Australia on the road 3
Il mio volo prevedeva di partire da Venezia, fare uno scalo a Francoforte, poi raggiungere Bali via Bangkok ed infine mettere piede a Darwin, capitale del Northern Territory.
Sono partito con un mio amico in una mattinata di nebbia così fitta che per miracolo siamo giunti all’aeroporto.
Non sto a raccontare il volo che di per sé non ha riservato alcunché di eccezionale, se non l’incontro con altre sette persone che avevano deciso di fare lo stesso nostro viaggio. Alla fine eravamo in nove, tutti simpatici.
Atterriamo all’aeroporto di Darwin alle 3:00 del mattino ed una umidità da farci soffocare.
Fatti, strafatti e cotti dai fusi orari cerchiamo di andarcene a letto in un backpacker cittadino, non senza aver fatto prima un involontario casino tanto da fare uscire dalle loro stanze tutti gli inquilini. Premetto che tutte le notti le abbiamo passate in backpackers od ostelli. Sono economici e, almeno quelli da noi frequentati, in buone condizioni.
Iniziamo col viaggio.
13 ottobre. Senza renderci conto di che ora effettivamente fosse (le 7:30 per l’Australia, per il nostro orologio biologico non so) ci dirigiamo verso il centro della città di Darwin per andare a noleggiare i due fuoristrada (Toyota Land Cruiser). Che ci avrebbero accompagnato fino al red center.
Dov’è il volante? Ah già hanno la guida destra come gli inglesi. Non c’è problema. Entriamo in auto. La strada è libera. Mettiamo fuori la freccia. Si aziona il tergicristallo. È tutto invertito. Per mettere la prima marcia per errore inserisco la quinta per cui il motore dapprima chiede pietà, poi si spegne.
La confusione per fortuna è solo iniziale. Dopo un primo periodo dove dalla prima si passa in quarta (va beh la macchina soffre un po’) e viceversa, una volta messi in carreggiata ed avere ricevuto la comunicazione da un camion con abbaglianti accesi, clacson stereofonico e strani gesti con le braccia fuori dal finestrino, che la corsia da tenere è quella di sinistra, ci dirigiamo fuori città. Tutto procede bene, fino a quando non giungiamo di fronte ad una rotatoria. Ci assale un dubbio. Dobbiamo prenderla in senso orario od antiorario? E se nell’uno qual è la corsia giusta? E la precedenza la dobbiamo dare a quelli che prevengono da destra o da sinistra? Provate voi.
Alla fine l’angelo custode ha ben pensato di chiamare rinforzi e di istituire una sorveglianza più forte.
Entriamo al Kakadu National Park, eletto dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità. Solo che l’umanità per poterlo visitare deve sborsare 15$ australiani.
Il parco è meraviglioso e merita la visita. Noi ci siamo rimasti tre giorni circa, visitandone i punti più spettacolari e vedendo per la prima volta i canguri allo stato libero.
Verso il tramonto, saliamo su di un costone roccioso, al di sotto del quale scorre il South River Alligator, osservando un panorama dalla moltitudine di colori che ci fa rimanere in silenzio per una decina di minuti. In questo luogo alcuni anni fa avevano ambientato gli esterni del film Mr. Crocodile Dundee prima e seconda versione.
14 ottobre. Dopo aver fatto colazione, ci mettiamo in marcia per scoprire cosa il Kakadu N.P. Può offrire.
Il Bowali Visitor Center per esempio, che rappresenta il quartier generale del parco è un museo sulla vita e la formazione del parco stesso. Fuori, su di un porticato, quattro aborigeni se ne stanno distesi per terra a disegnare piccoli quadri che poi vendono ai turisti (un ricordo originale e di certa provenienza australiana. Non fate come un mio amico che ne ha acquistato uno in un negozio per scoprire poi che era “Made in Poland”).
Poi ci sono le Nourlangie Rocks. Imponenti rocce alla base delle quali ci sono antichissimi disegni aborigeni che illustrano oltre a tutto, anche la creazione della terra a loro appartenuta. Anche qui bisogna fare una scampagnata a tratti impegnativa per raggiungere un lookout (punto panoramico) posto alla sommità di una delle sopra descritte rocce. Inutile dire che il panorama che si vede dal lookout è eccezionale. A creare problemi ci sono solo le onnipresenti mosche che si appiccicano dappertutto.
Il pomeriggio lo dedichiamo alle Yellow Waters, dove facciamo una crociera di un paio d’ore, navigando all’interno di un orto botanico, osservando piante ed animali introvabili da noi e dalle dimensioni ciclopiche. Si perché qui, per esempio, lo scarafaggio esiste, solo che è doppio rispetto a noi, e il pipistrello, che è come il nostro tacchino un po’ più magro.
