Bali…amo
Nonostante si viaggi in classe economica, a rendere questa fuga da Milano un po’ pesante, non sono i servizi della compagnia aerea, su cui scriverò una nota a margine, ma il complessivo delle ore da affrontare e il fuso orario, con l’immancabili effetti del jet-lag, ad ogni modo sopportabili.
Giunti in serata a Denpasar, paghiamo i 25$ per il visto turistico e ci rivolgiamo al servizio taxi per raggiungere la nostra destinazione: un resort a pochi km da Ubud, altro caratteristico centro di Bali, in cui vedremo alcune delle perle della cultura indonesiana: il coloratissimo mercato locale e la tradizionale danza balinese, al Ubud Water Palace. I costi per il trasporto sono particolarmente contenuti, ma in linea con l’economia locale: paghiamo 300.000 RP (circa 26€) per un tragitto che ci conduce dall’aeroporto di Denpasar al Tanah Merah resort di Ubud, localizzato a 10 minuti di auto dal nucleo cittadino.
La struttura che ci accoglie è un resort completamente immerso nella foresta, la villa che ci ospita è in legno, rialzata rispetto al suolo, con una terrazza che si affaccia sulla vegetazione, un’ampia camera con due letti matrimoniali, sovrastati da un baldacchino, e il bagno aperto sul soffitto, come da tradizione da queste parti, senza che questo comprometta assolutamente la nostra privacy. Il resort ha due piscine, una con uno spettacolare affaccio sul verde, e una più piccola, simile ad una grande fontana.
Il giorno seguente al nostro arrivo, saliamo in auto per visitare i principali siti della zona: il Pura Ulun Danu, il Pura Tirta Empul e le coltivazioni di riso, intorno al vulcano Gunung Rinjani. Il noleggio di auto con autista, a nostra completa disposizione per tutto il giorno, ci costerà 75$, cifra stabilita dall’hotel, a cui ci siamo rivolti per prenotare il servizio. La tariffa in realtà non è delle più economiche, se si tiene conto dell’economia locale, ma la paghiamo senza difficoltà, perché soddisfatti del trattamento: l’autista è con noi molto disponibile, non si lamenta neanche di eventuali cambi di programma e ci fornisce spiegazioni sui luoghi che visitiamo. In verità, come letto anche in altri resoconti, anche noi siamo obbligati ad una tappa forzata, veniamo infatti portati dal nostro autista in una coltivazione di caffè, lungo la via del tragitto che avevamo comunque stabilito. La cosa non ci disturba, e superato l’imbarazzo iniziale, dopo una lunga degustazione di caffè e bevande varie, acquistiamo una piccola confezione di caffè balinese: la consideriamo una tassa a favore dei locali, la produzione è tenuta da persone del posto, intorno al banco di degustazione, un semplice tavolo di legno, la ragazza che ci accoglie ci dà spiegazioni sui prodotti offerti, in un perfetto inglese e senza forzare il successivo acquisto, indotto comunque dalla situazione. Una piccola curiosità: la specialità in tema di caffè, da queste parti, sembra essere un caffè prodotto macinando i chicchi della pianta, mangiati ed espulsi da un animaletto, simile ad un grosso furetto. La ragazza ci tiene a precisare che, pur essendo frutto di deiezioni, i chicchi non hanno un cattivo odore, e ce li mostra, indicandoci anche l’animaletto produttore.
Il primo tempio che visitiamo è, come tutti i templi, in realtà un grande spazio dove si susseguono più strutture, adibite ai vari culti della zona. Come letto sulla lonely planet, al momento di prendere i biglietti d’ingresso, veniamo forzati a pagare una guida, che al termine della visita pretenderà una mancia, cosa sgradevole perché una mancia dovrebbe essere volontaria per definizione, pur trattandosi per noi di pochi spiccioli. Al momento della visita, ci sono persone in processione con le offerte destinate alle divinità, in sostanza piccole porzioni di cibo, fiori e incensi.
La visita al Pura Ulun Danu sembra dovuta, per la notorietà del luogo, ma non è il più bello del nostro soggiorno, il più affascinante è senz’altro il secondo, il Pura Tirta Empul, dove i fedeli si immergono nelle vasche d’acqua dolce. Qui assistiamo alle consuete abluzioni dei frequentatori del tempio, un complesso di edifici sacri, visitabili senza guida e senza fastidi particolari. L’atmosfera è rilassata e piacevole, ci sono poche persone, è possibile immergersi insieme ai fedeli nelle acque, teatro di preghiere e omaggi votivi, ma occorre seguire le regole del posto, ben visibili all’ingresso, poiché, pur essendo un sito d’interesse turistico, è soprattutto un luogo sacro, e come tale, va rispettato.
Le coltivazioni di riso della zona sono caratterizzate da ampie terrazze, ricavate lungo i fianchi delle alture. Sono basamenti d’acqua, strappati al territorio, d’innegabile fascino, ammirabili mentre si sorseggia una bevanda, in una delle palafitte ai margini delle coltivazioni, o si cammina lungo appositi percorsi, anche se per noi la cosa migliore è gustarcele nella loro interezza, da un punto panoramico della strada ai lati.
