è percepibile, ma non ci sentiamo minacciati. Inoltre è pieno giorno: assistiamo a scene di vita quotidiana che fornirebbero probabilmente spunto a molti fotografi, professionisti e non. Non me la sento di documentare questo aspetto di Porto (è uno dei motivi per cui non mi sono mai sognato di fare il fotoreporter). Invece, mi divertono i ragazzini che, nel piazzale sottostante quello della cattedrale, si tuffano nella fontana e mi ricordano lontane vacanze estive passate a giocare scalzo e sporco fino alle orecchie.
Visitiamo la Sé e il chiostro gotico del XVI sec., decorato con azulejos.
Facciamo una passeggiata sul Ponte Dom Luìs I mentre alcuni turisti in gita ci passano sotto, assiepati su di un battello sul Douro. Una “strusciata” in rua Santa Catarina per dare un’occhiata al Café Majestic e, stanchi morti, andiamo a cercarci un ristorante dalle parti di Plaça da Ribeira.
6° giorno E via, per Lisbona.
Ci facciamo la A1, e in una stazione di servizio all’ora di pranzo notiamo che il prato, e i pochi tavoli all’aperto, sono pieni di gente che mangia un pasto completo sotto il sole. Niente di tanto strano, se non fosse per le dosi, la conferma di ciò che sperimentiamo quotidianamente nei ristoranti. In particolare notiamo due famiglie (viaggiano evidentemente insieme) occupare ben tre tavoli: uno per ogni nucleo familiare, il terzo per le abbondanti vettovaglie. Spazzoleranno tutto quello che la nonna metterà loro sotto il naso.
Arriviamo a Lisbona nel primo pomeriggio e dopo aver sbagliato strada un paio di volte, troviamo finalmente il Residencial Florescente (Rua Portas S.Antão 99). Ottimo rapporto qualità-prezzo.
Nei dintorni dell’albergo scopriamo l’esistenza di due locali dove vendono la Ginginha, liquore ottenuto dalle ciliegie e che un turista spagnolo scambia per olive, suscitando l’ilarità dei locali.
7° giorno.
Svegliandoci, realizziamo che manca l’energia elettrica: black-out! Scendere dal 6° piano non è faticoso, ma dimenticarsi il portafoglio in camera non è una buona idea.
Ci avviamo a visitare il Castelo de São Jorge attraversando il quartiere arabo dell’Alfama. Una leggera puzza di fogna ci accompagna per qualche tempo, ma la zona è certamente più interessante e autentica della Lisbona Pombalina.
Bello il Castelo che, con tutte quelle piante e quei giardini, ha addolcito il proprio carattere di fortezza difensiva.
Andando a visitare la cattedrale non posso non esibirmi nel numero del fotografo masochista: l’attesa. Scopro che proprio lì, davanti la chiesa, passa il famoso tram 28; così mi apposto per un po’, fino a quando non riesco a immortalarne alcuni.
Gita sul fiume Tejo di cui avremmo potuto fare a meno: un paio di ponti e un sacco di container in vista sulla riva.
Aperitivo in Praça da Figueira e buona cena nell’Alfama.
8° giorno.
A zonzo per la città, giro sul tram 28 e, nel tardo pomeriggio, un bicchiere di vino alla Brasileira do Chiado, dove si dice si recasse il grande Fernando Pessoa (è il momento di promettersi la ri-lettura del bellissimo “Libro dell’inquietudine”).
Nella via intravediamo una sposa che, all’uscita della chiesa, prova a radunare il gregge degli ospiti e si avvia verso una piccola auto rossa. Breve momento di tensione con i fotografi/operatori ufficiali.
Torniamo a cenare nella stessa tasca di ieri. L’unico cameriere del locale, un simpatico brasiliano gay che parla francese e lega immediatamente con Barbara, ci rifila il menu maggiorato per la presenza di un cantante di fado. Nonostante i miei pregiudizi su gli spettacoli per turisti ammetto di aver apprezzato l’esibizione.
