Avventure Iberiche 2° parte
Partiamo, ma è un arrivederci. Passeggeremo ancora sotto le arcate del Parco Guell dall’atmosfera vagamente disneyana. Sosteremo ancora nelle tue chiese, cercando di rendere leggeri i nostri passi per non interrompere il mistico silenzio che le avvolge.
Stiamo partendo per Valencia dove cercheremo anche di riprendere fiato e far riposare i muscoli indolenziti di maratoneti non in forma smagliante. Però non potevamo visitarti ciechi, nel ventre delle metropolitane, né nella fretta di un veloce saluto attraverso i finestrini di un autobus.
A Valencia si arriva nell’ora in cui gli spagnoli iniziano a pensare al pranzo, cioè verso le 15. Subito ci troviamo intrappolati in un traffico che ricorda alquanto Napoli. In questo marasma, mi sbraccio dal finestrino (Walter è tutto preso dalla guida), lanciando un monotono richiamo: “ Por l’aereopuerto por favor “.Finalmente un taxista raccoglie la mia invocazione e ci fa cenno di seguirlo. Certamente ha compreso che cerchiamo un campeggio. Ed infatti dopo alcuni chilometri si ferma, scende, si avvicina e ci indica un Camping.
Siamo in un piccolo sobborgo, di Valencia , affacciato sul mare: El Saler. Il campeggio è semplice,pulito e…Semivuoto. Finalmente ci si rilassa. E la giornata se ne va pigramente fra pranzo e riposo. A Valencia ho ammirato soprattutto la stupenda Lontja, nel cui interno, nella Sala de la Bolsa, i mercanti trattavano i loro affari. Alte e snelle colonne si rincorrono congiungendosi in forma di spirale su, verso il lontano soffitto formando volte delicate ed aere. Vi si trovano ancora i tavoli , dove su targhe di ottone sono incisi i nomi dei mercanti e le mercanzie trattate da ognuno. Di fronte si trova il moderno “ Mercat General” ampio, variopinto e colmo di prodotti rigorosamente mangerecci. Alle sue spalle, poco distante, la bella e verde Placa Saragoza Non lontano: la Catedral. Nelle immediate adiacenze la massiccia torre del Micalet o Torre de San Miguelete in stile gotico-catalano. Deve il suo nome alla campana maggiore che fu “battezzata” il giorno in cui ricorreva la festività di San Michele. Era il 1418.
E’ maestosa e incrollabile nei secoli. Rispecchia i tempi in cui si costruiva per fede o a imperituro ricordo di qualche condottiero. Così appare e così è! La stazione ferroviaria è una scoperta che all’inizio non riesco a collocare bene in quel contesto dove la struttura dominante è la consistenza. In puro stile Art Decò, esile snella , ornata eppure eterea. Sembra più un luogo dove ci si incontri per fare quattro chiacchiere in tutta tranquillità che non un luogo di passaggio per arrivare o partire.
Non lontano la Placa de Toros. Come in tutte le città spagnole l’Arena si erge rotonda, simile ad un colosseo arabeggiante. Come sempre è integra nelle sue strutture, come sempre rievoca una passione, da me non condivisa che richiama alla morte . Perché nelle Arene si consumano sia le morti dolorose di tori, che quelle di molti esseri umani. Altrettanto dolorose quanto inutili. Passione tutta ispanica e certo l’unica che suscita in me un moto di ripulsa.
Proprio ad El Saler, piccolo avamposto della bella Valencia, gustiamo la nostra migliore Paella valenciana, (per chi non lo sapesse e composta da sola carne di pollo, coniglio e cordero, a seconda). Come antipasto: dei meravigliosi peperoni dolci ed affusolati cotti alla piastra. Pure queste sono soddisfazioni! E poi…Via per Madrid.