Il pranzo consumato in un ristorante turistico, a buffet, non ci dispiace, nonostante il cibo non sia di pregio, grazie alla location: una terrazza sul vulcano Gunung Rinjani.
secondo giorno
Dopo ore di puro relax trascorse nel resort, tra la piscina e la villa, ci rechiamo ad Ubud, per addentrarci nel mercato cittadino, mangiare piatti tipici ed assistere alla danza balinese. Il mercato è coloratissimo, sari di tutte le tinte, gioiellini in argento e metallo vario, ninnoli per tutti i gusti, incensi, spezie, tessuti colorati, saponette e oggettistica in legno. Tutti i prodotti sono locali, come notato durante la visita dei dintorni, in occasione della quale abbiamo individuato quattro principali vie produttive: una della pietra, una del caffè, una del riso e una del legno, a cui aggiungere una quinta produzione, forse la più nota, quella dei batik, le tipiche stoffe dipinte. Per gli acquisti sembra indispensabile trattare, si parte da una cifra per poi chiudere con un’altra, pattuita durante le trattative. I venditori non sono dei dilettanti, e se si offrono somme troppo basse, come è ovvio, l’affare non si conclude, per potersi quindi portare a casa l’oggetto del desiderio, bisogna saper contrattare!
Il Cafè Lotus di Ubud, dove ceniamo dopo lo spettacolo dei danzatori balinesi, affaccia sul luogo dove si esibiscono i ballerini, l’Ubud Water Palace (Lotus pond) e offre le principali portate della cucina indonesiana, nasi goreng (riso fritto condito con verdure o piccoli pezzi di pesce), carne cotta nel latte di cocco, ed altri, tutti gustosi, ma mediamente piccanti. E’ possibile ordinare alla carta o menu specifici, ad un giusto prezzo.
La danza balinese a cui assistiamo è molto affascinante, così come i costumi indossati dai danzatori, molto colorati e molto raffinati, il biglietto d’ingresso è di 80000 RP, un prezzo più che ragionevole, la durata media dello spettacolo è di un’ora, al termine della quale i ballerini si fermano per permettere ai turisti di fare delle foto con loro (senza chiedere nessuna cifra per questo). Se si vuole mangiare al Cafè lotus e vedere al contempo lo spettacolo, in verità non è possibile farlo godendo appieno di tutti i dettagli, perché pur affacciandosi sul Water palace, non è così vicino al palco. E’preferibile prenotare il tavolo al Cafè un’ora prima o un’ora dopo lo spettacolo, nel caso si volesse fare le due cose ( mangiare qui e vedere la danza) in orari ravvicinati.
Dopo tre giorni, lasciamo l’area di Ubud e ci imbarchiamo per le isole Gili, la nostra scelta ricade sulla maggiore delle tre, Gili Trawangan.
Il posto sul battello lo prenotiamo dall’albergo, acquistando anche il servizio di trasporto dal resort al porto, il tutto per 250€ in due, ma è possibile comprare il biglietto direttamente nelle numerose agenzie di viaggio che si trovano nei luoghi più turistici. Occorre tener presente che le isole Gili sono molto conosciute e non sempre si trova posto all’orario desiderato, quindi, nel caso si voglia programmare il viaggio con precisione, è meglio prenotare con un certo anticipo.
Il trasferimento da Sanur, luogo d’imbarco, e Gili Trawangan, è terribile. Il battello è un’imbarcazione a due piani, si sale a bordo passando dall’acqua, perché la barca ormeggia sulla spiaggia, ma per ovvie ragioni non proprio sul bagno-asciuga. Se il mare è anche leggermente mosso, il tragitto si trasforma in una specie di incubo, fa molto caldo, i movimenti sono molto veloci e bruschi, non si può stare in piedi senza rischiare di cadere e farsi male, vengono serviti acqua e snack improbabili, e si giunge a destinazione solo dopo quattro, interminabili, ore. Se il mare è molto mosso..dallo stato di incubo si passa a quello di inferno.
Gili Trawangan è un’isola dall’aria decadente e molto rilassata, il primo giorno lo impieghiamo ad orientarci, arrivati infatti nel pomeriggio, troviamo la bassa marea, le acque cristalline si sono ritirate fin dopo la barriera coralline, morta a causa di un improvviso aumento delle temperature (così c’è stato detto). Il lato nord dell’isola sembra reduce da una guerra atomica, resti di alberghi, scheletri inquietanti di costruzioni lasciate a se stesse, strade ricoperte dalla sabbia, sporcizia un po’ dappertutto. La desolazione. Raggiungiamo il Tir na Nog, un locale affitta camere, nel lato sud dell’isola,con il tipico carretto trainato da un mulo, che qui costituisce l’unico mezzo alternativo alle biciclette, non essendo ammessi i mezzi motorizzati.
Il secondo giorno, l’isola ci fa decisamente un’impressione diversa, c’è l’alta marea, il mare fa sfoggio di tutte le sue sfumature, dal celeste al turchese, e passiamo la giornata sui materassi dell’Egoiste, uno dei tanti locali che puntellano la costa sud, dove, per una modica cifra, si può mangiare insalate freschissime, succhi di frutta di rara bontà e usufruire dei servizi messi a disposizione dal bar.