9° giorno.
Ultime ore a Lisbona. Visitiamo il Mosteiro dos Jeronimos, dichiarato patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, ieri chiuso (mannaggia) per riposo settimanale.
Lasciamo Lisbona e in poco tempo ci trasferiamo a Porto Covo, verso sud, piccolo villaggio bianco di ex-pescatori nell’Alentejo, i cui abitanti si sono trasformati, a partire dai primi anni novanta, in operatori turistici, attività certo più remunerativa.
Troviamo sistemazione in una casa privata grazie ad una signora gentilissima che ci conduce per mezzo villaggio e ci prepariamo a godere un paio di giornate di mare: il tempo è molto bello e c’è un po’ di vento.
A cena proviamo finalmente una ricetta che inseguivamo da un po’, l’Arroz de Mariscos: riso, gamberi, un granchio, cozze, vongole, peperone verde, coriandolo, peperoncino e pomodoro in una bella pentola di coccio per due. Una dose faraonica che ci sbobbiamo con gusto, sporcandoci fino alle orecchie, cercando di far fuori tutto quel ben di dio. Il proprietario del locale ci osserva orgoglioso.
Fuori è ormai buio e la temperatura si è abbassata. Con la panza piena, torniamo in camera per fare onore alla bottiglia di buon Vinho do Porto che abbiamo comprato a Lisbona.
E così sia.
10° giorno.
Mini-escursione fino alla spiaggia che fronteggia la Ilha do Pessegueiro. Bella spiaggia, lunga, sabbia bianca, … Ma acqua gelida.
Supero una comprensibile titubanza e decido che non posso tornare in Italia senza essermi bagnato nell’Atlantico: mi sembra che il cuore si fermi ma, dopo una sequela di parolacce (pronunciate sottovoce), mi immergo. È fatta: battezzato una seconda volta.
Anche Barbara fa il bagno: deve fare la pipì, altrimenti non l’avrebbe trascinata in acqua nessuno, nemmeno con un trattore.
Ormai battezzati, il pomeriggio facciamo il bagno nelle acque della bella Prahia da Samoqueira dove noto che le rocce a strapiombo sulla spiaggia sono bagnate fin dalla cima: è acqua dolce! Ci deve essere una sorgente nelle vicinanze.
Notiamo un sacco di poliziotti che girano i dintorni con le mountain-bike, tenendo d’occhio soprattutto i parcheggi. In effetti in tutto il Portogallo abbiamo notato una forte presenza di polizia.
11° giorno.
Visitiamo per bene i dintorni di Porto Covo e ci riposiamo un po’ prima di riprendere la cavalcata del ritorno che inizierà domani.
“Viaggiare dovrebbe essere tutt’altro: fermarsi più a lungo, e girare di meno”, scrive José Saramago.
Ci torna in mente il nostro amico Ezio: i suoi viaggi non durano mai meno di 5-6 mesi. Mi riprometto di organizzare anch’io, prima o poi, un viaggio così lungo, ma mi vengono in mente i clienti che mi aspettano e, soprattutto, i conti da pagare.
12° giorno.
Ormai sulla via di casa.
Abbiamo percorso più di tremila chilometri dalla partenza, anche se la nostra idea non era certo quella di “fare strada”.
Ci dirigiamo a Mértola, cittadina con un centro storico spettacolare, con case bianco-calce. Strada spesso bruttina, asfalto sconnesso e corsie strette: strade nazionali, a leggere la cartina, che a me sembrano stradine di campagna.
Visitiamo la Igreja Matriz e subito dopo facciamo un salto al mercato coperto di Mértola per acquistare della frutta.
Dopo un caffè al Clube Nautico, procediamo verso Monsaraz. Prima però ci affidiamo a Saramago e puntiamo verso il Pulo do Lobo. Una deviazione di una ventina di chilometri di cui circa sette di sterrato un po’ fetente, dove il TMax si comporta comunque bene.