La crociera ci fa vedere anche i nostri primi coccodrilli allo stato libero facendoci rimanere a bocca aperta per le dimensioni.
Se programmate di fare una crociera alle Yellow Waters fatelo durante il tramonto. Un cielo così variopinto lo si vede in poche altre parti.
La sera ce ne rimaniamo al residence di Cooinda a cenare e ad ascoltare il cantante solista particolarmente bravo, il quale ha proposto, tra le altre, un Hotel California eccezionale modificandolo con Hotel Cooinda per accontentare i datori di lavoro.
15 ottobre. Usciamo dal Kakadu N.P. Soddisfatti e ci fermiamo subito a Pine Creek per fare il pieno. Si tratta di un paesello di poche anime dove fra l’altro un simpatico e baffuto signore ci fa vedere un antico treno a vapore non più in funzione, pare per problemi di tangenti (tutto il mondo è paese). La cosa più interessante a mio avviso è stata una strana signora hippy desiderosa di mostrarci la sua casa (totalmente priva di mobilia) ed una specie di coccodrillo imbalsamato che teneva in giardino.
Percorriamo alcuni chilometri quando da ambo le parti della strada enormi termitai attirano la nostra attenzione. Frenata improvvisa e ci dirigiamo subito verso il più grande di essi per fare delle foto prestando attenzione ai serpenti che qui non scherzano.
Entriamo al Nitmiluk National Park (entrata gratuita; non è patrimonio dell’umanità) e parcheggiate le auto, iniziamo una camminata di una mezzora verso le Edith Falls, una serie di cascate che gettano le loro acque nerissime in un laghetto dove si può fare il bagno tranquilli. Eccezionali.
Riprese le auto, raggiungiamo dapprima Katerine e poi Katerine Gorge, una specie di piccolo canyon dove si può noleggiare una imbarcazione e risalirlo, navigando all’interno di gole stile Grand Canyon americano, ma di dimensioni molto lillipuziane. 16 ottobre. Visita alle Pools di Mataranka, vale a dire un’oasi in mezzo al deserto, dove scorre un torrente termale con temperatura costante attorno ai 30° gradi e dove nel tratto più largo si può fare il bagno rimanendo in ammollo sotto una volta di palme, cullati dallo stridio degli enormi pipistrelli (volpi volanti) che se ne stanno appollaiati in attesa che scenda la sera.
Ripresa la strada, una sosta ad una istituzione locale: il Daly Waters Pub, una road house aperta nell’ottocento, che conserva tutte le caratteristiche e lo stile del territorio circostante. Reggiseno e mutande appese alle pareti a parte.
Alla sera arriviamo a Tennant Creek, primario paese che serve a rompere la monotonia delle enormi distanze che separano Darwin da Alice Springs. Qui dopo aver cenato egregiamente all’unico ristorante degno di nota, ce ne andiamo in un parcheggio attirati dalla musica dal vivo. Si tratta di un concerto di musica aborigena, solo che tra gli spettatori, di non aborigeni ci siamo solo noi, e siccome ci guardano male alla fine ce ne andiamo a letto.
17 ottobre. La sveglia stamattina suona prestissimo in quando dobbiamo raggiungere le Devil’s Marble all’alba per osservarne i colori.
Mi spiego meglio. Le Devil’s Marble sono enormi rocce pressoché sferiche, che per qualche scherzo naturale si ritrovano ad essere in precario equilibrio su se stesse. Oltre alla stranezza di per sé stessa, al sorgere del sole assumono colorazioni via via differenti, che fanno di ogni scatto fotografico, una foto diversa. Il posto ha meritato la levataccia e le due ore passate in loco sono state eccezionali.
Ripresi i fuoristrada arriviamo ad Alice Springs punto di collegamento tra il nord (Darwin) ed il sud (Adelaide) del Paese. Qui visitiamo la città (molto carina) e ci ritiriamo verso sera in un simpatico Pub con musica dal vivo.
18 ottobre. La meta è raggiungere Kings Canyon passando per Palm Valley, una vallata dove riescono a crescere le palme da una moltitudine di anni, nonostante il rigore dell’outback. Solo che per raggiungere il luogo bisogna farlo tutto in fuoristrada attraverso una via panoramica, chiamata Carapiuta Drive. Il luogo non ha certamente meritato tanta fatica.
Arrivati poi al Kings Canyon Station, prendendo possesso delle stanze, notiamo che nella cucina in comune c’é un grosso serpente che vaga da solo sotto il frigorifero. Impauriti, subito chiamiamo la reception informandoli della presenza straniera. In un batter d’occhio intervengono per portarlo via, comunicandoci che il rettile di razza è una vipera e di nome fa: death adder (vipera della morte). Tranquillizzati, subito dopo ci chiediamo: era da sola? Se c’era lei ci potrebbero essere i suoi parenti! Dubbio questo che ci impone di svuotare interamente le stanze da letto per controllare ogni centimetro dell’eventuale presenza straniera. Risultato per fortuna negativo e quindi ci prepariamo per andare a letto, non senza aver preso un caffè.