Trascorriamo su Gili Trawangan tre giorni, più o meno con gli stessi ritmi: colazione al Tir na Nog (è inlclusa nel prezzo della camera), relax sulla spiaggia, insalate all’Egoiste, cocchi freschi in riva al mare, drink e cene a base di pesce alla griglia. Il cibo che troviamo qui è particolarmente gustoso, vi è uno spazio dove i locali offrono pietanze tipiche della loro cucina, cotte sul momento davanti agli avventori, si acquistano ai carrettini e si possono gustare seduti intorno a tavoloni, simili a quelli delle sagre paesane. I cibi più diffusi sono verdure stagionali, pannocchie e pesce cotto sulla brace ottenuta dal legno di cocco, pollo piccante e birra bintang.
Concludiamo la vacanza a Sanur. Da qui partiamo per Pura Tanah Lot, uno dei templi più noti di tutta Bali. Ci arriviamo sempre con il mezzo di trasporto più idoneo per questa parte di mondo, e per le tasche occidentali (ovvio, utilizzarlo in economie paragonabili alla nostra sarebbe troppo oneroso per un comune mortale): affittiamo un auto con autista incontrato davanti al nostro albergo, la cifra concordata per accompagnarci tutto il giorno è 40€. Il tempio ha il suo fascino, c’è l’alta marea e lo troviamo isolato dalla costa, con una frotta di turisti ad immortalarlo, ma non così tanti da impedirne la vista. E’ uno dei monumenti più famosi di Bali, perché situato in una parte di costa erosa dall’oceano, che lo rende difficile da raggiungere quando il livello dell’acqua sale. Come per gli altri templi, vale la stessa regola: gli edifici sacri sono più di uno, il biglietto d’ingresso non è caro, e intorno ci sono bancarelle con merce varia, senza il fascino del mercato di Ubud. Dopo il Pura Tanah Lot, torniamo ad Ubud, dove avremmo potuto vedere la foresta delle scimmie, citata da tutte le guide turistiche, ma che su di noi non ha nessuna presa, così approfittiamo della visita per tornare al mercato e fare quegli acquisti che ha senso fare qui, immersi nell’atmosfera del luogo, autentica e genuina.
Gli ultimi giorni a Bali li passiamo in totale relax, nelle piscine dell’albergo in cui alloggiamo, il Peneeda beach, una struttura che vorrebbe essere un resort, ma risulta piuttosto modesta, pur offrendo i principali comfort. Si affaccia sul mare, è composto da bilocali, serve colazioni mediocri, ha tre piscine, una grande, una per bambini e una eccessivamente ridotta, più vicina alla spiaggia. La posizione dell’albergo ci permette di fare lunghe passeggiate sulla costa, scoprire i tanti ristorantini e le tante boutique dei dintorni. A pranzo mangiamo al Sanur bay, sulla spiaggia, la sera ceniamo in locali dove si suona jazz e si preparano ottimi piatti fusion, a cavallo tra la tradizione indonesiana e quella occidentale.
Nota a margine, viaggio di ritorno: cinque ore di ritardo dell’aereo che da Abu Dhabi ci porterà a Milano, il secondo ritardo da parte della stessa compagnia, la nota Etihad, il primo, all’andata, da Abu Dhabi a Kuala Lumpur, era stato di due ore, sufficienti a farci rischiare di perdere la coincidenza per Denpasar. Ufficialmente, dai monitor, e dalle hostess di terra, veniamo avvisati all’ultimo minuto del disagio, in realtà, l’abbiamo scoperto prima , chiedendo per puro scrupolo ad un’addetta della compagnia, che ci ha mostrato un foglietto di carta, dove era stata avvisata del ritardo: se avessero avuto cura di avvisare anche i passeggeri con lo stesso anticipo, ci saremmo potuti organizzare meglio. L’aeroporto di Abu Dhabi è sì grande e con tanti negozi (sempre quelli: profumerie e boutique di lusso..), ma la temperatura interna è bassissima (ovunque si aggirano spauracchi di passeggeri, avvolti nelle coperte della compagnia aerea, specialmente nell’area imbarchi, la più fredda in cui sia mai stata), e c’è solo un albergo interno con poche stanze, dato il numero di persone che transitano da qui. Proviamo a prendere una stanza, ma c’è una lunga coda alla reception e la receptionist ci avvisa che è tutto pieno. Contando di partire in orario, abbiamo rinunciato a cercare un albergo libero vicino all’aeroporto, accettando di trascorrere la notte accampandoci sulle poltrone dell’aeroporto, perché Abu Dhabi non ha certo i prezzi di Bali (una doppia nell’hotel dell’aeroporto costa circa 280$ a notte..), ma queste cinque ore di ritardo rendono l’attesa quasi insopportabili. Per fortuna la compagnia è una grande compagnia e, come da politica seguita dalle grandi compagnie, ci offre un buono pasto, per rimediare al disagio.