Il Pulo do Lobo è un luogo lunare, selvaggio, ma affascinante, situato all’interno di un parco di questa parte dell’Alentejo. Verrebbe voglia di camminare sulle rocce e di attraversare l’acqua per passare dall’altra parte, ma sembra eccessivamente rischioso, siamo soli e la zona è deserta. Lungo tutta la strada il nostro unico incontro è stato con un gregge di pecore.
Monsaraz lo vediamo da lontano, arroccato su di una collina e chiuso da una cinta muraria del ‘500. Troviamo alloggio presso una abitazione privata, molto linda e carina.
Ceniamo in un ristorante con vista sulla pianura sottostante: due bisteccone innaffiate da buon vino rosso e benedette da una buona dose di distillato.
13° giorno.
Breve visita ad Evora, che avrebbe meritato più tempo: Tempio di Diana e la Sé col suo Museo di Arte Sacra.
Dirigendoci verso Estremoz, facciamo tappa al bellissimo Hotel Convento de S. Paulo, dove pernotteremo dopo aver goduto della piscina e, naturalmente, del ristorante.
14° giorno.
Dopo una breve visita mattutina a Estremoz, puntiamo verso Covilha per arrampicarci sulla Serra da Estrela. Il tempo è bello. Prima tappa è Manteigas, per vedere la valle glaciale dello Zezere. È ancora presto e decidiamo di dirigerci verso Seia buttandoci tra le nuvole, pensando che dureranno il tempo di cambiare versante. Sbagliato! Nemmeno il tempo di dire “amen” e la visibilità si riduce a tre o quattro metri al massimo. La temperatura scende rapidamente (anche la luce!) e prima la visiera del casco, poi le lenti degli occhiali diventano inservibili a causa dell’umidità della nube.
Dopo pochi minuti scompare anche la segnaletica: non sappiamo più dove siamo. Eseguo una inversione a U che mi toglie qualche anno di vita; con la visibilità praticamente a zero il senso dell’equilibrio si affievolisce sensibilmente. Rimanere fermi lungo il ciglio della strada è comunque pericoloso, così decidiamo di procedere lentamente verso il basso. Intuiamo che di fianco a noi scorrono dei massi, gradinate (!?) oppure il vuoto. Mi rendo conto che le probabilità di cadere, e di non essere visti, sono elevate. Facciamo da apripista a una fila di auto che ci si è incollata dietro. Il freddo è intensissimo e mi tocca tenere la visiera alzata: non vedo nulla. E batto i denti mentre Barbara è talmente rigida da essere diventata un tutt’uno con la moto.
Dopo circa 20 interminabili minuti la visibilità si fa accettabile e dopo altri dieci arriviamo a Sabugueiro dove, tremanti dal freddo, prenderemo alloggio nella prima bettola lungo la strada.
Ci è andata bene.
15° giorno.
Ci alziamo col sole. La proprietaria della pensione, dopo averci fatto fare colazione con caffè, pane, prosciutto e formaggio ci dice che potremmo provare a tornare sulla strada di ieri e ammirare il paesaggio. Ci fidiamo, e in effetti ne vale la pena. Scopriamo che le gradinate che avevamo visto ieri (e che mi avevano fatto temere allucinazioni) sono nient’altro che la parte esterna di una diga.
Ci dirigiamo verso il confine puntando verso la spagnola Salamanca percorrendo l’IP2, una specie di autostrada in costruzione dove non troveremo nemmeno una stazione di servizio (dovremo, con i vapori di benzina rimasti, uscire dall’autostrada e fare rifornimento in un paese vicino).
I segni degli incendi dell’estate appena trascorsa sono evidenti per molti chilometri e ci rendiamo conto dell’enormità del disastro causato dal fuoco.
Lasciamo il Portogallo con la voglia di ritornarci, mentre ci chiediamo cosa ci daranno per cena a Bilbao.