Scegliamo volutamente il percorso più breve e, a detta delle nostre guide cartacee, il meno interessante sotto il profilo paesaggistico. Sono solo 350 chilometri ed abbiamo fretta di tuffarci nell’atmosfera madrilena.
Attraversiamo la verde e fertile “huerta” valenciana straripante di rigogliosi agrumeti e vigneti. Poi saliamo attraverso la ripida Meseta verso Motilla del Palancar. La strada si fa sinuosa e la salita aspra, ma la vista che si gode sull’Embalse de Alarcòn è veramente suggestiva. Qui a 900 metri sul livello del mare è stato costruito, sul fiume Jucar, uno dei più vasti bacini idroelettrici della Spagna.
L’appetito si fa sentire e in velocità gustiamo gli ultimi cordero (braciole d’agnello) che sono quasi un piatto nazionale.
Nel primo pomeriggio facciamo la nostra entrata a Madrid.
Non sappiamo se siamo diventati esperti o se è solo un colpo di fortuna, ma troviamo subito e senza problemi un buon Camping, L’Osuna. Siamo appena ai primi di aprile, e anche questo risulta poco frequentato. A circa 300 metri: una fermata del Metrò. Meglio di così… Alcuni storici sono dell’opinione che Madrid non possedesse le doti necessarie per diventare capitale. Persino il suo Sovrano Filippo II le preferì l’atmosfera quasi monastica e solitaria dell’Escorial.
Situata nel cuore della Spagna continentale, adagiata sulla sommità dell’arido altopiano della Meseta centrale, lambita dal fiume Manzanares, si impose nel tempo e non per particolari bellezze architettoniche, ma per il suo cielo, la luce e l’aria. La Meseta le ha fatto dono della sua tersa luce, la Mancia e la Castiglia l’avvolgono con l’aria limpida e profumata delle loro verdi pianure. Il cielo di Madrid non ha dovuto far altro che far suoi questi doni e riversarli a piene mani sulla città. E l’avvolgono, le fanno da scenario e la rendono luminosa , profumata ed unica.
In quei tempi ormai lontani la maggior parte dei madrileni era costituita da cortigiani che gravitavano intorno alla Corte. Furono essi perciò i primi ad impossessarsi della città che stava sorgendo. I più importanti e lungimiranti aggiunsero a quell’arido e vuoto palcoscenico fondali appropriati che ne esaltarono la bellezza a riprova di veri o solo ambiti onori personali. Ognuno interpretò questi scenari a seconda del proprio particolarissimo senso teatrale. E Madrid divenne il palcoscenico ideale per le più disparate rappresentazioni di vera o presunta potenza.
A partire dalla metà del 1500 essa si arricchì della Plaza Mayor: dedicata a tornei, corride, rappresentazioni teatrali, feste e…Esecuzioni pubbliche della temuta e potente Inquisizione. Il Monastero de Las Descalzas sorse per permettere a regine e nobildonne di trascorrervi periodi di riposo e meditazione. La Puerta de Alcalà fece da scenario alle trionfali parate di Carlo III. Il Marchese Vadillo fece costruire il Puente de Segovia per essere
il primo ad attraversarlo con la sua carrozza. Il Paseo del Prado ricordò ai madrineli ed alla Spagna tutta la rivolta contro Napoleone. L’Avenida de la Castellana fu realizzata sotto la dittatura franchista per accogliere le sue parate militari.
Nel momento in cui si rese conto che stava acquistando la supremazia morale e politica del paese, il suo interesse si rivolse alle Americhe. Questo importante evento avviò la sua trasformazione in città barocca e disordinata. Cordiale nonostante i suoi intrighi e tanto, tanto individualista. Come una donna bella e sensuale, si adagia sotto il suo cielo trasparente, luminosa ed apparentemente pigra, libera da vincoli moralistici. Votata all’oppurtunismo personale e ad una predisposizione naturale per intrighi e delazioni. Queste le premesse che la fecero nascere, ma col tempo si è trasformata. Rimane sempre la sua bellezza, una certa mollezza e il saper godere di ciò che di più confortevole e piacevole può donare la vita. Ma è anche una città culturalmente vivace, consapevole delle sue capacità. Una città che si vive di giorno e di notte sempre intensamente.
