Berlino, la rivincita di una capitale
La capitale tedesca si è presa davvero una bella rivincita a cavallo di fine millennio, divenendo un centro giovanile e cosmopolita ed in cui tutti i più grandi architetti hanno apposto la loro firma, a partire dall’italianissimo Renzo Piano che nella Potsdamer Platz ha progettato un gioiello di architettura contemporanea. La piazza è divenuta uno dei simboli della ricrescita tedesca del post “Guerra Fredda”, ed il Governo lanciò, all’inizio degli anni novanta, la sfida di trasformare una landa desolata nel cuore della nuova Germania Unita, in uno nuovo spazio vitale.
Grazie alle terre di “nessuno”, ottenute dopo il crollo del muro, la città aveva molte aree libere da destinare all’ammodernamento di una città ferita nell’orgoglio, ma mai doma. La tragica storia della Seconda Guerra Mondiale, ancora si respira nell’aria berlinese ed una netta cesura tra la parte ovest ed est, ancora, è tutt’ora visibile, anche se quest’ultima già da qualche anno sta cercando di mettersi in pari con la zona occidentale.
Nella Alexander Platz, piazza simbolo del Germania dell’Est, dove l’Orologio del tempo scandisce gli orari di tutto il globo, non può che venire in mente la canzone del nostro Battiato che ci fa ben immedesimare nell’atmosfera cupa vissuta sotto il regime comunista da una donna solitaria e malinconica nella Berlino orientale.
Se la storia è maestra di vita, qui è stata anche fonte d’ispirazione per i diversi progettisti come Peter Einsenman e Daniel Libeskind, tra l’altro realizzatore del nuovo Ground Zero a New York. Entrambi autori di due opere che sono divenute un memoriale contro l’olocausto nazista. Il primo progettando un monumento ubicato al lato della Porta di Brandeburgo ed il secondo concependo il Museo ebraico, rivestito interamente in zinco.
Ambedue creano all’occhio dell’osservatore un misto di paura e sgomento, come nel monumento di Einsenman, dove ci si sente in forte soggezione, quando il percorso diviene più ripido creando l’illusione che gli innumerevoli steli di cemento armato di colore nero, fagocitino il visitatore. Nell’opera di Libeskind, invece, ci si trova in uno spazio chiuso, che raggiunge il suo apice nella stanza delle “Foglie cadute”, pavimentato con innumerevoli teste stilizzate in metallo che producono un suono macabro al proprio passaggio. Due inviti, prodotti sotto forma di opera, realizzati per non dimenticare lo Shoah.
Ma Berlino non è solo una città realizzata sotto le ceneri di una triste memoria, perché ha diverse entusiasmanti facce, ed è per questo che è divenuta “Mecca” per diversi giovani.
La bellezza della capitale, raggiunge la sua grande espressività, nel parco Tiegarten, con al centro, la Colonna della Vittoria, uno dei più celebri monumenti della città, in cui si snodano diverse vie che percorrono il parco ed un’ampia arteria centrale che termina con la Porta di Brandeburgo.
La testata finale del parco, termina con il Palazzo del Reichstang, incendiato e ricostruito diverse volte dopo l’ultimo conflitto mondiale. Il più importante restauro, è stato quello realizzato dall’ingegnere Norman Foster, nel 1992, in cui la grande cupola in vetro costruita, in memoria dell’originale, è divenuta un caleidoscopio in cui si può ammirare Berlino in tutta la sua bellezza ed in tutte le ore del giorno, e che è divenuto il punto panoramico più apprezzato dai turisti.
Ho incominciato citando Win Wenders ed il suo capolavoro cinematografico, e voglio terminare con il pensiero della trapezista Marion, una delle protagoniste del suo film, che alludendo alla sua nazione separata che non aveva ancora risolto i problemi con il suo passato diceva : ”In ogni caso non ci si può perdere, alla fine si arriva sempre al Muro”, adesso a diversi anni dal crollo del Comunismo, mi piacerebbe rassicurarla e poterla abbracciare come faceva l’angelo Damiel, rispondendogli che la sua capitale ha ripreso la sua rivincita, ricollocandosi nel posto che gli competeva.