19-20-21 ottobre. Subito ci dirigiamo al parcheggio delle auto da dove si inizia la salita a piedi verso il Kings Canyon, vale a dire una versione molto bonsai del più conosciuto Grand Canyon americano, ma non per questo meno spettacolare.
Il trekking dura un paio d’ore anche perché ce la prendiamo con comodo, e ad ogni punto panoramico ci fermiamo per immortalare il paesaggio.
Ripresi i fuoristrada, ci dirigiamo verso Yulara, cittadina commerciale posta nelle vicinanze dell’indiscusso simbolo del continente australiano: l’Ayers Rock, o, in lingua aborigena Uluru.
Arriviamo all’ora del tramonto, dove lo si può immortalare nella moltitudine di colori che lo hanno reso famoso nei quattro angoli del pianeta. Sembra di stare allo stadio da quanta gente c’è.
Mezzora prima dell’effettivo tramonto del sole, il lookout si è riempie di auto e di gente tutti indaffarati a cogliere i momenti in cui il colore del monolito cambia. Non appena il sole scende, il vuoto. Non c’è più nessuno. Siamo rimasti solo noi, gli unici che la vacanza ce la siamo presa comoda. Sembra di essere in fabbrica dove all’orario di fine lavoro c’è un fuggi fuggi generale che se per caso ti trovi in mezzo sei finito.
Il mitico monolito comunque lo vediamo sotto tutte le angolature (anche in elicottero), ma non ci siamo saliti anche perché rispettiamo la sacralità che esso rappresenta per la popolazione aborigena.
In loco ce ne rimaniamo la bellezza di due giorni. Già, perché oltre all’Ayers Rock il parco è famoso per il monti Olgas (Kata Tijuta), vale a dire “trentasei piccoli Ayers Rock” all’interno dei quali si possono fare delle escursioni. Personalmente mi sono piaciuti di più gli Olgas che il Rock.
Alla fine dei due giorni ce ne torniamo verso Alice Springs, anche perché una volta visto il monolito, poi basta. Alla fine si tratta di una roccia.
22 ottobre. Alice Springs. Consegnati i fuoristrada facciamo dapprima un giretto per il centro della città per completare lo shopping e poi ci dirigiamo verso l’aeroporto per partire e salutare definitivamente (per questa vacanza) il Northern Territory.
Dopo un volo di quattro ore atterriamo a Cairns, ridente cittadina a nord del Queensland, nonché estremo avamposto civilizzato. Noleggiamo un pulmino capiente e ci inerpichiamo a nord fino a Cape Tribulation, luogo dove un paio di secoli fa il buon capitano Cook ne deve aver passate di tutti i colori per aver dato questo nome ad un così bel posto (sembra si sia arenato più volte).
23 ottobre. Ci svegliamo dopo aver dormito all’interno di una specie di paradiso naturalistico, notando la presenza sopra le nostre teste di una enorme ragnatela che se ben ricordo di così grande l’ho vista solamente in un film di Spielberg. Il bello è che della ragnatela c’é anche il proprietario che se ne sta tranquillo ad osservare la situazione. Zampe comprese sarà una ventina di centimetri.
Muovendoci con tranquillità e senza fare scatti che lo avrebbero potuto innervosire, e cercando di evitare di passarci sotto, ci dirigiamo verso la reception informando della presenza animalesca.
Prontamente intervengono, ed osservando l’aracnide, ci dicono essere un normalissimo ragno della zona. Innocuo. Va beh! Comunque facciamo armi e bagagli mettendo sempre uno di noi come vedetta all’intruso, armato di scopa.
Ce ne andiamo in spiaggia a poche centinaia di metri dal nostro bungalow e ci rendiamo subito conto di cosa potevano aver provato Adamo ed Eva ai loro tempi. Un posto meraviglioso. Indescrivibile. Ce ne rimaniamo a prendere il sole per un po’ di tempo. Praticamente fino a quando iniziamo a friggere, e poi ce ne andiamo a visitare il promontorio non tanto caro al capitano Cook.
Un breve pranzo al McDonnald, e riprendiamo il viaggio con il pulmino in direzione di Cairns, fermandoci nei posti che meritano essere visti, tra cui Port Douglas e il Daintree National Park. (Quest’ultimo specialmente).
A Cairns abbiamo il tempo per cenare e per fare una passeggiata sul lungomare godendoci la serata.
24-25-26 ottobre. Dopo aver viaggiato tutta la giornata in autobus, verso sera raggiungiamo Airlie Beach, paesello costiero base di partenza per le crociere alle Whitsunday Islands.