Nonostante il nocciolo antico sia ristretto tra la Plaza Mayor e la Puerta del Sol, raggiungibili dalla Gran Via , questo rimane il salotto buono. Il punto d’incontro obbligato per tutti i madrileni. Specialmente la grande piazza circolare della Puerta del Sol non conosce riposo. Ci si dà appuntamento per chiacchierare, discutere gli ultimi avvenimenti, leggere e mangiare deliziose Tapas nei tanti caffè che la circondano. Le guardie a cavallo l’attraversano ancora maestosamente ed i bimbi vi giocano senza pericolo Durante uno dei nostri vagabondaggi, scopriamo in una traversa della Puerta del Sol il piccolo e antico teatro Calderon. Danno il Carmina Burana interpretato da un corpo di danza spagnolo. Impossibile resistere. Così, la sera verso le 22, ci troviamo in un palco ligneo ed intarsiato. Il teatro è veramente piccolo e raccolto, il legno è antico ed artisticamente intagliato. Si respira un’aria settecentesca, quasi mozartiana. La musica di Orff è interpretata alla spagnola con tutto il calore delle movenze sensuali e cadenzate. Le note si susseguono in un crescendo armonioso ed il canto in latino ben si adatta agli antichi passi del flamenco che si rinnova nel balletto classico. Ancora pervasa da quella plasticità musicale, ci ritroviamo nel presente di una Plaza del Sol, che a mezzanotte brulica ancora di gente. Crocchi di persone che chiacchierano, ridono, passeggiano perse in intensi scambi di opinioni in uno spagnolo velocissimo. Molti quelli seduti agli innumerevoli caffè ancora sgranocchiano.
Rimango attratta da un sottile profumo che aleggia morbido, intriso di aromi di fiori. Ecco l’aria penetrante di Madrid che si insinua trasportata da una brezza dolce e lontana, eppur così vicina e viva. Ecco…Sento la primavera madrilena, la sua profumata essenza con tutti i sensi allertati per immagazzinarla e percepirla nella sua totalità.
Assorbo il fascino che emana questa città, fascino che non mi lascerà più. La sua sottile forza ammaliatrice si è rivelata nel momento in cui mi ha resa partecipe delle sue fragranze.
Da quella sera porto in me la sensazione che un sottile filo emotivo mi leghi a questi luoghi. Plaza Mayor, nonostante una parziale ricostruzione seguita all’incendio del 1790, ha conservato l’originaria pianta rettangolare ed i bei palazzi presentano ampi portici sotto i quali trovano posto pittoreschi caffè sempre molto frequentati. Nel mezzo si erge la statua equestre di Filippo III. Ogni tanto i portici si aprono su strade secondarie che portano a piazze e piazzette antiche. In una si trova il Palazzo del Càrcel, anticamente carcere della città ed ora sede del Ministero degli Esteri.
Un altro gioiello è la Plaza de la Villa, nata mercato musulmano che Enrico V trasformò in una piazza a pianta quadra dove sono concentrati i principali Uffici Amministrativi della città. Lo stile è severo, il traffico caotico della Gran Via sembra lontano. Vorremmo visitarne l’interno, ma una Guardia Civil ci impedisce di oltrepassare il primo patio. Peccato, ma comprensibile.Ci lasciamo alle spalle la Plaza del Sol e scendiamo per Calle Mayor. Ammiriamo la bella chiesa di Nuestra Senora de la Almundena e ci troviamo nella grande e verde Plaza d’Oriente contornata da una ventina di imponenti statue di re e regine.
Proprio di fronte a noi il colossale complesso del Palacio Real che comprende anche l’Armeria Real. Non siamo attirati dalle sale senz’altro bellissime e colme di opere d’arte del Palacio. Non proviamo eccessiva curiosità per le stanze dove re e regine si abbandonavano ai loro regali sonni. Certo perdiamo qualcosa, ma ci rifaremo al Museo del Prado Intanto preferiamo tuffarci nel verde e nell’aria tiepida della Plaza d’Oriente.
Gruppi di pensionati di entrambi i sessi ingaggiano con molto spirito sportivo infinite e combattute partite di bocce. Nel mio spagnolo, certo pieno di manchevolezze, mi intrattengo con loro e scopro che conoscono il mio paese, anche se molti non l’hanno mai visitato. Un po’ mi vergogno di non poter affermare ancora lo stesso per quanto riguarda il loro. Sono orgogliosi e soddisfatti quando esprimo la mia gioia di essere finalmente in Spagna e di quanto sia bella ed interessante. Ci augurano un piacevole soggiorno indicandoci quali sono i luoghi più belli e pittoreschi della loro città che non possiamo non visitare. Ci lasciamo in allegria e reciproca comprensione.
I vigili urbani di Madrid, a mio parere, possiedono un’innato talento musicale. Davanti al Palacio Real, lungo l’ampia via che lo separa dai giardini della Plaza, se ne trovano diversi che, fischietto in bocca formano un’orchestra impegnata nell’esecuzione di varie sinfonie. Si sbracciano e fischiano; fischiano e si sbracciano! Una interessante ed alquanto rumorosa “ Sinfonia per vigile e fischietto”.
Il Real Palacio d’Oriente si erge possente su un promontorio dove un tempo si trovava il Castello dell’Alcazar ( tipico palazzo fortificato e residenza principesca araba).Fra gli altri pure l’architetto torinese Sacchetti partecipò attivamente alla sua realizzazione. Di forma quadrata, ogni lato è ornato da alti pilastri che poggiano su solidi zoccoli rifiniti da balaustre, incamera al suo interno anche l’Armeria Real ricca di cimeli di guerra e di molte pregevoli armature. Fra queste molte e bellissime quelle appartenenti a Carlo V. Su di un lato si apre un’imponente scalinata che porta ai giardini all’italiana, molto curati con statue e grandi vasche. Vi sostano numerosi giovani che in tutta tranquillità leggono, chiacchierano e si scambiano gesti affettuosi.
Sono ormai quattro giorni che la metropolitana ci offre i suoi veloci e puntualissimi mezzi per spostarci da una parte all’altra della città.
Usciamo dal buio nei pressi di Plaza Cibeles che si apre armoniosa intorno al monumentale gruppo centrale di Cibele, la dea dell’Abbondanza. Preziosi giochi d’acqua di notte, lo illuminano e rendono il tutto quasi irreale. Lo circondano fra gli altri il Palacio de Comunicationes ed il Banco de Espana. Poco oltre la Fuente de Apollo in stile neo-classico e di fronte il Ministerio de la Defesa della Marina. Un tempo questo palazzo era appartenuto ai Duchi d’Alba. Nel suo interno si può visitare l’interessante Museo Naval. Il Paseo del Prado è un ampio viale fronzuto diviso in due corsie da una larga e verde fascia centrale. Dall’ombra degli alberi panchine invitano a fare una sosta: il Paseo del Prado si snoda per circa sei chilometri! Inizia a Plaza Cibeles e termina dove un tempo si trovava l’antica Plaza Atocha, a due passi dall’omonima stazione ferroviaria costruita nel 1892.
La rivedo ancora come si presentò allora: tanta gente. Chi frettoloso, chi fermo a chiacchierare. Sorridenti, frettolosi o bighelloni, ma con un fare aperto e accattivante come tutti i madrileni. A quella immagine se ne sovrappone un’altra: fatta di sangue, di corpi senza vita, di fuoco, di terrore e di grida. Sento il suono penetrante delle sirene. Mi sento invadere da una rabbia impotente e tanto, tanto dolore per quella insensata carneficina.