Infatti abbiamo intenzione di fare una crociera con un monoalbero di una dozzina di metri, condotto da uno skipper non tanto simpatico ma salvato dalla sua compagna/cuoca.
Partiamo quando il sole è gia sceso e nel giro di un paio d’ore di navigazione gettiamo l’ancora nella laguna del gruppo delle Whitsunday, dove ci assale un senso di solitudine e tranquillità eccezionale.
L’indomani visitiamo l’isola principale restando un po’ in spiaggia e un po’ passeggiando in direzione di un lookout con vista da cartolina.
I due giorni trascorsi sono stati indescrivibili, passati a fare snorkelling, e qualsiasi altra attività legata alla situazione, e rimanendo anche distesi a fare nulla.
27 ottobre. Ed eccoci a Fraser Island, la più grande isola sabbiosa del mondo. Dopo un’oretta di ferry-boat, ci rendiamo subito conto che l’isola non è per le auto normali. Qui c’è solo sabbia (e che altro se no!) e per fare una manciata di chilometri ci vuole un’ora. Comunque al di là della difficoltà di spostamento l’isola è meravigliosa. E meravigliosi sono i laghetti racchiusi al suo interno dalle acque limpidissime. Meritano visti il lago McKenzie ed il lago Wabby (quest’ultimo, visto da un lookout evidenziato nelle guide dell’isola, è eccezionale).
Ci passiamo la notte in tenda, alzandoci la mattina seguente tutti rigidi. Per di più durante la notte aveva piovuto, e siccome le tende che avevamo noleggiato erano bucate come l’emmenthal, lascio a voi i nostri commenti.
Dell’isola meritano essere prese in considerazione anche le spiagge, Champagne Beach ed Indian Head (due promontori rocciosi, quindi non di sabbia), la foresta interna, un paio di relitti ed eventualmente le varie stazioni commerciali.
29 ottobre. Tutta la giornata trascorsa in pullman per raggiungere Sydney. L’unica tappa interessante sono le tre ore passate a Brisbane in attesa di una coincidenza.
Per quel poco che possiamo vedere la città merita una visita di ben oltre una giornata.
30-31 ottobre. Sydney. Considerata giustamente una delle più belle città del mondo, solo che tra filmati in TV, riviste specializzate, alla fine tutti possono dire di conoscerla. L’Opera House, l’Harbour Bridge, the Rocks, sono tutti simboli cittadini visti e rivisti centinaia di volte. Solo che esserci è tutt’altra cosa.
A parte i sopra menzionati monumenti la città di per sé stessa merita la visita anche nei sobborghi meno pubblicizzati e conosciuti.
Una crociera nella baia è una esperienza stupenda, specialmente durante la sera quando la città si riveste di migliaia di colori (noi l’abbiamo fatta sia di giorno che di notte). Il Queen Victoria Building (un centro commerciale) merita la visita anche senza acquistare nulla (con i prezzi che hanno). E poi l’acquario, Circular Quay, Darling Harbour, la China Town, ecc.
Non sarei più tornato se mi fossi preso una sola giornata intera a riflettere steso sul prato di uno dei tanti parchi cui la città è ricca.
1 novembre. Salutiamo l’Australia e ci dirigiamo verso l’Italia, facendo uno scalo di una giornata e mezza sull’isola di Bali. Qui possiamo ritoccare la nostra già abbondantissima abbronzatura in una delle più belle spiagge dell’isola, facciamo un giretto ad uno dei tanti templi buddisti, ceniamo con tanto di quel pesce che neanche all’acquario di Sydney ne ho visto tanto, facciamo un po’ di shopping nella via principale, e proviamo un massaggio in spiaggia.
Merita spiegato il massaggio che mi sono fatto fare da una simpatica signora balinese proprio in spiaggia.
Dopo un po’ di insistenze (e qui l’insistenza ce l’anno nel DNA) questa signora riesce a convincermi a farmi il massaggio.
Distende un ampio asciugamano sulla sabbia all’ombra di un cocotier e mi dice di stendermi.
Fatto ciò vengo circondato dall’ottanta per cento dei turisti che si trovavano sulla spiaggia. Non ho mai visto tanta gente prima di allora, nemmeno all’Olimpico in occasione del derby. Per di più la signora aveva chiamato rinforzi per il massaggio. In tutto a farmi il massaggio c’erano sei persone. Una massaggiava un braccio, un’altra l’altro braccio, altre due sulle gambe, una sui cervicali ed infine l’ultima sulla schiena.
Ero in estasi completa e il massaggio è durato la bellezza di tre quarti d’ora. Alla fine ho pagato volentieri gli 8 dollari, e, alzandomi ho ringraziato tutto il pubblico per il tifo.
L’indomani ci dirigiamo verso l’aeroporto e dopo parecchie ore ritorniamo in Italia.