Mi fermo ora nel raccontare di tempi felici e spensierati, per ricordare in silenzio quei madrileni con i quali ho parlato, scambiato opinioni, scherzato; che accettarono senza batter ciglio il mio spagnolo a volte ridicolo, correggendomi solo quando ero io a pregarli d farlo. Aperti, scherzosi, pronti alla battuta ed a godere delle gioie, anche le più piccole, che la vita di ogni giorno elargisce, se solo le si sa cogliere.
La vostra dignità nel momento della tragedia deve insegnarci come si può, nel dolore e nella paura, trovare quella coesione che aiuta a superare insieme le situazioni peggiori.
Grazie, madrileni, per la lezione di coraggio e di unità che mi avete dato.
Prevediamo di trascorrere diverse ore nel Museo del Prado ed essendo quasi mezzogiorno, entriamo in una bella caffetteria situata all’altro lato della passeggiata, di fronte all’entrata. E’ affollata di avventori che, fra un caffè, un aperitivo, un bicchiere di vino “tinto” si riempiono la bocca di chiacchiere e lo stomaco di succulenti stuzzichini. Seguiamo il loro esempio appollaiati su alti sgabelli. Siamo al secondo panino ( più prosciutto che pane), quando vediamo passare una enorme paella fumante. Il cameriere segue i nostri occhi estasiati, sorride e chiede: “ Due porzioni in un piatto grande?” Ci dichiariamo d’accordo ed alla sostanziosa porzione che Walter ed io ci dividiamo aggiunge, non richiesto, due bicchieri colmi di profumato vino tinto. Gradiamo assai e spolveriamo il tutto. Altro che spuntino! Ora siamo pronti per il Museo del Prado.
E’ questo uno dei Musei più prestigiosi del mondo e l’attuale sede fu inaugurata nel 1819. Le prime opere che vi furono esposte facevano parte delle collezioni reali di Isabella di Castiglia, Carlo V e Filippo I e II.
Quando nel 1835, la Legge che prevedeva lo scioglimento di tutti gli ordini religiosi divenne operante, i loro beni furono sequestrati e buona parte fu trasferita nel Museo. La restante, quasi la metà, si sparse per il mondo.
Il Prado combatte da sempre con lo spazio esiguo che non permette di esporre tutti i capolavori che custodisce. Recenti lavori di ampliamento e ristrutturazione, hanno in parte permesso che il numero non si limiti a poco più di 1300 opere, esponendo le restanti 6000 e passa a rotazione.
Quando lo visitammo noi, non erano molti i turisti. La maggior parte delle persone che giravano in religioso silenzio erano spagnoli e portoghesi. Un anziano signore ci raccontò che, in quanto pensionato, non pagava per entrare e ciò gli permetteva da anni, di trascorrere diverse mattinate godendo con calma i capolavori esposti. Lo disse con un certo compiacimento.
Solo agli Uffizi ho percepito l’aria rarefatta di intensa partecipazione come al Prado. Numerosi divani permettono anche ai più stanchi di vivere più comodamente le opere esposte . Via via che ci innoltriamo in silenzio attraverso le innumerevoli sale incontriamo oltre ai grandi pittori fiamminghi, spagnoli e francesi, Raffaello, Botticelli, Antonello da Messina,Tiziano, il Giorgione, Andrea del Sarto, il Parmigianino. Le scene rappresentate sono nella maggior parte di ispirazione religiosa e ringrazio fra me e me gli illuminati Papi e Cardinali, i tanti principi e nobili di quegli anni lontani che, riconoscendo il genio di questi artisti, ci permettono ora di godere di simili capolavori.
Nella sala dedicata al Velasquez ci fermiamo a lungo davanti al grande dipinto che immortala la famiglia di Filippo IV. L’impatto è fortissimo perché forse per la prima volta il Velasquez applica un nuovo metodo prospettico. I critici paiono concordi nel definirlo il suo capolavoro. Pare proprio che dallo sfondo della porta aperta, entri un personaggio per unirsi al resto della famiglia. L’immediatezza della profondità del dipinto è tale che pare egli muova anche verso di te.
Chi, secondo me, ha reso al meglio i volti espressivi e l’anima ispanica, è il Goya. Realisticamente crudele, i suoi personaggi sono vivi, assolutamente moderni e di una intensità impressionante. I due ritratti più che famosi della Maya Desnuda e di quella vestita, come i vari personaggi della dinastia degli innumerevoli Filippi ( dalle fattezze certo non belle e dalle espressioni che non denotano molta intelligenza), sono solo un lato del Goya. Per il resto riporta sulle sue tele uomini e donne del popolo, della sua gente. Ma il Prado non si può descriverlo: si deve viverlo.
Quando, dopo più di cinque ore, usciamo all’aperto, mi sento avulsa nel solito caos cittadino. Scopro i visi madrileni con gli occhi del Goya e li ritrovo intatti nel presente. Gli sguardi intensi ed espressivi dei castigliani che mi circondano, i tratti somatici marcati nella loro intrinseca mollezza, i loro visi atteggiati a sorrisi, sbigottimento ed orgoglio.
Fra pochi giorni scadrà il tempo che possiamo dedicare a Madrid: il ruolino di marcia pur se elastico, va rispettato. Prima però vogliamo ancora passeggiare per il Parco del Buen Retiro. Immenso e verde, costellato dalle sempre presenti statue di sovrani e uomini illustri, nasconde in uno slargo circondato da un folto roseto, un personaggio unico. Dove, se non nella trasgressiva e individualista Madrid si poteva erigere un monumento al “ diavolo”? Eccolo, l’Angel Caido (l’Angelo caduto). Le sue forme sono giovani ed armoniose; le labbra atteggiate ad un moto di stupore improvviso e violento e nello sguardo una dolorosa espressione mista di rabbia e senso di estrema solitudine e paura.
Nel Cason del Buen Retiro, un grande affresco storico: Guernica di Picasso. Una pagina tragica espressa, senza pietismi, estremamente toccante ed attuale.
Ed ancora la vasta ed alberata Plaza de Espana dove, al centro, domina il monumento a Cervantes. Ai sui piedi, gli immortali personaggi nati dalla sua feconda fantasia, gli tengono da tempo e per sempre compagnia.
Arriviamo fino alla Plaza de Toros de la Ventas che comprende anche il Museo Taurino dove scopriamo tra l’altro, diverse stupende stampe che Goya dedicò a questa passione nazionale. La piazza si presenta immensa e diversi sono i gruppi bronzei eretti a memoria di diversi famosi toreri. Molti dei quali persero il crudele confronto con i tori. Mi soffermo più a lungo davanti a quella che i toreri dedicarono a Fleming per ricordare come con la scoperta della penicillina salvò tante vite.
Come è trascorso velocemente il tempo in questa città. E quanti sono ancora i tesori artistici ed umani che non conosciamo. Ma dobbiamo purtroppo lasciarti vivace, cosmopolita , rumorosa e umana Madrid. Con i tuoi palazzi sui cui tetti a terrazzo, artistici e imponenti gruppi scultorei, si innalzano verso un cielo speciale. Che il sole fa risaltare cupi contro il suo azzurro perfetto e il buio rende luminosi col brillio di stelle che paiono più vicine che mai. Abbiamo vissuto solo poche ore di nuvole e pioggerellina, ma pur se per breve orfana del tuo cielo azzurro, sei sempre bella e profumata.
La nostra piccola casa su ruote domani ci porterà poco lontano, ma in un contesto storico ed architettonico completamente diverso. Ci ritroveremo a Toledo: è una promessa.